“L’amico del popolo”, 11 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

A WOMAN OF PARIS (La donna di Parigi, USA, 1923). Scritto, diretto e prodotto da Charlie Chaplin. Fotografia: Roland Totheroh. Montaggio: Monta Bell. Con: Edna Purviance (Marie St. Clair), Clarence Geldart (padre di Maria), Carl Miller (Jean Millet), Lydia Knott (madre di Jean), Charles K. French (padre di Jean), Adolphe Menjou (Pierre Revel), Betty Morrissey (Fifi), Malvina Polo (Paulette).

Marie aspetta Jean alla stazione, ma lui non può raggiungerla poiché suo padre è morto proprio in quelle ore. Così, credendosi abbandonata, Marie parte per Parigi dove diventa l'amante del ricco Pierre Ravel. Quando Jean la ritrova, Marie si vergogna della sua nuova vita e non accetta di tornare con lui. Jean, disperato, si uccide e Marie torna in provincia.

“(...) A Woman of Paris è soprattutto la risposta a tutti coloro che continuano a considerarlo legato esclusivamente alla figura comica di Charlot, a coloro che lo vedono solo come attore: niente di più polemico quindi che l'esclusione del personaggio Charlot e la scelta d'un ambiente e d'un modo narrativamente diversi come il «dramma borghese».
Primo carattere del film è la sua forma sobria e contenuta, che continua le scelte estetiche del periodo precedente, sia pure in assenza di quell'elemento unificante che era Charlot (Chaplin compare infatti nel film solo in un rapido gag con delle valigie). Chaplin rifiuta la consequenzialità logica dei gag nel momento in cui rifiuta Charlot; sceglie invece una costruzione narrativa dimessa, quasi convenzionale, priva di sviluppi enfatici. (...)
C'è in A Woman of Paris la continua volontà di spegnere il tono del racconto, di esprimersi più attraverso atmosfere che attraverso la drammaticità della recitazione come degli eventi. La felicità possibile dei protagonisti è semplicemente «rovinata da un gran numero di piccoli fatti», che «paiono essere nell'ordine delle cose (...). Una moltitudine di fatti ordinari, pazzamente fraintesi, chiacchiere d'ogni giorno, pregiudizi ammessi, piccole crudeltà, si accumulano e portano al tragico sbocco» (Pudovkin). La sobrietà della forma coincide così con la sobrietà fatta quasi di sottintesi del narrato. Chaplin non vuole qui, come in passato, mostrare cose straordinarie, ma rivela lo straordinario potere significante delle cose banali (equivalenti, per esempio, agli oggetti di One A. M.). Nel momento in cui si rifà (e dichiaratamente) ad un modello narrativo, quale il «dramma borghese», ne elude e ne appiattisce tutte le punte drammatiche, trasformandolo nel proprio rovescio e cioè smitizzandolo. (...)
Ma tra le pieghe della "rappresentazione", fedele, mimetica, tutta attenta ai dettagli e alle sfumature, l'impronta di Chaplin è continuamente riconoscibile, soprattutto nel risvolto ironico che ogni momento rivela: è lo sguardo freddo, distaccato, implacabile di chi esamina un qualsiasi reperto - lo sguardo che meglio d'ogni altro, al pari del distacco della massaggiatrice nella sequenza citata, esprime un profondo senso di vuoto nelle cose narrate. Esso è la traduzione metaforica dell'aggressività che Chaplin aveva sempre mostrato nella propria concezione del comico. Grazie a questa coerenza, che va oltre i fatti più epidermici dello stile, A Woman of Paris è tutto nel ritratto critico dell'altro, non più degradato internamente dalla presenza incongrua e aggressiva del disturbatore Charlot, ma velatamente aggredito dallo stesso farsi del linguaggio. Tutto il senso del film viene rimandato a ciò che la narratività tenta di nascondere trasformandolo in mito: il ritratto di questa idle class si sviluppa allora egualmente nei toni di quel moralismo radicale che sono tipici a tutto Chaplin e che rifiutano una precisa collocazione politica. Ciò è del resto chiaramente anticipato dalla didascalia posta in apertura al film: «Il genere umano non si divide in eroi e traditori, ma semplicemente in uomini e donne. Le loro passioni, buone o cattive, sono state date loro da Dio. Essi peccano soltanto per cecità: gli ignoranti condannano i loro errori, ma i saggi li compiangono».
È un moralismo feroce, non quello edulcorato e innocuo del cinema americano; dietro di esso l'ironia, per quanto sottile e controllata, scava il solco profondo d'una condanna che non è generica e nel cui obiettivo tanta parte dell'opinione pubblica americana si riconosce, con inevitabile fastidio. Tutto ciò porta all'insuccesso del film, la cui proiezione è addirittura proibita, per immoralità, in ben tredici degli Stati Uniti. Un'altra giustificazione di questo insuccesso e delle preclusioni che l'hanno determinato, una giustificazione che riaffiorerà a più riprese negli anni seguenti, è l'abbandono di Charlot. Non si perdona a Chaplin di liberarsi del suo mito, di voler essere diverso, ma, soprattutto, di non accontentarsi di far ridere. In un cinema dominato, come quello americano, dai clichés e dagli stereotipi, Chaplin occupa un posto scomodo. (...)”.

(Giorgio Cremonini, in Charlie Chaplin, Il Castoro Cinema)

A WOMAN OF PARIS (La donna di Parigi, USA, 1923). Scritto, diretto e prodotto da Charlie Chaplin

“Una delle più dolorose e crudeli storie della vita contemporanea” (Pudovkin). Marie Saint-Clair (Edna Purviance), che ama Jean (Carl Miller) non può fuggire con lui. Diventata la mantenuta di Revel (Adolphe Menjou), lo ritrova poi a Parigi, e riprende i rapporti con lui, ma l’opposizione di sua madre alle nozze lo porta al suicidio. Chaplin compare solo un momento come comparsa. Episodi celebri: il treno che arriva e che riparte e di cui non si vedono che le luci; le cucine del ristorante in cui il lavoro febbrile contrasta con l’ozio dei clienti; il colletto duro che, cadendo da un cassetto, rivela a Jean che Marie è una mantenuta; la scena con Revel che suona il sassofono; la collana di perle ch’ella getta dalla finestra e riprende poi a un vagabondo; le chiacchiere di un’amica con Marie che viene massaggiata da una donna dal viso indignato, severo, assente; il suicidio di Jean che cade, tragicamente grottesco, nella vasca d’una grande sala da ballo; il finale, con Marie tornata al villaggio ad occuparsi di opere benefiche, e Pierre che passa in automobile senza vederla.”

(Georges Sadoul)

L’11 gennaio 1958 muore Edna Purviance, attrice americana (nata nel 1895).

A WOMAN OF PARIS (La donna di Parigi, USA, 1923). Scritto, diretto e prodotto da Charlie Chaplin

 

Una poesia al giorno

La Scoperta, di Oswald de Andrade

Abbiamo proseguito il nostro cammino lungo questo mare
Fino all'ottava di Pasqua
Ci siamo imbattuti in uccelli
E abbiamo avvistato la terra
i selvaggi
Gli abbiamo mostrato una gallina
Hanno quasi avuto paura
E non volevano accostare la mano
E dopo l'hanno presa spaventati
primo tè
Dopo aver danzato
Diogo Dias
Ha fatto il salto reale
Le meninas da gare*
Erano tre o quattro ragazzine molto femminili e gentili
Con dei capelli molto neri lungo le spalle
E le loro vergogne cosi nobili e curate
Che noi che le abbiamo osservate molto bene
Non abbiamo avuto nessuna vergogna.

(*) de Andrade allude ironicamente alle prostitute che erano ferme alle stazioni

A Descoberta

Seguimos nosso caminho por este mar de longo
Até a oitava da Páscoa
Topamos aves
E houvemos vista de terra
os selvagens
Mostraram-lhes uma galinha
Quase haviam medo dela
E não queriam por a mão
E depois a tomaram como espantados
primeiro chá
Depois de dançarem
Diogo Dias
Fez o salto real
as meninas da gare
Eram três ou quatro moças bem moças e bem gentis
Com cabelos mui pretos pelas espáduas
E suas vergonhas tão altas e tão saradinhas
Que de nós as muito bem olharmos
Não tínhamos nenhuma vergonha.

José Oswald de Andrade Souza (San Paolo, 11 gennaio 1890 - San Paolo, 22 ottobre 1954)

José Oswald de Andrade Souza (San Paolo, 11 gennaio 1890 - San Paolo, 22 ottobre 1954) è stato un poeta brasiliano, uno dei fondatori del modernismo brasiliano.

José Oswald de Sousa Andrade nacque a San Paolo nel 1890. Fu poeta, romanziere, drammaturgo. Studiava diritto e nel 1912 fece richiesta per andare in Europa. A Parigi, prese confidenza con il Futurismo e lì conobbe Komia, madre del suo primo figlio. Quando tornò in Brasile, lavorò presso una rivista letteraria. Convisse con Maria Lourdes Olzani e conobbe Mario de Andrade. Con gli altri intellettuali organizzò nel 1922 la famosissima Semana de Arte Moderna che cambiò le sorti dell'arte in Brasile. Nel 1926, Oswald sposando Tarsilia Amaral, diede vita al matrimonio più importante dell'arte brasiliana. I due, infatti, 2 anni dopo fondarono il Movimento Antropofagico e la rivista Antropofagia. La principale proposta di questo movimento era che il Brasile divorasse la cultura straniera e favore della valorizzazione di quella brasiliana. Il 1929 fu un anno di crisi per il letterato: oltre alla crisi finanziaria, vi fu la crisi con Mario de Andrade e la separazione con Tarsilia de Amaral. Si innamorò successivamente di Patricia Galvao che gli trasmise le idee comuniste: Oswald prese parte attivamente al Partito Comunista Brasileiro. Dal matrimonio nacque il giornale o Homen do Povo che durò fino al 1945 quando l'autore ruppe con il partito comunista. Dal matrimonio con Patricia Galvao nacque anche Ruda, il suo secondo figlio. Dopo essersi separato da Patricia Galvao, si sposò con la poetessa Julieta Barbosa nel 1936. Nel 1944 si sposò con Antonieta D'Aikmin con la quale rimase fino alla morte che lo colse nel 1954.
Nessun altro scrittore brasiliano fu conosciuto così per il suo spirito ribelle e combattivo. Aveva una conoscenza sterminata e una grande voglia di apprendere che lo portò ad ampliare le proprie conoscenze in tutti i campi. L'opera letteraria di Oswald de Andrade rappresentò in maniera esemplare il Modernismo del primo periodo. La sua poesia è precursora del movimento che marcherà la cultura brasiliana degli anni '60 con il Concretismo. Le sue idee saranno riprese anche dal Tropicalismo.
In Pau-Brasil pone in pratica le proposte dell'omologo manifesto. Nella prima parte del libro, Historia do Brasil, Oswald recupera documenti della storia brasiliana dandole un vigore poetico sorprendente.
Nella seconda parte di Pau-brasil, Poemas da Colonizaçao, lo scrittore rivive alcuni momenti dell'epoca coloniale. Ciò che sorprende è il potere di sintesi dell'autore. Ci sono descrizioni del paesaggio brasiliano, di scene del quotidiano.
Il romanzo è caratterizzato da una tecnica di composizione rivoluzionaria, comparato ai romanzi tradizionali: sono 163 episodi numerati e intitolati che costituiscono capitoli, tutti molto influenzati dal linguaggio del cinema o, più precisamente, è come se i frammenti fossero disposti in un album fotografico. Ogni episodio narra, con ironia ed umore, un frammento di vita di Miramar.
La trama segue quest'ordine: Infanzia di Miramar, adolescenza e viaggio in Europa a bordo della nave Marta; ritorno al Brasile, motivato dalla morte della madre; Matrimonio con Celia, e una relazione parallela con l'attrice Rocambola; nascita della figlia; divorzio e morte di Celia; morte di Miramar.
Nel 1937 pubblicò O rei da vela, che focalizza la società brasiliana degli anni 30. Per il carattere poco convenzionale, fu portata in scena 20 anni dopo, essendo assorbita dal movimento Tropicalista”.

 

Un fatto al giorno

11 gennaio 1944: fucilazione di Galeazzo Ciano (politico italiano, ministro degli esteri italiano, nato nel 1903)
“La Repubblica sociale, appena nata, vive fra l'ebbrezza di un potere effimero e il presagio della morte. Mussolini è un fantasma, l'ombra dell'uomo che fu. Una sola forza sostiene i fedelissimi: la lotta ai traditori, la vendetta. Catalizzatore degli odi è Ciano. E Ciano deve morire.

Edda Mussolini e Galeazzo Ciano

La scarica fatale
La mattina dell'11 gennaio 1944 vento e morte si danno appuntamento a Verona. Galeazzo Ciano lascia il carcere degli Scalzi: la sua vita sta per coniugarsi all'imperfetto. Le colline attorno alla città sono bianche di neve, l'aria che si leva spazza via la cortina opaca delle nuvole e quel filo di nebbia che filtrava le immagini in dissolvenza. I capelli arruffati, l'impermeabile beige di Caraceni gonfio di un'insolente tramontana, Ciano va a morire. La vita che gli ha dato tutto sta per togliergli tutto. Poco dopo, al Poligono di Porta Catena, l'esecuzione: una scarica rabbiosa di fucileria, il colpo di grazia, il corpo disteso a braccia larghe come un crocefisso, il riscatto di una morte coraggiosa. Il "più bello del reame" muore meglio di come era vissuto.

Il “delfino” del Duce
Era stato il “delfino” di Mussolini, il secondo uomo più potente del fascismo, ministro degli Esteri, marito di Edda, grande seduttore, la stella mondana del regime, uno Scott Fitzgerald senza gin, tutto spalmato di snobismo, protagonista indiscusso di una corte da basso impero. Aveva fatto il portaborse di lusso del duce, poi, tardivamente, si era opposto ai nazisti, anche se a modo suo, con buone intenzioni e modesti risultati; si era esposto, aveva votato contro Mussolini al Gran Consiglio del 25 luglio 1943, si era messo contro la Germania e Hitler, che lo odiava di un tenace odio austrico, aveva giurato di saldargli il conto.

In carcere
Ospite-prigioniero dei tedeschi, Galeazzo è consegnato alla Repubblica sociale il 19 ottobre 1943. Incarcerato a Verona, è un uomo che vive a prestito. Il processo è una farsa, la condanna a morte un copione già scritto. Edda si batte per lui, gioca la carta dei Diari, ma tutto è inutile. Mussolini, che potrebbe salvargli la vita, non lo fa: non vuole (né può) contrastare Hitler e gli estremisti "neri". E l'11 gennaio 1944 l'ex ministro degli Esteri fascista viene fucilato dai fascisti. “Muoio senza odiare nessuno”, sono le sue ultime parole. Un anno dopo, nell'anticamera della fine, rievocando la morte del genero, Mussolini scaricherà il suo dolore represso: “Quel giorno - dirà - con Galeazzo sono morto anch'io”.

Il vino della Mosella
Battuto dalle agenzie di stampa, l'annuncio della fucilazione di Verona scavalca le frontiere e si ferma sulle scrivanie di ambasciatori, ministri e capi di governo alleati e nemici. Molti, fra i notabili della politica, avevano avuto il conte Ciano come gradito commensale alla loro tavola e ricordavano i capelli pettinati con cura, le unghie impeccabilmente tagliate, la predilezione per i vini della Mosella, il fazzoletto di seta profumato nel taschino e il vezzo di portare il bicchiere alle labbra rizzando il mignolo per poi forbirsele delicatamente con il pizzo del tovagliolo ripiegato: un tocco di classe di un uomo che aveva lasciato una scia profumata nei salotti e nelle alcove, per poi finire disteso come un sacco di stracci sull'erba ghiacciata, nell'odore pesante di un terrapieno di periferia”.

(In Il Sole 24 ORE, 11 gennaio 1944 / La fucilazione di Galeazzo Ciano)

Immagini:

 

Una frase al giorno

“A chi non ama, niuna cosa piace”.

(Pietro Bembo, Venezia, 20 maggio 1470 - Roma, 18 gennaio 1547. Fu un letterato, filologo, umanista, poeta ed ecclesiastico. Pietro Bembo ebbe un importante ruolo per quanto riguarda la questione della lingua. Regolò per primo in modo sicuro e coerente la lingua italiana fondandola sull'uso dei massimi scrittori toscani trecenteschi. Contribuì potentemente alla diffusione in Italia e all'estero del modello poetico petrarchista. Pietro Bembo nacque a Venezia nel 1470, figlio primogenito di uno dei più autorevoli senatori della Serenissima; era quindi destinato, secondo la tradizione, a intraprendere la carriera politica, ma presto la abbandonò per dedicarsi esclusivamente all'impegno letterario.

Pietro Bembo, Venezia, 20 maggio 1470 - Roma, 18 gennaio 1547

 

Un brano musicale al giorno

Domenico Cimarosa, La vergine del sole, Aria di Idalide - Agitata in tante pene
La vergine del sole, dramma serio in tre atti, prima rappresentazione nel 1788, Hermitage Theatre, San Pietroburgo.
Libretto: Ferdinando Moretti. Aria di Idalide: Agitata in tante pene
Idalide: Cecilia Bartoli, Clarinet: Corrado Giuffredi, Orchestra: I Barocchisti, Direttore: Diego Fasolis

Cecilia Bartoli

Agitata in tante pene, più riposo, oh Dio, non spero,
ed il Ciel con me severo mi condanna a palpitar.
Oggi a voi m'unisce il fato, che fatal momento é questo?
Sol m'affanna, oh padre amato, il doverti abbandonar.

Domenico Cimarosa (Aversa, 18 dicembre 1749 - Venezia, 11 gennaio 1801) è stato un compositore italiano, uno degli ultimi grandi rappresentanti della Scuola musicale napoletana. Fu una delle figure centrali dell'opera, in particolare di quella buffa, del tardo Settecento.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k