“L’amico del popolo”, 1 luglio 2019

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno III. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LA NAISSANCE, LA VIE ET LA MORT DU CHRIST (Francia, 1906), regia di Alice Guy-Blaché. Fotografia: Anatole Thiberville. Scenografia: Victorin-Hippolyte Jasset, Henri Ménessier. Costumi: Victorin-Hippolyte Jasset. Seconda Unità di regia o assistente regia: Victorin-Hippolyte Jasset.

“Affresco in 25 quadri, ispirati alle illustrazioni di James Tissot, che recatosi in Palestina ne era tornato con 350 acquerelli. A. Mame ne pubblicò una selezione a Tour e Alice Guy vi si ispirò. Gli esterni sono girati nel bosco di Fontainbleu nel freddissimo inverno del 1905-06. Uno dei suoi primi film di grande respiro e spettacolarità”.

(In cinemadonne.it)

“È l'opera più ambiziosa e celebre della Guy. Fu la prima grande produzione realizzata dalla Gaumont, per la quale furono mobilitate 300 comparse, un fatto, questo, straordinario all'epoca.”

“Negli anni successivi produce una moltitudine di contenuti, da commedie leggere a film horror sui vampiri fino a film musicali, per finire con l’incredibile “La vie du Christ”, 1906, un’opera monumentale di mezz’ora, basata sulle illustrazioni del pittore James Tissot e realizzata col fondamentale supporto di Gustave Eiffel.”

(In www.culturarte.it)

Alice Guy-Blaché (Saint-Mandé, 1 luglio 1873 - New Jersey, 24 marzo 1968)

“Alice Guy è una pioniera. Prima donna cineasta e prima regista con La fata dei cavoli (1896), entrata come segretaria alla Gaumont nel 1894, nel volgere di pochissimi anni assume la "guida del servizio cinematografico". La Guy si occupa di tutto: regia, supervisione delle sceneggiature, distribuzione, arredamento e costumi. Frequenta inventori ed ingegneri come i fratelli Lumière o Léon Gaumont, Jean-Baptiste Marey e Georges Demenÿ, ma anche i personaggi di spicco della vita politica, culturale e sociale.
Tra il 1896 e il 1920, prima in Francia e poi negli Stati Uniti dove aprirà i suoi studi di registrazione, sono oltre 1.000 i film, da quelli che durano meno di un minuto ai lungometraggi, dalle esperienze di colorizzazione di pellicole in bianco e nero a quelle del cronofono e dei film sonori, che stanno a testimoniare l'interesse della Guy per tutti gli aspetti di un settore che sperimenta di continuo nuove invenzioni. Negli Stati Uniti, dove arriva nel 1907, la regista fonda le sue società: "La Solax", "Le Film Supply Co", fa costruire studi di registrazione, dirige una compagnia di attori: "La Solax Stock", assume le girls delle Ziegfeld Follies, i soldati dell'esercito americano come comparse, ricorre al primo piano, utilizza gli animali selvaggi, le esplosioni di imbarcazioni, inseguimenti di automobili, gira nella prigione di Sing Sing e realizza, in un solo mese, un lungo metraggio e dieci cortometraggi. La Guy si cimenterà in tutti i generi: comico, avventuroso, drammatico, western, fiabesco, fantastico, fantascientifico, opere filmate, polizieschi, documentari, film di guerra, e storici, corti e lunghi metraggi, pellicole in bianco e nero e a colori, film muti e sonori, trattando argomenti che spaziano dalla vita di Cristo a Edgar Allan Poe.”

(In www.musee-orsay.fr)

LA NAISSANCE, LA VIE ET LA MORT DU CHRIST (Francia, 1906), regia di Alice Guy-Blaché

“Figura autenticamente transnazionale, la pioniera Alice Guy fu all’avanguardia nei cambiamenti tecnologici, industriali e culturali che nel XX secolo definirono il cinema come una nuova forma di intrattenimento di massa. La sua lunga e straordinaria carriera va dal cinema delle attrazioni, dei film da un rullo, dei nickelodeon ai lungometraggi e allo sviluppo del cinema narrativo nella seconda metà degli anni Dieci. Alice Guy non fu solo la prima donna regista ma si occupò anche della scrittura, della produzione, della supervisione e della distribuzione. A oggi è l’unica donna ad aver fondato e gestito una casa di produzione cinematografica, la Solax, con sede prima a Flushing, N.Y., e poi a Fort Lee, New Jersey (dal 1910 al 1914).

Nel 1894, quando Léon Gaumont assunse la giovane Alice Guy come sua segretaria in una ditta di apparecchi fotografici, probabilmente nessuno dei due avrebbe mai immaginato che Alice sarebbe stata al suo fianco quando Léon decise di acquistare quella società e di fondare una propria attività. Alice Guy fu indispensabile al successo della Gaumont, dove non si limitò a lavorare come segretaria personale di Léon ma si occupò della gestione amministrativa, di scrivere le sceneggiature, supervisionare e dirigere gli attori nelle prime prove di scene parlate con il chronophone, un dispositivo di sincronizzazione che permetteva di collegare una macchina da presa a un fonografo (1902-1906). Per undici anni contribuì come direttrice di produzione a creare uno “stile” Gaumont istruendo vari colleghi maschi, tra i quali il celebre regista Louis Feuillade. Un’impresa straordinaria per una donna della sua epoca! Forse il coronamento dell’attività francese di Alice Guy fu dirigere una rappresentazione della Passione di Cristo, La Vie du Christ (Gaumont, 1906), film di precoce lunghezza e di cospicuo investimento che sfruttò una nuova direzione dell’industria nella quale il cinema finì per trovare la propria vocazione di forma d’arte caratterizzata da un concreto valore di mercato, con potenzialità commerciali e didattiche.

LA NAISSANCE, LA VIE ET LA MORT DU CHRIST (Francia, 1906), regia di Alice Guy-Blaché

A rendere ancor più emozionante la vita di Alice Guy contribuì, nel 1907, il suo trasferimento negli Stati Uniti, nuovo capitolo di una storia già avventurosa. Dal 1910 al 1914 la giovane sposa gestì la società di produzione Solax, della quale era comproprietaria insieme al marito Herbert Blaché. Formatasi professionalmente in Francia, Alice Guy si trovò a gestire la Solax durante il periodo di transizione del cinema che vide le attrazioni, le esibizioni e gli spettacoli del café-chantant europeo, dei nickelodeon americani e dei varietà integrarsi progressivamente con modalità narrative, mentre il cinema attingeva a varie forme artistiche dell’Ottocento come i romanzi, le opere teatrali, la pittura e la pantomima. Seguendo il modello francese, Alice Guy impiegò una compagnia stabile di attori, artigiani e tecnici e insegnò a una squadra diversificata di metteurs en scène a dirigere film di vario genere, spaziando dal western alla commedia, dal dramma al melodramma, fino ai gialli e ai polizieschi. Il particolarissimo tocco di Alice Guy era la sua singolare abilità nel combinare le situazioni comiche e nel presentare punti di vista spesso controversi e conservatori sulla sessualità e i ruoli di genere ma esprimendoli per mezzo del travestimento e del rovesciamento dei ruoli.

Nell’agosto del 1913, con la fondazione della Blaché Features, una società formata da Herbert Blaché e Alice Guy Blaché nel ruolo di “vice presidente”, la Solax fu gradualmente assorbita dalla nuova ditta e un anno dopo cessò la produzione. Se la liquidazione della Solax fu probabilmente dovuta a problemi di distribuzione derivanti dal trust della Motion Picture Patent Company che monopolizzava il mercato statunitense attraverso l’integrazione verticale e orizzontale, simili difficoltà continuarono ad affliggere i Blaché malgrado il tentativo di Herbert di fondare una propria casa di distribuzione. L’aumento dei costi e degli investimenti imposto dai lungometraggi aveva cambiato significativamente le regole della produzione cinematografica internazionale. Per assicurarsi la sopravvivenza economica, i Blaché si ritrovarono costretti a lavorare sotto contratto. Dal 1914 al 1919 Alice Guy diresse diversi film per altre compagnie, tra i quali si segnala in particolare The Lure (1914), un film perduto basato sull’omonima opera teatrale e incentrato sulla tematica controversa e intrigante della tratta delle bianche. Il passaggio alla regia sotto contratto offrì ad Alice Guy la possibilità di rimanere legata all’industria cinematografica che aveva contribuito a creare, ma la privò della libertà d’espressione e del controllo di cui aveva goduto dirigendo uno studio. La fine del matrimonio con Herbert e della loro lunga collaborazione professionale parve sancire ulteriormente il fatale distacco di Alice Guy dal cinema. Tarnished Reputations of a Soul Adrift (Perret Pictures, 1920), scritto dal connazionale Léonce Perret, fu il suo ultimo film.”

(Kim Tomadjoglou in www.cinetecadibologna.it)

Il cinema muto e il diritto d’autore.
Louis Le Prince è conosciuto come “il padre della cinematografia”; i fratelli Lumière come “i padri fondatori del cinema moderno”. Ma, visto che Alice Guy non era biologicamente adatta per essere padre, a lei non è stato riservato alcun appellativo così grandioso. Forse la descrizione più appropriata per lei sarebbe “la prima donna regista dimenticata”.

Alice Guy Blanchè è una regista francese, pioniera del cinema al femminile, anche nota come la prima donna regista e la prima al mondo ad aver utilizzato un soggetto per il grande schermo. Curiosa e attenta sperimentatrice, dotata di grande entusiasmo e di notevole eclettismo, la Guy si è cimentata in tutti i generi sperimentando numerose soluzioni narrative e tecniche. Tra i primi lavori diretti, La fée aux choux (1896), un’illustrazione animata - 20 metri di pellicola per la durata di 1 minuto e 30 secondi - raffigurante una donna che alleva bambini in un orto di cavoli. L’immaginazione e la sensibilità di questa pioniera del cinema si espressero con particolare efficacia nei racconti per l’infanzia quali La baptême de la poupée, Les petits peintres e soprattutto il commovente Les petits coupeurs de bois vert, tutti realizzati nel 1904.

La Guy iniziò quindi a realizzare progetti più ambiziosi tra i quali La Esmeralda (1905), un adattamento da Notre-Dame de Paris di V. Hugo, e il notevole La vie du Christ (1906), un soggetto religioso in 25 tableaux già portato sugli schermi dalla Pathé Frères, per il quale la G. ebbe a disposizione circa 300 comparse e in cui sperimentò l’uso della profondità di campo.
Dopo il matrimonio (1906) con l’operatore inglese Herbert Blaché (in seguito al quale iniziò a essere conosciuta anche come Alice Guy-Blaché), si trasferì negli Stati Uniti con il marito, chiamato a dirigere la sede newyorkese della compagnia Gaumont.

La Guy non e stata semplicemente la prima regista donna, ma anche la prima proprietaria di una produzione cinematografica. Dedicatasi per tre anni interamente alla famiglia, la Guy tornò al suo lavoro, decidendo di fondare una propria casa di produzione, la Solax Company, che fu registrata il 7 settembre 1910 e della quale divenne presidente. Con la Solax Studios, con sede a Flushing, Queens, la G. produce una media di due film a settimana, scrivendone e dirigendone almeno la metà. Per Guy la priorità non era la grande distribuzione ma sovvertire le sovrastrutture sociali e demonizzare i tabù, scrivendo e producendo film che trattavano delle convenzioni di genere e della struttura sociale per poi ridicolizzarle e distruggerle.

La Guy è stata una delle prime a vestire le donne da uomini per sottolineare i privilegi degli uomini rispetto alle donne. Al di là del crossdressing, la Guy ha analizzato i comportamenti imposti dal genere. Nel “Les résultats du Féminisme,” la Guy caratterizza i ruoli degli uomini e delle donne invertendoli. Il titolo del film si traduce nelle conseguenze del femminismo che, nell’interpretazione di Guy, ha significato un mondo in cui le donne si ritrovano in ruoli tradizionalmente maschili, mentre gli uomini si ribellano all’oppressione. Sei anni più tardi, nel suo film di fantascienza, “In the Year 2000”, immagina un mondo fantastico in cui le donne governano gli uomini.

Nell’ottobre del 1913 la Solax interruppe la produzione: la Guy continuò a realizzare film come indipendente fino al 1917 facendoli produrre prima dalla Blaché Features, Inc., e in seguito dalla U.S. Amusement Corporation, società fondate dal marito e delle quali fu vicepresidente. Molti di essi furono centrati su figure femminili (per es. The woman of mistery, 1914) e rivelarono anche l’interesse della Guy per le tematiche horror come The vampire (1915), prodotto dalla Popular Plays and Players, Inc. con cui la regista realizzò anche lavori basati su opere teatrali o romanzi.

Con l’affermarsi delle majors, la sopravvivenza degli indipendenti divenne impossibile: prima di ritirarsi definitivamente dalle scene la G. diresse i suoi ultimi due film The great adventure (1918) e Tarnished reputations (1920) per la Pathé Exchange. Nel 1922, dopo il divorzio, partì per la Francia, dove però non riuscì più a lavorare nel mondo cinematografico. Nel 1964 fece ritorno negli Stati Uniti, dopo aver vanamente tentato di far pubblicare la sue memorie.

In venticinque anni di carriera la G. realizzò più di duecento film, anche se quantificarli appare difficile dal momento che, a eccezione di un numero minimo, sono andati distrutti o risultano introvabili.”

Alice Guy-Blaché (Saint-Mandé, 1 luglio 1873 - New Jersey, 24 marzo 1968)

 

Una poesia al giorno

Pieśń, di Tadeusz Borowski

Nad nami - noc. W obliczu gwiazd
ogłuchłych od bitewnych krzyków,
jakiż zwycięzców przyszedł czas
i nas odpomni - niewolników?

Pustynię, step i morza twarz
mijamy depcząc, grzmi karabin,
zwycięzców krzyk, helotów marsz
i głodny tłum cyrkowych zabaw.

Wołanie, śpiew, pariasów wiara,
łopocze wiatrem wrogi znak,
krojony talar, łokieć, miara,
i chodzą ciągle szale wag.

Niepróżno stopa depcze kamień,
niepróżno tarcz dźwigamy, broń,
wznosimy czoło, mocne ramię
i okrwawiamy w boju dłoń.

Niepróżno z piersi ciecze krew,
pobladłe usta, skrzepłe twarze;
wołanie znów, pariasów śpiew
i kupiec towar będzie ważył.

Nad nami - noc. Goreją gwiazdy,
dławiący, trupi nieba fiolet.
Zostanie po nas złom żelazny
i głuchy, drwiący śmiech pokoleń.

Canto da Poesie di Tadeusz Borowski, tradotte da Paolo Statuti

Su di noi - la notte. Sul volto stellare
assordito dai bellicosi gridi,
quale futuro potrà mai ricordare
i vincitori e noi - gli asserviti?

Il deserto, la steppa e del mare il viso
calpestiamo, tuona una fucilata,
vanno gli iloti, dei vincitori il grido
e la turba di circensi affamata.

Un canto, la fede dei paria aggiogati,
il segno nemico scosso dal vento,
un metro, un braccio, talleri scheggiati,
e le bilance sempre in movimento.

Non invano il piede la pietra calpesta,
non invano gli scudi, l’armi leviamo,
il braccio gagliardo, la fronte ridesta
e nella lotta arrossiamo la mano.

Non invano il sangue il petto colora,
son sbiancate le labbra, i visi rappresi:
il canto dei paria echeggerà ancora
e di nuovo il mercante userà i suoi pesi.

Su di noi - la notte. Le stelle ardono,
soffoca il cielo mortalmente violaceo.
Vecchi rottami dopo noi resteranno
e dei posteri il sordo riso mordace.

Tadeusz Borowski, scrittore polacco (Żitomir 1922 - Varsavia 1951)

Tadeusz Borowski (12 novembre 1922 - 1 luglio 1951) è stato uno scrittore e giornalista polacco. Le sue poesie e storie di guerra che trattano le sue esperienze di prigioniero ad Auschwitz sono riconosciute come classiche della letteratura polacca.

Tadeusz Borowski, scrittore polacco (Żitomir 1922 - Varsavia 1951)“Tadeusz Borowski, scrittore polacco (Żitomir 1922 - Varsavia 1951), esordì con una raccolta di poesie (Gdziekolwiek ziemia "Dovunque la terra", 1942) nella Varsavia occupata dai nazisti. Membro della Resistenza, fu arrestato nel 1943 e deportato ad Auschwitz e Dachau. Dopo la guerra, soggiornò in Germania occidentale, pubblicando a Monaco un volume di racconti (Byliśmy w Oświeçimiu "Siamo stati ad Auschwitz", 1946), che raffiguravano, con crudo e sconvolgente realismo, la vita dei campi di sterminio. Seguivano, nel 1948, due altre raccolte, sempre legate ai temi della guerra e dell'occupazione: Pożegnanie z Marią ("Addio a Maria") e Kamienny świat ("Mondo di pietra"). Tornato in patria, in un'ispirazione diversa, nell'impegno della ricostruzione, si dedicò soprattutto alla saggistica (Opowiadania z ksiązek i gazet "Racconti da libri e giornali", 1949).”

(In www.treccani.it)

  • Ascoltare questa poesia: Roman Kołakowski - "Pieśń" (ł. Tadeusz Borowski) - Poezja Śpiewana

 

Un fatto al giorno

1 luglio 1766: François-Jean de la Barre, un giovane nobile francese, viene torturato, decapitato e poi il suo corpo bruciato su una pira insieme a una copia del Dictionnaire philosophique di Voltaire inchiodato al suo torso per il reato di non aver salutato una processione religiosa cattolica ad Abbeville, Francia.

Jean-François Lefebvre d'Ormesson, cavaliere de La Barre (Férolles-Attilly, 12 settembre 1746 - Parigi, 1º luglio 1766), è stato un aristocratico francese giustiziato nel 1766 per non essersi tolto il cappello al passaggio di una processione e per aver detto con amici frasi ritenute blasfeme.
Nacque nel 1746 in Francia da una famiglia aristocratica. Nel 1765 entra in contrasto con un certo Belleval, il quale si ripromette di toglierlo di mezzo. L'occasione gli si presenta il 9 agosto 1765, quando un crocifisso esposto pubblicamente su un ponte ad Abbeville viene vandalizzato e non si riesce a scoprire il colpevole. Il vescovo di Amiens minaccia di scomunica chi sappia qualcosa riguardo a quel fatto e non lo comunichi alla Corte Suprema di Parigi.
Belleval dice di non sapere niente a proposito del crocifisso vandalizzato, ma afferma di aver visto La Barre con due amici non togliersi il cappello durante la processione. Altre persone dicono di aver sentito La Barre bestemmiare con degli amici. Ancora altre voci identificano i due amici di La Barre che non si erano tolti il cappello durante la processione, ovvero Gaillard d'Etallonde, di 18 anni e Moisnel, di 15. Moisnel è assolto, ma d'Etallonde condannato alla tortura e al rogo a fuoco lento. Riuscì a scampare a questi supplizi con la fuga.
La Barre venne torturato per confessare, ma il tribunale non riesce a ottenere nulla. Nel 1766 è condannato a morte per blasfemia (ovvero non essersi tolto il cappello al passaggio di una processione e aver detto frasi blasfeme), in spregio alla legge del 1666 che prescriveva solo l'ammenda e la gogna alla sesta volta e a quella del 1682, che prescriveva la pena di morte solo se al sacrilegio era accompagnato l'abuso della credulità popolare. Gli atti del processo sono riesaminati a Parigi da un apposito consiglio di venticinque giureconsulti, che confermano la sentenza (15 voti contro 10 voti). Il cavaliere fu imprigionato. Il 1º luglio 1766 venne giustiziato, non ancora ventenne. Prima dell'esecuzione fu sottoposto nuovamente alla tortura: gli vennero spezzate le articolazioni delle gambe, ma venne risparmiato dall'ordine di perforargli la lingua.
Fu infine decapitato e il suo corpo bruciato su una pira (nel rogo, secondo quanto afferma Voltaire in una lettera a Cesare Beccaria, forse fu gettata anche una copia del Dizionario filosofico trovata negli alloggi del cavaliere). Voltaire scrisse, ispirandosi al caso Calas, della famiglia Sirvet e a quello del cavaliere, il Trattato sulla tolleranza. Dei primi due casi Voltaire riuscì ad ottenere giustizia e che fosse, se non altro, riabilitata la memoria di Calas, che era stato ingiustamente trucidato e che le famiglie potessero riavere le proprie posizioni. Il terzo, cioè il cavaliere de La Barre, sarà riabilitato solo dalla Consulta di Parigi, dopo la morte del filosofo.
Al cavaliere sono intitolati una strada e alcuni monumenti. Lo studioso autodidatta e militante ateo Luigi Cascioli ha dedicato alla memoria del cavaliere de La Barre il suo libro La favola di Cristo-Inconfutabile dimostrazione della non esistenza di Gesù.”

(In it.wikipedia.org)

LA GIUSTIZIA DEL RE

Sulla collina di Montmartre vi è una statua che raffigura un giovane gentiluomo del ‘700 e sotto il classico tricorno si riesce ad intravedere un volto coraggioso e nobile anche se il suo sguardo sembra perso nel vuoto.
Questo ragazzo di soli diciannove anni si chiamava François-Jean Lefebvre, Cavaliere de la Barre, e fu protagonista suo malgrado di un grave affare di cronaca che lo portò al patibolo. Egli fu l’ultimo condannato a morte per blasfemia nella terra di Francia.
Questa statua ha assunto lo stesso valore simbolico contro l’intolleranza religiosa di quella dedicata al nostro Giordano Bruno che si trova nella celebre piazza romana di Campo de’ Fiori ed ha avuto una vita travagliata.

Infatti venne eretta nel 1905 davanti alla Basilica del Sacro Cuore e spostata nel 1926 nella piazza vicina a causa delle proteste dei cattolici. Nel 1941 con la Repubblica di Vichy venne rimossa e quindi fusa. Nel 2001 infine una nuova versione di questa statua è stata rimessa a Montmartre. Una statua quindi con una storia travagliata come lo fu il caso che condusse alla tortura prima e poi alla decapitazione il giovane Cavaliere de la Barre. Un caso giudiziario che prefigura sotto molti aspetti l’affaire Dreyfus e che fu duramente contestato da Voltaire, Diderot e da tutti gli altri illuministi i quali metteranno in evidenza l’arbitrarietà della giustizia del XVIII secolo.

E’ necessario ricordare che nell’Ancien Régime la giustizia era un prolungamento della funzione reale e non era possibile contestarla o criticarla. Per diritto la procedura era segreta ed i giudici non dovevano motivare la loro sentenza. Oltretutto il codice di procedura penale non ammetteva il diritto alla difesa e non vi erano quindi avvocati che potevano difendere un accusato. La difesa che compie Voltaire come gli altri illuministi è quindi costretta a svilupparsi fuori dal processo vero e proprio. Voltaire interviene come “philosophe observateur” ed è a questo titolo che scatena la sua denuncia legittimando la sua azione. Ricordiamo che due anni prima questo grande filosofo era intervenuto nel caso “Jean Calas”, un ugonotto che venne giustiziato per un omicidio che non aveva commesso. In quel caso aveva ottenuto un nuovo giudizio e la riabilitazione della memoria del condannato ed il Parlamento di Tolosa aveva dovuto sconfessare la sua azione. Era per la Francia del XVIII secolo un avvenimento epocale. Oltretutto va sottolineato che la battaglia pubblica di Voltaire nel processo “Calas” rappresentava una vera innovazione sia nel campo giuridico che in quello politico, ed è quindi proprio nella sua veste di filosofo che Voltaire interviene di nuovo pubblicamente, ma questa volta però con scarsa fortuna, nel processo del Cavaliere de La Barre.

Tutto inizia il 9 agosto del 1765 quando venne trovato deturpato un crocefisso in legno che si trovava nel pont neuf di Abbeville, una piccola cittadina della Piccardia. Nelle cronache locali venne descritto il danno subito da questo crocefisso il quale era stato tagliato in vari punti “da uno strumento tagliente” che aveva provocato alla gamba destra “tre tagli di più di un pollice di lunghezza ciascuno e profondi quattro linee” e “due tagli accanto allo stomaco”.
Un danno come si può intuire in fondo molto minimo e che come verrà ricostruito in seguito fu provocato quasi sicuramente da un carro carico di tronchi di legno che aveva urtato questa statua. Il giudice constatato il fatto apre una inchiesta ed in questa cittadina l’emozione per questo atto “sacrilego” è profonda e ci si interroga su chi possa essere stato a commettere tale atto e per più di un anno non si parla d’altro. Il Vescovo d’Amiens, Louis-François d’Orleans de la Motte, compie una cerimonia di “riparazione” a piedi nudi in presenza di tutti i dignitari della regione dando così una importanza a questo episodio che certamente non meritava. A questo punto bisognava assolutamente trovare i colpevoli e li si individua in tre giovani gentiluomini: il Cavaliere de la Barre, Gaillard d’Etallonde e Moisnel. Gli accusati hanno una età compresa fra i 15 e i 21 anni ed appartengono alle migliori famiglie della città le quali occupavano le più importanti cariche istituzionali. Il Cavaliere de la Barre tra l’altro è imparentato con i Séguier ed i D’Ormesson, celebri famiglie di magistrati parigini. E sia gli accusati che gli accusatori sono tutti membri della nobiltà locale.

Voltaire ricostruisce questo folle caso giudiziario e ci basiamo proprio sulla sua inchiesta che lo costringerà poi ad una fuga dalla Francia. Il Cavaliere de la Barre per difendere la zia da “attenzioni” non richieste si è inimicato un sessantenne di nome Belleval, responsabile di un tribunale preposto per riscuotere le imposte. Ed è questo personaggio che fa notare lo scandaloso comportamento dei tre giovani gentiluomini.
Effettivamente questi tre giovani gentiluomini durante una processione non si erano inginocchiati, né si erano scoperti il capo. Ma queste sono le uniche cose che si possono rimproverare loro visto che sul danneggiamento del crocifisso non si era scoperto nulla, nessun testimone aveva visto l’atto o incontrato qualcuno che l’avesse visto. Ma nella camera da letto del Cavaliere de la Barre vengono trovati però libri “licenziosi”, impreziositi da incisioni ed una copia del “Dictionnaire philosophique” di Voltaire. Erano libri acquistati e venduti clandestinamente a causa del divieto reale di stamparli e di venderli. Viene quindi presentato un secondo capo di accusa questa volta per blasfemia formulato dallo stesso tribunale di Abbeville.

E sulla base di queste risibili accuse vengono arrestati i nostri tre gentiluomini a cui segue quella, con ironia del fato, proprio del figlio di Bellaval. Quest’ultimo e D’Ettalonde riescono a fuggire dalla Francia mentre il Cavaliere de la Barre e Moisnel vengono condannati a morte dal Tribunale di Abbeville. Viene chiesto anche l’arresto di Voltaire come istigatore con il suo “Dictionnaire philosophique” della profanazione del crocefisso. Questo costringe il grande illuminista a doversi rifugiare in Svizzera e poi a domandare asilo a Federico II, Re di Prussia.

Intanto de la Barre e Moisnel, che ha appena quindici anni, presentano appello al Parlamento di Parigi e nel marzo del 1766 vengono trasferiti alla Conciergerie di Parigi. Moisnel viene discolpato dal Cavaliere de la Barre ottenendo una pena minore mentre quest’ultimo viene condannato a morte. Nonostante la parentela influente che poteva vantare il nostro giovane Cavaliere non riuscirà comunque ad ottenere la grazia di Luigi XV.
Il reato contestato al nostro povero de la Barre era quello di blasfemia, un reato che era caduto in disuso e come ricorda Voltaire “non esiste in Francia una legge che condanna a morte per blasfemia”, infatti l’ordinanza del 1666 la puniva con una ammenda.

Ma nella Francia dell’Ancien Régime la nozione di blasfemia e di empietà non riguardava soltanto il terreno religioso, ma anche la costituzione politica del regno e dell’organizzazione sociale. Cioè la base della sovranità stessa: il concetto della monarchia come diritto divino. E’ la reciproca relazione che si davano tra di loro la Chiesa e la Monarchia e che costituiva il fondamento dello stato. La tradizione attribuiva poteri miracolosi ai sovrani francesi nel momento dell’incoronazione e delle grandi feste cristiane (Pasqua, Natale, ecc). Rimandiamo a questo proposito al celebre libro di Marc Bloch I Re taumaturghi dove il grande storico francese studia questa credenza. Infatti si riteneva che il Re avesse il potere di guarire malattie ed in particolare le scrofole. Era questa una tradizione che era stata incoraggiata e voluta dalla stessa Chiesa la quale non vedeva in questo carattere di santificazione della figura reale un carattere di usurpazione del clero, ma anzi un omaggio alla religione. Potere temporale e potere spirituale sono quindi la base di un Ancien Régime che però proprio sotto il regno di Luigi XV inizia a manifestare le prime crepe facendo intravedere l’alba della grande Rivoluzione, ricordiamo infatti che “Les chaînes de l’esclavage” di Marat è del 1774.

Voltaire quindi attaccando il concetto stesso di blasfemia aveva attaccato il cuore stesso del sistema politico francese. Era perciò un passo per la separazione tra la Chiesa e lo Stato, anche se è giusto sottolineare che in realtà il grande filosofo non attaccava la monarchia in quanto tale, ma il legame tra il prete ed il Re.
Il processo del giovane Cavaliere de la Barre si colloca nel mezzo di due editti reali: quello che bandisce i gesuiti dal Regno e la condanna contro l’Encyclopédie cioè contro l’Illuminismo.
Entrambi, gesuiti ed illuministi, pur nella loro diversità volevano rinnovare il principio della sovranità nell’esercizio e nel principio monarchico. Questa necessità del rinnovamento della formula monarchica sarà tra l’altro uno dei motivi di fondo che porteranno alla convocazione degli Stati Generali nel 1789.

Ma ritornando al processo, Moisnel venne discolpato dal Cavaliere de la Barre ottenendo una pena minore mentre quest’ultimo venne condannato a morte. Ricondotto ad Abbeville verrà decapitato il 1 luglio del 1766 dal boia Sanson lo stesso che tredici anni dopo taglierà la testa a Luigi XVI. Il suo cadavere verrà bruciato insieme ad una copia del Dictionnaire philosophique di Voltaire.
Le cronache del tempo ci hanno tramandato le sue ultime parole: “Je ne croyais pas qu’on pût faire mourir un jeune gentilhomme pour si peu de chose (Non credevo che un giovane gentiluomo potesse essere messo a morte per così poco)”.

(Stefano Santarelli in ilmarxismolibertario.wordpress.com)

 

Una frase al giorno

“Venezia era proprio la città dei miei sogni e la realtà superò tutte le mie fantasie a ogni ora della giornata, la mattina e la sera, nella calma del sereno e nei cupi riflessi dei temporali. Amavo questa città di per se stessa ed è la sola al mondo che io abbia amato in questo modo, perché una città mi ha sempre fatto l'effetto di una prigione che sopporto a causa dei miei compagni di cattività. A Venezia si potrebbe vivere a lungo anche da soli e posso capire come ai tempi del suo splendore e della sua libertà i suoi figli l'abbiano quasi personificata nel loro amore e l'abbiano amata non come una cosa ma come un essere.”

(George Sand, pseudonimo di Amantine o Amandine Aurore Lucile Dupin, Parigi, 1 luglio 1804 - Nohant-Vic, 8 giugno 1876, scrittrice e drammaturga francese)

 

Amandine Aurore Lucile Dupin, Parigi, 1 luglio 1804 - Nohant-Vic, 8 giugno 1876, scrittrice e drammaturga francese

La scrittrice francese Amandine-Lucie-Aurore Dupin, nata a Parigi il 1° luglio 1804, morta a Nohant il 7 giugno 1876, nacque da una grisette parigina e da Maurice Dupin, nipote del maresciallo Maurizio di Sassonia. Orfana precocemente di padre, crebbe nella sua terra di Nohant, presso la nonna, vecchia dama colta e spregiudicata, "très-dixhuitième". Sui quindici anni, in collegio a Parigi dalle Dame inglesi, ebbe una crisi di misticismo. Ma ritornò presto in campagna, dove, sotto la guida del vecchio precettore Deschartres, riprese i temi della già ribelle fanciullezza, con lunghe meditazioni solitarie, cavalcate in abito maschile, e sterminate letture.

George Sand, pseudonimo di Amantine o Amandine Aurore Lucile Dupin, Parigi, 1 luglio 1804 - Nohant-Vic, 8 giugno 1876, scrittrice e drammaturga franceseUna sua franca ed appassionata amicizia per il vicino Stéphane Ajassou de Grandsaigne sollevò le chiacchiere della piccola società provinciale e, nella fanciulla, una reazione di pessimismo. Nel 1821, in seguito alla morte della nonna, rimase erede universale, ma continuò a vivere con la madre, in perpetue liti. Sposò, diciottenne, per liberarsi, Casimir Dudevant, colonnello a riposo, figlio naturale del barone Dudevant. Matrimonio infelice, malgrado la nascita di due figli, Maurice e Solange, tanto che alla fine ella fuggiva a Parigi (1831). Quivi si stabiliva al Quartiere Latino, legandosi con Jules Sandeau e con altri scapestrati "hugolâtres", abbandonandosi con frenesia a una vita di disordini tipicamente studenteschi. Con Sandeau si mette a scrivere in collaborazione, firmando dapprima "J. Sand". Si separa da Sandeau, e arrivano presto i primi successi: Indiana, Valentine (1832) e Lélia (1833). La scrittrice nel frattempo aveva iniziato la serie assai turbolenta e turbinosa dei suoi amori, da P. Mérimée ad A. de Musset.

Il '33-34 è l'anno tristamente famoso del viaggio con de Musset a Venezia e dell'intrigo con il medico Pietro Pagello. Liberatasi a stento, passa a Michel de Bourges, sansimonista, che la spinge alla politica di sinistra, e le fa conoscere Guéroult e Lamennais. Separatasi anche da lui, viaggia in Svizzera con Liszt e M.me d'Agoult. A Parigi, all'Hôtel de France, in Rue Laffitte, tiene un eccentrico e brillante salone, fa amicizia con Heine, Mickievicz, Balzac; poi con Flaubert e i nuovi prosatori.

Cominciò in quel tempo la lunga relazione con Chopin, durata, con drammatici intervalli, quasi undici anni. Però già negli ultimi anni stava molto a Nohant, dedicandosi sempre più assiduamente alla sua abbondantissima e sempre felice produzione letteraria. Dopo che i due figli si sposarono, iniziava la quasi trentennale retraite in campagna, interrompendola solo per brevi gite a Parigi, dove partecipava ai "dîners chez Magny" di cui era tra i fondatori. Così "la bonne dame de Nohant", passò lunghi anni allevando le nipotine Aurore e Gabrielle, scrivendo e facendo beneficenza. Si occupava anche di storia naturale, botanica e mineralogia, dipingeva, ospitava talvolta Gautier, Flaubert, Dumas, i Goncourt. Lasciò centoquarantatré volumi di romanzi e novelle, ventiquattro commedie e quarantanove altri volumi di scritti varî.”

(Mario Bonfantini - Enciclopedia Italiana, 1936)

Amandine-Lucie-Aurore Dupin, nata a Parigi il 1° luglio 1804, morta a Nohant il 7 giugno 1876

Immagini:

Un film: George qui? (1973), regia di Michèle Rosie.

La tumultuosa vita di George Sand, scrittrice del XIX secolo. Con Anne Wiazemsky (Sand), Alain Libolt, Denis Gunsbourg, Geneviève Mnich, Jean-Gabriel Nordmann, Roger Planchon, Bulle Ogier, Yves Rénier (Musset), Pierre Kalinowski (Chopin), Jean-Pierre Kalfon, Jean-Michel Ribes (Pierre Leroux), Antoine Fontaine (Beaudelaire) e Gilles Deleuze.

 

Un brano musicale al giorno

Émile Jaques-Dalcroze, Concerto per violino N. 1 in Do minore, Op.50 (1901)

Mov.I: Allegro con ritmo 00:00
Mov.II: Largo 14:27
Mov.III: Finale quasi Fantasia (Allegro appassionato) 23:58

Violino: Rodion Zamuruev. Orchestra: Moscow Symphony Orchestra. Direttore: Alexander Anissimov.

"Émile Jaques-Dalcroze, pseudonimo di Emile Henri Jaques (Vienna, 6 luglio 1865 - Ginevra, 1º luglio 1950), è stato un pedagogo e compositore svizzero. La sua importanza risiede in particolare nello sviluppo dell'euritmica, un metodo per insegnare e percepire la musica attraverso il movimento. Nel 1899, ha sposato la cantante italiana Maria Anna Starace, attiva con il nome d'arte di Nina Faliero da cui ebbe un figlio, Gabriel, nel 1909."

(in it.wikipedia.org)

«Emile Jaques-Dalcroze (1865-1950) fu il creatore dell'omonimo metodo di educazione musicale globale tra i più noti al mondo. Frutto della sua grande esperienza di musicista e insegnante (nel 1892 docente di armonia e solfeggio al Conservatorio di Ginevra) nonché di uomo di ingegno e di intuito pedagogico musicale. Secondo Jaques Dalcroze l'educazione al RITMO e per mezzo del RITMO sviluppa, mediante la partecipazione del corpo, non solo la musicalità, le facoltà uditive e la presa di coscienza degli elementi basilari della musica: TEMPO-MISURA-RITMO-CANTO-INTERPRETAZIONE ESPRESSIVA, ma anche molte capacità motorie come per esempio la coordinazione tra gli arti, in particolare quella tra le braccia che risulta essere di grande aiuto nell'apprendimento del pianoforte.
Adotta dal greco la parola EURITMICA per definire il modo in cui si deve eseguire una melodia o un brano musicale, ossia non solo ritmo preciso ma anche BEN RAPPRESENTATO... VISSUTO... ESPRESSIVO.
Per ottenere ciò amplia il concetto di educazione musicale estendendolo e integrandolo con altre discipline artistiche riuscendo a creare un'interazione sinergica con la danza, la poesia, la coreografia e l'espressione corporea creativa al fine di rappresentare i suoni, le melodie e il ritmo ottenendo attraverso la stimolazione di mente, corpo ed espressività una partecipazione cosciente e coinvolgente al processo di comprensione ed interpretazione del linguaggio musicale in tutte le sue sfaccettature.

Danza Euritmica

Naturalmente tale processo può essere trasferito anche a livello strumentale, così da ottenere, come diceva lui, degli allievi musicali e musicisti anziché delle "macchinette" che nella migliore delle ipotesi eseguono i brani a tempo metronomico quindi ritmico ma non euritmico!
Sottolinea poi, l'importanza di far prendere coscienza della musica sperimentandola col corpo e in movimento: "VIVERE LA MUSICA", provarne gli effetti su se stessi, come per esempio: la consistenza muscolare che si prova nell'esprimere un "pianissimo" e poi un "fortissimo" o l'effetto di contrazione muscolare improvvisa con accentuazioni "sfasate a catena" provocati da uno sgambetto quando si cammina: la sincope.
Imparare a leggere le note, comprendere la differenza tra una nota veloce e una lenta, praticandola in movimento (camminando lentamente poi più rapidamente oppure saltellando per apprendere la sensazione della nota col punto e così via). Costruisce così uno straordinario codice corporeo per esprimere tutto ciò che si legge su uno spartito... emozioni incluse!
Le lezioni si svolgono in gruppo ed ogni allievo deve essere parte attiva, creativa e sinergica in quanto la crescita, la maturità individuale e le capacità ritmico - espressive orchestrali deriveranno da una buona integrità e percezione "dell'assieme".»

(In musica.istruzionepiemonte.it)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k