“L’amico del popolo”, 11 agosto 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LA VIE RÊVÉE DES ANGES (La vita sognata degli angeli, Francia, 1998), regis di Érick Zonca. Fotografia: Agnès Godard, Montaggio: Yannick Kergoa. Con: Élodie Bouchez, Grégoire Colin, Jo Prestia, Patrick Mercado, Natacha Régnier, Francine Massenhave, Zivko Niklevski, Murielle Colvez, lyazid Ouelhadj, Frédérique Hazard, Louise Motte. Sceneggiatura: Erick Zonca, Roger Bohbot, Virginie Wagon. Presentato in concorso al 51° Festival di Cannes, è valso un premio alle sue protagoniste Élodie Bouchez e Natacha Régnier.

A Lille si incontrano casualmente Isa e Marie, due giovani ragazze con poche idee sul futuro. Isa cerca lavoretti che la aiutino a sbarcare il lunario, Marie lavora in una fabbrica ma è insoddisfatta. Hanno caratteri diversi ma decidono di unire le loro solitudini: Marie accoglie Isa nell'appartamento in cui vive, affidatole dai proprietari, una donna e sua figlia Sandrine di 15 anni, ricoverata in ospedale in coma dopo un incidente stradale. Una mattina Isa trova il diario di Sandrine e scopre un altro mondo, opposto al suo e a quello di Marie. Leparole scritte da Sandrine la toccano. Intanto Marie conosce Chriss, scapestrato e intraprendente figlio di famiglia ricca, il quale le fa una corte insistente. L'atteggiamento disinvolto e sprezzante che sfoggia, e la differente posizione sociale diventano per Marie una sfida da affrontare. Mentre Isa si reca in ospedale e, dopo la morte della madre, fa visite a Sandrine ancora in coma, Marie è soggiogata da Chriss, che la usa. Lei pensa di essere amata, si scaglia contro Isa che le dice il contrario e le due ragazze cominciano ad allontanarsi. Quando arriva l'avviso di sfratto, Isa lascia Marie, dicendole un'ultima volta che Chriss non la vuole più. Marie allora si uccide, gettandosi dalla finestra. Isa trova lavoro in una fabbrica.

"Sorpredente dramma social-esistenziale del debuttante Erick Zonca, autore anche di soggetto e sceneggiatura, che con taglio secco e divieto assoluto di lacrime, racconta la cruda storia di due creature infelici in una città puntualmente esclusa dalle strade del cinema. Molto brave le due giovanissime protagoniste, premiate a Cannes, in cerca d'affetto e con la speranza in fondo al cuore".

(Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 16 novembre 2001).

Una bruna inquieta, forte, con i capelli corti e con gli occhi che paiono sempre umidi di lacrime. Una bionda statuaria, attraente, furente e patetica. Elodie Bouchez e Natacha Régnier, francesi ventenni, premiate all'ultimo festival di Cannes come migliori interpreti femminili, sono la maggiore qualità del primo film diretto da Erick Zonca, quarantaduenne di Orléans, La vita sognata degli angeli. Titolo affettato, sciocco: secondo il regista intende significare che "le due ragazze vivono d'illusioni, sognano i loro rapporti con gli altri; io le vedo come personaggi vergini non ancora intaccati dalla vita, appunto angeli". E' interessante l'analisi, nella città di Lille, di due ragazze contemporanee simili a tante altre: provvisorie, vagabonde nel nuovo mondo del lavoro che offre loro soltanto incarichi momentanei e precarie fatiche senza senso, abitanti in case casuali (una coetanea è in coma all'ospedale, intanto le due vivono insieme nell'appartamento di lei), sempre in movimento coi loro zaini come emigranti in patria, senza progetti né certezze per l'avvenire in un presente squattrinato di panini, carte telefoniche, gabinetti nei bar, problemi da barbone adolescenti. Il film racconta le loro personalità differenti (una si lega alla padrona di casa in coma all'ospedale, l'altra si lascia ingannare da un seduttore scadente), la loro amicizia laconica e amara, la loro esistenza aleatoria vissuta con naturalezza senza rimpiangere altri modi di vivere mai conosciuti: a venire sconfitta sarà la più egocentrica, aggressiva e fragile delle due. Frédéric Strauss ha scritto sui "Cahiers du Cinéma" che il cinema francese va all'urgente ricerca d'un Ken Loach nazionale e che pensa d'averlo trovato in Zonca: ma nel suo primo film (scelto a rappresentare la Francia nelle candidature all'Oscar) il regista sembra interessato a raccontare le persone più che le condizioni sociali, e le due attrici rappresentano un elemento decisivo. L'esattezza, la schiettezza senza rispetti umani e la freschezza dello studio di caratteri, la mancanza di luoghi comuni, lo stile maturo e raffinato sono gli altri elementi d'una bella riuscita.

(Lietta Tornabuoni, La Stampa, 13/11/1998)

Isa e Marie sono due ragazze molto diverse fra loro. Isa è ottimista, socievole e propositiva; la realtà che la circonda è per lei fonte continua di stimoli e scoperte e la sua estroversione la porta a fare facilmente nuovi incontri. Marie è più taciturna e diffidente; a tratti rivela un’aggressività anche fisica verso le persone che possono infastidirla. La loro amicizia diventa quasi subito intima. La condivisione dell’appartamento le porta a confidarsi gioie e dolori, aspirazioni e visioni della vita. Quando Isa viene cacciata dalla fabbrica, anche Marie smette di andare al lavoro e si divertono a cucinare e girovagare per la città; quando la madre va a trovarla, Marie racconta all’amica le difficili condizioni familiari in cui si è trovata a vivere, e allora trapela la sua fragilità, la sua paura di lasciarsi andare.
Marie non ha un rapporto sereno col proprio corpo, non è in grado di accettare la vicinanza fisica e i gesti di tenerezza di chi le sta intorno se non a fatica. Non si abbandona all’affetto di Charly, di cui pure accetta i regali e i favori, e quando incontra Chriss, la prima reazione è spaccargli un fanalino dell’auto con un calcio.
Il rapporto di Marie con Chriss è fin dal principio ambiguo e tormentato e l’amore verso il giovane rampollo, prima intrigato e poi annoiato dalla nuova conquista, porterà progressivamente Marie a rompere il legame di confidenza e solidarietà costruito nel corso dei mesi con Isa. Una volta che l’abbandono di lui sarà definitivo ed evidente, Isa assisterà sempre più impotente al crollo e infine al suicidio dell’amica. Altro motivo di divisione fra le ragazze è l’interessamento sincero e accorato di Isa nei confronti di Sandrine, la ragazza cui appartiene l’appartamento, in coma in seguito a un incidente in cui sua madre ha perso la vita. Isa legge il suo diario e inizia ad andarla a trovare con regolarità. Prima di partire viene a sapere che Sandrine è uscita dal coma, la sua gioia è grande ma non andrà più a trovarla. Sandrine non faceva infatti parte della sua vita, non l’aveva mai conosciuta.
Preoccupazione costante delle due ragazze è l’avventurosa ricerca del lavoro. Spesso si tratta di occupazioni precarie e non qualificate, necessarie per sopravvivere e mettere da parte un po’ di denaro fino a una successiva partenza, a un’altra destinazione. Isa non disdegna nessun tipo di lavoro, neanche il più umile. Marie, invece, crede che la sua storia con Chriss possa risolverle ogni problema. Obbligate ad abbandonare la casa, arrivate alla rottura per reciproca insofferenza e separatesi, Marie si chiude nella sua rabbia silenziosa e disperata, Isa si ribella alla situazione. Rendendo le chiavi dell’abitazione, col sacco a pelo già in spalla, scrive un ultimo biglietto a Marie che dorme nell’altra stanza: “Ti auguro di avere la vita che vuoi, quella che sogni. Ogni giorno, ogni istante”. Marie va incontro a una morte senza perché, Isa a un altro lavoro sottopagato e a una nuova città”.

(Azzurra Camoglio, Aiace, Torino)

“Debuttante quarantaduenne, Erik Zonca, pulzello di Orléans che ha respirato l'aria di New York, ha titolato il suo primo film, come un pugno che abbia incorporata una carezza, La vita sognata degli angeli (La vie revée des anges) perché le due protagoniste sono ancora socialmente "vergini" e si immaginano il mondo come non sarà mai. Storie di ragazze qualunque che s'incontrano in una fabbrica tessile di Lille, senza tetto né legge per due, nella Francia di oggi. Le presentazioni: la vagabonda, altruista Isa e la infelice e più rabbiosa Marie andranno a vivere insieme nella casa abitata da un'adolescente ora in coma all'ospedale e al cui destino Isa si affeziona, sperando di risvegliarla alla vita. E poi amori, disamori, illusioni e delusioni quotidiane raccontate senza retorica, neppure nel tentativo sentimentale di Marie con un rampollo playboy. Non è un film di proclami, ma che va sottopelle, un puzzle in cui ciascuno aggiunge di suo e che induce a pensare. Zonca fa benissimo la radiografia, anzi la gastroscopia, di due umiliate e offese, ma anche di una generazione indifesa. Composto a frammenti, a mosaico, sulla contrapposizione caratteriale dei due personaggi - splendide, senza mai alzare la voce, le attrici, premiate insieme a Cannes, Elodie Bouchez e Natacha Régnier - il film è un vagabondaggio che ha un suo metodo, è girato con leggerezza, con una piccola troupe, in super 16mm, ma è provvisto di grande passione moral-cinematografica. Tanto da finire con un suicidio (troppo?) annunciato, eredità di Bresson il nome non è fatto a caso, affinché la gente non abbia dubbi. C'è qualcosa di profondamente ambiguo nei nostri rapporti, ed è qualcosa di impalpabile, ma che la cinepresa di una donna, Agnès Godart, riesce a riprendere, come un ectoplasma, piazzandolo come una mina nella nostra coscienza”.

(Maurizio Porro, Corriere della Sera, 7/11/1998)

LA VIE RÊVÉE DES ANGES (La vita sognata degli angeli, Francia, 1998), regis di Érick Zonca

 

Una poesia al giorno

Poesia, di Edith Södergran (Traduzione di Piero Pollesello. Dalla rivista “Poesia”, Anno X, Aprile 1997, n. 105, Crocetti Editore. Edith Irene Södergran, nata a San Pietroburgo il 4 aprile 1892 e morta a Raivola il 24 giugno 1923, è stata una poetessa finlandese di lingua svedese. Iniziatrice dell'espressionismo in Finlandia, ha influenzato la lirica in lingua svedese fra le due guerre mondiali. È considerata la fondatrice del modernismo finlandese).

Sono sola tra gli alberi al lago,
vivo in amicizia con i vecchi abeti a riva
e in segreta intesa con tutti i giovani sorbi.
Sola, sto distesa ad aspettare,
non ho visto passare nessuno.
Grandi fiori mi guardano dall’alto di
lunghi steli,
pungenti rampicanti mi strisciano sul grembo,
ho un solo nome per tutto, ed è amore.

Un fatto al giorno

11 agosto 1942: L'attrice Hedy Lamarr e il compositore George Antheil ricevono un brevetto per un sistema di comunicazione a spettro di diffusione a frequenza che più tardi divenne la base per le tecnologie moderne nei telefoni wireless e Wi-Fi.
Hedy Lamarr, nome d'arte di Hedwig Kiesler (Vienna, 9 novembre 1914 - Casselberry, 19 gennaio 2000), è stata un'attrice e inventrice austriaca naturalizzata statunitense. Dopo l'esordio nell'industria cinematografica austriaca, e preceduta dalla fama di scandalo del film cecoslovacco Exstase in cui, prima attrice protagonista nella storia del cinema, ha recitato una scena completamente nuda, si trasferisce a Hollywood per allontanarsi dal nazismo. Divenuta una delle dive del cinema americano, viene in genere relegata a ruoli di poca sostanza, trasformandosi in un'icona di bellezza esotica e straniera, europea e anche orientale. La sua carriera consiste di circa venticinque film girati in altrettanti anni; ha lavorato con i maggiori registi a fianco dei più celebrati attori del suo tempo, fra cui Spencer Tracy, Judy Garland, Clark Gable e James Stewart. Soltanto agli inizi del ventunesimo secolo si è conosciuto il ruolo di Hedy Lamarr, ex studentessa di ingegneria a Vienna, come inventrice; desiderosa di contribuire alla lotta contro il nazismo non solo partecipando alla vendita di obbligazioni del governo federale americano, come le altre star di Hollywood, sviluppò insieme al compositore musicale George Antheil un sistema di guida a distanza per siluri. Il brevetto consiste in un sistema di modulazione per la codifica di informazioni da trasmettere su frequenze radio, verso un'entità che li riceverà nello stesso ordine con il quale sono state trasmesse. Praticamente ignorato durante la Seconda Guerra Mondiale dalla Marina USA, è alla base della tecnologia di trasmissione segnale spread spectrum, usata nella telefonia e nelle reti wireless.

Su Hedy Lamarr:

Film con Hedy Lamarr: Algiers, 1938, con Charles Boyer, Hedy Lamarr, Sigrid Gurie.

Hedy Lamarr, nome d'arte di Hedwig Kiesler (Vienna, 9 novembre 1914 - Casselberry, 19 gennaio 2000)

 

Una frase al giorno

"Ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo. E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente".

(Luigi Pirandello, 1867-1936, drammaturgo, scrittore e poeta italiano)

 

Un brano al giorno

Jean Gabin in "Maintenant Je Sais", (1974).

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k