“L’amico del popolo”, 8 agosto 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

NOTRE MUSIQUE (La nostra musica, Francia, Svizzera, 2004), scritto, diretto e montato da Jean-Luc Godard. Fotografia: Jean-Christophe Beauvallet, Julien Hirsch. Con: Nade Dieu - Olga Brodsky, Rony Kramer - Ramos Garcia, Sarah Adler - Judith Lerner, Jean-Christophe Bouvet - C. Maillard, Simon Eine - Olivier Naville, Jean-Luc Godard - Jlc, Juan Goytisolo, Aline Schulmann - Traduttrice, Lana Baric, Pierre Bergounioux, Jean-Paul Curnier, Mahmoud Darwich.

Il film consiste di tre episodi, ispirato alla Divina Commedia di Dante:

  • Regno 1 - "Inferno". Immagini di guerre diverse senza ordine storico o cronologico.
  • Regno 2 - "Purgatorio". Conferenze e semplici conversazioni su temi vari durante gli 'Incontri europei del libro' nella città di Sarajevo.
  • Regno 3 - "Paradiso". Una giovane donna trova finalmente la pace su una piccola spiaggia controllata da Marines americani.

"Non c'è cinema più impuro e composito di quello di Jean-Luc Godard. Non c'è impresa più solitaria e insieme produttiva della sua. Il festival lo omaggia riproponendo ogni giorno prima dei titoli in concorso sequenze celebri dai suoi film anni 60, 'Bande a part', 'Fino all'ultimo respiro', 'Il disprezzo'. Però 'Notre musique' è confinato fuori gara, in sale minori, e questo nell'anno della grande apertura al documentario è un po' una vigliaccata. Perché Godard è il contrario esatto di Michael Moore. Meglio: il suo controcampo ideale. (...) Godard usa il cinema contro le armi, contro le idee usate come armi. Lavorando in una terra di confine, né finzione né documentario, con personaggi veri e altri creati di sana pianta. Mettendosi in scena in prima persona per parlare di Cinema e di Storia, e di ciò che li unisce: l'immaginario. Creando cortocircuiti fra mondi che sembrano lontani e non lo sono. Pitture sacre e foto di guerra. Profughi del Kosovo e una Fuga in Egitto. Pellerossa a cavallo sotto il ponte di Mostar in rovina, perché ogni guerra distrugge il legame fra passato e futuro, ogni ponte ricongiunge l'uno e l'altro. (...) Il risultato è un viaggio tra i fantasmi di oggi e di ieri. Dieci minuti per l'Inferno, solo immagini di guerra, di tutte le guerre, di ogni tempo, vere o ricreate dal cinema, in bianco e nero o a colori. Un'ora per il Purgatorio, la condizione più comune. Altri dieci minuti per il Paradiso, con molta ironia. Acque, boschi, ragazzi che cantano e giocano, un Adamo e un'Eva guardati a vista da un drappello di militari americani. E questa non è un'invenzione, è l'inno dei marines a parlare di Paradiso."

(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 19 maggio 2004)

NOTRE MUSIQUE non inizia: deflagra, supera i propri confini “naturali” (il cartello indicante il numero del visto ottenuto dal film) con immagini brillanti e insanguinate. Una voce infantile e un ossessivo martellato pianistico ci guidano attraverso un’orgia audiovisiva in cui frammenti eterogenei (archivio, reportage, film di guerra, western, fantascientifici) scorrono frenetici: gli uomini, accomunati solamente dalla violenza, rifiutano ogni tentativo di dialogo. Un vento barbarico (la prima frase che ascoltiamo è di Montesquieu, a proposito della caduta dell’Impero romano) sconvolge il Pianeta. Stragi di massa e masse di stragi, grappoli di rappresaglie (accompagnati da rivisitati riferimenti evangelici): la morte si configura come l’unico modo di esistenza (ancora) possibile. Lampi sublimi(nali), momenti di buio totale in cui l’occhio resta spalancato in attesa del peggio (e non viene mai smentito). Ma la follia sembra spegnersi per un istante. Una fotografia, una scritta: do you remember Sarajevo? I volti di tre giovani. Un dialogo è finalmente possibile?
 Sarajevo, gli Incontri Europei del Libro: persone di diverse nazionalità incrociano le loro esistenze. Spiccano JLG, invitato per una conferenza (credevo che lei facesse dei film, gli dice il suo interprete), e Olga, una giovane giornalista cosmopolita (Egitto, Francia, Stati Uniti) di origini ebraiche, ossessionata dal conflitto palestinese. Una biblioteca sventrata dalla guerra, un tempio di simboli viventi in cui i confini fra osservatori e osservati si fanno sempre più labili, in cui la voce degli oppressi risuona nella lingua dei vincitori: solo Euripide ha potuto cantare il destino dei vinti di Troia (e gli “Indiani” parlano in inglese). Legami spezzati (il ponte di Mostar), separazioni fatali (campo/controcampo, realtà/fantasia, vittime/boia), il sapere umano incenerito, tramutato in una polvere facile preda del vento. La guerra fra il testo e l’immagine: la disfatta dell’immagine, divorata dal testo. Ciononostante, il trionfo divino dell’icona: nessuna profondità, nessun movimento. L’immagine pura. Una lampada ondeggia nel buio. È il principio del cinema: andare alla luce e indirizzarla sulla nostra notte. La nostra musica. La fotografia (mobile o immobile, sospesa tra fiction e documentario) diviene un sogno fuori fuoco, una persona in frantumi. Il dialogo è un dolore privo di catarsi: come per Fedra, la confessione produce soltanto un più acuto senso di colpa. Siamo tutti colpevoli, di tutto. Una lacerazione (in)sanabile: per abbordare (il mondo del)l’altro, solo l’altro mondo. Olga è pronta.
 Una spiaggia sorvegliata da marine statunitensi. Un orizzonte rasserenato, un’oasi di verde e azzurro in cui regna il silenzio quasi assoluto: l’Eden ricostruito (dal cinema) a una distanza siderale (e incolmabile) dalla Terra. Il trionfo, la sconfitta.
 Conversazione non per, ma fra immagini sull’orlo di un(a messa in) abisso, diamante tagliente e perfetto, ragnatela audiovisiva e onnicomprensiva in cui la parola umana si perde fatalmente, NOTRE MUSIQUE è un vertice teorico e pratico (ammesso che un simile distinguo abbia senso, in questo caso) del cinema. La lucidità con cui il regista riflette sulla propria opera nel momento stesso in cui la crea non ha nulla di pedante o dimostrativo: gli indizi metalinguistici, le citazioni, le meticolose glosse debordano di passione, sono fiamme di pura luce su uno schermo nudo. Trasparente ed enigmatico, infinitamente stratificato, meravigliosamente semplice, il film di Godard è soprattutto assoluta gioia dei sensi: alle colonne d’Ercole del testo, l’irraggiungibile (d’abitudine) oceano delle immagini”.

(Stefano Selleri)

NOTRE MUSIQUE (La nostra musica, Francia, Svizzera, 2004), scritto, diretto e montato da Jean-Luc Godard

 

Una poesia al giorno

Preghiera alla Vergine”, Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso: Canto 33

“Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz' ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate.

Or questi, che da l'infima lacuna
de l'universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l'ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co' prieghi tuoi,
sì che 'l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!”

  • La Divina Commedia - Paradiso Canto XXXIII: La preghiera di san Bernardo alla Vergine: www.youtube.com
  • Gassman legge Dante - Paradiso, Canto XXXIII www.youtube.com

Un fatto al giorno

8 agosto 1786: il Monte Bianco viene scalato per la prima volta da Michel Gabriel Paccard e Jacques Balmat.
“La prima ascensione del Monte Bianco avvenne 231 anni fa, l’8 agosto 1786: i primi ad arrivare in cima furono il cercatore di cristalli Jaques Balmat e il medico Michel Gabriel Paccard, alle 18,23, e ci rimasero per poco meno di quaranta minuti, durante i quali effettuarono delle misurazioni scientifiche. Con i suoi 4810 metri il Monte Bianco è la montagna più alta delle Alpi e dell’Europa eccetto il Caucaso, La spedizione era stata organizzata dal famoso scienziato Horace-Bénédict de Saussure, che secondo certe ricostruzioni aveva perfino promesso una ricompensa a chi sarebbe salito per primo sul Monte Bianco. De Saussure era specializzato soprattutto nello studio dei ghiacciai, e per questo da anni studiava il massiccio del Monte Bianco, progettando di compiere delle misurazioni di persona.
Paccard si era laureato a Torino e aveva già tentato la salita nel 1783. Balmat invece era un esperto conoscitore delle montagne attorno a Chamonix, ed era dotato di grande prestanza fisica. Decisero di organizzare una spedizione insieme per convenienza, nonostante non andassero troppo d’accordo: l’idea di Paccard era di non percorrere la tradizionale via con la quale era stata tentata l’ascesa in precedenza, quella dei Grands Mullets, ma di deviare prima di raggiungere il Dôme du Goûter, passando per il Grand Plateau, sotto la parete nord del Monte Bianco. I due rischiarono di tornare indietro, anche perché la figlia di Balmat era malata e il cercatore di cristalli voleva tornare indietro (morì quel giorno stesso). Dopo aver raggiunto la vetta ed effettuato le misurazioni, Balmat e Paccard iniziarono la discesa: si fece buio in fretta, ma i due avevano scelto una notte di luna piena, e riuscirono a bivaccare...”

  • Articolo completo in: www.ilpost.it
  • Si può guardare online la salita al Monte Bianco per la via normale francese del Gouter (agosto 2015): www.youtube.com

8 agosto 1786: il Monte Bianco viene scalato per la prima volta da Michel Gabriel Paccard e Jacques Balmat

 

Una frase al giorno

“Come è brutta, Roma. Brutta di questa sua accecante bellezza, su cui risaltano i segni dello sfacelo come una voglia di barbabietola su un volto purissimo”.

(Vittorio Gassman, 1922-2000, attore, regista)

 

Un brano al giorno

Dalida: “Piccolo ragazzo

Little Man (Piccolo ragazzo) è uno dei brani più famosi del duo Sonny & Cher, inciso nel 1967, raggiunse la 21ª posizione nella Bilboard Hot 100. La cover in italiano è stata portata al successo da Milva nel 1967, raggiungendo la 15ª posizione della Hit Parade.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k