“L’amico del popolo”, 14 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

4 LUNI, 3 SĂPTĂMÂNI ŞI 2 ZILE (4 mesi, 3 settimane, 2 giorni - Romania, Francia, 2007) scritto e diretto da Cristian Mungiu. Fotografia: Oleg Mutu. Montaggio: Dana Bunescu. Con: Anamaria Marinca, Laura Vasiliu, Vlad Ivanov, Alex Potocean, Luminita Gheorghiu, Adi Carauleanu, Ioan Sabdaru.

“Otilia e Gabita, due ragazze di provincia, dividono la stanza in un pensionato universitario di Bucarest negli ultimi anni del regime Ceaușescu. Quando scoprono che una delle due è incinta inizia per loro il calvario per trovare il modo di abortire illegalmente. Riescono così a rintracciare un certo Bebe che le riceve in una stanza d'albergo. Qui però scoprono che i soldi che hanno le due ragazze non bastano e Bebe vuole un pagamento in natura dalle due. Otilia non vuole ma poi accetta. Bebe opera Gabita e le dice poi come disfarsi del feto e se ne va. Otilia deve andare a casa del suo ragazzo e lascia Gabita da sola in albergo. Quando torna in albergo Otilia deve portare via il feto così lo avvolge in un asciugamano e lo nasconde nella sua borsa cercando un taxi per allontanarsi dall'albergo. Vaga per la città ed entra in un palazzo e lascia il fagotto in uno scarico per la spazzatura. Tornata in albergo trova Gabita al ristorante che vuole sapere se ha sotterrato il bambino. Otilia le risponde che non parleranno più della questione”.

(Wikipedia)

“Come si vince una Palma d'Oro? La storia narrata da 4 mesi 3 settimane 2 giorni è così forte che rischia di oscurare il suo vero valore. Certo che non si sapeva nulla degli aborti nella Romania di Ceausescu, né si poteva immaginare quali infamie accompagnassero questa pratica così diffusa anche se (o proprio perché) proibita. Eppure ci voleva un grande film per rendere il tutto raccontabile e in certo modo digeribile. Un film che non distilla banalmente informazioni su un mondo remoto ma rende questa vicenda universale scrivendola sui corpi, nei gesti, negli sguardi dei personaggi.”

(Fabio Ferzetti, Il Messaggero)

“Nel finale del film, le due protagoniste stanno a tavola. Una di loro guarda in macchina. Stacco improvviso, quasi uno strappo prima dei titoli di coda. Si chiude in questa maniera improvvisa 4 luni, 3 saptamini, si 2 zile (letteralmente “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”), terzo lungometraggio del cineasta rumeno Cristian Mungiu che si era messo in luce proprio qui a Cannes nel 2002 con Occident, presentato alla “Quinzaine des réalisateurs”.
Ambientato in Romania nel 1987, proprio prima della caduta del comunismo, la pellicola vede protagoniste Otilia, una studentessa universitaria che divide la stanza con un’altra compagna, Gabita, in un residence di Bucarest. Quest’ultima è rimasta incinta e decide di abortire. Otilia prenota così una stanza di un albergo e contatta un certo M. Bébé, per poter risolvere il problema. Il denaro però che l’uomo chiede non è sufficiente e le due ragazze devono fronteggiare il problema in altro modo.
La scelta dell’anno in cui si svolge la vicenda non è casuale. In Romania infatti nel 1966 venne approvata una legge che impediva l’aborto in Romania e venne tolta solo dopo la caduta del regime nel 1989. Chi la violava veniva arrestato. Il contesto storico costituisce però solo la cornice di un vibrante dramma umano, con la macchina da presa di Mungiu che segue i nervosi spostamenti di Otilia con la macchina a spalla, oppure ‘opprime’ volontariamente alcune situazioni con lunghi piani-sequenza dove i dialoghi e la stasi sembrano consumare i protagonisti. Mungiu intrappola le figure nel quadro come, per esempio, nella discussione tra le due ragazze e M. Bébé nella stanza d’albergo, nella bellissima scena della cena a casa del fidanzato con i parenti dove Mungiu materializza tutto il disagio e il malessere di Otilia. Mungiu non lavora tanto sull’atto (l’aborto) ma sulle conseguenze di ogni azione (Otilia che si va a lavare nuda in bagno) utilizzando colori saturi e spingendo all’estremo quell’impatto che rimanda all’opera dei Dardenne. Quello di Mungiu è un film duro, che non concede niente, ed è di invidiabile immediatezza. Una bella prima sorpresa del concorso, dove emerge anche la bravura della protagonista Anamaria Marinca nei panni di Otilia, attrice che vedremo prossimamente anche in Youth Without You, l’opera che segna il ritorno di Francis Ford Coppola dietro la macchina da presa dopo 10 anni. Un’autentica rivelazione, un vero colpo di fulmine dello scorso Festival di Cannes. Una Palma d’Oro a sorpresa, ma pienamente meritata.”

(In www.sentieriselvaggi.it)

“La discussa Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes ha portato all’attenzione del pubblico internazionale questo austero film del rumeno Cristian Mungiu, che con realistica meticolosità racconta il tragico viaggio di due ragazze nel mondo dell’aborto clandestino, ai tempi della dittatura di Ceausescu. Otilia e Gabita sono due studentesse che abitano in uno squallido dormitorio dell’Ateneo.
Gabita è rimasta incinta e Otilia, fidanzata con il figlio di due docenti universitari, accetta di aiutarla a sbarazzarsi del bambino indesiderato. Inizia così la loro odissea, complicata dal fatto che - chiusa nel suo dolce e un po’ ottuso egoismo - Gabita mente ripetutamente anche all’amica, caricandola di sensi di colpa e lasciando a lei il compito di risolvere ogni difficoltà. Sulla base di una scelta stilistica un po’ rigida, ma efficace, Cristian Mungiu mette in scena un film caratterizzato da lunghi piani sequenza: ora silenziosi e ora invasi da dialoghi costruiti in modo molto naturalistico. La protagonista di 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni (il riferimento è all’età del feto che deve essere espulso) è Otilia, l’amica. La cinepresa la pedina nella ricerca di un albergo dove fare l’intervento e al primo appuntamento con il medico che ha accettato di farlo. Scruta il suo volto mentre costui spiega i dettagli della sua pratica abortiva.
Evidenzia il tragico stupore con cui Otilia ascolta (e subisce) la richiesta del dottore di arrotondare il suo compenso con frettolosi servizi sessuali di entrambe le ragazze. La segue nella casa del fidanzato, la cui madre festeggia proprio quella sera il compleanno in compagnia di due coppie di amici e colleghi. E, infine, torna con lei nello squallido hotel dove Gabita si è infine sgravata e, sempre prigioniera del proprio egotismo, è scesa con rinnovato appetito al ristorante. Tutto qui. Quello che ne sortisce è un film che guarda al rigore etico di Robert Bresson e s’inserisce nel solco tracciato dai dolenti percorsi urbani di alcuni film di Aki Kaurismaki. Un’opera esplicitamente autoriale, anche se non sempre in grado di risolvere in modo unitario tutte le proprie ambizioni.
Mungiu firma una pellicola che vuole essere insieme storica (come eravamo ai tempi di Ceausescu) e d’intervento sociale (la condanna dell’aborto clandestino, ma anche la sua oggettiva tragicità), senza rinunciare alla propria autonomia cinematografica. Ed è proprio in quest’ultima direzione che ottiene i suoi risultati migliori, sia per quanto riguarda la definizione dei personaggi e l’ottima direzione degli attori, sia per la costruzione figurativa dello spazio insieme naturalistico e fantastico nel quale Otilia finisce col trovarsi inesorabilmente prigioniera. Metafora della Romania degli anni Ottanta? Probabilmente.
Ma è intorno al suo tema centrale, l’aborto, che il film di Mungiu risulta meno convincente, riuscendogli difficile conciliare la descrizione implacabilmente oggettiva (sia a parole, sia nei fatti) della pratica abortiva con le sollecitazioni a una reazione emotiva dello spettatore, evidenziate soprattutto nel lunghissimo primo piano del feto abbandonato nel bagno, che diventa così quasi un corpo estraneo (un effetto speciale) in un film che sino ad allora aveva scelto di privilegiare esclusivamente lo sguardo e le reazioni emotive delle sue protagoniste”.

(Aldo Viganò su www.filmdoc.it)

Il film 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007) online:

 

Una poesia al giorno

Un Natale, di Cosimo Giorgieri Contri (in leonbizz66.blogspot.it)

Penso un Natale della fanciullezza:
per che virtù dall'ombre dissepolto?
Vedo tra i cari visi uno più molto
caro: una mano a carezzarmi avvezza.

Dove, in qual colle, i bei rami d'ulivo
del presepio ricrebbero? Mi pare
ch'io li rivedo penduli sul mare
da lor clivi nativi. Il clivo è vivo

nel mio pensiero, come le persone
di quel tempo e le cose e le parole:
un ricordo così pieno di sole
che l'alta loggia se ne fa corone.

Sol di decembre sul mare velato:
un angelico mar come d'argento:
treman li agrumi nei giardini, al vento,
l'aroma ha il ritmo tepido d'un fiato.

Quel giorno è morto: come li altri è morto
e ancor sul colle ondeggiano li ulivi,
e ancor li agrumi odorano, nei vivi
soffi del vento, in questo orto, in quell'orto:

ancora il sole di decembre tepe
sull'angelico mare : e in mente ancora
il dolce viso mi si ricolora,
mi riodora l'antico presèpe.

(Da "Primavere del desiderio e dell'oblio")

 

Cosimo Giorgieri Contri nacque a Lucca nel 1870 e morì a Viareggio il 14 febbraio 1943. Poeta, prosatore e drammaturgo, ebbe un discreto successo di pubblico per i suoi romanzi e per le sue poesie crepuscolari ante litteram. I suoi versi mostrano, oltre alle ricorrenti atmosfere malinconiche che lo avvicinano molto alla poetica di Gozzano e Corazzini, degli elementi riconducibili ad ambienti particolarmente raffinati ed eleganti; si notano inoltre chiare derivazioni dalla poesia di Gabriele D'Annunzio e dei poeti simbolisti franco-belgi. Il suo nome è oggi completamente ignorato, pur essendo evidente il peso che ebbe la sua poesia nella nascita del crepuscolarismo.

 

Un fatto al giorno

14 febbraio 1929: Strage di San Valentino. Al Capone stermina la banda rivale di Bugsy Moran.

“Dopo l’ennesima strage, Al Capone, detto “Il Napoletano” perché originario della Campania (Castellamare di Stabia), diventa il capo indiscusso di Chicago. Ora tutto il contrabbando e il traffico clandestino d’alcol è nelle sue mani. Gli italoamericani sono i padroni incontrastati della piazza e l’America proibizionista non è in grado di contrastare efficacemente la malavita dilagante.
L’azione decisiva, quella che gli conferirà il comando assoluto della malavita di Chicago, avviene il 14 febbraio 1929, quando cinque suoi uomini, travestiti da poliziotti, sorprendono sette appartenenti alla cosca rivale irlandese, capeggiata da George “Bugsy” Moran. Forti dell’autorità fornita loro dalla divisa li catturano, li portano in un garage al 2122 di North Clark Street e li uccidono tutti a colpi di mitra Thompson. Pare che su ogni corpo siano stati trovati non meno di cinquanta proiettili. Al Capone è in Florida dove deve deporre in un processo e può facilmente dimostrare la sua completa estraneità ai fatti di Chicago.
La carriera di Al Capone (1895-1947) terminerà qualche anno dopo, quando una squadra di agenti dell’FBI (gli "intoccabili"), guidata da Eliot Ness, riuscirà ad arrestarlo per evasione fiscale. Imprigionato nel penitenziario di San Francisco, sull’isola di Alcatraz, sarà liberato nel 1939 perché affetto da demenza, sorta a seguito della sifilide contratta anni prima. Trasferitosi a Miami in Florida, morirà per ictus nel 1947...”

“Al Capone - detto "Il Napoletano" per le sue origini campane - e l'irlandese George "Bugs" Moran si contendevano il controllo della città e del mercato degli alcolici, ma con questa operazione la mafia italo-americana prese il sopravvento. Il commando mafioso fu guidato dall'autista e luogotenente di Capone, Sam Giancana, con al seguito altri quattro uomini. Come data venne scelto il 14 febbraio, giorno nel quale Capone si trovava a Miami, convocato da un giudice federale per un interrogatorio: questa circostanza avrebbe costituito per lui un alibi di ferro. Gli uomini di Capone si presentarono da quelli di Bugs travestiti da poliziotti: colti di sorpresa, questi ultimi si lasciarono disarmare e portare via.
Ma la destinazione che li attendeva non era una caserma, bensì un garage, dove vennero uccisi a colpi di mitragliatore; almeno cinquanta colpi sparati per ogni corpo. Frank Gusenberg, uno di loro, era ancora vivo all'arrivo della polizia, sebbene avesse molti proiettili in corpo: alla domanda chi gli avesse sparato, rispose "Nessuno mi ha sparato" e, tre ore dopo, morì. Per molti anni l'alibi di Al Capone resse, anche perché i pochi testimoni della scena videro dei poliziotti aggirarsi sul luogo della strage, e la tesi sposata fu a lungo quella di un'esecuzione di poliziotti corrotti che volevano mettere a tacere testimoni che sapevano troppo. Solo 40 anni dopo un vecchio gangster, Alvin Karpis, fece luce sui fatti.
Le vittime furono Peter Gusenberg, Frank Gusenberg, Adam Heyer, Albert Kachellek, Reinhardt Schwimmer, Albert Weinshank e John May. Bugs Moran fu il solo superstite, una vittima gli somigliava moltissimo e probabilmente fu uccisa al posto suo: egli invece fuggì e sparì per sempre. Al Capone rimase unico e incontrastato padrone di Chicago molto a lungo. L'episodio resta a tutt'oggi uno dei più cruenti regolamenti di conti della storia della malavita americana”.

(Wikipedia)

Immagini: Il massacro del giorno di San Valentino (The St. Valentine's Day Massacre). Un film di Roger Corman con Jean Hale, George Segal, Ralph Meeker, Jason Robards. 

 

Una frase al giorno

“Ai ragazzi e alle ragazze giovani, nel pieno dell'effervescenza sessuale, viene negato di sposarsi prima della maggiore età. Questo va contro la volontà delle leggi divine. Perché mai il matrimonio tra ragazzi e ragazze pubescenti dovrebbe essere proibito in base alla minore età, mentre è concesso loro di ascoltare la radio e musica sessualmente eccitante?”

(Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī, 24 settembre 1902 - Teheran, 3 giugno 1989)

Khomeynī fu un grande ayatollah (Āyatollāh al-ʿUẓma), capo spirituale e politico del suo Paese dal 1979 al 1989. Il suo governo fu ispirato alla religione islamica secondo un'ottica sciita duodecimana e fu impostato in ossequio a uno stretto approccio fondamentalista. Il regime da lui instaurato inaugurò in Iran una linea di potere che fu definita, in maniera approssimativa, "teocratica", e che sopravvive tuttora.

14 febbraio 1989: il leader iraniano Ruhollah Khomeini emette una fatwa contro Salman Rushdie, l'autore de I versetti satanici.

 

Un brano musicale al giorno

Io mi son giovinetta”, madrigale di Domenico Ferrabosco. Polifonia profana. Testo di Giovanni Boccaccio (1313 - 1375). Studio di Giovanni Vianini, Pro Musica Antiqua, Milano.

Il 14 febbraio 1513 nasce Domenico Ferrabosco, morto nel 1573. Ferrabosco è il cognome di una famiglia di musicisti italiani i cui membri svilupparono la loro attività prima in Italia e, successivamente, in Inghilterra per tutto il XVI e XVII secolo. Domenico Ferrabosco fu un compositore e cantante italiano del Rinascimento e il musicista più anziano di questa grande famiglia di spicco di Bologna. Ha trascorso la sua carriera sia a Bologna che a Roma. La sua musica sopravvissuta è tutta vocale, composta da madrigali e mottetti, anche se è principalmente conosciuto per i suoi madrigali.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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