L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
DIMENTICARE VENEZIA (Italia, 1979), regia di Franco Brusati. Sceneggiatura: Franco Brusati, Jaja Fiastri. Fotografia: Romano Albani, Idelmo Simonelli, Michele Picciaredda. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Musiche: Benedetto Ghiglia. Con: Erland Josephson, Mariangela Melato, Eleonora Giorgi, David Pontremoli, Hella Petri, Fred Personne, Anne Caudry, Armando Brancia, Nerina Montagnani, Siria Betti, Joan Peter Boom, Paolo Rovesi, Davide Greco, Patrizia Rubeo, Alessandro Doria, Daniela Guzzi, Domenico Tittone, Pia Elliott.
In una villa-fattoria del Veneto vivono le giovani Anna e Claudia, l'anziana zia Marta e la decrepita balia Caterina. Anna, nipote di Marta che è una ex cantante lirica, si occupa della fattoria; Claudia, orfana accolta nella casa sin da piccola, fa da maestrina ai bambini della zona agricola e partecipa attivamente al mantenimento della famiglia tutta al femminile. Un giorno, provenendo da Milano ove possiede un negozio di macchine classiche rinnovate, giunge Nicky, il fratello di Anna, insieme al meccanico Picchio, un giovane che è suo socio ma anche 'amico'. Dalla casa, piena di ricordi e di nostalgie, sembrano improvvisamente fuggire i fantasmi del passato. Alla vigilia di una gita a Venezia che tutti sognano con piacere, abitanti e ospiti si recano al ristorante rustico ove, celebrandosi il matrimonio riparatore di una giovane coppia, Nicky incontra Rossino, amico d'infanzia, ora padre di cinque figlioli tra cui la sposina. E' questa a notare la presenza della già famosa Marta e ad invitarla ad una esibizione canora che segue con un tango di Marta e Nicky. Ma l'anziana cantante, di ritorno alla propria villa, viene stroncata da un infarto. Tutti decidono di trasferirsi a Milano. Nicky, tuttavia, torna sulle proprie decisioni e rimane in campagna. Caterina accetta l'ospitalità di un nipote. Anna, Claudia e Picchio prendono posto sulla corriera che li porterà verso la Lombardia.
“Guardare indietro vuol dire amare la morte” mi aveva detto Franco Brusati citando Freud e discorrendo con me, tempo fa, del film uscito ieri a Roma. E aveva proseguito: “L’infanzia, l’adolescenza, gli affetti degli anni verdi possono essere meravigliosi e ricordarli può farci sentire in paradiso; ma guai a vivere solo di quelli e per quelli, guai a legarsi a quei ricordi senza più volersene distaccare; è l’inferno, è la morte, mentre invece bisogna saper dimenticare il passato per riuscire ad amare il presente che siamo noi”.
(Gian Luigi Rondi)
“Il film inizia introducendo i primi due personaggi principali, Nichi (Erland Josephsson) e Picchio (David Pontremoli), in viaggio per far visita a Marta (Hella Petri), sorella di Nichi, un tempo tenore e donna di teatro. Lei vive con altre due donne, Anna (Mariangela Melato) e Claudia (Eleonora Giorgi), insieme sin da bambine. Un'atmosfera velatamente disturbata aleggia in tutti gli ambienti del film sin da subito, trasportando lo spettatore, attraverso flashback a tratti un po' confusi, nei ricordi soffusi dei personaggi della storia. Il film, dunque, si dipana sulla falsa riga dei ricordi d'infanzia di Nichi, dai quali si evincono i primi segni di omosessualità, e dei gravi problemi esistenziali e mentali di Anna, rimasta segnata dal tradimento del padre e dalla conseguente disperazione della madre.
Nichi e Anna sono i personaggi chiave della storia, con il bagaglio di inquietudine e di irrisolta immaturità emozionale che, nel corso della vita, ha finito con il coinvolgere altre persone. Numerosi primi piani, tempistiche e modalità diegetiche di stampo teatrale sono ben visibili e connotano il film, che non ha avuto, negli anni, il riconoscimento che meritava.
Il film può riassumersi in tre momenti chiave: la cena nel bosco, l'incontro nel fienile e la partenza per Milano. Dopo l'esplosione di allegria improvvisa, dovuta al ricongiungimento della famiglia dopo anni, si decide di andare a cena fuori, contravvenendo ai voleri tradizionali della balia, ormai anziana e arteriosclerotica. In seguito si progetta anche un viaggio a Venezia, città storica e mitica per eccellenza, ideale banco di prova dei valori ancestrali dei personaggi e quindi del loro stesso io. Una parentesi di normalità, quella della cena nel bosco, che cela comunque i germi di una morbosità e un rimpianto mai risolto. I ricordi della bella vita di fama e successo di Marta e l'incontro di Nichi con il suo compagno d'infanzia, e con tutta la sua numerosa prole, confermano la paura dei personaggi di crescere, di divenire adulti e, quindi, di chiudere la porta alla magia, alla fiaba e alla bellezza di un mondo in cui tutto può accadere. Hanno, poi, la stessa valenza iniziatica sia l'incontro tra Picchio e Anna nel fienile (in cui la scoperta della eterosessualità finisce con il rappresentare la soglia della temuta e rifuggita maturità) sia la partenza finale per Milano, verso una realtà nuova in cui dover fare i conti con se stessi.
Un film in perenne stato onirico tra la follia del ricordo e la lucidità del presente che incalza, portando con se la paura di dover ricoprire tutto con la coltre del disincanto, come le coperte usate per coprire il corpo di Marta”.
(Sentieri Selvaggi)
- Per vedere il film: www.youtube.com
Una poesia al giorno
Venezia, di Anna Achmatova (1889 - 1966)
Colombaia dorata sull'acqua,
tenera e verde struggente,
e una brezza marina che spazza
la scia sottile delle barche nere.
Che dolci, strani volti tra la folla,
nelle botteghe lucenti balocchi:
un leone col libro su un cuscino a ricami,
un leone col libro su una colonna di marmo.
Come su di un'antica tela scolorita,
il cielo azzurro fioco si rapprende...
ma non si è stretti in quest'angustia,
e non opprimono l'umido e l'afa.
Un fatto al giorno
1° giugno 193 d.C. Didio Giuliano (in latino: Marcus Didius Salvius Julianus), imperatore romano, viene assassinato. Era un ricchissimo senatore, originario di Mediolanum, che divenne imperatore comprando all'asta l'impero dai pretoriani che lo vendevano al migliore offerente. Fu riconosciuto dal Senato e dai pretoriani ma non dalle legioni.
“Imperatore romano, nato nel 133 d. C. di ragguardevole famiglia oriunda della Gallia Cisalpina (incerta è la parentela col giureconsulto Salvio Giuliano). Console verso il 175, fu governatore della Dalmazia, della Germania inferiore, della Bitinia e Ponto, e proconsole d'Africa. Fu elevato alla dignità imperiale all'assassinio di Pertinace, in seguito all'offerta d'una cospicua somma di denaro ai turbolenti pretoriani (193). Non appena salito al potere, si trovò a lottare contro le insurrezioni di Pescennio Negro, proclamato imperatore dalle legioni di Gallia, e di Settimio Severo, a capo di quelle pannoniche e di Germania; quest'ultimo, che ben sapeva quanto D. G. fosse immediatamente divenuto impopolare in Roma, col suo appoggiarsi ai pretoriani e col far quasi temere un ritorno ai tempi dell'odiato Commodo, non tardò a comparire dinnanzi alla città quale vendicatore di Pertinace. D. G., che aveva tenuto una condotta paurosa e incerta, e aveva invano tentato combinazioni e spartizioni di potere col rivale, fu abbandonato da tutti e messo a morte dopo soli 66 giorni di regno (1° giugno 193)”.
(Enciclopedia Treccani)
Una frase al giorno
“L’espressività la concede Dio o non la concede. Insegnare il talento è impossibile. Si può insegnare la professionalità ed è necessario, obbligatorio”.
(Maya Plisetskaya, 1925-2015)
Un brano al giorno
La divina Maya Plisetskaya ne “La morte del cigno”, su musica di Camille Saint-Saëns.
“Nonostante fosse osannata in occidente, Plisetskaya non disertò come invece fecero molti suoi celebri colleghi (ad esempio Rudolf Nureyev, Mikhail Baryshnikov o Natalia Makarova) e rimase in qualche modo fedele all’Unione Sovietica, sopportando le pesanti costrizioni che le imposero. Le umiliazioni descritte dalla danzatrice nella sua autobiografia riguardano ad esempio la necessità di supplica per poter essere pagata, per essere autorizzata a viaggiare, per poter preparare nuovi lavori coreografici. Paradossale anche l’obbligo di esibirsi in onore della Ceka, il corpo di polizia sovietico che portò via i suoi genitori quando era bambina. Tuttavia la danzatrice (come fecero anche Vladimir Vasiliev e la moglie Ekaterina Maximova) cercò di migliorare la condizione degli artisti dall’interno, spingendo per un rinnovamento del repertorio e degli stili di danza proposti dal tradizionalista Bolshoi, teatro che odorava di polvere secondo la descrizione fatta da lei stessa. Nella sua battaglia si oppose all’impostazione accademica e schiava del regime del direttore e coreografo Yury Grigorovich per aprirsi alle innovazioni di artisti come Michel Fokine e George Balanchine”.
(Tutto Danza)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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web www.brusaporco.org