L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
PALERMO ODER WOLFSBURG (Palermo o Wolfsburg, Germania, 1980), regia di Werner Schroeter. Sceneggiatura: Werner Schroeter, Giuseppe Fava, Orazio Torrisi, Klaus Dethloff. Fotografia: Thomas Mauch. Montaggio: Werner Schroeter, Ursula West. Musica: Alban Berg. Cast: Nicola Zarbo, Otto Sander, Ida Di Benedetto.
Nicola, un giovane siciliano, decide di evadere dalla soffocante realtà politica e sociale della sua isola per trasferirsi a Wolfsburg, una cittadina della Germania. Non tarda a rendersi conto, però, che le sue illusioni sono destinate ad infrangersi contro un muro di diffidenza e spesso di ostilità. Tutto questo è ancora poco rispetto a quello che gli accadrà dopo aver incontrato Brigitte.
“Nicola, un siciliano diciottenne, emigra in Germania e va a lavorare come operaio alla Volkswagen. La sua storia è divisa in due parti, la prima in Sicilia viene fotografata con i colori del sole, la seconda con i grigi della Germania. Si racconta la durezza dell'emigrazione in un paese ostile, la difficoltà ad adattarsi a regole nuove, l'amore che a quell'età si trova facilmente ma anche la violenza in cui si può incappare”.
“Palermo o Wolfsburg (Palermo oder Wolfsburg) è un film tedesco del 1980 diretto da Werner Schroeter. Narra la storia di un immigrato siciliano che va in Germania per trovare lavoro. Il film vinse l'Orso d'oro al Festival di Berlino del 1980. Il soggetto fu tratto dal romanzo di Giuseppe Fava, Passione di Michele”.
(Wikipedia)
- Il film: Palermo oppure Wolfsburg - Film completo
12 aprile 2010 muore Werner Schroeter, regista e sceneggiatore tedesco (nato nel 1945)
Una poesia al giorno
La libertà, di Pietro Metastasio, pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (Roma, 3 gennaio 1698 - Vienna, 12 aprile 1782)
Grazie agl'inganni tuoi,
al fin respiro, o Nice,
al fin d'un infelice
ebber gli dei pietà:
sento da' lacci suoi,
sento che l'alma è sciolta;
non sogno questa volta,
non sogno libertà.
Mancò l'antico ardore,
e son tranquillo a segno,
che in me non trova sdegno
per mascherarsi amor.
Non cangio più colore
quando il tuo nome ascolto;
quando ti miro in volto
più non mi batte il cor.
Sogno, ma te non miro
sempre ne' sogni miei;
mi desto, e tu non sei
il primo mio pensier.
Lungi da te m'aggiro
senza bramarti mai;
son teco, e non mi fai
né pena, né piacer.
Di tua beltà ragiono,
né intenerir mi sento;
i torti miei rammento,
e non mi so sdegnar.
Confuso più non sono
quando mi vieni appresso;
col mio rivale istesso
posso di te parlar.
Volgimi il guardo altero,
parlami in volto umano;
il tuo disprezzo è vano,
è vano il tuo favor;
che più l'usato impero
quei labbri in me non hanno;
quegli occhi più non sanno
la via di questo cor.
Pietro Metastasio è stato un poeta, librettista, drammaturgo e presbitero italiano. È considerato il riformatore del melodramma italiano.
“Uomo di grande onestà, natura non certo eroica, ma più dignitosa di quanto faccia credere la tradizione (dando troppa importanza a un noto aneddoto alfieriano), temperamento idillico e alquanto malinconico, scarso di volontà, amante del quieto vivere ma non egoista, generoso con i suoi familiari e con gli amici, refrattario all'odio e all'invidia, il M. attuò in sé un equilibrio morale, che non dava baleni di luce sovrana, ma escludeva d'altra parte le ombre violente. Di abitudini assai metodiche, regolò sapientemente le sue occupazioni, anche lo studio e la poesia stessa che, malgrado l'apparenza, non fu in lui facile improvvisazione, ma frutto di meditato e spesso faticoso lavoro.
(...)
Ai melodrammi metastasiani preludono alcune delle sue cantate, che sono idillî graziosi, composti di un recitativo in endecasillabi e settenarî e di strofette finali: hanno insomma lo schema, abbreviato, del melodramma. Anche i primi epitalamî e idillî mitologici (Teti e Peleo, Il ratto d'Europa, Il Convito degli Dei) e le prime azioni teatrali rappresentate nel 1721 e 1722 con musica del Sarro e del Porpora (Galatea, Endimione, Gli Orti Esperidi, Angelica), intonate a molle dolcezza e drammaticamente agili, preparano il melodramma.
Con la Didone l'arte del M. si rivela ormai adulta e personale, e la protagonista vi appare una figura viva e vera, non perché assomigli al modello virgiliano, ma perché ritrae la donna settecentesca, mobile e incoerente, ma candidamente fedele al mondo che l'ha prodotta. Dalla Didone in poi il melodramma del M. segue un'evoluzione, in cui la critica ha ravvisato tre maniere, corrispondenti ai tre periodi (ascendente, culminante, discendente) distinti dal Carducci nella vita artistica del poeta. Oltre alla Didone appartengono alla prima maniera (1723-30) il Siroe, il Catone in Utica, l'Ezio, la Semiramide riconosciuta, l'Alessandro nelle Indie, l'Artaserse. I primi tre rappresentano tre tentativi diversi: con la Didone il M. tenta il melodramma di carattere senza ricerca d'intreccio; col Siroe (di soggetto persiano) il melodramma d'intrigo artificioso; col Catone cerca di sollevarsi alla grandezza tragica. È questo il tipo del dramma eroico metastasiano: e infatti nel 1799 il Catone fu rappresentato più volte insieme con le tragedie di libertà dell'Alfieri, per alimentare la propaganda contro i tiranni.
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I drammi della seconda maniera (1730-40), Adriano in Siria, Demetrio, Issipile, Olimpiade, Demofoonte, La clemenza di Tito, Achille in Sciro, Ciro riconosciuto, Temistocle, Zenobia, Attilio Regolo, superano i precedenti per una maggiore semplicità e una maggiore varietà. Non più la complicazione meccanica dell'intrigo, ma anzi una sobrietà costruttiva piena di dignità: e d'altro canto non più l'uniformità dei personaggi sentenzianti in modo astratto, ma una nuova individuazione di caratteri studiati con cura e ritratti in situazioni di più appassionata umanità. Il Demetrio, l'Issipile, l'Olimpiade, il Demofoonte sono drammi sentimentali, cioè vi prevalgono intrecci e scene patetiche d'amore: e sono forse i più belli del Metastasio perché la sua natura vi si esprime con più lirico abbandono, non alterata dall'ambizione dell'eroico, e vi si esprime allo stesso modo l'anima del secolo, nel suo amore per il tenero e il sospiroso.
Nei drammi del secondo periodo manca quasi sempre quell'elemento comico che il M. aveva introdotto di proposito in alcuni del primo, per concessione ai gusti del pubblico: ma fu poi giustamente osservato da alcuni critici che il M. qua e là riesce comico suo malgrado.
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Il terzo periodo (dal 1740 in poi) dell'arte metastasiana è di ripetizione e di decadenza. Dall'Antigono al Ruggero (1771), ultimo dei suoi drammi, il poeta non sa più dirci nulla di nuovo né di alto: e neppure la curiosità di nuovi soggetti (p. es., nel Ruggero l'argomento cavalleresco è tratto dall'Orlando Furioso) basta a rinnovare l'arte sua. Qualche interesse ci offre invece, fra le tante cantate (una trentina) e le azioni teatrali (anch'esse circa trenta), una di queste ultime, L'isola disabitata (1752), piccolo dramma in un atto, fresco e vivo, nel quale fu trovato un lontano precedente del Paul et Virginie di Bernardin de Saint-Pierre.
Il Metastasio, scrivendo drammi per musica, riuscì tuttavia a creare opere di cui alcune furono spesso recitate come vere tragedie: il che prova com'egli superasse quella servitù alla tirannia della musica e dello spettacolo che era il difetto di tanti poeti a lui anteriori o contemporanei. Pur trattando di solito soggetti greci, romani e orientali, cercò l'interesse (fine principale, secondo lui, del poeta drammatico) nell'intreccio abilmente congegnato e sciolto quasi sempre per via di ricognizioni (riconoscimenti). In questi intrecci venivano a conflitto l'amore e un altro sentimento (amor di gloria, amor patrio, riconoscenza, ecc.); ma tali conflitti, anziché stimolare gl'impeti della passione, la piegavano a poco a poco all'obbedienza della ragione, e la catastrofe di solito era lieta. Così la galanteria e la moralità, l'eroismo e la passione venivano a comporsi in un mondo spirituale senza eccessi e, in sostanza, senza vero dramma. L'abbondare poi delle sentenze, sia nelle arie, sia talvolta anche nel dialogo e in quelle scene che richiederebbero violenta passione, se parrebbe dovesse accrescere l'umanità dei personaggi, in realtà aggiunge loro un altro elemento generico: cioè quella moralità ragionata, quella bonaria definizione degli stati d'animo che il M. attingeva specialmente alla disciplina cartesiana dei suoi studi giovanili. Ma appunto in questo ragionare e sentenziare il Settecento razionalista e ottimista trovò una delle ragioni più persuasive per amare il Metastasio. Le stesse qualità di equilibrio e di misura dimostrò il poeta nell'applicazione pratica delle tre unità drammatiche, di cui invece teoricamente trattò con audacia novatrice. Rispettò l'unità di azione, pur non rinunziando a complicare l'azione principale con episodî romanzeschi non necessarî, ma utili a ravvivare l'interesse del dramma. Osservò l'unità di tempo, pur con una certa elasticità, e similmente l'unità di luogo, che nei suoi drammi diventa una specie di unità territoriale, com'ebbe a chiamarla P. Arcari, consentendo mutamenti di scena, ma sempre entro una stessa reggia o nei dintorni di una stessa città.
Fu fatta al Metastasio l'accusa di aver impoverito il vocabolario italiano. Ma già il Baretti, pur notando che egli non aveva usato se non 6 o 7 mila vocaboli dei 44 mila che compongono la lingua, aggiungeva che con essi era riuscito a dire tutto quello che aveva da dire. Certo la facilità apparente del suo stile gli costava molta fatica, e nessuno dei suoi imitatori riuscì a pareggiarlo nella trasparenza perfetta dell'espressione, nell'aderenza all'idea, e specialmente in quella musicalità a cui egli tendeva costantemente, e che riusciva a redimere le parole più comuni accentuandone la vita sonora.
(...)
Si mostrò contrario sia ai maestri giovani, che pur musicando i suoi drammi non lo contentavano più (quando morì, da molti anni non metteva piede in alcun teatro, tranne in quello di corte), sia ai compositori di quella musica strumentale pura che, come il Haydn e il Mozart, già avviavano l'arte musicale tedesca alle glorie maggiori. Preferiva l'arte del Hasse, fedele all'antico, e di altri compositori di mediocre ingegno. Perciò la sua modernità in questa materia si limitava a condannare le arie di bravura e a richiedere un canto che desse la massima espressione ai suoi versi, al modo stesso che codesti suoi versi li concepiva già con una decisa vocazione di canto. Timido atteggiamento di fronte al rapido rinnovarsi della musica intorno a lui.
Dove invece il pensiero critico del Metastasio si rivelò acuto e abbastanza audace fu nelle questioni letterarie, e specialmente in materia di poesia drammatica, fuori dei suoi rapporti con la musica. Traducendo e commentando l'Arte Poetica di Orazio, commentando Aristotele, fu guidato da un vigile buon senso ed espose con brio idee ragionevoli. Piuttosto che principî generali trattò questioni particolari, negando la classificazione retorica dei generi letterarî, combattendo il numero fisso degli atti (per conto suo costruì i melodrammi in tre atti) e le cosiddette unità aristoteliche di tempo e di luogo.
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Il Metastasio fu il poeta massimo di un'età povera, in tutta Europa, di poesia; e la sua arte armoniosa e gentile fece di lui l'idolo del secolo.
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Ma, tramontata con la rivoluzione francese quella società che aveva trovato uno specchio fedele nel mondo metastasiano, troppo raffinato e sensuale nelle apparenze per chiudere in sé una seria sostanza spirituale, l'arte del M. cominciò a scadere nel favore comune. Rimase vivo ancora per qualche generazione il gusto di quelle sue strofette sentenziose che esprimevano la sapienza spicciola della vita: ma era un gusto che si applicava più che altro all'educazione infantile. Agli uomini, e all'Italia che anch'essa si faceva adulta e libera e grande, aveva già da tempo offerto una poesia forte e rude, tutta intesa alla creazione del carattere nazionale, Vittorio Alfieri: che ebbe appunto il merito, come scrisse il D'Azeglio, di aver trovato l'Italia metastasiana e di averla lasciata alfieriana.”
(Arturo Pompeati, Enciclopedia Italiana, 1934)
12 aprile 1782 Metastasio muore.
Un fatto al giorno
12 aprile 1927: Il massacro di Shanghai, chiamato anche “Incidente del 12 aprile”, fu la violenta repressione delle organizzazioni del Partito comunista cinese (CPC) a Shanghai da parte delle forze militari di Chiang Kai-shek e delle fazioni conservatrici del Kuomintang (Partito nazionalista, o KMT).
“Il 12 aprile 1927, un sanguinoso colpo di stato militare invertì la rotta della rivoluzione cinese.
Novanta anni fa la classe operaia cinese e il suo giovane Partito Comunista (CCP) hanno subito una sconfitta terribile nella fortezza di Shanghai, un punto di svolta decisivo nella Rivoluzione Cinese. Questo importante anniversario passerà in gran parte inosservato in Cina. Il PCC Maoista/Stalinista che è salito al potere nel 1949, basato su un esercito contadino rurale piuttosto che sul potere organizzato della classe operaia urbana, non è mai stato in grado di spiegare ciò che è accaduto nel 1927 e ancora meno i governanti “Comunisti” di oggi.”
(Articolo completo in: resistenzeinternazionali.it)
Immagini:
- Shanghai Safe! (1927)
- Latest Pictures From Shanghai (1927)
Una frase al giorno
“Continuerò a cantare finché potrò. Oggi il problema centrale è di aiutare gli uomini a conoscersi fra loro perché possano superare le difficoltà. Quali uomini sono oggi più lontani di un arabo e un ebreo?”
(Freda Joséphine Baker, nata McDonald, St. Louis, 3 giugno 1906 - Parigi, 12 aprile 1975)
Freda Joséphine Baker è stata una cantante e danzatrice statunitense naturalizzata francese. Di origine meticcia afroamericana e amerinda degli Appalachi, è stata la prima persona di colore a diventare una star mondiale, tra le più acclamate vedette di Parigi, e a recitare in un film importante, il film di Marc Allégret del 1934, Zouzou. La sua esibizione nella rivista Un Vent de Folie nel 1927 fece scalpore a Parigi. Il suo costume, composto solo da una cintura di banane, divenne la sua immagine più iconica e un simbolo dell'età del jazz e degli anni '20. Sono noti i suoi contributi al Movimento per i diritti civili. Nel 1968 le fu offerta una leadership non ufficiale nel movimento negli Stati Uniti da Coretta Scott King, in seguito all'assassinio di Martin Luther King Jr. Dopo averci riflettuto, Baker rifiutò l'offerta, preoccupata per il benessere dei suoi figli. Era anche conosciuta per aver aiutato la Resistenza francese durante la seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, fu insignita della Croix de guerre dall'esercito francese e fu nominata Cavaliere della Legione d'onore dal generale Charles de Gaulle.
(Wikipedia)
Immagini:
Josephine Baker è stata la prima donna di colore a recitare in un film importante:
- Zouzou (Francia, 1934), è un film di Marc Allégret. Con Jean Gabin, Marcel Vallée, Josephine Baker. Titolo originale Zou-Zou. Commedia, b/n durata 85 min.
Zou-Zou e Jean sono due orfani adottati da Menè, cavallerizzo del circo. Crescono e si vogliono bene come fratello e sorella. Ma nella fanciulla, Zou-Zou, il sentimento si trasforma in amore. Un giorno Jean accusato e imprigionato innocente: Zou-Zou, per sostenere le spese del processo, accetta la scrittura, poco prima recisamente rifiutata, per un ballo in un teatro di Parigi. Col denaro guadagnato paga le spese del processo, alla fine del quale Jean è riconosciuto innocente. Ma quando alla fine gli va incontro felice, trova che un'altra fidanzata lo aspetta.
12 aprile 1975 muore Josephine Baker, Attrice e attivista francese (nata nel 1906)
Un brano musicale al giorno
Felice Giardini (1716-1796), Quartetto d'archi n. 4 in Mi bemolle maggiore, Cadenza Zagreb String quartet, 2013
«Felice Giardini, anche noto con il cognome Degiardino (Torino, 12 aprile 1716 - Mosca, 8 giugno 1796), è stato un violinista e compositore italiano.
Giardini fu un compositore prolifico e scrisse musica per quasi tutti i generi in voga nella sua epoca. Tuttavia i suoi principali ambiti erano quello operistico e quello della musica da camera strumentale. Quasi tutte le sue composizioni furono pubblicate quando egli era ancora in vita, ad eccezione di alcune canzonette e di sporadici lavori da camera. Come abilissimo suonatore di strumenti ad arco, egli seppe sfruttare tale famiglia di strumenti al fine di ottenere il miglior suono. La sua musica da camera combina il cosiddetto stile galante con gli elementi tipici del medio classicismo di J. C. Bach, degli Stamitz e della scuola di Mannheim. Sebbene Giardini scrisse quartetti e quintetti per archi impiegando anche altri strumenti (una forma nuova per quel tempo), egli si concentrò sulla composizione di trii principalmente per violino, viola e violoncello».
(Wikipedia)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
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Ugo Brusaporco
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