“L’amico del popolo”, 3 giugno 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

POLICARPO, UFFICIALE DI SCRITTURA (Italia, Francia, Spagna, 1959), regia di Mario Soldati. Sceneggiatura: Age, Furio Scarpelli. Fotografia: Giuseppe Rotunno. Montaggio: Mario Serandrei, Julio Peña. Musica: Angelo Francesco Lavagnino. Con: Renato Rascel, Carla Gravina, Peppino De Filippo, Luigi De Filippo, Renato Salvatori, Romolo Valli, Lidia Martora Maresca, Ernesto Calindri, Massimo Pianforini, Tony Soler, Trini Montero, José Isbert, Amedeo Nazzari, Vittorio De Sica, Mario Riva, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Memmo Carotenuto, Maurizio Arena, Tom Felleghy, Anita Durante, Checco Durante, Rodriguez Elias.

Policarpo De Tappetti è un modesto impiegato ministeriale della Roma del primo Novecento: è un impiegato diligente, ma il suo eccessivo zelo gli ha attirato l'antipatia del cavaliere Pancarano, suo capo ufficio. Un incontro casuale delle due famiglie al Pincio fa sì che Gegè, il figlio di Pancarano, s'innamori di Celeste, la giovane figlia di Policarpo. Di fronte alla corte che le fa Gegè, rivelatosi futile e superficiale, la ragazza si mostra alquanto perplessa; ma la famiglia, sedotta dal miraggio di un brillante matrimonio, tanto insiste che alla fine i due si fidanzano. Del tutto contrario al progettato matrimonio è il cavalier Pancarano, che, ritenendosi di nobile lignaggio, vorrebbe vedere Gegè sposato ad una signorina del gran mondo. Per distogliere il figlio dal proposito di sposare Celeste, il cavaliere avvicina Edelweiss, una cantante di varietà, che Gegè frequentava, e mediante il regalo di una certa somma ottiene che la domenica successiva Edelweiss si faccia vedere, da Gegè, sulla spiaggia di Ostia, in tutto il suo fascino. Succede quello che il cavaliere prevedeva: Gegè lascia Celeste per correre dietro alla sua antica fiamma. Celeste intanto ha conosciuto Mario, un meccanico, giovane serio ed onesto, del quale si è innamorata. Con l'aiuto di Mario la ragazza ha imparato a scrivere a macchina ed ora varrebbe trovare un posto di dattilografa. Policarpo si oppone al corteggiamento di Mario e all'idea che la figlia vada a lavorare: ma alla fine è costretto a cedere. Celeste si fidanza a Mario, mentre Policarpo, calligrafo diplomato ed acerrimo nemico della macchina da scrivere, deve, per ordine del Ministero, trasformarsi in dattilografo. Al cavalier Pancarano giunge intanto una sgradita notizia: Gegè ed Edelweiss, fuggiti insieme a Venezia, si sono sposati.

“Policarpo è, dopo I soliti ignoti, uno dei migliori e più interessanti film italiani prodotti nel 1958-59, in quanto rappresenta un nuovo tentativo di sfuggire alla catastrofica crisi in cui versa quel filone comico-idillico al quale tutto il nostro cinema si trova pesantemente legato, avendo formato su di esso e per esso buona parte dei suoi quadri, dai registi agli interpreti, agli sceneggiatori. Pur nella spiccata diversità degli ambienti, dell’epoca storica, dei personaggi, una sola è la reale protagonista del film di Monicelli come di quello di Soldati: l’Italia del tirare a campare, il paese dei poveracci che accettano come naturale qualsiasi espediente per giungere alla fine del mese, la patria delle false dignità professionali, della furberia accompagnata all’ingenuità”.

(Vittorio Spinazzola, Cinema Nuovo)

Policarpo, ufficiale di scrittura è un film che affronta sia la difficoltà del cambiamento che il problema delle condizioni economiche della piccola borghesia impiegatizia. Mentre negli Usa si giravano i primi film sulle resistenze all’introduzione del computer, da noi veniva ripresa una vecchia trama per riflettere sulla difficoltà della riconversione dalla scrittura a mano a quella a macchina agli inizi del secolo. Policarpo è anche alle prese con uno stipendio inadeguato ed i suoi sforzi per un aumento saranno coronati solo grazie alla vittoria della odiata macchina da scrivere, salvo poi ripiombare nei problemi a causa della svalutazione. Un film che, anche grazie alla partecipazione amichevole di molti attori del cinema italiano, rappresenta una specie di omaggio ma anche di addio al Mario Soldati regista. Bella fotografia di Rotunno ed una recitazione un po’ sopra le righe di Rascel. Nel complesso comunque uno dei pochi film italiani che affrontano il tema della innovazione tecnologica, prendendo spunto dal passato per parlare del futuro. Il film ha partecipato al festival di Cannes (1959), dove ha ricevuto il premio per la miglior commedia. E’ stato anche assegnato il "Nastro d'argento" per i migliori costumi a Piero Tosi e la targa d'oro David di Donatello a Renato Rascel”.

(Cisl Lombardia)

“Scrittore celebre, ma solo di recente riconsiderato tra i grandi italiani del dopoguerra; regista cinematografico; autore e conduttore televisivo; giornalista e appassionato di cibi e vini. Mario Soldati è stato una personalità presente e ingombrante della cultura italiana, e il suo presentarsi come un vecchio gentiluomo a suo agio con i media del Novecento non lo ha agevolato nella stima dei critici, anche se in vita gli ha sempre garantito il favore del pubblico. Alcuni suoi titoli oggi sono considerati classici del nostro Novecento, dal libro di viaggio America primo amore (1935) ai tre romanzi brevi di A cena col commendatore (1950) a Le lettere da Capri (1954).
Il suo cinema è per più versi inafferrabile. Anche perché ha poco in comune con la sua opera narrativa. Scrittore riconoscibilissimo, indagatore sottile e ironico di dilemmi morali ed erotici, segnato dall’educazione cattolica, Soldati regista si è invece reinventato continuamente, sul modello ideale del grande cinema americano. Dopo l’apprendistato negli anni Trenta come sceneggiatore di Camerini (sulle cui orme esordisce con Dora Nelson, una delle più belle commedie del periodo), Soldati conosce il successo con Piccolo mondo antico (1940), che lancia Alida Valli e rimane uno dei film più noti di quell’ondata di adattamenti letterati bollata come ‘calligrafismo’. Il successivo Malombra (1942) porterà questa poetica agli esiti forse più alti, e gran parte del suo cinema ruoterà sempre intorno a grandi personaggi femminili. Nel dopoguerra, mentre intorno trionfa il neorealismo, continua ad adattare classici di Fogazzaro o Balzac, ma filma anche un noir sorprendente su un fascista braccato dopo la Liberazione, Fuga in Francia (1948). Poi si dedica alle commedie e ai film di cappa e spada, per sorprendere nuovamente con il primo adattamento di un romanzo di Moravia, La provinciale (1953). E dopo aver immesso una vena visionaria in film di genere come La donna del fiume (1954, scritto insieme a Pasolini, Flaiano, Moravia, Bassani e altri) si congeda dal cinema con un’altra affettuosa ricostruzione d’epoca, Policarpo, ufficiale di scrittura (1959). Nel frattempo diventa uno dei pionieri dalle televisione, con due reportage celeberrimi (Viaggio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini, 1957-58, e Chi legge? 1960), per dedicarsi infine a tempo pieno alla scrittura. Ma a quel punto il cinema continuerà a ossessionare le sue pagine, in numerose novelle e in romanzi che dal sottobosco di Cinecittà sanno trarre intrighi irresistibili, come nel memorabile romanzo L’attore (1968). Soldati regista è un grande autore ‘all’americana’, che sembra prendere il cinema sottogamba e che va controtempo rispetto alle grandi correnti cinematografiche, ma che alla lezione di Hollywood aggiunge la continua tentazione verso uno sguardo svagato, che si lascia conquistare dalle attrici, dai caratteristi, dai luoghi.”

(Emiliano Morreale)

POLICARPO, UFFICIALE DI SCRITTURA (Italia, Francia, Spagna, 1959), regia di Mario Soldati

 

Una poesia al giorno

Cocotte, di Guido Gozzano

I.
Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto...

II.
«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»

Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d'un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.

Sempre ch'io viva rivedrò l'incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!

«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì... vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità...

«Una cocotte!...»
«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte... La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d'ovo e di gallina...

Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l'Isole Felici...
Co-co-tte... le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate...
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!

III.
Un giorno - giorni dopo - mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!»
«È vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise... E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.

IV.
Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent'anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso... Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?

Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l'ultimo amante disertò l'alcova...
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d'un bacio e d'un confetto,
dopo vent'anni, oggi ti ritrova

in sogno, e t'ama, in sogno, e dice: T'amo!
Da quel mattino dell'infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t'aspetta, o creatura!

Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t'agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!

Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state... Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent'anni or sono!

Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia...
Vieni! T'accoglierà l'anima sazia.
Fa ch'io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacerò; rifiorirà, nell'atto,
sulla tua bocca l'ultima tua grazia.

Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d'allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.

 

Un fatto al giorno

3 giugno 1140, al concilio di Sens, alla presenza del re Luigi VII, detto il Giovane, Pietro Abelardo viene fatto scomunicare da Bernardo di Chiaravalle (Fontaine-lès-Dijon, 1090 - Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153).

Pietro Abelardo, filosofo e teologo (Pallet, in Bretagna, 1079 - Monastero di Saint-Marcel-sur-Saône 1142). Considerato, con Anselmo d'Aosta, come uno degli iniziatori del "metodo scolastico", la sua opera teologica lo pone fra le figure più importanti nella storia della cultura del XII secolo. È anche noto per il suo sfortunato amore per Eloisa.
La produzione letteraria di Abelardo è assai vasta: scrittore di tempra, ottimo conoscitore degli antichi auctores, Abelardo è abile nell'uso così dei più raffinati accorgimenti stilistici e metrici come degli strumenti logico-dialettici. Non ci sono giunti, ma ebbero largo successo ai suoi tempi, e non furono probabilmente senza influsso sulla poesia latina dei goliardi e su quella volgare dei trovatori, i carmina amatoria che Abelardo ricorda d'aver composto per Eloisa. Ci son giunti invece sei planctus ritmici, interessanti sia per la tecnica, che mostra la tradizione sequenziale avviata a sboccare nei lais, sia per il contenuto, che sotto veste biblica richiama simbolicamente la tormentata vicenda biografica d'Abelardo. Nella stessa direzione l'Historia calamitatum e le lettere rivelano un nuovo mondo sentimentale, in cui i rapporti fra i sensi e la sfera dello spirito sono analizzati in termini che contribuiscono a definire lo sfondo psicologico e intellettuale sul quale matura la lirica trovadorica.
Sono poi da ricordare: il complesso degli scritti logici, dalle glosse a Porfirio e ad alcuni libri dell'Organon di Aristotele, alla grande e matura Dialectica (si elabora in queste opere una "filosofia del linguaggio" con un notevole interesse per il problema del valore dei "termini", anche in rapporto alle opposte tesi nominalistiche e realistico-platoniche, e in vista di una teoria del sermo e del carattere logico-astratto del concetto); gli scritti teologici ed esegetici: De unitate et trinitate divina e la Theologia più volte rielaborata; il commento all'Hexaëmeron e all'Epistola ad Romanos il Sic et non (raccolta di testi patristici che si presentano contraddittori: simili raccolte cominciavano a essere assai diffuse, ma l'importanza di questa abelardiana sta nella teoria, esposta nella prefazione, della possibilità di accordare i testi contraddittori attraverso un'analisi del significato dei termini nei diversi contesti) e lo Scito te ipsum (o Ethica, anteriore al 1138, in doppia redazione), che accentua originalmente, di fronte all'oggettività della legge morale, il momento dell'intenzione come fondamento della bontà o meno delle nostre azioni.
L'importanza dell'opera di Abelardo nella storia della cultura del XII secolo - al di là della positiva valutazione della cultura antica e dei frequenti rapporti posti tra temi della filosofia platonica e dottrine cristiane (aspetti questi che inseriscono Abelardo nella più vivace cultura del secolo, ma non sono a lui peculiari) - sta soprattutto nella sua opera teologica: questa si caratterizza per la forte impostazione "sistematica" che stacca la speculazione teologica dall'ordo temporum e dalla lectio historiae (cioè dalla meditazione della Bibbia e dal suo ordine temporale) per organizzarla attorno ad alcuni temi centrali (fides, cioè oggetto della fede, charitas, sacramentum); congiuntamente a questa sistematicità - e anche come suo strumento - si pone in primo piano, nel lavoro teologico di Abelardo, la ratio: questa non va tuttavia intesa come "ragione naturale" (quale cioè più tardi si verrà definendo in diversi contesti), ma come la ratio della tradizione agostiniana e anselmiana, sorretta dalla luce divina, cioè dal verbo che si è rivelato nella Bibbia. Giacché a fondamento dei dati rivelati - oggetto di fede - è quella stessa verità che fonda il lavoro razionale-filosofico: di qui la continuità tra fede e ragione, approfondimento questa di quella e preparazione alla piena contemplazione della verità nella visione beatifica (di qui anche la impossibilità di distinguere "filosofia" da "teologia", anche se proprio con Abelardo si viene a definire il termine theologia, da lui per la prima volta usato ad indicare una costruzione speculativa del dato rivelato). Da notare anche che questa ratio agostiniana si viene arricchendo, attraverso la lettura dell'Organon, di una problematica logico-dialettica, aperta anche a problemi di semantica e di logica del linguaggio (di qui l'interesse degli scritti logici di Abelardo): è questa la ratio capace di intervenire nelle contraddittorie auctoritates del Sic et non per trovarne la soluzione sul piano logico-semantico. Per l'originale impostazione del pensiero teologico (tentativo di sistematicità e uso della ragione logico-dialettica) Abelardo è considerato, con Anselmo d'Aosta, come uno degli iniziatori del "metodo scolastico".

(Enciclopedia Treccani)

 

Una frase al giorno

“È appunto l'opposizione che ringiovanisce. Se fossi rimasto senatore, avrei avuto una vita troppo comoda, sarei da un pezzo diventato di mente pigra ed inconseguente. Nulla è di danno all'intelletto quanto la mancanza di opposizione; solo da quando sono solo e non ho più giovani intorno a me, mi sento costretto a ringiovanire io stesso”.

(Benedetto Croce)

 

Un brano al giorno

Altissima Luce. Lauda tratta dal "Laudario di Cortona" [Lauda n° 7 - Cortona sec. XIII]. Esecuzione dal vivo del Coro Dulcis Memoria, diretto da Federico Raffaelli.

Laudario di Cortona

Altissima Luce

Altissima luce col grande splendore,
in voi, dolçe amore, agiam consolança.

Ave, regina, pulçell’amorosa,
stella marina ke non stai nascosa,
luce divina virtù gratïosa,
belleça formosa: di Dio se’ semblança!

Ave Maria di gratïa plena,
tu se’ la via c’a vita ci mena;
di tenebria traesti et di pena
la gente terrena k’era ‘n gran turbança.

Templo sacrato, ornato vasello
annuntïato da san Gabriello,
Cristo è incarnato nel tuo ventre bello,
fructo novello cum gran delectança.

Donna placente ke sì foste humana,
fonte surgente sovr’ogne fontana,
istìevi a mente la gente cristiana,
ke non sia vana la nostra sperança.

Verginitade a Dio prometteste,
umanitade co llui coniungeste,
cum puritade tu sì ‘l parturisti,
non cognoscendo carnal delectança.

Humilïasti la summa potença
Quando incillasti la tua sapïentia;
signorigiasti cum grande excellença
sì c’ài licença di far perdonança.

Fosti radice in cielo plantata,
madr’e nudrice a Dio disponsata;
imperadrice tu se’, deficata,
nostra advocata per tüa pietança.

Vergene pura cum tutta belleça,
sença misura è la tua grandeça,
nostra natura recasti a frankeça,
k’era a vileça per molta offesança.

Fresca rivera ornata di fiori,
tu se’ la spera di tutt’i colori:
guida la skiera di noi peccatori,
sì c’asavori de tua beninança.

De la dolçore ke 'n te è tanta
Lingua né core non pò dicer quanta.
Garço doctore di voi, donna, canta,
virgene sancta, cum tutt’honorança.

 

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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