“L’amico del popolo”, 10 ottobre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LES ÉQUILIBRISTES (Gli equilibristi, Francia, 1991), scritto e diretto da Nikos Papatakis. Fotografia: William Lubtchansky. Montaggio: Delphine Desfons. Musiche: Bruno Coulais Con: Agnes Aubert, Jean Gilles Barbier, Yannick Becquelin, Philippe Cal, Lilah Dadi, Juliette Degenne, Serge Djen, Bernard Farcy, Laurent Hannequin, Luc Kienzel, Mathias Jung, Emmanuel Jourant Briquet, Doris Kunstmann, Jacques Labarriere, Guy Louret, Michel Novak, Olivier Pajot, Michel Palmer, Michel Piccoli, Pascal Ricuort, Nathalie Sevilla, Emiliano Suarez, Polly Walker, Patrick Mille.

Marcel Spadice, poeta e drammaturgo, cerca di sedurre un valletto di pista del circo che sogna di diventare un equilibrista. Per lo scrittore, il circo è sempre stato fonte d'ispirazione, così decide di diventare l'allenatore del valletto per poter penetrare in questo mondo per lui così magico.

“Presentato alla Mostra di Venezia, tratto da uno scritto di Genet. Marcel Spadice è uno scrittore e poeta che si innamora di un ragazzo che fa le pulizie sotto una tenda circense. Usando un'amica quale mediatrice, l'uomo avrà un rapporto d'amore e di lavoro col ragazzo, fino a spremerlo come un limone e poi gettarlo. Grande interpretazione di Michel Piccoli e discreta la regia”.

(Sky cinema)

“Lo scrittore Marcel Spadice, interpretato da Michel Piccoli, è l’ombra di Jean Genet. Nikos Papatakis dedica il suo ultimo film all’amico di una vita, e al suo canto d’amore eseguito con passo danzante. Il funambolo Franz-Ali, il giovane amato dal poeta, incarna un sentimento che sfida la pesantezza del mondo stando pericolosamente in bilico sul filo della diversità: quell’equilibrismo è la vertigine provata quando ci si muove sul sottile crinale che separa il lecito dal proibito. Il rapporto tra quell’uomo maturo, intellettuale famoso e di successo, e quel povero ragazzo che sbarca il lunario pulendo la pista di un circo, mentre vorrebbe diventare un’artista, è l’incontro tra un oscuro desiderio e un sogno luminoso. La loro storia è una favola nata dal letame: quello metaforico che, nella società, circonda l’immagine del pederasta, e quello inteso in senso letterale, che Franz-Ali raccoglie dal suolo con la scopa dopo le esibizioni degli animali. Del resto il ragazzo è figlio della melma: sua madre, dopo la morte in guerra del marito, per tanti anni si è guadagnata da vivere come lottatrice nel fango nel quartiere a luci rosse di Amburgo. A Parigi, dove abita, è malvista perché tedesca, e quindi assassina di ebrei, ma anche perché ha sposato uno sporco arabo, il padre algerino di Franz-Ali. L’emarginazione è il prodotto di un’umanità cieca e vorace, che è violenta col pensiero, e schiaccia al suolo ogni tentativo di sottrarsi alle vigenti definizioni del bene e del male. La vera volgarità è quella forza di gravità che impedisce di provare a volare: Franz-Ali cade, due volte, e finisce per spezzarsi le ali. Guardare solo se stesso, negli specchi che seguono i suoi volteggi sospesi nel vuoto, non basta a tacitare il cupo richiamo del suolo. Anche la passione più intensa si lascia distrarre dai casi della vita e dall’egoismo che ne deriva. Il tradimento è un errore fatale che sta eternamente in agguato. Solo l’innocenza più pura ne è immune, come quella di Franz-Ali, che resta per sempre fedele, nonostante la delusione e il dolore. Tutto il resto si lascia contaminare dal vizio e dalla tentazione del potere. In mezzo a quei macigni che frantumano la felicità, la leggerezza è un’utopia che sbatte duramente contro i propri limiti. Franz-Ali non ce la fa a sollevarsi sulle punte dei piedi. Si infortuna e non riesce a ritornare quello di prima. Si innamora e viene respinto. La realtà ha una naturale tendenza a precipitare, seguendo quello che, forse, è il risucchio della morte. L’altezza ne aumenta il micidiale effetto. E a nulla serve cercare di anticiparne le mosse, assecondandola con la sottomissione, con la volontaria umiliazione. Franz-Ali ci prova, ma perde lo stesso. Les équilibristes ci insegna che il gioco con l’aria non è meno pericoloso di quello col fuoco. E che là sotto, attaccate al terreno, si trovano tutte le atroci risposte finali”.

(La recensione su Les équilibristes di OGM su Filmtv.it)

“Non è un film di voga narcisistico gay, non c'è nemmeno una scena erotica e la passione che viene raccontata è del tutto cerebrale. E' un film sull'umiliazione che ne rivendica il sottile potere di corruzione con un mix di enfasi o freddezza a tratti lancinante”.

(Valerio Caprara, Il Mattino)

LES ÉQUILIBRISTES (Gli equilibristi, Francia, 1991), scritto e diretto da Nikos Papatakis

 

Una poesia al giorno

Pianto antico, di Giosuè Carducci

L'albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da' bei vermigli fior

Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l'inutil vita
Estremo unico fior,

Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.

  • Ascoltare: Pianto Antico, di Giosuè Carducci, recitata da Arnoldo Foà: www.youtube.com

 

Un fatto al giorno

10 ottobre 1957: un incendio nel reattore per la produzione del plutonio di Windscale, a nord di Liverpool, produce il rilascio di materiale radioattivo, che verrà in seguito ritenuto responsabile di 39 casi di morte per cancro.

Il 7 ottobre 1957 nel reattore nucleare Magnox senza contenimento di Windscale, dove si produceva plutonio per scopi militari, durante la ricottura del moderatore di neutroni di grafite si sviluppò un incendio in un canale che rapidamente si estese agli altri 150 dell'intero nocciolo del reattore nucleare a gas. L'incendio durante i quattro giorni di spegnimento con acqua generò una nube radioattiva imponente, anche perché l'aria di raffreddamento fu rilasciata direttamente in atmosfera, pari ad 1/10 della bomba atomica di Hiroshima. I principali materiali rilasciati furono gli isotopi radioattivi di xeno, iodio (25-43% di quello contenuto del nocciolo), cesio (17-8% di quello nel nocciolo) e polonio. La nube attraversò l'Europa del Nord. Sono stati ufficializzati soltanto 300 morti per cause ricondotte all'incidente (malattie, leucemie, tumori) ma il dato potrebbe essere sottostimato. La radioattività su Londra giunse fino a 20 volte oltre il valore naturale, e Londra dista da Windscale 500 km. Il consumo di latte venne vietato in un raggio di 50 km.
Livello dell'incidente su scala INES: 5 su 7.
Il peggior incidente nucleare britannico, l’incendio di Windscale (ora Sellafield) in Cumbria, ha liberato il doppio dei detriti nucleari di quanto precedentemente riferito.
Gli scienziati, studiando i modelli metereologici e la quantità di materiale radioattivo distribuito dopo l’incendio del 1957, hanno affermato che le precedenti valutazioni erano state sottostimate nel loro effetto mortale.

“Abbiamo dovuto raddoppiare le nostre stime rispetto all’ammontare di sostanze rilasciate” ha riferito l’ex ricercatore della UK Atomic Energy Authority John Garland.
Al termine di questa revisione, gli scienziati hanno detto che l’incendio - che ha sparso una nube di cesio, iodio e polonio sopra la Gran Bretagna e il nord Europa - può causare diverse dozzine di casi di cancro in più rispetto a quanto valutato in precedenza.
Inizialmente si pensava che il danno causato dal fuoco sarebbe stato limitato, e che soltanto un numero molto piccolo di casi di tumore avrebbero potuto essere innescati dalle sostanze radioattive rilasciate.
Nel 1990 esperti delle radiazioni, utilizzando nuove metodologie epidemiologiche, avevano calcolato che potevano presentarsi fino a 200 casi di cancro - alla tiroide, al seno, e anche leucemie - a causa delle emissioni prodotte dall’incendio.
Ora i ricercatori sostengono di dover aumentare ancora una volta la loro stima. “Potranno presentarsi diverse dozzine di casi di cancro in più, in aggiunta a quanto affermato in precedenza” ha detto l’epidemiologo Richard Wakeford, dell’Università di Manchester.
Tuttavia Wakeford ha detto che è impossibile determinare se un caso specifico di tumore è da collegarsi direttamente con l’incidente di Windscale, ora chiamata Sellafield. “Possiamo soltanto dire che la sproporzione nei casi di tumore è stata causata dall’incendio”.
L’incendio, avvenuto 50 anni fa, si è scatenato quando le barre di grafite utilizzate per controllare la reazione nucleare nel nucleo del reattore hanno preso fuoco. Il nucleo ardente è stato fuori controllo per due giorni interi. Ad un certo punto gli operai hanno usato delle mazze per colpire le barre di combustibile danneggiate, e altamente radioattive, e farle così uscire dal reattore prima di riuscire finalmente a spegnere il fuoco.
Dopo l’incendio, il governo mise un divieto di sei settimane per il consumo di latte di mucca che avevano i pascoli nel raggio di 200 chilometri da Windscale. Tuttavia, il vento e le correnti atmosferiche hanno portato la contaminazione nucleare fuori da questo confine, arrivando a coprire buona parte dell’Inghilterra e alcune zone del nord Europa.
Il reattore è stato lasciato in uno stato di intensa radioattività e ha lavorato indisturbato – troppo pericoloso da smantellare.
L’anniversario dell’incendio cade proprio mentre la consultazione pubblica per la costruzione di un nuovo reattore nucleare lanciata dal Governo britannico si avvia alla conclusione, e la scorsa settimana il punto è stato ampiamente rimarcato da ambientalisti e attivisti verdi. “Questo anniversario dovrebbe servire come monito per quello che può accadere quando un impianto nucleare va male”, ha detto Jean McSorley, di Greenpeace. “La costruzione degli impianti di Windscale era stata fatta in fretta e così pure i piani governativi per nuovi reattori in questo paese. L’energia nucleare non è la risposta ai cambiamenti climatici.”

Ma questa obiezione è stata rigettata dagli ingegneri nucleari. Hanno detto che l’incidente non ha risvolti sui futuri reattori che potrebbero essere costruiti in Gran Bretagna. L’impianto di Windscale - uno dei due impianti costruiti per generare il plutonio destinato al programma militare britannico - era raffreddato ad aria, non aveva adeguate strutture di contenimento e presentava un sistema di monitoraggio delle condizioni del nucleo decisamente insufficiente.
“Gli attuali reattori sono raffreddati ad acqua, adeguatamente isolati e ben monitorati”, sostiene Paul Howarth, del Dalton Nuclear Institute dell’Università di Manchester.
“Abbiamo una grande esperienza nella gestione di impianti nucleare in Gran Bretagna. Saremmo dei pazzi se utilizzassimo questa come ragione per non costruirne dei nuovi e migliori”.
Questo ultimo punto è stato sostenuto da Wakeford. “L’impianto di Windscale era dotato di equipaggiamenti primitivi. Non dobbiamo dimenticarlo.”

(The Observer, Robin McKie, 7 ottobre 2007)

 

Una frase al giorno

“Essere potenti è come essere una donna. Se hai bisogno di dimostrarlo vuol dire che non lo sei”.

(Margaret Hilda Thatcher nata Roberts, Baronessa Thatcher di Kesteven, 1925-2013, politico britannico)

 

Un brano al giorno

Musica della Grecia antica: www.youtube.com

Questa è l'unica composizione musicale che ci sia giunta intera dalla Grecia antica.
Sono quattro versi di cui do qui la traduzione:

"Finchè vivi risplendi
e non darti troppa pena
perchè la vita è breve
e il tempo giunge presto alla fine"

L'Epitaffio fu trovato in Turchia, scolpito su una stele funebre, e risale al secolo II dopo Cristo.
Viene eseguito qui con accompagnamento di Kithara a sette corde in legno di Abete, corde Nylon, plettro in osso.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k