“L’amico del popolo”, 11 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

BRONENOSEC POTËMKIN (La corazzata Potëmkin, URSS, 1925), regia: Sergej Ejzenštejn. Sceneggiatura: Nina AgadžanovaŠutko, Sergej Ejzenštejn. Fotografia: Eduard Tissé. Musica: Edmund Meisel. Con: Aleksandr Antonov (marinaio Vakulincuk), Vladimir Barskij (comandante Golikov), Grigorij Aleksandrov (ufficiale Giljarovskij), Aleksandr Levšin, Andrej Fajt, Marusov (ufficiali), Zavitok (medico di bordo Smirnov), Michail Gomorov (marinaio nel comizio), Ivan Bobrov (marinaio recluta).

BRONENOSEC POTËMKIN (La corazzata Potëmkin, URSS, 1925), regia: Sergej EjzenštejnGiugno 1905. Tra l'equipaggio della corazzata russa Potëmkin regna un vivo malcontento a causa delle vessazioni cui sono sottoposti i marinai. Il malcontento si trasforma in ammutinamento, allorché il comandante ed il medico dell'unità rifiutano di accogliere le giuste proteste dei marinai per il rancio ricavato da cibi immangiabili. La corazzata raggiunge quindi il porto di Odessa, dove il gesto compiuto dai marinai si diffonde rapidamente tra la popolazione, provocando manifestazioni di plauso e di incoraggiamento. Ma l'intervento delle guardie imperiali reprime nel sangue l'entusiasmo della popolazione. Nel frattempo un'intera squadra navale della marina russa naviga verso la città sul Mar Nero per ricondurre all'ordine gli ammutinati del Potëmkin. Quando lo scontro sembra irreparabile, e la fine della corazzata prossima, gli equipaggi delle navi inseguitrici rifiutano di aprire il fuoco e la Potëmkin è salva.

“Il film si basa su un avvenimento storico realmente accaduto all'epoca della prima rivoluzione russa (1905): la rivolta dei marinai della corazzata Principe Potëmkin di Tauride ancorata nel Mar Nero. Il dramma è strutturato in cinque 'atti'.
1. Uomini e vermi: sulla nave regna il dispotico arbitrio degli ufficiali e i marinai si rifiutano di mangiare il boršč di carne putrefatta.
2. Il dramma nella baia di Tendra: per ristabilire l'ordine a bordo il comandante minaccia di fucilare alcuni uomini presi in ostaggio; il marinaio Vakulinčuk impedisce l'esecuzione, ma muore durante i disordini che si verificano quando l'equipaggio si sbarazza degli ufficiali.
3. Il morto invoca vendetta: gli abitanti di Odessa si radunano intorno alla tenda dove giace il corpo di Vakulničuk; le esequie si trasformano in un comizio di protesta contro l'assolutismo.
4. La scalinata di Odessa: i pescatori, a bordo delle loro barche, procurano vettovaglie ai rivoltosi; i civili, che accolgono i marinai sulla scalinata del porto, cadono vittime della feroce repressione cosacca.
5. L'incontro con la flotta zarista: per reprimere l'insurrezione della corazzata vengono inviate le navi della flotta del Mar Nero; ma i marinai delle unità navali e quelli della Potëmkin si rifiutano di sparare gli uni contro gli altri.

"Bronenosec Potëmkin - come affermò lo stesso Sergej Ejzenštejn - sembra un film di cronaca, ma colpisce come un dramma". Compimento della perfezione classica e dei principi di equilibrio preannunciati dal precedente Stačka, Bronenosec Potëmkin non ha racconto tradizionale né protagonisti dai connotati psicologici individuali: nelle situazioni operano 'eroi collettivi' che incarnano la forza della Rivoluzione (i marinai in rivolta), la Nazione/Popolazione pacifica (i solidali abitanti di Odessa) e il Regime dispotico (gli ufficiali, i soldati che puniscono la popolazione civile, la flotta zarista). Accuratamente selezionati, i 'tipi' (tanto gli attori quanto i non professionisti) raggiungono un livello di stilizzazione tale da rimandare immediatamente al loro referente sociale. Il montaggio delle immagini garantisce uno sviluppo intenso dell'azione, mostrata simultaneamente da più punti di vista, e conferisce allo spettacolo un ritmo musicale. I vari episodi in cui si suddivide il film rispettano l'unità di luogo, tempo e azione della vicenda, mentre all'interno di ogni 'atto' si compie il passaggio da una posizione a un'altra (dalla triste rassegnazione all'aperta difesa della dignità umana, dal rimpianto per la vittima alle manifestazioni di sdegno, dal panico prodotto dalla repressione alla protesta valorosa, fino ad arrivare al trionfo nel rifiuto dell'oppressione).

Il film non descrive soltanto il carattere democratico della rivoluzione del 1905, ma riflette le tendenze di pensiero di un momento storico (il 1925) in cui - dopo la rivoluzione del 1917, l'inasprimento della guerra civile tra il 1918 e il 1920 e le privazioni del 'comunismo di guerra' degli anni 1920-1922 - si attuò la 'nuova politica economica' e la società iniziò a nutrire speranze nella pace sociale. Sfidando i sospetti della censura (in molti paesi il film venne vietato o tagliato), Bronenosec Potëmkin non celebrava il colpo di stato bolscevico, ma riportava alla luce gli ideali di Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Il suo contenuto etico-sociale e la sua perfetta forma espressiva assicurarono al film un vasto successo di pubblico, un'accoglienza entusiasta da parte dei cineasti e della critica e lo statuto di capolavoro del cinema mondiale (appare immancabilmente negli elenchi dei dieci o venti migliori film mai realizzati).

L'estetica e la tecnica del film appartengono al culmine dell'avanguardia artistica novecentesca. Ejzenštejn fa dialogare le scoperte cinematografiche dei nuovi movimenti artistici e la tradizione classica. Nella 'sospensione analitica' delle riprese e nel 'montaggio sintetico' delle sequenze ritroviamo i principi del cubismo (il movimento del marinaio che, preso dalla collera, distrugge il piatto dell'ufficiale, scomposto in dodici inquadrature); la 'poesia delle macchine', propria del costruttivismo, è utilizzata come metafora (il crescendo dei motori della nave simboleggia le emozioni del 'cuore collettivo' dei marinai insorti); l'espressionismo, con le paure e i tormenti del Massenmensch, serve la visione realistica della sofferenza delle masse; mentre in alcune sequenze scioccanti Ejzenštejn arriva persino al surrealismo (la carne putrefatta vista come una sorta di 'paesaggio' della corruzione del paese). La struttura del film, diviso in cinque 'atti' - dall'evento traumatico iniziale alla catarsi - rimanda alla tragedia classica; Ejzenštejn ricorre inoltre a riferimenti biblici e motivi figurativi evangelici (la 'Pietà' nella celebre sequenza della madre che perde il figlio). Molte immagini del film sono entrate in un'ideale antologia cinematografica: il telone come lenzuolo funebre che ricopre i marinai presi in ostaggio; le nebbie che segnano l'inizio del 'pianto per Vakulinčuk'; la precipitosa discesa della carrozzina con il neonato lungo la scalinata di Odessa, massima espressione di innocenza e inconsapevolezza tra le vittime della repressione. La poetica del film e il suo significato teorico hanno svolto un ruolo importante nella formulazione del futuro linguaggio cinematografico; il film ha influenzato l'opera sia di cineasti (Dreyer, Buñuel, Hitchcock, Visconti, De Santis, Satyajit Ray, Godard), sia di artisti estranei al cinema (la musica di Šostakovič, la poesia di Brecht e di Neruda, la pittura di Francis Bacon).”

(Naum Kleiman - Enciclopedia del Cinema, 2004)

BRONENOSEC POTËMKIN (La corazzata Potëmkin, URSS, 1925), regia: Sergej Ejzenštejn

“È il film più famoso della storia del cinema e uno dei meno visti. Un film che nella Russia del 1925 celebrava la rivolta dei marinai e della città di Odessa avvenuta nel 1905. Un film che “emergeva dal mare” con l’impeto creativo di un regista di ventisette anni, Sergej Ejzenštejn, destinato a portare la rivoluzione nel linguaggio cinematografico. La corazzata Potëmkin è un richiamo alla necessità della ribellione quando la giustizia e la dignità sono calpestate, un alto grido umanista in nome della fratellanza. Scrostato da decenni di polvere critica, sottratto al luogo comune dell’invettiva fantozziana, il capolavoro di Ejzenštejn può levare l’ancora verso le nuove generazioni. Perché questo è un film di una bellezza pazzesca!”

(Il Cinema Ritrovato)

“In occasione del ventennale della rivoluzione del 1905, il Partito comunista autorizza la realizzazione di alcuni film celebrativi. A uno di questi lavora Nina Agadzanova, che raccoglie il materiale per sceneggiare otto episodi da riunire sotto il titolo 1905. Il progetto si rivela troppo macchinoso. Ejzenštejn comincia a girare l'episodio di Leningrado, partendo dalle fasi dello sciopero che paralizzò la città. Le riprese vanno per le lunghe, aumentano i dubbi sulla possibilità di racchiudere in un film solo episodi così disparati. Finalmente si decide di abbandonare il progetto e ci si concentra sulla storia dell'ammutinamento dell'equipaggio dell'incrociatore Potëmkin, a Odessa. Ci si rifà a documenti e cronache dell'epoca, si riscrive la sceneggiatura. C'è fretta, manca ormai poco alla fine del 1925. A ventisette anni, terminato il suo primo film (Stacka), Sergej Mikhailovic Ejzenštejn (Riga, 23 gennaio 1898 - Mosca, 10 febbraio 1948) si appresta a realizzare l'opera che lo consacrerà come il maggiore regista del cinema sovietico.
A bordo dell'incrociatore serpeggia il malcontento. Il marinaio Vakulincuk incita i compagni alla rivolta. Esasperati dal trattamento che ricevono, i marinai rifiutano di mangiare la carne putrida preparata per il rancio. Il comandante ordina l'adunata in coperta e chiede a chi è soddisfatto del vitto di farsi avanti. Solo alcuni - gli ufficiali, i sottufficiali, qualche marinaio - ubbidiscono. Gli altri protestano. Una parte di loro viene ammassata a poppa e coperta da un telone. Un plotone di esecuzione è pronto a sparare. Si dà l'ordine ma gli uomini abbassano le armi. È come il segnale della rivolta. Gli ufficiali sono ridotti all'impotenza. Il medico, che aveva dichiarato commestibile la carne, è gettato in mare. Vakulincuk lotta con l'ufficiale in seconda, che gli scarica addosso il fucile, uccidendolo.
Trasportata a terra, la salma del marinaio è deposta sul molo, sotto una tenda. Una folla sempre più grande scende al porto, per renderle omaggio. La rabbia esplode. Tutta Odessa accorre lontano applaude il Potëmkin, che ha issato l'albero una bandiera rossa. Un nugolo di barche e di vele muove verso la nave.
A un tratto, sulla scalinata dove s'è riunita la folla, un drappello di cosacchi avanza. Donne e uomini, vecchi e bambini cadono sotto i colpi soldati e sotto gli zoccoli dei cavalli. Il Potëmkin spara una salva contro la città. A bordo, un'assemblea decide di continuare l'azione. Si vorrebbe scendere a terra, ma si desiste. Una notte carica di tensione attende i marinai rivoluzionari. All'alba si annuncia che una squadra sta muovendo a tutto vapore contro l'incrociatore. Ci si dispone al combattimento. Il Potëmkin esce in mare aperto. Ma dalle altre navi non si spara nemmeno un colpo. “Fratelli”, si grida. L'incrociatore passa attraverso la squadra.
Bronenosetz Potëmkin è opera doppiamente innovatrice. Da una parte, nasce dalla sperimentazione che si era sviluppata attraverso le regíe teatrali di V. Mejerkhold ed era culminata nella distruzione dei modelli strutturali “borghesi” (la trama, considerata come falsificazione ideologica della realtà), per una più libera ricomposizione degli elementi scenici. Su questa strada si muoveva, del resto, anche la narrativa post-rivoluzionaria (ad esempio i Pilniak e gli Oleša).
Dall'altra, è frutto delle scelte del nuovo committente, lo Stato sovietico. Ribaltando il concetto di ideologia (non più intesa come “falsa coscienza” e mistificazione del processo storico, ma come sussidio e motore di una “presa di coscienza”), la teoria rivoluzionaria esigeva che il senso della storia venisse estratto dai fatti stessi, ricostruiti scientificamente sulle fonti (i documenti, le cronache), e che i fenomeni complessi della realtà fossero, per così dire, semplificati e sintetizzati nei loro fattori tipici.
Ejzenštejn riuscì a stringere in unità le due origini del progetto. E questo, sia grazie al momento storico favorevole (il periodo era quello della creatività rivoluzionaria del marx-leninismo, non ancora irrigidito in una ideologia di Stato che avrebbe trasformato l'azione della “presa di coscienza” in una “coscienza” predeterminata), sia grazie alla straordinaria acutezza analitica del procedimento tecnico (il montaggio come sintesi dialettica degli opposti, ossia nelle immagini a confronto). Il film è tutto esemplare in questo senso. Non vi è accensione lirica, nessun pathos rivoluzionario esteriore. Vi sono contrasti di situazioni e loro soluzioni in sintesi successive: il rifiuto della carne immangiabile, la minacciata fucilazione, la rivolta; l'omaggio alla salma di Vakulincuk, l'esplosione della rabbia popolare, le barche che accorrono verso il Potëmkin; il massacro sulla scalinata, la tensione a bordo, il passaggio indenne fra le navi della squadra imperiale.
Bronenosetz Potëmkin fu presentato, con enorme successo, al Teatro Bolšoj di Mosca, il 21 gennaio 1926”.

(Fernaldo Di Giammatteo, 100 film da salvare, Mondadori, 1978)

“La Potëmkin non è di quelle navi che si possano affondare con dei siluri. Ha levato l’ancora per sempre. Naviga. La sua scia contiene tutto”.

(Robert Desnos, 1927)

11 febbraio 1948 muore Sergei Eisenstein, Regista e sceneggiatore russo (nato nel 1898)

 

Una poesia al giorno

Der letzte Stern (L’ultima stella), di Else Lasker-Schüler

Mein silbernes Blicken rieselt durch die Leere,
Nie ahnte ich, daß das Leben hohl sei.
Auf meinem leichtesten Strahl
Gleite ich wie über Gewebe von Luft
Die Zeit rundauf, kugelab,
Unermüdlicher tanzte nie der Tanz.
Schlangenkühl schnellt der Atem der Winde,
Säulen aus blassen Ringen sich auf
Und zerfallen wieder.
Was soll das klanglose Luftgelüste,
Dieses Schwanken unter mir,
Wenn ich über die Lende der Zeit mich drehe.
Eine sanfte Farbe ist mein Bewegen
Und doch küßte nie das frische Auftagen,
Nicht das jubelnde Blühen eines Morgen mich.
Es naht der siebente Tag –
Und noch ist das Ende nicht erschaffen.
Tropfen an Tropfen erlöschen
Und reiben sich wieder,
In den Tiefen taumeln die Wasser
Und drängen hin und stürzen erdenab.
Wilde, schimmernde Rauscharme
Schäumen auf und verlieren sich,
Und wie alles drängt und sich engt
Ins letzte Bewegen.
Kürzer atmet die Zeit
Im Schoß der Zeitlosen.
Hohle Lüfte schleichen
Und erreichen das Ende nicht,
Und ein Punkt wird mein Tanz
In der Blindnis.

L’ultima stella

Il mio argenteo guardare stilla nel vuoto,
Mai presagii che la vita fosse cava.
Sul mio raggio più leggero
Scivolo come su trame d’aria
Il tempo in cerchio, a palla,
Instancabile la danza mai danzò.
Freddo serpente scatta il fiato dei venti,
Colonne di pallidi anelli salgono
E crollano di nuovo.
Che cos’è la silenziosa voglia d’aria,
Questa oscillazione sotto di me,
Quando io mi giro sopra i fianchi del tempo.
Un lieve colore è il mio movimento
Ma mai baciò il fresco albeggiare,
Mai l’esultante fiorire di un mattino me.
Si avvicina il settimo giorno -
E la fine non è ancora creata.
Gocce su gocce finiscono
E si sfregano di nuovo,
Nelle profondità barcollano le acque
E si accalcano là e cadono a terra.
Selvagge, scintillanti ebbre braccia
Schiumano e si perdono
E come tutto si accalca e si stringe
Nell’ultimo movimento.
Più breve respira il tempo
Nel grembo dei Senzatempo.
Arie vuote strisciano
E non raggiungono la fine,
E un punto diventa la mia danza
Nella cecità.

11 febbraio 1869 nasce Else Lasker-Schüler, poetessa e autrice tedesca (morta nel 1945)

Gottfried Benn, quando lei era già morta, ritrasse Else Lasker-Schüler in una memorabile pagina: “Era piccola, allora aveva l’esilità di un ragazzo e capelli neri come la pece, tagliati corti, cosa ancora rara a quel tempo, grandi occhi molto neri e molto mobili, con uno sguardo sfuggente e inesplicabile. Né allora né poi si poteva andare in giro con lei senza che tutti si fermassero a guardarla: gonne o pantaloni erano larghi e stravaganti, il resto dell’abbigliamento impossibile, collo e braccia coperti di vistosi gioielli falsi, catene, orecchini, anelli d’oro falso alle dita; e poiché era continuamente occupata a scostare dalla fronte i ciuffi di capelli, quegli anelli da donna di servizio - bisogna pur chiamarli così - erano sempre al centro degli sguardi di tutti. Non mangiava mai regolarmente, mangiava pochissimo, spesso viveva di noci e frutta per settimane.
Dormiva spesso sulle panchine, e fu sempre povera in tutte le situazioni e le fasi della sua vita... “era la più grande poetessa che la Germania avesse mai avuto”.

(trad. Luciano Zagari, Lo smalto sul nulla, Adelphi 1992).

“Secondo Schalom Ben-Chorin fu la più grande poetessa espressa dall'ebraismo, per Karl Kraus fu «il più forte e impervio fenomeno lirico della Germania moderna», e per Gottfried Benn Else Lasker-Schüler fu la più grande poetessa che la Germania avesse mai avuto”.

(Wikipedia)

Immagini:

L’11 febbraio 1869 nasce Else Lasker-Schüler, poetessa e autrice tedesca (morta nel 1945)

11 febbraio 1869 nasce Else Lasker-Schüler, poetessa e autrice tedesca (morta nel 1945)

 

Un fatto al giorno

11 febbraio 1919: Friedrich Ebert (SPD) è eletto Presidente della Germania.

Friedrich Ebert (Heidelberg, 4 febbraio 1871 - Berlino, 28 febbraio 1925) è stato un politico tedesco, primo Presidente della Repubblica di Weimar dall'11 febbraio 1919 al 28 febbraio 1925.

Di lui scrive la Treccani: “Ebert, Friedrich Politico tedesco (Heidelberg 1871-Berlino 1925). Membro del Partito socialdemocratico, deputato al Reichstag (1912), alla morte di A. Bebel (1913) E. fu a grande maggioranza eletto a succedergli quale capo del partito. Nel corso del primo conflitto mondiale, pur avendo votato con la maggioranza della SPD i crediti di guerra, disapprovò sempre più la politica imperiale, si mise in relazione con i socialisti stranieri e presiedette la delegazione tedesca al congresso socialista di Stoccolma. Nell’autunno del 1918 insistette per la partecipazione della SPD al governo dell’impero, entrando egli stesso nel gabinetto di M. Von Baden; il 9 novembre fu nominato cancelliere, e due giorni dopo presidente dei Volksbeauftragte (incaricati del popolo). La situazione era difficilissima, e forte era la pressione rivoluzionaria dei comunisti. E. la contrastò proclamando la Repubblica assieme a P. Scheidemann (9 novembre) e chiamando quest’ultimo alla presidenza del consiglio, mentre G. Noske domava la rivolta dei marinai di Kiel. Nel gennaio 1919 fu proprio l’asse E.-Scheidemann-Noske a promuovere la repressione dei moti spartachisti, con centinaia di vittime tra cui K. Liebknecht e R. Luxemburg. L’11 febbraio l’Assemblea nazionale di Weimar elesse E. presidente provvisorio del Reich, ed egli esercitò tale ruolo collocandosi su una posizione centrista rispetto agli attacchi dall’estrema destra e dall’estrema sinistra. Le difficoltà fra le quali si sarebbero dovute svolgere, nell’autunno del 1922, le elezioni presidenziali indussero la coalizione di governo a invitare E. a restare presidente fino al 1925. I partiti di destra, peraltro, non perdonarono mai a E. l’aver incoraggiato allo sciopero, nel gennaio del 1918, gli operai delle fabbriche di munizioni, e le reiterate accuse indussero il presidente a fare causa al giornalista Rothard. Il processo si svolse nell’autunno del 1924; il tribunale constatò che E. aveva preso parte alla direzione dello sciopero e condannò quindi il giornalista a una lieve pena per le ingiurie. La sentenza, rinfocolando le passioni politiche, suscitò grande clamore e provocò un’ondata di stima verso Ebert.”

“... La Germania, anche quella socialista, ha paura della rivoluzione, così la nascita del partito degli spartachisti (i comunisti), il 1° gennaio del '19, è vista con molta preoccupazione. Lo guidano Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che mirano ad una spontanea sollevazione della classe operaia. Una sollevazione che non ci sarà, nonostante scioperi e manifestazioni. L'alleanza tra socialdemocratici ed estrema destra è spietata. In un paio di settimane l'esercito entra in azione e il 15 gennaio Luxemburg e Liebknecht vengono uccisi da un gruppo paramilitare. Altri scioperi e timidi tentativi insurrezionali a Brema sono stroncati nei mesi successivi. Stessa cosa avviene in Baviera: il 28 febbraio viene assassinato a Monaco il governatore del lander, un noto esponente socialista indipendente, Kurt Eisners. In marzo il socialdemocratico Noske, incaricato del mantenimento dell'ordine, accetta l'aiuto piuttosto equivoco dei fanatici Freikorps, organizzazioni paramilitari di frettolosa costituzione composti di ex-ufficiali, disoccupati e giovani avventurieri smaniosi di uccidere. L'assassinio di Eisner innesca una serie di violenze in Baviera, seguite poi da uno sciopero generale e dalla proclamazione di una repubblica sovietica che viene a sua volta rovesciata alla fine di aprile e all'inizio di maggio con selvaggia brutalità dalle truppe governative. Una delle vittime è lo scrittore Gustav Landauer, comunista di nobile idealismo, picchiato a morte in prigione dai soldati.
La rivoluzione "fallita" e la frattura insanabile fra socialdemocratici e comunisti, saranno tra le cause che favoriranno indirettamente l'ascesa del nazismo. Il 19 gennaio 1919 si tiene una consultazione nazionale per l'elezione dei deputati all'Assemblea costituente che deve redigere la Costituzione e, nonostante il boicottaggio dei comunisti, più di trenta milioni di tedeschi vanno alle urne. Il partito socialdemocratico esce vincitore dalla consultazione e la neo-eletta Assemblea costituente esprime una maggioranza di fautori della democrazia borghese.
L'assemblea è inaugurata solennemente il 9 febbraio 1919 e due giorni più tardi elegge presidente Ebert che, a sua volta incarica il socialdemocratico Philipp Scheidemann di formare un governo. Il primo gabinetto è costituito con membri dei tre partiti maggioritari, socialdemocratici, cattolici di centro e democratici: la coalizione di Weimar.”

(Articolo completo in www.storiaxxisecolo.it)

 

Una frase al giorno

“Un Sacerdote che non è santo non solo è inutile ma riesce dannoso alla Chiesa”

(Papa Pio X)

Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riese il 2 giugno 1835 e morì a Roma il 20 agosto 1914; è stato il 257° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (1903-1914). Fu proclamato santo nel 1954.
Nel 1906 Papa Pio X pubblica l'enciclica Vehementer Nos.

Giuseppe Melchiorre Sarto, Papa Pio X, nacque a Riese il 2 giugno 1835 e morì a Roma il 20 agosto 1914

 

Un brano musicale al giorno

Aria “La dolce compagna” dal Demofoonte di Egidio Duni (1769)

Sopranista: Aris Christofellis
Ensemble: Academy of Ancient Music

Egidio Romualdo Duni (Matera 11 febbraio 1708 - Parigi 11 giugno 1775)

Egidio Romualdo Duni (Matera 11 febbraio 1708 - Parigi 11 giugno 1775) fu un compositore italiano che studiò a Napoli e lavorò in Italia, Francia e Londra, scrivendo sia opere italiane che francesi.

'Il Demofoonte', Dramma per musica del 1769. Libretto di Pietro Metastasio. Prima rappresentazione, Teatro di S. Benedetto, Venezia, 1769.

ATTO I, Scene XIV
Solo di Timante: 'La dolce compagna'

ARIA:
La dolce compagna
verdersi rapire,
udir che si lagna,
condotta a morire,
son smanie, son pene
che opprimono un cor.

Se ardire e speranza
dal Ciel non mi viene,
mi manca costanza
per tanto dolor

“Nessuna delle opere italiane del Duni ci è giunta per intero, anche se di alcune (ad esempio Nerone, Catone in Utica) restano ampi stralci. Ciò che resta rivela comunque un compositore ligio agli schemi formali dei suo tempo, seppure dotato di un'inventiva melodica ricca e varia. La sua fama è però naturalmente legata alle opere francesi, quasi tutte pubblicate a Parigi, e segnatamente al ruolo da lui svolto nella creazione del nuovo genere dell'opéra-comique, ruolo che è stato spesso paragonato a quello avuto un secolo prima dal fiorentino J. B. Lully nell'ambito della tragédie-lyrique.

... Il Duni d'altra parte seppe assecondare brillantemente questo nuovo tipo di spettacolo, nel quale le parti cantate acquistavano un peso assai maggiore, mediante l'apporto del caratteristico stile dell'opera buffa italiana, mirabilmente adattato alle esigenze della declamazione francese. Il suo successo è dovuto anche alla rapidità con cui seppe assimilare le varie correnti musicali esistenti in Francia all'epoca e istintivamente semplificare i complessi schemi dell'opera italiana. In questo processo di adattamento le esigenze del nuovo spettacolo e le aspettative del pubblico francese si sposarono felicemente con le qualità personali del Duni, che era dotato di un'inventiva melodica autentica ma di breve respiro, mentre d'altra parte la sua duttilità ritmica gli permetteva di adattare i dialogues tipici del genere all'andamento libero della prosa.”

(Treccani)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k