“L’amico del popolo”, 12 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

TONI (Francia, 1935), regia di Jean Renoir. Sceneggiatura: Jean Renoir, Carl Elinstein. Fotografia: Claude Renoir. Musiche: Paul Bozzi. Con: Andrex, Charles Blavette, Paul Bozzi, Jenny Helia, Andre' Kovachevitch, Celia Montalvan, Max Dalban, Edouard Delmont.

“Un treno carico di emigranti italiani e spagnoli. Antonio Canova, soprannominato Toni, giunge nel sud della Francia a Martigues, un villaggio della Provenza, dove trova lavoro nelle cave di pietra. Qui avvia una relazione con la padrona di casa, Maria, che poi diventa sua moglie, ma il suo vero amore è per Josepha, una giovane spagnola. Albert, un caposquadra collerico e gaudente, prima la violenta e poi la sposa. Quando questi viene ucciso dalla donna con un colpo di rivoltella, Toni si accusa dell'omicidio per scagionarla. Nel corso di un tentativo di fuga Toni è ammazzato da un proprietario terriero, e Josepha andrà a costituirsi. Il film si chiude com'era iniziato, con l'arrivo di un treno carico di operai italiani e spagnoli”.

(Wikipedia)

“Italiano emigrato nella Provenza francese come minatore, diventa amante della padrona di casa, ma poi si innamora di una ragazza spagnola che però è costretta a sposare, suo malgrado, il caposquadra. Quest'ultimo è ucciso e il minatore si autoaccusa dell'omicidio, ma la giovane amante lo scagiona.
Ambientato nel sud della Francia, è un melodramma realista che ruota attorno a una storia d'amore disperata, collocata tra problematiche inerenti gli emigrati italiani e spagnoli, conseguente all'integrazione nel tessuto sociale francese. L'apertura (gli emigrati italiani alla stazione ferroviaria che sognano di cambiare la loro esistenza) e il finale (i due amanti, nel tentativo di scagionarsi a vicenda, precipitano nella rovina) suggeriscono il film come modello anticipatore del neorealismo italiano ancora da divenire, quello che i francesi usavano chiamare 'réalistes chansons'. Un giovane Luchino Visconti è aiuto regista di Jean Renoir. Bersagliato dalla censura fascista che ne proibì la diffusione nelle sale, arrivò in Italia nel 1971 attraverso il circuito televisivo della RAI, privo di doppiaggio e sottotitolato.”

(www.cinekolossal.com)

“...nel 1935 un film che anticipa modi, temi e forme di quello che sarà dieci anni dopo il neorealismo cinematografico italiano. Si tratta di Toni, basato su documenti tratti da una inchiesta giudiziaria condotta nell'ambiente degli immigrati nella Francia meridionale, che, nei limiti narrativi d'un dramma della gelosia, riesce a rappresentare una realtà umana e sociale in termini nuovi, utilizzando moduli stilistici, nella recitazione, nelle riprese e nel montaggio, che costituirono una vera e propria innovazione nel cinema francese di quegli anni. Il film è il primo di una serie di opere dichiaratamente impegnate, in cui Renoir, sempre più vicino ai gruppi della sinistra politica e culturale, fa un chiaro discorso critico, pur non rinunciando alla elaborazione personale del materiale artistico e alle componenti più genuine della sua poetica, sempre in bilico fra realismo e impressionismo, fra naturalismo e romanticismo.”

(In www.mymovies.it)

“Antonio Canova, soprannominato Toni (Charles Blavette) è un italiano giunto in Provenza per lavorare nelle cave di pietra. Nel villaggio di Martigues si sposa con Marie (Jenny Hélia), ma il suo cuore è dominato da una travolgente passione per la spagnola Josepha (Celia Montalván).
Tassello fondamentale nel percorso artistico di Renoir, è considerato il film che dieci anni prima delle opere di Rossellini e De Sica ha anticipato il neorealismo. Si possono infatti riscontrare già in quest'opera molti dei presupposti tecnici e teorici che saranno applicati nel decennio successivo in Italia: l'utilizzo di attori non professionisti, le riprese in esterni, il suono in presa diretta. Sebbene l'atmosfera viri verso il melò dalle tonalità noir, lo spunto di partenza per la realizzazione del film fu dato a Renoir da un episodio di cronaca accaduto tra gli emigrati italiani in Francia. Altra ragione che spinse l'attenzione del regista verso il milieu degli operai italiani fu l'interesse per le classi subalterne, all'epoca motivato da un sempre più militante impegno politico. La trama è quasi un pretesto per cogliere la peculiarità di un ambiente fortemente caratterizzato, catturato dal regista con grande maestria. Molto importante è l'apporto musicale che attraverso un vasto repertorio di canzoni popolari restituisce con vivida naturalezza un intenso quadro di vita rurale. Assistente alla regia, non accreditato ufficialmente, fu Luchino Visconti, che avrebbe anni dopo trasposto molto di questa decisiva esperienza nel suo Ossessione (1943)”

(In www.longtake.it)

“Il cavapietre Toni (Charles Blavette), innamorato d'una spagnola (Célia Montalvan) è accusato d'aver ucciso il caposquadra (Max Dalban), marito della sua antica amante (Jenny Hélia). Non riesce a dimostrare la propria innocenza e viene ucciso. Subito dopo, la spagnola confesserà d'esser stata autrice del delitto. È opportuno citare il testo scritto da Renoir nel 1956, in occasione d'una ripresa del film: "Il cinematografo, pensavamo, resta innanzitutto fotografia, e l'arte del fotografo è la meno soggettiva di tutte le arti”.

(Georges Sadoul)

“Quando, nel 1934, inizia le riprese di Toni, Jean Renoir si è già cimentato con il cinema naturalista (Une vie sans joie, 1924), romantico (Nana, 1926), burlesco (Charleston, 1927, Tire au flanc, 1928), storico (Le tournoi dans la cité, 1929). Contemporaneamente, il cinema francese si industriava faticosamente nel genere psicologico, questa psicologia alla quale Renoir doveva per tutta la vita voltare la schiena. Toni è nella carriera di Jean Renoir un film cardine, un punto d’avvio in tutt’altra direzione”.

(François Truffaut)

Il 12 febbraio 1979 muore Jean Renoir, attore, regista, produttore e sceneggiatore francese (nato nel 1894).

TONI (Francia, 1935), regia di Jean Renoir

 

Una poesia al giorno

Mito, di Muriel Rukeyser, poetessa statunitense nata a New York il 13 dicembre 1913 e morta nel 1980, il 12 febbraio.

Molto tempo dopo Edipo, vecchio e accecato, camminava per le
strade. Sentì un odore familiare. Era
la Sfinge. Edipo disse, “Ho una domanda.
Perché non ho riconosciuto mia madre?” “La tua risposta
era sbagliata”, disse la Sfinge. “Ma era quella che ha reso
tutto possibile”, disse Edipo. “No”, lei disse.
“Quando ho chiesto: che cos’è che cammina a quattro zampe la mattina,
due il giorno, e tre la sera, hai risposto:
l’Uomo. Non hai parlato della donna.”
“Quando si dice Uomo”, disse Edipo, “sono comprese anche
le donne. Lo sanno tutti.”
Lei disse, “È quello che pensi tu.”

Muriel Rukeyser, poetessa statunitense nata a New York il 13 dicembre 1913 e morta nel 1980, il 12 febbraio

“La sua poesia è ineguagliabile nel XX secolo negli Stati Uniti per il suo punto di riferimento, per la generosità della sua visione, per la sua energia”, ha scritto di lei Adrienne Rich. “Ci spinge, lettori, scrittori e partecipanti alla vita del nostro tempo, ad allargare il nostro senso di ciò che la poesia è per il mondo, e del ruolo dei sentimenti e della memoria in politica”. L’attivismo della Rukeyser è altamente presente nella sua poetica: femminismo, giustizia sociale, diritti umani, razzismo, differenze di classe e persino l’ebraismo, sua poco praticata religione. Una delle sue opere più importanti, The Book of the Dead, scritta nel 1938, documenta il disastro industriale di Hawk’s Nest, che causò la morte per silicosi di centinaia di minatori”.

(In cantosirene.blogspot.it

 

Un fatto al giorno

12 febbraio 1894: l'anarchico Émile Henry lancia una bomba nel Café Terminus a Parigi, nella Gare Saint-Lazare, uccidendo una persona e ferendone venti.

12 febbraio 1894: l'anarchico Émile Henry lancia una bomba nel Café Terminus a Parigi, nella Gare Saint-Lazare“Émile Henry (Barcellona, 26 settembre 1872 - Parigi, 21 maggio 1894) è stato un anarchico francese, autore di due atti dinamitardi.
Auguste Vaillant, nel dicembre del 1893, fece esplodere una bomba contro la Camera dei deputati francese. L'attentato non fece alcuna vittima, ma sparse il terrore: era ormai evidente che gli anarchici potevano colpire il potere al cuore (infatti l'anno successivo Sante Caserio riuscì a uccidere il presidente Carnot pugnalandolo). Vaillant venne condannato a morte. Fu dunque per vendicarlo che Henry, il 12 febbraio 1894, una settimana dopo la condanna di Vaillant, gettò una bomba al Cafè Terminus, alla Gare St. Lazare, causando un morto e venti feriti. Tentò di fuggire ma venne catturato dalla polizia, dopo aver ferito quattro inseguitori. Henry era già responsabile di una bomba a una stazione di polizia di Parigi, in rue de Bons-Enfants. Fu condannato a morte e ghigliottinato il 21 maggio 1894 all'età di 21 anni.
Di fronte alla giuria che lo condannò alla ghigliottina dichiarò: «Nella guerra da noi dichiarata alla borghesia non chiediamo pietà. Diamo la morte e sappiamo subirla. Per questo attendo con indifferenza il vostro verdetto. So che la mia testa non sarà l'ultima che taglierete. Aggiungerete altri morti alla lista sanguinosa dei nostri morti. Impiccati a Chicago, decapitati in Germania, garrotati a Xerès, fucilati a Barcellona, ghigliottinati a Montbrison e a Parigi, i nostri morti sono numerosi; ma voi non siete riusciti a distruggere l'anarchia. Le sue radici sono profonde. Essa è nata nel seno di una società putrefatta e vicina alla sua fine; essa è una violenta reazione all'ordine stabilito; essa rappresenta le aspirazioni di uguaglianza e libertà che distruggono l'attuale autoritarismo. Essa è dovunque. Questo la rende indomabile, per questo finirà con l'uccidervi»”.

(Wikipedia)

“Nato a Barcellona il 26 settembre 1872, Émile Henry cresce in un ambiente aristocratico progressista grazie a suo padre, comunardo ed uno dei primi comunisti francesi che evitò la violenta repressione della Comune scappando in Spagna. Emile nasce per questo in terra iberica, così come il fratello Fortuné (anche lui diverrà anarchico). Rientrato con la famiglia in Francia dopo l'armistizio del 1882, Emile studia come operatore di borsa presso la scuola di Jen Baptiste Say, distinguendosi per il suo carattere assai mite. Ritiratosi da scuola perché non riusciva a superare alcune prove d'esame, risiede per un breve periodo a Venezia per lavoro, prima di far ritorno a Parigi dopo essere stato assunto da una casa di commercio...”

(Articolo completo in ita.anarchopedia.org)

 

Una frase al giorno

“L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'illuminismo. Sennonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: - Non ragionate! - L'ufficiale dice: - Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. - L'impiegato di finanza: - Non ragionate, ma pagate! - L'uomo di chiesa: - Non ragionate, ma credete”.

(Immanuel Kant, antropologo, filosofo e accademico tedesco)

Immanuel Kant (Königsberg, 22 aprile 1724 - Königsberg, 12 febbraio 1804)

Immanuel Kant (Königsberg, 22 aprile 1724 - Königsberg, 12 febbraio 1804) fu il più importante esponente dell'illuminismo tedesco, anticipatore degli elementi fondanti della filosofia idealistica e della modernità. Autore di una vera e propria rivoluzione filosofica ("rivoluzione copernicana"), con lui la filosofia perde l'aspetto dogmatico metafisico tradizionale ed assume i caratteri di una ricerca critica sulle condizioni del conoscere.

(Wikipedia)

Immagini:

 

Un brano musicale al giorno

Cecilia Bartoli canta Arie di Agostino Steffani

00:03 - Notte amica al cieco Dio
03:45 - Foschi crepuscoli
05:47 - Padre, s'e colpa in lui

Dal CD "MISSION". Cecilia Bartoli, Mezzo Soprano. Con “I Barocchisti”, diretti da Diego Fasolis. DECCA Music Group Ltd.

Agostino Steffani (Castelfranco, 25 luglio 1655 - Francoforte sul Meno, 12 febbraio 1728)

Agostino Steffani (Castelfranco, 25 luglio 1655 - Francoforte sul Meno, 12 febbraio 1728) è stato un vescovo cattolico e compositore italiano. Nacque nel 1655 a Castelfranco, nella Repubblica di Venezia. Formatosi con Francesco Cavalli, divenne cantante del coro di San Marco a Venezia. Ferdinando Maria di Baviera e la sua consorte Enrichetta Adelaide di Savoia che l'ascoltavano a Padova, ne provarono tanto piacere che chiesero al capo coro di poterlo portare alla loro corte Wittelsbach a Monaco di Baviera, promettendo di provvedere ai suoi bisogni e di assicurargli un avvenire. A Monaco fu affidato al maestro di musica Johann Kaspar Kerll. Nel 1672 fu portato a Roma alle cure di Ercole Bernabei. Sotto un tale maestro, i progressi del ragazzo furono rapidi. Steffani era entrato in seminario dopo avervi fatto i suoi studi, ricevette la tonsura e prese il titolo di abate, che conservò sempre...”

(Wikipedia)

“...La sua produzione annovera specialmente opere teatrali, ma anche musiche sacre, religiose e da camera. La sua arte, in cui l'influsso germanico non ha lasciato segni troppo visibili (anzi influì egli stesso sui contemporanei tedeschi), è caratterizzata da grande euritmia e delicatezza, pure presentando movimenti d'interna drammaticità”.

(Treccani)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k