“L’amico del popolo”, 3 aprile 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

THE MAN WHO LAUGHS (L'uomo che ride, 1928), regia di Paul Leni. Sceneggiatura: Walter Anthony, Charles E. Whittaker, May McLean, Marion Ward, J. Grubb Alexander da Victor Hugo. Fotografia: Gilbert Warrenton. Montaggio: Edward L. Cahn. Con: Mary Philbin, Conrad Veidt, Julius Molnar, Olga Baclanova, Brandon Hurst, Cesare Gravina, Stuart Holmes, Sam De Grasse.

Siamo nel 1690. Lord Clancharlie ritorna in Inghilterra dall'esilio, ma viene catturato da re Giacomo II d'Inghilterra e accusato di tradimento. Prima di morire, viene a sapere che suo figlio, Gwynplaine, è stato venduto ai comprachicos, una banda di spietati criminali dei bassifondi composta, scrive Hugo, da feccia di tutte le nazioni, i quali l'hanno sfigurato aprendogli le labbra in modo tale che sembrino contratte in un sorriso eterno.
Dopo essere stato abbandonato dai comprachicos, Gwynplaine salva una bambina la cui madre è appena morta di freddo; in seguito i due vengono adottati da Ursus, un artista ambulante.
Grazie alla sua smorfia artificiale, Gwynplaine diventa un clown famoso ("Gwynplaine, l'Uomo che Ride"); egli è innamorato di Dea, la bambina che aveva salvato e che lavora con lui nel carrozzone di Ursus. Nel frattempo il buffone Barkilphedro scopre che Gwynplaine ha origini nobili e vede in lui un modo per entrare nelle grazie della regina Anna, nel frattempo succeduta al padre. L'uomo intesse così una fitta rete di scandali e segreti che porteranno dapprima la Duchessa Josiane, sorella di Anna, a innamorarsi di Gwynplaine, e infine a far tornare quest'ultimo nell'aristocrazia inglese, dove viene addirittura osannato come Pari d'Inghilterra.
La nuova vita da nobile frustra decisamente Gwynplaine, il quale, abbandonato da Josiane ed emarginato dai nobili che vedono ancora in lui un clown, rimpiange la vita con Dea e Ursus. Dopo un fallimentare discorso alla Camera dei Lords, l'Uomo che Ride decide così di fuggire e tornare da loro. A differenza che nel romanzo di Hugo, i due innamorati non muoiono ma riescono a fuggire in Francia.

Conrad Veidt in THE MAN WHO LAUGHS (L'uomo che ride, 1928), regia di Paul Leni

“A un anno dal suo trasferimento in America, Paul Leni ci regala forse il suo capolavoro, di certo il film più bello della sua breve esperienza nel nuovo mondo che si interromperà appena un anno dopo a causa di una devastante leucemia. Questo film con il suo forte impatto visivo ha stuzzicato l’immaginario delle generazioni successive tanto da dar vita a uno dei più noti cattivi della storia dei fumetti, Joker di Batman. Ma la storia parte da lontano, da un drammatico romanzo di Victor Hugo, L’homme qui rit per l’appunto, uno degli ultimi scritti dall’autore francese e pubblicato nel 1869.

Conrad Veidt e Mary Philbin in THE MAN WHO LAUGHS (L'uomo che ride, 1928), regia di Paul LeniSemplificando il lungo romanzo d’oltralpe, lo sceneggiatore (Grubb Alexander) ci mette di fronte alla cattura per tradimento di Lord Clancharlie da parte degli uomini del malvagio Re Giacomo II di Inghilterra (tra cui spicca l’astuto buffone di corte Barkilphedro interpretato da uno splendido Brandon Hurst). Prima di essere ucciso, chiuso in un sarcofago ripieno di punte arrugginite (fine che Leni rappresenta con una grande carica emotiva ma anche con la delicatezza che caratterizzava i muti), il ribelle viene a sapere che il figlio Gwynplaine è stato venduto a degli zingari noti per le loro atrocità. Da essi il piccolo è stato sfigurato e costretto a portare un eterno sorriso. La scena si sposta e veniamo a sapere che un editto ha reso questi zingari fuori legge i quali, pur di salvare la loro pelle, poco si curano di portare con loro il piccolo che, infreddolito ed affamato, inizia un cammino che lo porterà a vedere le peggiori atrocità: prima un gruppo di uomini impiccati, poi la fame più nera. Proprio in questo contesto incontrerà una donna, morta per il freddo e gli stenti, con in braccio una bambina ancora viva: Dea. I due diventeranno inseparabili e con lei sotto la giacca Gwynplaine arriva alla casa mobile di Ursus (interpretato dal grande caratterista Cesare Gravina) e del suo cane. L’uomo scopre che la piccola è non vedente e viene finalmente rivelato lo sfregio del bambino.
Passano 15 anni e Gwynplaine (interpretato da Conrad Veidt, attore ebreo-tedesco che ricordo per la sua interpretazione di Cesare ne “il gabinetto del dottor Caligari”) è diventato adulto così come la bella Dea (Mary Philbin, attrice schiva, nota anche per aver recitato ne “il Fantasma dell’opera” del 25 al fianco di Lon Chaney). Insieme al loro salvatore girano l’Inghilterra mettendo in scena la pièce teatrale dell’Uomo che ride, scritta dal Ursus il cui protagonista principale è ovviamente il nostro Gwynplaine. Ma la routine dei nostri eroi ha purtroppo breve durata. Barkilphedro scopre che il protagonista della pièce è il figlio di Lord Clancharlie e lo rivela alla Regina Anna (che ha preso il posto dell’ormai defunto Re Giacomo), stufa delle bravate della sua viziosa sorellastra, la Duchessa Josiana. Proprio lei passa le sue giornate sotto mentite spoglie al circo in compagnia di personaggi non certo raccomandabili. In una delle sue sortite la Duchessa vede l’opera di Gwynplaine e, al contrario di tutti i presenti, non riderà. Colpito dal comportamento di Josiana, il nostro eroe non esiterà a correre da lei quando questa glielo chiederà, abbandonando così la povera Dea che nutre nei suoi confronti un amore sincero. Nella sua estrema fragilità Gwynplaine ha bisogno di essere amato di una persona che può vedere la sua deformità. Una volta che il giovane è giunto a palazzo la Duchessa riceve un messaggio dalla Regina Anna, all’interno del quale viene a sapere che potrà mantenere il suo patrimonio solo sposando “l’uomo che ride”, ormai riconosciuto come Lord Fermain Clancharlie. Josiana ride istericamente e, sentendosi deriso, Gwynplaine fugge da Ursus e Dea. Poche ore dopo viene però catturato dalle milizie regie, portato in cella e spacciato per morto. Qui ci troviamo di fronte a una delle scene più commoventi del film. Dea non deve sapere niente e Ursus finge di dover fare lo spettacolo anche quel giorno facendo da attore e da pubblico in sala. Ma la finzione durerà poco, il malvagio Barkilphedro farà il suo ingresso nel piccolo teatro annunciando la finta-morte di Gwynplaine e annunciando la messa al bando della compagnia dal Regno Unito. Distrutti dal dolore a questi non resta altro che preparare i bagagli e partire... Leni ci regala un capolavoro artistico, un gioco di sguardi e di espressioni. Là dove il sorriso eterno del protagonista non può rivelarci i veri sentimenti dell’eroe, sono i movimenti e gli occhi che fanno da padroni. Il regista tedesco ci mostra tutta la debolezza di un ragazzo costretto a crescere e vivere tra lo scherno e il disprezzo altrui, una sorta di preludio a quello che poi saranno i temi tanto cari a Tod Browning con Lo Sconosciuto (The Unknown) prima e Freaks poi. Chissà come sarebbe stato questo film se Lon Chaney avesse potuto interpretare Gwynplaine, ruolo che rifiutò all’ultimo, forse per il troppo lavoro, forse per i problemi dovuti al cancro alla gola che lo accompagnavano da diverso tempo. Magari invece è stato meglio così, Veidt ha interpretata il suo ruolo magistralmente, è riuscito a rendere alla perfezione la debolezza e la forza del proprio personaggio, a giocare con le gestualità e con lo sguardo. Geniali e di forte impatto emotivo le scene in cui si copre la bocca, congelata in un sorriso attraverso dei ganci metallici, per mostrare tutta la tristezza del suo sguardo, lo smarrimento per la derisione, dell’essere giudicati solo per la propria apparenza. L’uomo che ride è una critica sociale, nonché alla classe dirigente tutta, alla differenza abbissale, e sempre attuale, tra classi estremamente ricche e quelle più povere. Hugo, forse per prendere le distanze, non avrà faticato ad ambientare questa triste storia nell’odiata Inghilterra, dando poi ad una nave, diretta in Francia, il ruolo di possibile salvatrice dei nostri eroi”.

(E Muto Fu)

Il Film:

3 aprile 1943 muore Conrad Veidt, attore, regista e produttore tedesco (nato nel 1893)

THE MAN WHO LAUGHS (L'uomo che ride, 1928), regia di Paul Leni

 

Una poesia al giorno

Tra le discordie la grande campana... di Juliusz Słowacki (Traduzione di Paolo Statuti)

Tra le discordie la grande campana -
Iddio ha battuto,
Per il Papa Slavo è risonata,
Il trono è dischiuso.
Dinanzi alle spade egli non fuggirà
Come quell’Italiano,
Egli audace come Dio le affronterà;
Per lui il mondo - è vano.

Il suo volto, raggiante come il sole,
E’ fiaccola ai fedeli,
Dietro a lui accorreranno le folle
Nella luce dei Cieli.
Alle sue preci i popoli e non solo -
Al suo comandamento -
Anche il sole si fermerà con loro,
Perché la forza - è portento.

Egli ormai è vicino - nuovo dispensatore
Delle forze terrene,
Si ritrarrà il sangue alle sue parole -
Nelle nostre vene;
E nei cuori sgorgherà la sorgente
Della luce divina,
Creerà ciò che nasce nella sua mente,
Perché la forza - è vita.

E occorre la forza per sostenere
Del mondo il fardello...
Ecco dunque che il Papa Slavo viene,
Dei popoli - fratello...
Ecco che già versa nei nostri cuori
I balsami del mondo,
E una schiera d’angeli - coi fiori
Gli prepara il soglio.

Dispenserà l’amore, come i potenti
Dispensano le armi,
Mostrerà la forza dei Sacramenti,
Con il mondo sui palmi.
La sua colomba-parola recherà
La soave novella,
Che lo Spirito regna e risplende già
Come fulgida stella;
Sopra di lui, dall’uno e l’altro lato,
S’aprirà il cielo radioso,
Perché egli sul trono s’è mostrato
E crea il mondo e il trono.

Affratellerà le genti del pianeta,
E dato il comando,
Gli spiriti giungeranno alla meta
Attraverso il pianto.
Di cento nazioni lo aiuterà così
La sacramentale sorte,
E il frutto degli spiriti apparirà qui
Davanti alla morte.

Torrà alle piaghe del mondo il marciume,
I rettili - i vermi,
Apporterà l’amore e la salute
E salverà gli inermi.
Netterà l’interno dei templi e il sagrato,
E di grazia adorno,
Mostrerà Iddio nel Suo creato,
Chiaro come il giorno.

Monumento a Juliusz Słowacki

Di questa poesia scrive il traduttore Paolo Statuti: “Il 1 giugno 1846 morì il papa Gregorio XVI, che era salito al soglio pontificio il 6 febbraio 1831, quando la Rivolta di Novembre in Polonia era al suo culmine. Ricordo qui che essa, conosciuta anche come Rivoluzione Cadetta, fu una ribellione armata contro il dominio dell’Impero russo in Polonia e Lituania. Essa fu sedata dall’esercito russo il 5 ottobre 1831. Gregorio XVI temeva soprattutto una rivoluzione, e il 15 febbraio 1831, pochi giorni dopo la sua elezione, inviò un primo cauto monito ai vescovi polacchi, sollecitato dal principe Grigorij Gagarin, ambasciatore russo a Roma, secondo il quale i fatti di Polonia si ispiravano alle idee del pensatore cattolico francese Lamennais (1782-1854), la cui difesa di una conciliazione tra cattolicesimo e liberalismo lo aveva portato a una rottura con la Chiesa. Poi, su esplicita richiesta dell’ambasciatore russo, il papa emanò l’enciclica Cum primum (9 giugno 1832), in cui condannava la Rivolta polacca, attribuendola tra l’altro a intrighi della massoneria. La morte di questo papa fu quindi accolta con gioia non solo in Polonia, ma anche in Italia (Mazzini, Garibaldi) e in altri paesi. Si sperava ora in un pontefice meno dispotico e più liberale.
Dopo un conclave durato appena 48 ore, il più breve nella storia della Chiesa, il cardinale Mastai fu scelto in una rosa di 52 cardinali e prese il nome di Pio IX. In questo contesto storico Juliusz Słowacki (1809-1849), il più grande poeta romantico polacco accanto ad Adam Mickiewicz (1798-1855), tra il 1 e il 16 giugno 1846 scrisse la sua celebre e profetica poesia “Tra le discordie la grande campana...” Słowacki era guidato dall’idea del bene della Chiesa, ma anche delle nazioni e soprattutto della Polonia. Infatti, Pio IX fu molto benevolo verso quest’ultima, e non solo non condannò la Rivolta di Gennaio (1863), ma la sostenne. Słowacki, scrivendo sulla necessità di eleggere un papa slavo, aveva dunque in mente un papa favorevole agli Slavi, oppure sensu stricto pensava a un vero e proprio Slavo, ciò che allora non si verificò? Qualunque fosse il suo pensiero, oggi sappiamo con certezza che ciò avvenne più tardi, quando cioè 133 anni dopo, la profetica visione di Słowacki si avverò con l’elezione del papa polacco Giovanni Paolo”.

(In musashop.wordpress.com)

3 aprile 1849: muore Juliusz Słowacki, poeta e drammaturgo polacco-francese (nato nel 1809).

 

Un fatto al giorno

3 aprile 1077: costituzione dello Stato patriarcale friulano. Nasce il primo Parlamento in Friuli.

3 aprile 1077: costituzione dello Stato patriarcale friulano. Nasce il primo Parlamento in Friuli.

“Enrico IV, sceso in Italia per ottenere la revoca della scomunica ricevuta da papa Gregorio VII (celebre l'episodio della cosiddetta umiliazione di Canossa), si trovò ben presto ad affrontare una rivolta dei nobili, dovuta alla sua lontananza e al fatto che il papa, pur avendo ritirato la scomunica, non aveva annullato la dichiarazione di decadenza del trono. Risolti i problemi con il papa, Enrico tentò di precipitarsi in patria per ristabilire il suo potere, scoprì però che i nobili locali che controllavano i valichi alpini si erano schierati con la nobiltà tedesca, vista al momento come favorita. Solo il patriarca di Aquileia Sigeardo di Beilstein, bavarese anche lui come l'imperatore e fedele a questi, gli concesse di passare.
Il 3 aprile 1077, per la fedeltà dimostrata, Sigeardo ottenne dall'imperatore Enrico IV, che nel frattempo era riuscito a ristabilire la sua autorità, l'investitura feudale di Duca del Friuli, Marchese d'Istria e il titolo di Principe, costituendo quindi il Principato ecclesiastico di Aquileia, feudo diretto del Sacro Romano Impero.
Il principato ecclesiastico era delimitato a nord dalle Alpi, a est dal corso del Timavo, a sud dal mare Adriatico ed a ovest dal corso del Livenza e, cosa piuttosto rara per i ducati dell'epoca, a parte alcuni piccoli territori sotto diretta dipendenza dell'Impero, godeva di unità territoriale.
Anche i successori di Sigeardo, che per lungo tempo furono tutti di origine germanica, seguirono tale linea filo-imperiale, il che permise loro di consolidare il potere patriarcale, che giunse ad includere anche Trieste, l'Istria, la Carinzia, la Stiria, ed il Cadore.
Sotto il patriarcato di Volchero (1204-1218) grande impulso fu dato ai traffici commerciali ed alle attività produttive, fu migliorata la rete viaria e brillante fu anche l'attività culturale.
A Volchero successe il patriarca Bertoldo (1218-1251) il quale ebbe fin dall'inizio un occhio di riguardo per la città di Udine per la sua centralità ed in breve tempo passò da piccolo villaggio a metropoli. L'attuale Cividale del Friuli fu sede del Patriarcato fino al 1238, anno in cui Bertoldo si trasferì a Udine che assunse in tal modo sempre maggiore importanza divenendo col tempo il cuore istituzionale del Friuli. Le mire di conquista dei ghibellini (filo-imperiali) Ezzelino III da Romano e Mainardo III, conte di Gorizia costrinsero il patriarca a cercare aiuto nel partito avversario (quello guelfo) alleandosi con Venezia e con il duca di Carinzia, diventando elemento di forza della lega guelfa e creando dunque una spaccatura con la linea politica seguita fino a quel momento.
Da tale svolta il Friuli non ottenne benefici sostanziali e, anche a causa dell'assassinio di alcuni patriarchi per mano di partiti a loro avversi, si avviò ad un periodo di declino: il patriarca non riusciva più a conservare la coesione tra i comuni e frequenti divennero i tradimenti, le congiure e le lotte tra vassalli. Il conte di Gorizia divenne il principale avversario dell'autorità patriarcale. Durante il periodo del patriarca Raimondo della Torre - uno dei più importanti, durato tra il 1273 e il 1299 - nel 1281 scoppiò un conflitto con la Repubblica di Venezia per il possesso di parte dell'Istria...”

(Wikipedia)

 

Una frase al giorno

“L'intenzione di Richard Wagner di rendere conoscibile ogni idea, ogni struttura, attraverso un motivo, doveva comportare un'influenza letteraria sulla forma musicale, che indubbiamente ha avuto un'enorme significato per il dramma musicale. Ma le singole parti costitutive dell'opera, in sé concluse, vengono a formarsi inconsapevolmente da materiali astratti e l'inclusione di una caratterizzazione motivica nella forma musicale appartiene (come avviene già del resto nel Tristano) né più e né meno che all'idea compositiva originaria, come avviene nell'invenzione melodica o nella strumentazione. [...] Il formarsi dell'opera ha luogo al di sotto del livello della coscienza”.

(Kurt Weill, 1926 in www.rodoni.ch)

Kurt Julian Weill (Dessau, 2 marzo 1900 - New York, 3 aprile 1950)

Kurt Julian Weill (Dessau, 2 marzo 1900 - New York, 3 aprile 1950) fu un compositore e musicista tedesco naturalizzato statunitense.

  • Youkali (da September Songs), musica di Kurt Weill, testo di Roger Fernay, cantata da Teresa Stratas.

 

Un brano musicale al giorno

Benjamin Britten (piano) e Peter Pears (tenore) in “O Waly, Waly

Benjamin Britten (piano) e Peter Pears (tenore)

3 aprile 1986 muore Peter Pears, tenore inglese ed educatore (nato nel 1910)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k