“L’amico del popolo”, 9 novembre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

INTOLERANCE (USA 1916, colorato/bianco e nero, 210m a 16 fps); regia: David Wark Griffith; produzione: David Wark Griffith per Wark Producing Corporation; sceneggiatura: David Wark Griffith; fotografia: George William 'Billy' Bitzer, Karl Brown; montaggio: David Wark Griffith, James Smith, Rose Smith; scenografia: Walter L. Hall, Frank 'Huck' Wortman; coreografie: Ruth St. Denis; musica: Joseph Carl Breil, David Wark Griffith. The Woman Who Rocks the Cradle: Lillian Gish. The Fall of Babilonia: Costance Talmadge (la fanciulla dei monti), Elmer Clifton (il rapsodo), Alfred Paget (principe Belshazzar), Seena Owen (Attarea, la principessa adorata), Tully Marshall (il gran sacerdote), Douglas Fairbanks, Jewel Carmen, Mildred Harris, Carol Dempster, Pauline Starke, Oween Moore, Donald Crisp. The Passion of Christ: Howard Gaye (Gesù), George Walsh (lo sposo), Bessie Love (la sposa), Olga Grey (Maria Maddalena), Lillian Langdon (Maria), Erich von Stroheim (fariseo). The St. Bartholomew Night: Margery Wilson (Brown Eyes), Spottiswoode Aitkne (suo padre), Eugene Pallette (Prosper Latour), Josephine Crowell (Caterina de' Medici), Frank Bennett (Carlo IX). The Mother and the Law: Mae Marsh (the Dear One), Robert Harron (il giovane), Sam de Grasse (Jenkins), Miriam Cooper, Walter Long, Marguerite Marsh, Lloyd Ingraham (giudice), Tod Browning (proprietario della macchina da corsa), Edward Dillon, Monte Blue.

“Il film intreccia quattro episodi della Storia nell'intento di dimostrare le nefaste conseguenze dell'intolleranza. Tra un episodio e l'altro appare l'immagine di una giovane madre che dondola la culla del suo bambino. The Fall of Babilonia: respinto l'esercito persiano, Belshazzar e i babilonesi festeggiano il trionfo. Ma il tradimento dei sacerdoti di Baal consente a Ciro di espugnare la città sguarnita, nonostante la strenua resistenza di alcuni valorosi e della fanciulla dei monti. The Passion of Christ: tre momenti, ossia le Nozze di Cana, i farisei contro Gesù, Maddalena. The St. Bartholomew Night: nella Parigi del sedicesimo secolo, Brown Eyes si fidanza con Prosper Latour, mentre un editto della cattolica Caterina de' Medici ordina il massacro della popolazione di fede protestante. I soldati irrompono nelle case degli Ugonotti, anche i due giovani perdono la vita. The Mother and the Law: un industriale riduce i salari degli operai per finanziare un gruppo di suffragette e reprime duramente lo sciopero che ne consegue. In miseria, uno degli operai entra in contatto con la malavita. Accusato dell'uccisione del capo della banda, solo la confessione della vera colpevole e un 'salvataggio all'ultimo minuto' gli eviteranno il patibolo.

Tra i più ambiziosi progetti della storia del cinema, Intolerance, girato da David Wark Griffith grazie agli strepitosi incassi del discusso The Birth of a Nation e in risposta alle accuse di razzismo che quel film aveva suscitato, rispecchia la convinzione del regista che il cinema possa sostituirsi ai libri di storia. Dal racconto epico della storia americana, Griffith passa con Intolerance alla Storia dell'intera umanità, condensandola in quattro episodi che, al tempo stesso, rappresentano una sintesi dello sviluppo dell'istituzione cinematografica e dei suoi generi: il film storico italiano (alle cui scenografie il regista si ispira per l'episodio babilonese), il ciclo delle Passioni, il Film d'Art per l'episodio francese e il melodramma popolare per The Mother and the Law. Quest'ultimo era stato girato subito dopo The Birth of a Nation e circolerà in un'edizione separata dopo l'insuccesso di Intolerance (lo stesso avverrà anche per The Fall of Babilonia). Gli incassi del film, proiettato per la prima volta al Liberty Theater di New York il 5 settembre 1916, furono di gran lunga inferiori alle aspettative e lo stesso Griffith pagò le spese di un fallimento dovuto anche al clima tutt'altro che pacifista creatosi a seguito dell'entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917. L'ammontare dei costi (due milioni di dollari) e il numero delle sue voci erano inusitati per l'epoca: centomila metri di pellicola impressionata, cinque mila comparse, scenografie estese per chilometri, imponenti strutture di servizio, campagne pubblicitarie.

Le strategie che Griffith ha sviluppato negli anni della Biograph e nei lungometraggi precedenti, divenendo una figura chiave nel processo di transizione verso le forme di rappresentazione poi divenute consuete nel cinema hollywoodiano 'classico' (un processo che Noël Burch ha definito come passaggio dal Modo di Rappresentazione Primitivo al Modo di Rappresentazione Istituzionale), confluiscono in un'opera di grande complessità. La struttura narrativa, costruita sull'intersecarsi delle storie, trova nel montaggio parallelo il proprio principio di organizzazione, nelle didascalie e nei simboli una soluzione unificante a livello tematico. Anche i movimenti della macchina da presa contribuiscono a indirizzare le emozioni: le carrellate, che il regista ha ammirato in Cabiria di Giovanni Pastrone, il pallone aerostatico che usa per sorvolare le scenografie di Babilonia, i piani inclinati per le riprese in picchiata. Ma sono i ritmi crescenti del montaggio (parallelo e alternato) a guidare il film, fino alla parte finale in cui il passaggio da una storia all'altra avviene bruscamente (dai cavalli di Babilonia al treno in corsa agli inizi del 20° secolo). Avvalendosi di collaboratori come Allan Dwan, Erich von Stroheim, W.S. Van Dyke, Tod Browning, Victor Fleming e Jack Conway, attingendo a modelli letterari, pittorici e cinematografici di cultura alta e popolare, oltre che al metodo biografico di Ralph Waldo Emerson, Griffith ambisce a una 'immunità' che lo protegga dalle accuse di razzismo e a un'autenticità che gli consenta di riscrivere il passato.

Secondo il filosofo Gilles Deleuze, la 'scoperta' di Griffith è nell'aver concepito la composizione come una "grande unità organica", come un insieme di parti differenziate comprese in rapporti binari (uomini e donne, ricchi e poveri, Bene e Male), attraverso un montaggio che lavora col ritmo, i cambi di dimensione, l'alternarsi di azioni di opposizione o convergenti (come l'inseguimento e il salvataggio): una forma che coglie la temporalità ciclica di una Storia destinata a ripetersi. Se la visione del film influenzerà notevolmente i cineasti francesi e soprattutto i registi della scuola sovietica, è Sergej M. Ejzenštejn a rimanere maggiormente colpito dal tentativo di Intolerance di inglobare le civiltà e a mettere in luce il debito consapevole di Griffith nei confronti di Dickens - il suo raccontare per immagini, la sua capacità di esporre i particolari e di collegarli al tutto attraverso i meccanismi del montaggio, la caratterizzazione dei personaggi - ma anche i limiti della concezione griffithiana, quel dualismo che dispone ricchi e poveri su due linee parallele che corrono verso un'ipotetica riconciliazione, ignorando le cause della loro opposizione. Del film esistono più copie di diverse lunghezze (il negativo originale è andato perduto), alcune rimaneggiate dallo stesso Griffith negli anni successivi”.

(Giulia Fanara, Enciclopedia del Cinema (2004) Treccani)

INTOLERANCE (USA 1916, colorato/bianco e nero, 210m a 16 fps); regia: David Wark Griffith

Intolerance ha un soggetto apparente (che si manifesta nella metafora della intolleranza) e un soggetto reale (la rappresentazione della lotta per la vita). Racconta quattro storie “esemplari” di epoche abissalmente lontane fra loro: la caduta di Babilonia (gli intrighi del Gran Sacerdote e del Rapsodo ottengono che i persiani di Ciro attacchino in forze la città dove regna la gioia di vivere. L'attacco fallisce. Il principe Baldassarre indice grandi festeggiamenti, sguarnendo le difese e consentendo a Ciro di sferrare a tradimento un secondo assalto, che si concluderà con la strage); la Passione di Cristo (che si sofferma in particolare su tre episodi: le nozze di Cana, i farisei al Tempio, la Maddalena); la notte di San Bartolomeo (mentre Caterina decide lo sterminio degli Ugonotti, una ragazza giunge a Parigi e si fidanza con Prospero Latour. La vita scorre normale quando i soldati scendono per le strade e irrompono nelle case, massacrando gli inermi); la madre e la legge (una città americana, oggi. Per finanziare le opere di beneficenza della sorella, un industriale riduce il salario dei suoi operai, che proclamano lo sciopero. Intervengono le guardie private e uccidono a man salva. Un operaio costretto alla disoccupazione si incanaglisce nei bassifondi e va in galera. La moglie subisce l'aggressione delle suffragette finanziate dall'industriale che, con il pretesto di proteggerla, le sottraggono il bambino. Disperata, la donna si rivolge per aiuto al capo della gang di cui il marito faceva parte. Questi una sera s'introduce in camera sua per sedurla. In quel momento arriva il marito uscito dal carcere. Lo affronta. Un colpo di pistola stende l'intruso: ha sparato la sua amante, che di nascosto l'aveva seguito. Il marito è arrestato e condannato a morte. Presa dai rimorsi, la donna che ha ucciso confessa. L'uomo si avvia al patibolo. La moglie insegue il governatore per implorare la grazia, lo raggiunge sul treno su cui era in viaggio. Nell'istante in cui il boia stringe il cappio al collo del condannato, giunge la grazia).
Il film (14 rulli, 4500 metri) alterna le fasi dei quattro episodi, facendoli procedere insieme verso le rispettive soluzioni, in un crescendo vieppiù rapido. In principio, come inquadratura-cardine, appare una donna che dondola una culla, mentre un raggio di luce taglia diagonalmente la composizione: il simbolo della vita che testimonia “le stesse passioni umane, le stesse gioie, gli stessi dolori”, come recita una didascalia, citando Walt Whitman. L'inquadratura tornerà più volte, in funzione di esteriore (e superfluo) leit motiv.

Simbolismi a parte (ricorrono anche nei nomi “evocativi” dei personaggi: la Principessa Adorata, la Diletta Numero Uno, Occhi Neri, ed eludendo inconsapevolmente - ma sistematicamente - la metafora dell'intolleranza, il regista costruisce a poco a poco il suo vero tema ed espone, con il piglio autorevole di chi ha maturato a lungo una convinzione, la sua rude e disincantata concezione della vita: la lotta che oppone gli uomini gli uni agli altri non ha tregue, e gli uomini non si dividono in buoni e in cattivi (anche i “cattivi” meritano rispetto se affrontano con coraggio l'esistenza, nessuno merita una condanna senza appello: significativo e splendido, in questo senso, l'incontro di Gesù con la Maddalena), tutti sono vincolati al rapporto drammatico con il mondo e le contingenze sociali. Il film è immerso nel ritmo di una rappresentazione ampia, a volte concitata, priva di pause e (facendo astrazione dagli ingenui simbolismi) di errori. Il tono è severo, nella cornice delle grandi prospettive che alludono allo spazio del futuro dell'umanità, alla fiducia - religiosa - in un utopico ma realizzabile “paradiso”, non arcadico ma pienamente umano. Dentro questa struttura polifonica, nel dinamismo interno delle sequenze e delle inquadrature - i movimenti di gru e di carrello, le panoramiche, gli stacchi Il sui primi piani (memorabile il “gioco” degli spazi intorno e sopra la scalinata di Babilonia prende corpo l'ideologia del film: si sviluppa su cadenze epiche e culmina nelle azioni parallele che concludono la storia contemporanea. È l'ideologia dell'individualismo aggressivo e vitale della borghesia capitalistica, in un periodo di fervore, al momento della svolta espansiva che la guerra (in cui l'America stava per entrare) avrebbe provocato. Il film esce al Liberty Theatre di New York, il 5 settembre 1916. Dopo qualche settimana l'insuccesso è già una certezza. Intolerance non interessa, è giudicato troppo astruso, enfatico, meschino. Griffith aveva gettato nell'impresa quasi due milioni di dollari, quasi tutti suoi, per edificare scenari giganteschi, muovere migliaia di comparse, impressionare 100.000 metri di pellicola. Una piccola personale apocalisse. All'Apocalisse di Giovanni il regista aveva pensato scrivendo il primo episodio: “Cadde Babilonia la grande, essa che ha abbeverato tutte le genti del vino del furore della sua prostituzione” (14,8). Per lui, il furore di una dissennata ma generosa presunzione”.

(Fernaldo Di Giammatteo)

INTOLERANCE (USA 1916, colorato/bianco e nero, 210m a 16 fps); regia: David Wark Griffith

 

Una poesia al giorno

Una poesia di 'Abd al-Rahmân Jâmî (Jām, 1414 - Herat, 1492 poeta persiano. Traduzione di Iman Mansub Basiri e Carla De Bellis)

مانجا حا
د
به کنج نیستی عالم نهان بود
وجودي بود از نقش دوئی دور
زگفتگوي مائی و توئی دور
جمالیمطلق از قید مظاهر
به نور خویشتن بر خویش ظاهر
دلارا شاهدي در حجله غیب
مبرا دامنش از تهمت عیب
نه با آئینه رویش در میانه
نه زلفش را کشیده دست شانه
صبا از طره اش نگسسته تاري
ندیده چشمش از سرمه غباري
نگشته با گلش همسایه سنبل
نبسته سبزه اش پیرایۀ گل
رخش ساده زهر خطی و خالی
ندیده هیچ چشمی زو خیالی
نواي دلبري با خویش می ساخت
قمار عاشقی با خویش می باخت
ولی زان جا که حکم خوبروئی است
ز پرده خوبرودر تنگ خوئی است
نکو رو تاب مستوري ندارد
چ

In quella quiete altissima
dove non abitava traccia alcuna
dell’esistere e dove il mondo ancora
si nascondeva all’angolo del Nulla,
un Essere era: immune
dalle ferite del duale
ed eccelso sul dialogo diviso
del “noi” e del “tu”.
Somma bellezza ancora irrivelata
perché ancora libera dal vincolo
dell’atto che creando sé disvela,
chiara sé contemplava nel suo lume.
Specchio il suo volto non aveva ancora
né le sue trecce tocco di carezza.
Ancora Zefiro non le scioglieva
il nodo dei capelli e ancora
non le scuriva l’angolo degli occhi
nessun segno di polvere di kohl.
Nessun giacinto che aprisse i suoi petali
nei colori dei divini attributi
s’accostava a quella Rosa bellissima
che solo nel Nulla era assorta,
e nessun fiore ancora si adornava
del suo segreto e fervido rigoglio.
Non aveva il suo volto tratti visibili
né le ombre della visibile materia.
Nessun occhio mirava la sua immagine,
ed Ella andava musicando Amore
da sé e per sé stessa solamente.
Nel gioco d’azzardo dell’amore
sé stessa soltanto Ella sfidava.
Ma come sempre avviene a ogni bellezza,
la bella non vuol mai restar celata.
Quella che ha volto di fata nascondersi
non vuole, e se la sua porta le chiudi
è dalla sua finestra che s’affaccia.

 

Un fatto al giorno

9 novembre 1520:Il bagno di sangue di Stoccolma”, conosciuto anche come il massacro di Stoccolma (in svedese: Stockholms blodbad ed in danese: Det stockholmske blodbad), è uno dei fatti culminanti della occupazione danese della Svezia. Il massacro è il nome dato ad una serie di fatti accaduti tra il 7 ed il 10 novembre del 1520 da parte delle truppe danesi sotto il comando di Cristiano II. L'episodio culminante è datato 8 novembre quando circa 100 persone, per la maggior parte nobili e religiosi facenti parte della fazione di Sture, furono giustiziati sebbene il re danese ne avesse promesso l'amnistia. Con il massacro di Stoccolma e la conseguente insurrezione svedese prendono distanza le due nazioni danese e svedese mettendo fine alla partecipazione svedese all'unione di Kalmar”.

(Wikipedia)

“Nel 1520, dopo la conquista della città da parte di re Cristiano II di Danimarca, vi ebbe luogo il massacro dei fautori del reggente Sten Sture il Giovane, noto come bagno di sangue di Stoccolma; dopo le rivolte guidate da Gustavo Vasa, respinti i Danesi, dal 16° sec. Stoccolma può essere considerata la capitale della Svezia; la dinastia dei Vasa diede grande impulso al suo sviluppo. Nel 17° sec. l’alta aristocrazia latifondista, trasferitasi a Stoccolma, vi costruì grandi palazzi gentilizi; sotto la regina Cristina Stoccolma divenne uno dei grandi centri culturali d’Europa. A metà del 18° sec. la città contava circa 70.000 abitanti, poi la popolazione crebbe lentamente e solo in relazione allo sviluppo industriale di metà 19° sec. Stoccolma si trasformò in una grande città”.

(Treccani)

Immagini: Stockholms blodbad

Stockholms blodbad, rappresentazione teatrale del 2016

 

Una frase al giorno

“Ogni umiliazione inflitta al suo onore, alla sua indipendenza, alla sua unità provocherebbe non il crollo di una Nazione, ma il tramonto di una civiltà: se ne ricordino Coloro che sono oggi gli arbitri dei suoi destini”.

(Enrico De Nicola, 1877-1959, politico italiano, Capo provvisorio dello Stato, 1º Presidente della Repubblica Italiana).

 

Un brano al giorno

Johann Speth, Magnificat sexti toni

Johann (Johannes) Speth (9 novembre 1664 - dopo il 1719) è stato un organista tedesco e compositore. È nato a Speinshart, a circa 150 km da Norimberga, ma ha trascorso la maggior parte della sua vita ad Augsburg, dove ha lavorato come organista della cattedrale per due anni. La sua unica musica sopravvissuta è una collezione del 1693, Ars Magna Consoni et Dissoni, che include toccate, versi Magnificat e variazioni nello stile in uso nella Germania meridionale.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k