“L’amico del popolo”, 31 maggio 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

JIGOKUMON (La porta dell'inferno, Giappone, 1953), regia di Teinosuke Kinugasa. Sceneggiatura: Teinosuke Kinugasa, Masaichi Nagata. Fotografia: Kohei Sugiyama. Musiche: Yasushi Akutagawa. Con: Kazuo Hasegawa, Machiko Kyô, Isao Yamagata, Yataro Kurokawa, Kotaro Bando, Jun Tazaki, Koreya Senda.

Vincitore del Grand Prix du Festival al Festival di Cannes 1954 e dell'Oscar al miglior film straniero. Festival di Locarno Premio della Giuria internazionale della critica Nel 1954 il National Board of Review of Motion Pictures l'ha inserito nella lista dei migliori film stranieri dell'anno.

Giappone: XII secolo. Dopo il fallimento di un colpo di stato, l'imperatore convoca i samurai che si sono impegnati e distinti nello sventare il tentato golpe al fine di poter dare loro un premio. Tra questi vi è Moritoh, il quale chiede al suo signore di fargli da testimone di nozze per il matrimonio con una giovane cortigiana di nome Kesa, alla quale lui stesso aveva salvato la vita nel corso dei combattimenti. Il problema nasce dal fatto che Kesa è già sposata felicemente con un altro samurai di alto lignaggio di nome Wataru. Kesa non è assolutamente disposta a lasciare il marito per mettersi con Moritoh; Moritoh non è assolutamente disposto ad abbandonare le sue assurde velleità sulla donna. L'amore per Kesa diventerà per il samurai una vera e propria ossessione e lo porterà a compiere un folle e sconsiderato gesto.

''La porta dell'inferno'' è un film drammatico del 1953 che vede alla regia Teinosuke Kinugasa. Tra i protagonisti c'è Kazuo Hasegawa che ritroviamo in ''Gli amanti crocifissi'', protagonista anche Machiko Kyô che ritroviamo in ''I racconti della luna pallida d'agosto'' o ancora in ''Empress Yank Kwei Fei', è inoltre protagonista Isao Yamagata che possiamo trovare anche in ''L'imperatrice Yang Kwei-fei'' o con un'altra interpretazione in ''L'ultimo samurai''.
''La porta dell'inferno'' è stato vincitore di un premio Oscar, l'Oscar al miglior film straniero.

“In Occidente Teinosuke Kinugasa è noto soprattutto per i suoi muti d’avanguardia, Kurutta ichipeiji (Una pagina di follia, 1926) e Jujiro (Incroci, 1928). Quest’ultimo fu uno dei pochi muti giapponesi ad arrivare in Europa prima della guerra. Ma la lunga carriera del regista si estese fino agli anni Sessanta, e il suo La porta dell’inferno, girato su pellicola d’importazione Eastmancolor, fu la prima produzione a colori della Daiei. Film in costume ambientato nel Giappone del periodo Heian, La porta dell’inferno narra la tragica ossessione amorosa di un guerriero per una donna sposata e si avvale delle appassionate interpretazioni di star del genere quali Kazuo Hasegawa e Machiko Kyo. Anche se in patria non fu accolto con particolare entusiasmo, in Occidente il film vinse il primo premio a Cannes e l’Oscar per il miglior film straniero. Gran parte di questo successo derivava indubbiamente dall’abilità con cui Kinugasa e il suo direttore della fotografia Kohei Sugiyama impiegarono il colore. All’uscita del film negli Stati Uniti il critico del “New York Times” Bosley Crowther osservò che nel film di Kinugasa “l’uso del colore (Eastman) applicato agli ambienti giapponesi, tanto accurato nella composizione quanto ricco e complesso nella consistenza dei materiali, si situa a un livello tale da rendere il film paragonabile alla migliore arte giapponese”. Per molti anni queste qualità si persero completamente nelle copie sbiadite in circolazione; che il recente restauro le ha riportate a nuova luce”.

(Il Cinema Ritrovato)

“Nel XII sec., tra intrighi e rivolte di palazzo, un samurai e la sua amante progettano l'uccisione del nobile marito della donna, ma per un tragico equivoco, il samurai uccide lei. All'origine c'è un delitto, commesso nel 1159, che ispirò diverse opere dell'antica narrativa giapponese. Prodotto dalla Daiei, il film si basa, invece, su un mediocre best seller degli anni '40, scritto da Hiroshi Kan Kikuchi e sceneggiato dal regista con M. Nagata. T. Kinugasa, attivo come regista dal 1926, fu il primo a essere sorpreso quando il film su commissione vinse il 1° premio a Cannes 1954 e l'anno dopo l'Oscar per il film straniero. Ne nacque una lunga polemica giornalistica; i critici giapponesi che non l'avevano messo nella tradizionale lista dei 10 migliori film nazionali dell'anno si sentirono offesi. Il caso è in parte spiegabile con la sua squisitezza cromatica e scenografica, lontano ricordo della ricerca stilistica dei film muti di Kinugasa”.

“Film che all’epoca ebbe un successo controverso (all’estero, sulla scia di Rashomon e dei film di Mizoguchi degli anni immediatamente precedenti, vinse una Palma d’Oro e un Oscar, mentre in patria fu tacciato di strizzare l’occhio al gusto occidentale per l’esotico), Jigokumon (La porta dell’inferno, 1953) riporta all’attenzione internazionale Teinosuke Kinugasa, che già si era spinto in Europa negli anni Venti per presentare uno dei suoi due capolavori di taglio avanguardista: Jūjiro (Incroci, 1928). Tratto da un’opera di Kan Kikuchi, Jigokumon ha il sapore di un racconto morale di stampo buddista: il protagonista Morito, un valoroso guerriero, cade vittima di una passione scellerata per Kesa, una donna incantevole ma, ahimé, già sposata; non ricambiato, decide di ucciderne il marito costringendo l’amata a seguirlo, ma Kesa si sacrificherà al posto del coniuge Wataru, risvegliando dalla follia Morito con la propria morte; risparmiato da Wataru che non intende sottrarlo al tormento del rimpianto, all’uomo non resta che espiare i propri peccati per il resto della vita, dopo aver preso i voti.
Jigokumon si fa notare innanzitutto per l’allestimento sontuoso che, attraverso kimono dalle tinte accese, veli variopinti e stendardi rossi e viola che si stagliano sui cieli azzurri, bene mette in risalto le qualità dell’Eastman Color adottato per la prima volta dalla Daiei, la casa produttrice. È in particolare l’uso dei veli semitrasparenti a donare ricchezza alle inquadrature, stratificandole tramite sovrapposizioni di tinte diverse (ma l’effetto dei veli, così come dei graticci che ugualmente si frappongono tra l’obiettivo e i personaggi, è anche quello di ingabbiare questi ultimi nei loro destini, in una vicenda il cui esito scontato e ineluttabile sembra decretato sin dalle prime sequenze). Il gusto pittorico di cui il film fa sfoggio riecheggia inoltre nelle vivide rappresentazioni dell’inferno dipinte sul portale che dà il titolo all’opera e incombe su di essa, e negli emakimono (pitture su rotolo di carta) a tema guerresco sui quali si apre il film, a loro volta ripresi, in alcune sequenze, dall’angolazione della macchina da presa che ne riproduce il tipico punto di vista elevato.
Accantonati i colori scintillanti della prima parte, un lungo preambolo che gradualmente costruisce l’insana passione terrena di Morito contrapposta alla serafica gentilezza del rivale in amore (quest’ultima resa tanto più commovente quanto più è trattenuta l’interpretazione di Yamagata Isao nel ruolo di Wataru), è tra le tinte notturne e i tenui bagliori lunari della lunga sequenza finale che l’opera di Kinugasa raggiunge il massimo della sua forza espressiva. Essa è strutturata in piani lunghi e solenni, altamente cerimoniali nella lentezza dei gesti e delle andature che li animano, e punteggiata da dettagli di oggetti (fiammelle tremolanti, la luna lontana, veli impalpabili) che si fanno correlativi oggettivi degli stati d’animo, altrimenti inespressi, della silenziosa Kesa e del suo compagno, malinconici e rassegnati di fronte alla caducità della vita e alla vanità delle passioni. Posta in contrasto con la violenza dei gutturali versi di dolore di Morito, che la squarcia con rabbia dopo aver compreso la propria natura mostruosa, la quiete di tali piani, già carica di tensione, appare ancora più intensa.”

(Giacomo Calorio)

JIGOKUMON (La porta dell'inferno, Giappone, 1953), regia di Teinosuke Kinugasa

 

Una poesia al giorno

Bevendo da solo con la Luna (esercizi di traduzione), Li Bai (701-762 d.C.). Poesia cinese dell’epoca T’ang, traduzione di Leonardo Arena

月下獨酌
花間一壺酒 獨酌無相親
舉杯邀明月 對影成三人
月既不解飲 影徒隨我身
暫伴月將影 行樂須及春
我歌月徘徊 我舞影零亂
醒時同交歡 醉後各分散
永結無情遊 相期邈雲漢

Bevendo da solo con la Luna (prima traduzione)

Da una brocca di vino, in mezzo ai fiori,
solo, mi verso da bere, senza un amico accanto.
Levando la coppa, invito la pallida luna.
Ora siamo in due e, con la mia ombra, addirittura in tre.
La luna - è vero - non osa bere
L’ombra, poi, si limita a seguirmi macchinalmente.
Ma, almeno per un poco ho trovato dei compagni: la luna, l’ombra,
disposti a fare allegria, per arrivare alla primavera.
Mi metto a cantare, e la luna tenta in modo maldestro qualche passo di danza.
Mi metto a ballare, e l’ombra si agita scompostamente.
Finché sono stato lucido, direi che ci siam fatti buona compagnia.
Ma poi ho preso una bella sbronza, e ciascuno se n´è andato per conto suo.
Ormai legati per sempre, senza passioni,
ci diamo appuntamento, lontano, sul fiume delle nuvole.

Bevendo da solo con la Luna (seconda traduzione)

Dal boccale di vino tra i fiori,
Sol bevevo senza compagnia.
Alzando il bicchiere domandai la luminosa Luna,
Portami l’ombra mia e diventiamo un trio.
La Luna non comprende la mia bevuta,
L’ombra segue silenziosa la mia figura.
La Luna accompagna temporaneamente l’ombra,
Prendo l’occasione per gioire un po’.
Il chiaro di Luna fa una passeggiata quando canto,
L’ombra galleggia insieme quando danzo.
Apprezzando d’essere amici mentre son sveglio,
La compagnia termina quando divento ubriaco.
Facciamo durare quest’amicizia per sempre,
Ci rincontreremo nel vasto cielo.

Bevendo da solo con la Luna (terza traduzione)

Seduto lì tra i fiori, con la brocca di vino -,
festino solitario, privo di amici intimi -,
sollevo il mio boccale e invito il chiaro di luna.
Insieme all’ombra, poi, saremo in tre,
giacché la luna non si negherà al bere.
E mentre l’ombra seguirà il mio corpo,
intanto, al fianco suo, io scorterò la luna.
La via della gaiezza termina a primavera;
mentre la luna ondeggia, al mio canto, qua e là.
Ed ha un sussulto l’ombra, fremendo, alla mia danza.
Da sobri, noi viviamo di una gioia comune;
quando poi, nell’ebbrezza, ciascuno si disperde.
Noi tre, per sempre uniti, vagando senza affetti,
infine, in lontananza, saremo alla Via Lattea.

 

Un fatto al giorno

Il 31 maggio 455 d.C. Petronio Massimo viene assassinato. Massimo, Petronio (lat. Petronius Maximus), imperatore romano, nato nel 396 d.C. da nobile famiglia, giunse al trono attraverso la successione di due assassinii nel giro di un anno, quello del potente patricius e magister militum d'Occidente Flavio Ezio (454) e quello dell'imperatore Valentiniano III (16 marzo 455). Secondo lo storico Giovanni di Antiochia, Massimo non fu estraneo alla morte del generale Ezio, sebbene questi fosse ucciso da Valentiniano con le sue stesse mani. Giovanni racconta che Valentiniano vinse al gioco una somma che Massimo non aveva, e ottenne come pegno l'anello di questi, che utilizzò per convocare a corte la moglie di Massimo; la donna si recò a corte credendo di essere stata chiamata dal marito, in quanto un inserviente dell'imperatore le aveva mostrato l'anello di Massimo, ma si ritrovò a cena con Valentiniano, che la sedusse. Il potere di Petronio Massimo fu brevissimo. Fu assassinato il 31 maggio 455; gli storici raccontano che fu ucciso mentre cercava di fuggire, fatto a pezzi e i suoi resti gettati nel Tevere. La sua ascesa imperiale è la causa determinante del sacco di Roma dei vandali nel 455. Alla morte di Petronio Massimo il trono imperiale di occidente viene usurpato dal senatore romano Avito (impero di Avito) con l'appoggio dei visigoti.

Thomas Couture, La decadenza dei costumi, 1847

 

Una frase al giorno

“Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto, è un'opinione. Impossibile non è una regola, è una sfida. Impossibile non è uguale per tutti. Impossibile non è per sempre. Niente è impossibile”.

(Muhammad Alì già Cassius Clay)

 

Un brano al giorno

Li Xianglan, Tuberoses, June 16, 1944

 

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org