“L’amico del popolo”, 11 novembre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

ONE POTATO, TWO POTATO (La dura legge, USA, 1964) di Larry Peerce. Sceneggiatura: Orville H. Hampton e Raphael Hayes. Fotografia: Andrew Laszlo. Montaggio: Robert Fritch. Musiche: Gerald Fried. Con: Barbara Barrie, Bernie Hamilton, Harry Bellaver, Marti Mericka, Richard Mulligan. Il film fu presentato in concorso al 17º Festival di Cannes, dove Barbara Barrie vinse il premio per la miglior interpretazione femminile. La sceneggiatura fu candidata agli Oscar.

Separata dal marito, Julia giunge con la figlia Ellen in una cittadina di provincia dove stringe amicizia con un gruppo di colleghi di lavoro. Fra questi c'è Frank, un afroamericano che, dopo un garbato corteggiamento, chiede a Julia di sposarlo. La donna accetta nonostante le ostilità, palesi o nascoste, che subito nascono tra gli amici e gli stessi parenti di Frank. Dal matrimonio, nel complesso felice, nasce William. Improvvisamente, però, la serenità della famigliola viene turbata dal ritorno del primo marito di Julia. Costui, malgrado abbia per lungo tempo trascurato del tutto la famiglia, pretende ora che sua figlia Ellen venga tolta dall'ambiente in cui vive ed affidata alla propria custodia. Il giudice, nonostante comprenda la drammaticità della propria decisione, non potrà negare l'assenso ufficiale alla richiesta del padre.

É interessante come un film come questo non abbia avuto una storia in Italia pur essendo ancora oggi di grande attualità.

ONE POTATO, TWO POTATO (La dura legge, USA, 1964) di Larry Peerce

 

Una poesia al giorno

La morte (1858), di Paul Verlaine, dedicata a Victor Hugo.

Come un mietitore la cui falce cieca
abbatte il fiordaliso e insieme il duro cardo,
come piombo crudele che nella corsa brilla,
sibila e inesorabile fende l'aria a colpirvi;

così l'orrenda morte si mostra sopra un drago,
passando tra gli umani come un tuono,
rovesciando, folgorando ogni cosa che incontri
impugnando una falce tra le livide mani.

Ricco, vecchio, giovane, povero, al suo lugubre impero
tutti obbediscono; nel cuore dei mortali
il mostro affonda, ahimè!, unghie di vampiro!
e sui bambini infierisce come sui criminali:

aquila fiera e serena, quando dall'alto dei tuoi cieli
vedi planare sull'universo quell'avvoltoio nero
non insorge il disprezzo (più che collera, vero?),
o magnanimo genio, nel tuo cuore?

Ma, pur sdegnando la morte e i suoi allarmi,
Hugo, tu sai appenarti per i poveri vinti;
tu sai, quando bisogna, qualche lacrima spargere,
qualche lacrima d'amore per chi non vive più.

La mort

Telle qu'un moissonneur, dont l'aveugle faucille
Abat le frais bleuet, comme le dur chardon,
Telle qu'un plomb cruel qui, dans sa course, brille,
Siffle, et, fendant les airs, vous frappe sans pardon;

Telle l'affreuse mort sur un dragon se montre,
Passant comme un tonnerre au milieu des humains,
Renversant, foudroyant tout ce qu'elle rencontre
Et tenant une faulx dans ses livides mains.

Riche, vieux, jeune, pauvre, à son lugubre empire
Tout le monde obéit; dans le cœur des mortels
Le monstre plonge, hélas! ses ongles de vampire!
Il s'acharne aux enfants, tout comme aux criminels:

Aigle fier et serein, quand du haut de ton aire
Tu vois sur l'univers planer ce noir vautour,
Le mépris (n'est-ce pas, plutôt que la colère)
Magnanime génie, dans ton cœur, a son tour?

Mais, tout en dédaignant la mort et ses alarmes,
Hugo, tu t'apitoies sur les tristes vaincus;
Tu sais, quand il le faut, répandre quelques larmes,
Quelques larmes d'amour pour ceux qui ne sont plus.

Paul Verlaine

 

Un fatto al giorno

11 novembre 1961: eccidio di Kindu. A Kindu, nell'ex Congo belga sono trucidati 13 aviatori italiani facenti parte del contingente dell'ONU inviato a ristabilire l'ordine nel paese.

Dal sito del Ministero della Difesa: “Kindu - 11 Novembre 1961. Due velivoli da trasporto dell’Aeronautica Militare, due “Vagoni volanti” C-119 della 46^ Aerobrigata di Pisa assegnati al contingente delle Nazioni Unite in Congo atterrano all’aeroporto di Kindu, non lontano dal confine con il Katanga, la regione dalla quale è dilagata la sanguinosa guerra civile che minaccia la giovane repubblica africana, proclamata appena il 30 giugno 1960.
I due aeroplani trasportano rifornimenti per i “caschi blu” malesi della guarnigione di Kindu. E’ dall’estate 1960 che i velivoli italiani provvedono a circa il 70% delle esigenze di trasporto aereo del contingente ONU. Una missione come tante almeno fino a quando non si consuma la tragedia.
Terminate le operazioni scarico dei due C-119, i tredici uomini (due equipaggi completi più un ufficiale medico) escono dall’aeroporto per portarsi presso la vicina mensa della guarnigione ONU. I nostri aviatori non hanno armi al seguito; nulla, infatti, lascia presagire quanto sta per accadere e i rapporti con la popolazione sono sempre stati buoni. Stanno ancora pranzando quando vengono sorpresi da militari congolesi ammutinatisi. Nell’aggressione uno degli ufficiali, il medico, viene ucciso, gli altri sono trascinati nella prigione della città. Lì saranno brutalmente trucidati.
A rendere se possibile ancora più tragica la vicenda il ritardo con cui giunge la notizia dell’eccidio. Le informazioni dall’Africa giungono frammentarie. E’ il giornale radio delle 13.00 del 16 novembre a informare l’Italia su quanto avvenuto in Congo. La notizia fa il giro del mondo, mentre il Paese si stringe intorno alle famiglie dei 13 aviatori. Neanche ventiquattr’ore ore la 46^ Aerobrigata perde in Congo altri quattro uomini deceduti in seguito all’atterraggio di fortuna tentato da un C-119.
Tragedia nella tragedia non ci sono tracce dei corpi degli aviatori trucidati. Si teme che i ribelli e la folla ne abbiano fatto scempio o che siano stati gettati nel fiume, infestato di coccodrilli. A dispetto di questa convinzione, che prende sempre più corpo con il passare del tempo, si scoprirà solo in seguito che, subito dopo l’orrenda strage, i resti mortali dei 13 italiani sono stati sepolti in due fosse comuni grazie al gesto di pietà di un graduato della polizia congolese. Saranno riesumati solo quattro mesi più tardi. A identificarli saranno i loro stessi colleghi.
E’ l’11 marzo 1962 quando, in un clima di grande emozione, le salme dei caduti di Kindu arrivano a Pisa a bordo di un velivolo statunitense con la scorta d’onore di caccia dell’Aeronautica Militare. L’indomani viene celebrato il solenne rito funebre, alla presenza del Presidente della Repubblica Antonio Segni.
Le salme vengono tumulate presso il Sacrario dei caduti di Kindu, il tempio aeronautico costruito all’ingresso dell’aeroporto militare di Pisa grazie a una sottoscrizione pubblica lanciata all’indomani della notizia dell’eccidio. A ricordo del sacrificio dei due equipaggi viene anche eretta la stele che oggi sorge all’ingresso dell’aeroporto intercontinentale “Leonardo Da Vinci” di Fiumicino (Roma).
Per la 46^ Aerobrigata l’Operazione “Congo”, antesignana delle attuali missioni “fuori area” svolte dalle Forze Armate italiane, si conclude ufficialmente il 19 giugno 1962. Nonostante si tratti di un teatro operativo particolarmente complesso, visto che gli equipaggi sono costretti a volare per ore senza il supporto delle radioassistenze, con riferimenti geografici spesso approssimativi e senza adeguate informazioni meteorologiche, in Congo l’Aeronautica Militare effettua 2.177 sortite per un totale di 9.165 ore di volo, necessarie per trasportare 8.100 passeggeri e circa 4.700 tonnellate di materiale.
Per la prima delle sue “missioni di pace” nei cieli di tutto il mondo, la 46^ Aerobrigata paga, però, un prezzo altissimo. La perdita di tre velivoli e, soprattutto, di 21 uomini, tra cui i 13 martiri di Kindu, ai quali, nel 1994, è stata tributata la Medaglia d’Oro al Valor Militare (alla memoria). Questi i loro nomi.

A bordo del C-119 India 6002 (nominativo radio “Lyra 5”):

  • Maggiore pilota Amedeo Parmeggiani;
  • Sottotenente pilota Onorio De Luca;
  • Tenente medico Paolo Remotti;
  • Maresciallo motorista Nazzareno Quadrumani;
  • Sergente maggiore montatore Silvestro Possenti;
  • Sergente elettromeccanico Martano Marcacci;
  • Sergente marconista Francesco Paga.

A bordo del C-119 India 6049 (nominativo radio “Lyra 33”):

  • Capitano pilota Giorgio Gonelli;
  • Sottotenente pilota Giulio Garbati;
  • Maresciallo motorista Filippo Di Giovanni;
  • Sergente maggiore Nicola Stigliani;
  • Sergente maggiore Armando Fabi;
  • Sergente marconista Antonio Mamone.

La triste pagina di Kindu non impedisce, nel 2006, il ritorno dell'Aeronautica Militare in Congo, questa volta sotto l’egida dell’Unione Europea che per sei mesi vigila sul regolare svolgimento delle prime elezioni democratiche svolte nel Paese africano”.

Immagini:

 

Una frase al giorno

“L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”.

(Fyodor Dostoyevsky)

Fëdor Michajlovič Dostoevskij (Mosca, Russia, 11 novembre 1821 - San Pietroburgo, Russia 9 febbraio 1881), è stato uno scrittore e filosofo russo. È considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi. A lui è intitolato il cratere Dostoevskij sulla superficie di Mercurio.

(Wikipedia)

Fyodor Dostoyevsky

 

Un brano al giorno

Andrea Zani, Concerto per violoncello No. 8 in Do minore WD 798 - Allegro: www.youtube.com

Violoncello: Martin Rummel
Direttore: Michael Alexander Willens

“Andrea Teodoro Zani (Casalmaggiore, 11 novembre 1696 - Casalmaggiore, 28 settembre 1757) è stato un compositore e violinista italiano. L'opera di Zani mostra l'influenza di Antonio Vivaldi, ma è meno vasta. La sua opera 2, pubblicata nel 1729, è di grande importanza perché si tratta della prima fonte datata di sinfonie che non presenta nessun'ambiguità di genere (Wolf 2004). Le opere della sua maturità mostrano chiaramente un abbandono del barocco in favore del primo classicismo”.

(Wikipedia)

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k