“L’amico del popolo”, 14 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

4 LUNI, 3 SĂPTĂMÂNI ŞI 2 ZILE (4 mesi, 3 settimane, 2 giorni - Romania, Francia, 2007) scritto e diretto da Cristian Mungiu. Fotografia: Oleg Mutu. Montaggio: Dana Bunescu. Con: Anamaria Marinca, Laura Vasiliu, Vlad Ivanov, Alex Potocean, Luminita Gheorghiu, Adi Carauleanu, Ioan Sabdaru.

“Otilia e Gabita, due ragazze di provincia, dividono la stanza in un pensionato universitario di Bucarest negli ultimi anni del regime Ceaușescu. Quando scoprono che una delle due è incinta inizia per loro il calvario per trovare il modo di abortire illegalmente. Riescono così a rintracciare un certo Bebe che le riceve in una stanza d'albergo. Qui però scoprono che i soldi che hanno le due ragazze non bastano e Bebe vuole un pagamento in natura dalle due. Otilia non vuole ma poi accetta. Bebe opera Gabita e le dice poi come disfarsi del feto e se ne va. Otilia deve andare a casa del suo ragazzo e lascia Gabita da sola in albergo. Quando torna in albergo Otilia deve portare via il feto così lo avvolge in un asciugamano e lo nasconde nella sua borsa cercando un taxi per allontanarsi dall'albergo. Vaga per la città ed entra in un palazzo e lascia il fagotto in uno scarico per la spazzatura. Tornata in albergo trova Gabita al ristorante che vuole sapere se ha sotterrato il bambino. Otilia le risponde che non parleranno più della questione”.

(Wikipedia)

4 LUNI, 3 SĂPTĂMÂNI ŞI 2 ZILE (4 mesi, 3 settimane, 2 giorni - Romania, Francia, 2007) scritto e diretto da Cristian Mungiu

“Come si vince una Palma d'Oro? La storia narrata da 4 mesi 3 settimane 2 giorni è così forte che rischia di oscurare il suo vero valore. Certo che non si sapeva nulla degli aborti nella Romania di Ceausescu, né si poteva immaginare quali infamie accompagnassero questa pratica così diffusa anche se (o proprio perché) proibita. Eppure ci voleva un grande film per rendere il tutto raccontabile e in certo modo digeribile. Un film che non distilla banalmente informazioni su un mondo remoto ma rende questa vicenda universale scrivendola sui corpi, nei gesti, negli sguardi dei personaggi.”

(Fabio Ferzetti, Il Messaggero)

“Nel finale del film, le due protagoniste stanno a tavola. Una di loro guarda in macchina. Stacco improvviso, quasi uno strappo prima dei titoli di coda. Si chiude in questa maniera improvvisa 4 luni, 3 saptamini, si 2 zile (letteralmente “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”), terzo lungometraggio del cineasta rumeno Cristian Mungiu che si era messo in luce proprio qui a Cannes nel 2002 con Occident, presentato alla “Quinzaine des réalisateurs”.
Ambientato in Romania nel 1987, proprio prima della caduta del comunismo, la pellicola vede protagoniste Otilia, una studentessa universitaria che divide la stanza con un’altra compagna, Gabita, in un residence di Bucarest. Quest’ultima è rimasta incinta e decide di abortire. Otilia prenota così una stanza di un albergo e contatta un certo M. Bébé, per poter risolvere il problema. Il denaro però che l’uomo chiede non è sufficiente e le due ragazze devono fronteggiare il problema in altro modo.
La scelta dell’anno in cui si svolge la vicenda non è casuale. In Romania infatti nel 1966 venne approvata una legge che impediva l’aborto in Romania e venne tolta solo dopo la caduta del regime nel 1989. Chi la violava veniva arrestato. Il contesto storico costituisce però solo la cornice di un vibrante dramma umano, con la macchina da presa di Mungiu che segue i nervosi spostamenti di Otilia con la macchina a spalla, oppure ‘opprime’ volontariamente alcune situazioni con lunghi piani-sequenza dove i dialoghi e la stasi sembrano consumare i protagonisti. Mungiu intrappola le figure nel quadro come, per esempio, nella discussione tra le due ragazze e M. Bébé nella stanza d’albergo, nella bellissima scena della cena a casa del fidanzato con i parenti dove Mungiu materializza tutto il disagio e il malessere di Otilia. Mungiu non lavora tanto sull’atto (l’aborto) ma sulle conseguenze di ogni azione (Otilia che si va a lavare nuda in bagno) utilizzando colori saturi e spingendo all’estremo quell’impatto che rimanda all’opera dei Dardenne. Quello di Mungiu è un film duro, che non concede niente, ed è di invidiabile immediatezza. Una bella prima sorpresa del concorso, dove emerge anche la bravura della protagonista Anamaria Marinca nei panni di Otilia, attrice che vedremo prossimamente anche in Youth Without You, l’opera che segna il ritorno di Francis Ford Coppola dietro la macchina da presa dopo 10 anni. Un’autentica rivelazione, un vero colpo di fulmine dello scorso Festival di Cannes. Una Palma d’Oro a sorpresa, ma pienamente meritata.”

(In www.sentieriselvaggi.it)

“La discussa Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes ha portato all’attenzione del pubblico internazionale questo austero film del rumeno Cristian Mungiu, che con realistica meticolosità racconta il tragico viaggio di due ragazze nel mondo dell’aborto clandestino, ai tempi della dittatura di Ceausescu. Otilia e Gabita sono due studentesse che abitano in uno squallido dormitorio dell’Ateneo.
Gabita è rimasta incinta e Otilia, fidanzata con il figlio di due docenti universitari, accetta di aiutarla a sbarazzarsi del bambino indesiderato. Inizia così la loro odissea, complicata dal fatto che - chiusa nel suo dolce e un po’ ottuso egoismo - Gabita mente ripetutamente anche all’amica, caricandola di sensi di colpa e lasciando a lei il compito di risolvere ogni difficoltà. Sulla base di una scelta stilistica un po’ rigida, ma efficace, Cristian Mungiu mette in scena un film caratterizzato da lunghi piani sequenza: ora silenziosi e ora invasi da dialoghi costruiti in modo molto naturalistico. La protagonista di 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni (il riferimento è all’età del feto che deve essere espulso) è Otilia, l’amica. La cinepresa la pedina nella ricerca di un albergo dove fare l’intervento e al primo appuntamento con il medico che ha accettato di farlo. Scruta il suo volto mentre costui spiega i dettagli della sua pratica abortiva.
Evidenzia il tragico stupore con cui Otilia ascolta (e subisce) la richiesta del dottore di arrotondare il suo compenso con frettolosi servizi sessuali di entrambe le ragazze. La segue nella casa del fidanzato, la cui madre festeggia proprio quella sera il compleanno in compagnia di due coppie di amici e colleghi. E, infine, torna con lei nello squallido hotel dove Gabita si è infine sgravata e, sempre prigioniera del proprio egotismo, è scesa con rinnovato appetito al ristorante. Tutto qui. Quello che ne sortisce è un film che guarda al rigore etico di Robert Bresson e s’inserisce nel solco tracciato dai dolenti percorsi urbani di alcuni film di Aki Kaurismaki. Un’opera esplicitamente autoriale, anche se non sempre in grado di risolvere in modo unitario tutte le proprie ambizioni.
Mungiu firma una pellicola che vuole essere insieme storica (come eravamo ai tempi di Ceausescu) e d’intervento sociale (la condanna dell’aborto clandestino, ma anche la sua oggettiva tragicità), senza rinunciare alla propria autonomia cinematografica. Ed è proprio in quest’ultima direzione che ottiene i suoi risultati migliori, sia per quanto riguarda la definizione dei personaggi e l’ottima direzione degli attori, sia per la costruzione figurativa dello spazio insieme naturalistico e fantastico nel quale Otilia finisce col trovarsi inesorabilmente prigioniera. Metafora della Romania degli anni Ottanta? Probabilmente.
Ma è intorno al suo tema centrale, l’aborto, che il film di Mungiu risulta meno convincente, riuscendogli difficile conciliare la descrizione implacabilmente oggettiva (sia a parole, sia nei fatti) della pratica abortiva con le sollecitazioni a una reazione emotiva dello spettatore, evidenziate soprattutto nel lunghissimo primo piano del feto abbandonato nel bagno, che diventa così quasi un corpo estraneo (un effetto speciale) in un film che sino ad allora aveva scelto di privilegiare esclusivamente lo sguardo e le reazioni emotive delle sue protagoniste”.

(Aldo Viganò su www.filmdoc.it)

Il film 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007) online:

4 LUNI, 3 SĂPTĂMÂNI ŞI 2 ZILE (4 mesi, 3 settimane, 2 giorni - Romania, Francia, 2007) scritto e diretto da Cristian Mungiu

 

Una poesia al giorno

Un Natale, di Cosimo Giorgieri Contri (in leonbizz66.blogspot.it)

Penso un Natale della fanciullezza:
per che virtù dall'ombre dissepolto?
Vedo tra i cari visi uno più molto
caro: una mano a carezzarmi avvezza.

Dove, in qual colle, i bei rami d'ulivo
del presepio ricrebbero? Mi pare
ch'io li rivedo penduli sul mare
da lor clivi nativi. Il clivo è vivo

nel mio pensiero, come le persone
di quel tempo e le cose e le parole:
un ricordo così pieno di sole
che l'alta loggia se ne fa corone.

Sol di decembre sul mare velato:
un angelico mar come d'argento:
treman li agrumi nei giardini, al vento,
l'aroma ha il ritmo tepido d'un fiato.

Quel giorno è morto: come li altri è morto
e ancor sul colle ondeggiano li ulivi,
e ancor li agrumi odorano, nei vivi
soffi del vento, in questo orto, in quell'orto:

ancora il sole di decembre tepe
sull'angelico mare : e in mente ancora
il dolce viso mi si ricolora,
mi riodora l'antico presèpe.

(Da "Primavere del desiderio e dell'oblio")

Cosimo Giorgieri Contri

Cosimo Giorgieri Contri nacque a Lucca nel 1870 e morì a Viareggio il 14 febbraio 1943. Poeta, prosatore e drammaturgo, ebbe un discreto successo di pubblico per i suoi romanzi e per le sue poesie crepuscolari ante litteram. I suoi versi mostrano, oltre alle ricorrenti atmosfere malinconiche che lo avvicinano molto alla poetica di Gozzano e Corazzini, degli elementi riconducibili ad ambienti particolarmente raffinati ed eleganti; si notano inoltre chiare derivazioni dalla poesia di Gabriele D'Annunzio e dei poeti simbolisti franco-belgi. Il suo nome è oggi completamente ignorato, pur essendo evidente il peso che ebbe la sua poesia nella nascita del crepuscolarismo.

 

Un fatto al giorno

14 febbraio 1929: Strage di San Valentino. Al Capone stermina la banda rivale di Bugsy Moran.

“Dopo l’ennesima strage, Al Capone, detto “Il Napoletano” perché originario della Campania (Castellamare di Stabia), diventa il capo indiscusso di Chicago. Ora tutto il contrabbando e il traffico clandestino d’alcol è nelle sue mani. Gli italoamericani sono i padroni incontrastati della piazza e l’America proibizionista non è in grado di contrastare efficacemente la malavita dilagante.
L’azione decisiva, quella che gli conferirà il comando assoluto della malavita di Chicago, avviene il 14 febbraio 1929, quando cinque suoi uomini, travestiti da poliziotti, sorprendono sette appartenenti alla cosca rivale irlandese, capeggiata da George “Bugsy” Moran. Forti dell’autorità fornita loro dalla divisa li catturano, li portano in un garage al 2122 di North Clark Street e li uccidono tutti a colpi di mitra Thompson. Pare che su ogni corpo siano stati trovati non meno di cinquanta proiettili. Al Capone è in Florida dove deve deporre in un processo e può facilmente dimostrare la sua completa estraneità ai fatti di Chicago.
La carriera di Al Capone (1895-1947) terminerà qualche anno dopo, quando una squadra di agenti dell’FBI (gli "intoccabili"), guidata da Eliot Ness, riuscirà ad arrestarlo per evasione fiscale. Imprigionato nel penitenziario di San Francisco, sull’isola di Alcatraz, sarà liberato nel 1939 perché affetto da demenza, sorta a seguito della sifilide contratta anni prima. Trasferitosi a Miami in Florida, morirà per ictus nel 1947...”

Al Capone (1895-1947)

“Al Capone - detto "Il Napoletano" per le sue origini campane - e l'irlandese George "Bugs" Moran si contendevano il controllo della città e del mercato degli alcolici, ma con questa operazione la mafia italo-americana prese il sopravvento. Il commando mafioso fu guidato dall'autista e luogotenente di Capone, Sam Giancana, con al seguito altri quattro uomini. Come data venne scelto il 14 febbraio, giorno nel quale Capone si trovava a Miami, convocato da un giudice federale per un interrogatorio: questa circostanza avrebbe costituito per lui un alibi di ferro. Gli uomini di Capone si presentarono da quelli di Bugs travestiti da poliziotti: colti di sorpresa, questi ultimi si lasciarono disarmare e portare via.
Ma la destinazione che li attendeva non era una caserma, bensì un garage, dove vennero uccisi a colpi di mitragliatore; almeno cinquanta colpi sparati per ogni corpo. Frank Gusenberg, uno di loro, era ancora vivo all'arrivo della polizia, sebbene avesse molti proiettili in corpo: alla domanda chi gli avesse sparato, rispose "Nessuno mi ha sparato" e, tre ore dopo, morì. Per molti anni l'alibi di Al Capone resse, anche perché i pochi testimoni della scena videro dei poliziotti aggirarsi sul luogo della strage, e la tesi sposata fu a lungo quella di un'esecuzione di poliziotti corrotti che volevano mettere a tacere testimoni che sapevano troppo. Solo 40 anni dopo un vecchio gangster, Alvin Karpis, fece luce sui fatti.
Le vittime furono Peter Gusenberg, Frank Gusenberg, Adam Heyer, Albert Kachellek, Reinhardt Schwimmer, Albert Weinshank e John May. Bugs Moran fu il solo superstite, una vittima gli somigliava moltissimo e probabilmente fu uccisa al posto suo: egli invece fuggì e sparì per sempre. Al Capone rimase unico e incontrastato padrone di Chicago molto a lungo. L'episodio resta a tutt'oggi uno dei più cruenti regolamenti di conti della storia della malavita americana”.

(Wikipedia)

Immagini: Il massacro del giorno di San Valentino (The St. Valentine's Day Massacre). Un film di Roger Corman con Jean Hale, George Segal, Ralph Meeker, Jason Robards. 

 

Una frase al giorno

“Ai ragazzi e alle ragazze giovani, nel pieno dell'effervescenza sessuale, viene negato di sposarsi prima della maggiore età. Questo va contro la volontà delle leggi divine. Perché mai il matrimonio tra ragazzi e ragazze pubescenti dovrebbe essere proibito in base alla minore età, mentre è concesso loro di ascoltare la radio e musica sessualmente eccitante?”

(Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī, 24 settembre 1902 - Teheran, 3 giugno 1989)

Khomeynī fu un grande ayatollah (Āyatollāh al-ʿUẓma), capo spirituale e politico del suo Paese dal 1979 al 1989. Il suo governo fu ispirato alla religione islamica secondo un'ottica sciita duodecimana e fu impostato in ossequio a uno stretto approccio fondamentalista. Il regime da lui instaurato inaugurò in Iran una linea di potere che fu definita, in maniera approssimativa, "teocratica", e che sopravvive tuttora.

14 febbraio 1989: il leader iraniano Ruhollah Khomeini emette una fatwa contro Salman Rushdie, l'autore de I versetti satanici.

 

Un brano musicale al giorno

Io mi son giovinetta”, madrigale di Domenico Ferrabosco. Polifonia profana. Testo di Giovanni Boccaccio (1313 - 1375). Studio di Giovanni Vianini, Pro Musica Antiqua, Milano.

Famiglia Ferrabosco

Il 14 febbraio 1513 nasce Domenico Ferrabosco, morto nel 1573. Ferrabosco è il cognome di una famiglia di musicisti italiani i cui membri svilupparono la loro attività prima in Italia e, successivamente, in Inghilterra per tutto il XVI e XVII secolo. Domenico Ferrabosco fu un compositore e cantante italiano del Rinascimento e il musicista più anziano di questa grande famiglia di spicco di Bologna. Ha trascorso la sua carriera sia a Bologna che a Roma. La sua musica sopravvissuta è tutta vocale, composta da madrigali e mottetti, anche se è principalmente conosciuto per i suoi madrigali.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k