“L’amico del popolo”, 12 aprile 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

PALERMO ODER WOLFSBURG (Palermo o Wolfsburg, Germania, 1980), regia di Werner Schroeter. Sceneggiatura: Werner Schroeter, Giuseppe Fava, Orazio Torrisi, Klaus Dethloff. Fotografia: Thomas Mauch. Montaggio: Werner Schroeter, Ursula West. Musica: Alban Berg. Cast: Nicola Zarbo, Otto Sander, Ida Di Benedetto.

Nicola, un giovane siciliano, decide di evadere dalla soffocante realtà politica e sociale della sua isola per trasferirsi a Wolfsburg, una cittadina della Germania. Non tarda a rendersi conto, però, che le sue illusioni sono destinate ad infrangersi contro un muro di diffidenza e spesso di ostilità. Tutto questo è ancora poco rispetto a quello che gli accadrà dopo aver incontrato Brigitte.

PALERMO ODER WOLFSBURG (Palermo o Wolfsburg, Germania, 1980), regia di Werner Schroeter

“Nicola, un siciliano diciottenne, emigra in Germania e va a lavorare come operaio alla Volkswagen. La sua storia è divisa in due parti, la prima in Sicilia viene fotografata con i colori del sole, la seconda con i grigi della Germania. Si racconta la durezza dell'emigrazione in un paese ostile, la difficoltà ad adattarsi a regole nuove, l'amore che a quell'età si trova facilmente ma anche la violenza in cui si può incappare”.

“Palermo o Wolfsburg (Palermo oder Wolfsburg) è un film tedesco del 1980 diretto da Werner Schroeter. Narra la storia di un immigrato siciliano che va in Germania per trovare lavoro. Il film vinse l'Orso d'oro al Festival di Berlino del 1980. Il soggetto fu tratto dal romanzo di Giuseppe Fava, Passione di Michele”.

(Wikipedia)

Werner Schroeter (1945-2010)

12 aprile 2010 muore Werner Schroeter, regista e sceneggiatore tedesco (nato nel 1945)

 

Una poesia al giorno

La libertà, di Pietro Metastasio, pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (Roma, 3 gennaio 1698 - Vienna, 12 aprile 1782)

Grazie agl'inganni tuoi,
al fin respiro, o Nice,
al fin d'un infelice
ebber gli dei pietà:

sento da' lacci suoi,
sento che l'alma è sciolta;
non sogno questa volta,
non sogno libertà.

Mancò l'antico ardore,
e son tranquillo a segno,
che in me non trova sdegno
per mascherarsi amor.

Non cangio più colore
quando il tuo nome ascolto;
quando ti miro in volto
più non mi batte il cor.

Sogno, ma te non miro
sempre ne' sogni miei;
mi desto, e tu non sei
il primo mio pensier.

Lungi da te m'aggiro
senza bramarti mai;
son teco, e non mi fai
né pena, né piacer.

Di tua beltà ragiono,
né intenerir mi sento;
i torti miei rammento,
e non mi so sdegnar.

Confuso più non sono
quando mi vieni appresso;
col mio rivale istesso
posso di te parlar.

Volgimi il guardo altero,
parlami in volto umano;
il tuo disprezzo è vano,
è vano il tuo favor;

che più l'usato impero
quei labbri in me non hanno;
quegli occhi più non sanno
la via di questo cor.

Pietro Metastasio, pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (Roma, 3 gennaio 1698 - Vienna, 12 aprile 1782)

Pietro Metastasio è stato un poeta, librettista, drammaturgo e presbitero italiano. È considerato il riformatore del melodramma italiano.

“Uomo di grande onestà, natura non certo eroica, ma più dignitosa di quanto faccia credere la tradizione (dando troppa importanza a un noto aneddoto alfieriano), temperamento idillico e alquanto malinconico, scarso di volontà, amante del quieto vivere ma non egoista, generoso con i suoi familiari e con gli amici, refrattario all'odio e all'invidia, il M. attuò in sé un equilibrio morale, che non dava baleni di luce sovrana, ma escludeva d'altra parte le ombre violente. Di abitudini assai metodiche, regolò sapientemente le sue occupazioni, anche lo studio e la poesia stessa che, malgrado l'apparenza, non fu in lui facile improvvisazione, ma frutto di meditato e spesso faticoso lavoro.
(...)
Ai melodrammi metastasiani preludono alcune delle sue cantate, che sono idillî graziosi, composti di un recitativo in endecasillabi e settenarî e di strofette finali: hanno insomma lo schema, abbreviato, del melodramma. Anche i primi epitalamî e idillî mitologici (Teti e Peleo, Il ratto d'Europa, Il Convito degli Dei) e le prime azioni teatrali rappresentate nel 1721 e 1722 con musica del Sarro e del Porpora (Galatea, Endimione, Gli Orti Esperidi, Angelica), intonate a molle dolcezza e drammaticamente agili, preparano il melodramma.
Con la Didone l'arte del M. si rivela ormai adulta e personale, e la protagonista vi appare una figura viva e vera, non perché assomigli al modello virgiliano, ma perché ritrae la donna settecentesca, mobile e incoerente, ma candidamente fedele al mondo che l'ha prodotta. Dalla Didone in poi il melodramma del M. segue un'evoluzione, in cui la critica ha ravvisato tre maniere, corrispondenti ai tre periodi (ascendente, culminante, discendente) distinti dal Carducci nella vita artistica del poeta. Oltre alla Didone appartengono alla prima maniera (1723-30) il Siroe, il Catone in Utica, l'Ezio, la Semiramide riconosciuta, l'Alessandro nelle Indie, l'Artaserse. I primi tre rappresentano tre tentativi diversi: con la Didone il M. tenta il melodramma di carattere senza ricerca d'intreccio; col Siroe (di soggetto persiano) il melodramma d'intrigo artificioso; col Catone cerca di sollevarsi alla grandezza tragica. È questo il tipo del dramma eroico metastasiano: e infatti nel 1799 il Catone fu rappresentato più volte insieme con le tragedie di libertà dell'Alfieri, per alimentare la propaganda contro i tiranni.
(...)
I drammi della seconda maniera (1730-40), Adriano in Siria, Demetrio, Issipile, Olimpiade, Demofoonte, La clemenza di Tito, Achille in Sciro, Ciro riconosciuto, Temistocle, Zenobia, Attilio Regolo, superano i precedenti per una maggiore semplicità e una maggiore varietà. Non più la complicazione meccanica dell'intrigo, ma anzi una sobrietà costruttiva piena di dignità: e d'altro canto non più l'uniformità dei personaggi sentenzianti in modo astratto, ma una nuova individuazione di caratteri studiati con cura e ritratti in situazioni di più appassionata umanità. Il Demetrio, l'Issipile, l'Olimpiade, il Demofoonte sono drammi sentimentali, cioè vi prevalgono intrecci e scene patetiche d'amore: e sono forse i più belli del Metastasio perché la sua natura vi si esprime con più lirico abbandono, non alterata dall'ambizione dell'eroico, e vi si esprime allo stesso modo l'anima del secolo, nel suo amore per il tenero e il sospiroso.
Nei drammi del secondo periodo manca quasi sempre quell'elemento comico che il M. aveva introdotto di proposito in alcuni del primo, per concessione ai gusti del pubblico: ma fu poi giustamente osservato da alcuni critici che il M. qua e là riesce comico suo malgrado.
(...)
Il terzo periodo (dal 1740 in poi) dell'arte metastasiana è di ripetizione e di decadenza. Dall'Antigono al Ruggero (1771), ultimo dei suoi drammi, il poeta non sa più dirci nulla di nuovo né di alto: e neppure la curiosità di nuovi soggetti (p. es., nel Ruggero l'argomento cavalleresco è tratto dall'Orlando Furioso) basta a rinnovare l'arte sua. Qualche interesse ci offre invece, fra le tante cantate (una trentina) e le azioni teatrali (anch'esse circa trenta), una di queste ultime, L'isola disabitata (1752), piccolo dramma in un atto, fresco e vivo, nel quale fu trovato un lontano precedente del Paul et Virginie di Bernardin de Saint-Pierre.

Il Metastasio, scrivendo drammi per musica, riuscì tuttavia a creare opere di cui alcune furono spesso recitate come vere tragedie: il che prova com'egli superasse quella servitù alla tirannia della musica e dello spettacolo che era il difetto di tanti poeti a lui anteriori o contemporanei. Pur trattando di solito soggetti greci, romani e orientali, cercò l'interesse (fine principale, secondo lui, del poeta drammatico) nell'intreccio abilmente congegnato e sciolto quasi sempre per via di ricognizioni (riconoscimenti). In questi intrecci venivano a conflitto l'amore e un altro sentimento (amor di gloria, amor patrio, riconoscenza, ecc.); ma tali conflitti, anziché stimolare gl'impeti della passione, la piegavano a poco a poco all'obbedienza della ragione, e la catastrofe di solito era lieta. Così la galanteria e la moralità, l'eroismo e la passione venivano a comporsi in un mondo spirituale senza eccessi e, in sostanza, senza vero dramma. L'abbondare poi delle sentenze, sia nelle arie, sia talvolta anche nel dialogo e in quelle scene che richiederebbero violenta passione, se parrebbe dovesse accrescere l'umanità dei personaggi, in realtà aggiunge loro un altro elemento generico: cioè quella moralità ragionata, quella bonaria definizione degli stati d'animo che il M. attingeva specialmente alla disciplina cartesiana dei suoi studi giovanili. Ma appunto in questo ragionare e sentenziare il Settecento razionalista e ottimista trovò una delle ragioni più persuasive per amare il Metastasio. Le stesse qualità di equilibrio e di misura dimostrò il poeta nell'applicazione pratica delle tre unità drammatiche, di cui invece teoricamente trattò con audacia novatrice. Rispettò l'unità di azione, pur non rinunziando a complicare l'azione principale con episodî romanzeschi non necessarî, ma utili a ravvivare l'interesse del dramma. Osservò l'unità di tempo, pur con una certa elasticità, e similmente l'unità di luogo, che nei suoi drammi diventa una specie di unità territoriale, com'ebbe a chiamarla P. Arcari, consentendo mutamenti di scena, ma sempre entro una stessa reggia o nei dintorni di una stessa città.

Pietro Metastasio, pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (Roma, 3 gennaio 1698 - Vienna, 12 aprile 1782)Fu fatta al Metastasio l'accusa di aver impoverito il vocabolario italiano. Ma già il Baretti, pur notando che egli non aveva usato se non 6 o 7 mila vocaboli dei 44 mila che compongono la lingua, aggiungeva che con essi era riuscito a dire tutto quello che aveva da dire. Certo la facilità apparente del suo stile gli costava molta fatica, e nessuno dei suoi imitatori riuscì a pareggiarlo nella trasparenza perfetta dell'espressione, nell'aderenza all'idea, e specialmente in quella musicalità a cui egli tendeva costantemente, e che riusciva a redimere le parole più comuni accentuandone la vita sonora.
(...)
Si mostrò contrario sia ai maestri giovani, che pur musicando i suoi drammi non lo contentavano più (quando morì, da molti anni non metteva piede in alcun teatro, tranne in quello di corte), sia ai compositori di quella musica strumentale pura che, come il Haydn e il Mozart, già avviavano l'arte musicale tedesca alle glorie maggiori. Preferiva l'arte del Hasse, fedele all'antico, e di altri compositori di mediocre ingegno. Perciò la sua modernità in questa materia si limitava a condannare le arie di bravura e a richiedere un canto che desse la massima espressione ai suoi versi, al modo stesso che codesti suoi versi li concepiva già con una decisa vocazione di canto. Timido atteggiamento di fronte al rapido rinnovarsi della musica intorno a lui.

Dove invece il pensiero critico del Metastasio si rivelò acuto e abbastanza audace fu nelle questioni letterarie, e specialmente in materia di poesia drammatica, fuori dei suoi rapporti con la musica. Traducendo e commentando l'Arte Poetica di Orazio, commentando Aristotele, fu guidato da un vigile buon senso ed espose con brio idee ragionevoli. Piuttosto che principî generali trattò questioni particolari, negando la classificazione retorica dei generi letterarî, combattendo il numero fisso degli atti (per conto suo costruì i melodrammi in tre atti) e le cosiddette unità aristoteliche di tempo e di luogo.
(...)
Il Metastasio fu il poeta massimo di un'età povera, in tutta Europa, di poesia; e la sua arte armoniosa e gentile fece di lui l'idolo del secolo.
(...)
Ma, tramontata con la rivoluzione francese quella società che aveva trovato uno specchio fedele nel mondo metastasiano, troppo raffinato e sensuale nelle apparenze per chiudere in sé una seria sostanza spirituale, l'arte del M. cominciò a scadere nel favore comune. Rimase vivo ancora per qualche generazione il gusto di quelle sue strofette sentenziose che esprimevano la sapienza spicciola della vita: ma era un gusto che si applicava più che altro all'educazione infantile. Agli uomini, e all'Italia che anch'essa si faceva adulta e libera e grande, aveva già da tempo offerto una poesia forte e rude, tutta intesa alla creazione del carattere nazionale, Vittorio Alfieri: che ebbe appunto il merito, come scrisse il D'Azeglio, di aver trovato l'Italia metastasiana e di averla lasciata alfieriana.”

(Arturo Pompeati, Enciclopedia Italiana, 1934)

12 aprile 1782 Metastasio muore.

 

Un fatto al giorno

12 aprile 1927: Il massacro di Shanghai, chiamato anche “Incidente del 12 aprile”, fu la violenta repressione delle organizzazioni del Partito comunista cinese (CPC) a Shanghai da parte delle forze militari di Chiang Kai-shek e delle fazioni conservatrici del Kuomintang (Partito nazionalista, o KMT).

“Il 12 aprile 1927, un sanguinoso colpo di stato militare invertì la rotta della rivoluzione cinese.
Novanta anni fa la classe operaia cinese e il suo giovane Partito Comunista (CCP) hanno subito una sconfitta terribile nella fortezza di Shanghai, un punto di svolta decisivo nella Rivoluzione Cinese. Questo importante anniversario passerà in gran parte inosservato in Cina. Il PCC Maoista/Stalinista che è salito al potere nel 1949, basato su un esercito contadino rurale piuttosto che sul potere organizzato della classe operaia urbana, non è mai stato in grado di spiegare ciò che è accaduto nel 1927 e ancora meno i governanti “Comunisti” di oggi.”

(Articolo completo in: resistenzeinternazionali.it)

Chiang Kai-shek

Immagini:

 

Una frase al giorno

“Continuerò a cantare finché potrò. Oggi il problema centrale è di aiutare gli uomini a conoscersi fra loro perché possano superare le difficoltà. Quali uomini sono oggi più lontani di un arabo e un ebreo?”

(Freda Joséphine Baker, nata McDonald, St. Louis, 3 giugno 1906 - Parigi, 12 aprile 1975)

(Freda Joséphine Baker, nata McDonald, St. Louis, 3 giugno 1906 - Parigi, 12 aprile 1975)

Freda Joséphine Baker è stata una cantante e danzatrice statunitense naturalizzata francese. Di origine meticcia afroamericana e amerinda degli Appalachi, è stata la prima persona di colore a diventare una star mondiale, tra le più acclamate vedette di Parigi, e a recitare in un film importante, il film di Marc Allégret del 1934, Zouzou. La sua esibizione nella rivista Un Vent de Folie nel 1927 fece scalpore a Parigi. Il suo costume, composto solo da una cintura di banane, divenne la sua immagine più iconica e un simbolo dell'età del jazz e degli anni '20. Sono noti i suoi contributi al Movimento per i diritti civili. Nel 1968 le fu offerta una leadership non ufficiale nel movimento negli Stati Uniti da Coretta Scott King, in seguito all'assassinio di Martin Luther King Jr. Dopo averci riflettuto, Baker rifiutò l'offerta, preoccupata per il benessere dei suoi figli. Era anche conosciuta per aver aiutato la Resistenza francese durante la seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, fu insignita della Croix de guerre dall'esercito francese e fu nominata Cavaliere della Legione d'onore dal generale Charles de Gaulle.

(Wikipedia)

La sua esibizione nella rivista Un Vent de Folie nel 1927 fece scalpore a Parigi. Il suo costume, composto solo da una cintura di banane, divenne la sua immagine più iconica e un simbolo dell'età del jazz e degli anni '20.Immagini:

Josephine Baker è stata la prima donna di colore a recitare in un film importante:

  • Zouzou (Francia, 1934), è un film di Marc Allégret. Con Jean Gabin, Marcel Vallée, Josephine Baker. Titolo originale Zou-Zou. Commedia, b/n durata 85 min.

Zou-Zou e Jean sono due orfani adottati da Menè, cavallerizzo del circo. Crescono e si vogliono bene come fratello e sorella. Ma nella fanciulla, Zou-Zou, il sentimento si trasforma in amore. Un giorno Jean accusato e imprigionato innocente: Zou-Zou, per sostenere le spese del processo, accetta la scrittura, poco prima recisamente rifiutata, per un ballo in un teatro di Parigi. Col denaro guadagnato paga le spese del processo, alla fine del quale Jean è riconosciuto innocente. Ma quando alla fine gli va incontro felice, trova che un'altra fidanzata lo aspetta.

12 aprile 1975 muore Josephine Baker, Attrice e attivista francese (nata nel 1906)

(Freda Joséphine Baker, nata McDonald, St. Louis, 3 giugno 1906 - Parigi, 12 aprile 1975)

 

Un brano musicale al giorno

Felice Giardini (1716-1796), Quartetto d'archi n. 4 in Mi bemolle maggiore, Cadenza Zagreb String quartet, 2013

«Felice Giardini, anche noto con il cognome Degiardino (Torino, 12 aprile 1716 - Mosca, 8 giugno 1796), è stato un violinista e compositore italiano.

Giardini fu un compositore prolifico e scrisse musica per quasi tutti i generi in voga nella sua epoca. Tuttavia i suoi principali ambiti erano quello operistico e quello della musica da camera strumentale. Quasi tutte le sue composizioni furono pubblicate quando egli era ancora in vita, ad eccezione di alcune canzonette e di sporadici lavori da camera. Come abilissimo suonatore di strumenti ad arco, egli seppe sfruttare tale famiglia di strumenti al fine di ottenere il miglior suono. La sua musica da camera combina il cosiddetto stile galante con gli elementi tipici del medio classicismo di J. C. Bach, degli Stamitz e della scuola di Mannheim. Sebbene Giardini scrisse quartetti e quintetti per archi impiegando anche altri strumenti (una forma nuova per quel tempo), egli si concentrò sulla composizione di trii principalmente per violino, viola e violoncello».

(Wikipedia)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k