L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno VI. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
Z - L'ORGIA DEL POTERE (Algeria, Francia, 1969), regia di Costa-Gavras. Soggetto: Vasilīs Vasilikos. Sceneggiatura: Jorge Semprún, Vasilīs Vasilikos. Produttore Jacques Perrin, Ahmed Rachedi. Fotografia Raoul Coutard. Montaggio: Françoise Bonnot. Musiche Mikīs Theodōrakīs.
Cast
Yves Montand: il deputato. Irene Papas: Hélène, moglie del deputato. Jean-Louis Trintignant: giudice istruttore. Jacques Perrin: fotoreporter. Bernard Fresson: Matt, avvocato. Jean Bouise: Georges Pirou. Charles Denner: Manuel. François Périer: procuratore generale. Pierre Dux: generale della gendarmeria. Marcel Bozzuffi: Vigo. Renato Salvatori: Yago. Julien Guiomar: colonnello della gendarmeria. Magali Noël: sorella del supertestimone.
«Ogni somiglianza con avvenimenti reali, persone morte o vive non è casuale. È volontaria.» (Titoli di testa)
Il Generale, nuovo comandante della Gendarmeria nel nord di una nazione non precisata dell'Europa mediterranea, partecipa a un convegno d'agricoltura; in realtà parla della peronospora da estirpare per alludere al socialismo e al comunismo. Annuncia ai presenti che un importante esponente dell'opposizione parlamentare è atteso per la sera stessa in città, dove deve tenere un comizio pubblico. Gli organizzatori del meeting politico nel frattempo ricevono la disdetta dal proprietario della sala, che è stato evidentemente intimidito; inoltre una telefonata anonima li avverte che è in progetto di assassinare “il Dottore”, cioè il deputato atteso in città.
Il Deputato arriva e, avvertito dei contrattempi, si reca immediatamente dal Colonnello, capo della polizia cittadina, il quale conferma la revoca dell'autorizzazione al locale, anche se fino a poco prima vi si sono tenuti spettacoli aperti al pubblico. Consiglia l'utilizzo di una sala di proprietà dei sindacati degli impiegati, situata proprio di fronte all'albergo del Deputato. Gli organizzatori inviano simpatizzanti a distribuire volantini davanti alla sala disdettata, ma un gruppo di picchiatori armati di manganelli interviene e li disperde violentemente.
La sera stessa, la piazza tra l'albergo e la sala del comizio è presidiata da ingenti forze di polizia, che dovrebbero trattenere i numerosi provocatori che insultano i partecipanti al pacifico convegno; in realtà le forze dell'ordine non intervengono neppure quando gli scalmanati aggrediscono fisicamente i giovani che si recano all'appuntamento politico. Il Deputato esce dall'albergo e si avvia attraverso due ali di folla ostile; un giovane esce dalla massa e lo colpisce alla testa con un oggetto, lui riesce a raggiungere la sala del comizio. Malgrado sia dolorante alla testa, parla al pubblico pigiato nella sala. Gli altoparlanti diffondono il suo discorso anche all'esterno, dove nel frattempo è arrivato il capo della polizia. Un altro parlamentare dell'opposizione uscito dalla sala, Pirou, viene aggredito e manganellato; caricato su un'ambulanza in attesa, appena lasciata la piazza viene aggredito da diversi uomini su un tre-ruote. Viene colpito violentemente al capo finché uno degli aggressori si rende conto che non è il Deputato.
Il comizio è finito, il Deputato esce alla testa dei sostenitori. Per garantire l'incolumità agli spettatori chiama il capo della polizia, che però si nasconde tra gli agenti senza rispondergli. Il Deputato attraversa la piazza dove la polizia finge di contenere i provocatori, due dei quali escono dalle fila per aggredirlo; ma basta un'occhiata del parlamentare per farli indietreggiare. Improvvisamente il tre-ruote irrompe nello spazio libero e sfreccia vicino al Deputato, un uomo di nome Vigo dal retro del veicolo gli sferra un violento colpo di bastone al cranio. Il Deputato si accascia, sostenuto dai seguaci che riescono a caricarlo su un'auto e portarlo in ospedale. Uno dei suoi sostenitori è salito di corsa sul tre-ruote che si allontana in fretta. Ingaggiata una colluttazione con il manganellatore, riesce a gettarlo fuori ma il conducente, che si chiama Yago, scende a picchiarlo. Per fortuna ci sono testimoni, interviene un poliziotto che blocca Yago e chiama un cellulare della gendarmeria.
Appena termina il contemporaneo spettacolo delle ballerine del Teatro Bol'šoj, il Procuratore viene avvertito del grave incidente. Irritato perché teme che il governo addebiti a lui la responsabilità, si reca in ospedale dove il Deputato viene operato al cervello da un'équipe medica, poi chiede spiegazioni al capo della polizia. Il Colonnello gli mostra il colpevole, Yago, condotto alla centrale di polizia dopo il fermo. Il generale dell'esercito sostiene che guidava il tre-ruote in stato di ebbrezza e quindi si tratta di un incidente stradale. Il Procuratore incarica del caso il suo giovane sostituto.
I sostenitori dell'opposizione intanto si radunano fuori dall'ospedale dove è ricoverato il Deputato; giunge anche sua moglie Hélène in aereo. Lo stato maggiore dell'opposizione è incerto su cosa fare, qualcuno propende per la moderazione, altri vorrebbero lasciare che i sostenitori si scatenino. Il chirurgo dice a Hélène che ci sono buone speranze di successo per la terza operazione chirurgica che è in corso. Ma il parlamentare muore sotto i ferri, le manifestazioni di protesta dei giovani oppositori vengono brutalmente disperse dalla polizia. Il Sostituto Procuratore chiede l'autopsia di prassi, i medici rivelano che il decesso non è provocato da un trauma da caduta in terra bensì da un violento colpo di bastone o manganello sul cranio. Contemporaneamente un testimone chiama in Procura per rivelare che Yago aveva tutta l'intenzione di uccidere, ma viene manganellato da un uomo su un furgone e finisce in ospedale. Il Generale tenta di dimostrare che è stato sobillato dai sovversivi, ma il testimone rivela al Vice Procuratore che il mattino dell'incidente Yago gli confessò che avrebbe ucciso un uomo in cambio dell'estinzione del debito per il suo autoveicolo.
Un reporter sorprende Vigo mentre cerca di entrare nella stanza d'ospedale del testimone, il giudice gli fa confessare con l'astuzia di essere membro di un'organizzazione di estrema destra denominata C.R.O.C. (Combattenti Realisti dell'Occidente Cristiano). Lo stesso reporter contatta un altro membro dell'organizzazione di nome Dumas che lo porta in giro a fotografare di nascosto i compagni del C.R.O.C., poi consegna le foto al magistrato, che li convoca uno per uno. Adesso il giudice comincia a credere all'ipotesi di omicidio. Il deputato Pirou riconosce dalle foto il picchiatore che l'ha colpito mandandolo all'ospedale, il giudice lo torchia costringendolo a confessare. Gli avvocati dell'opposizione accompagnano dal giudice un testimone di nome Elia Kostas, che riferisce una conversazione con Yago il giorno dell'omicidio, e riconosce nel Colonnello comandante della polizia l'uomo con cui si è incontrato il picchiatore. Si scopre inoltre che il guidatore dell'auto che ha portato il Deputato all'ospedale, si pensa perché transitasse per caso, è l'autista del Generale della gendarmeria.
Dalla capitale arriva il Procuratore Generale dello Stato per invitare il magistrato inquirente a non mettere in pericolo la sicurezza del paese con la sua indagine, ma il Vice Procuratore non si fa intimorire: oltre ai due esecutori materiali, incrimina due alti ufficiali della polizia, il Colonnello comandante e anche il Generale della gendarmeria. Malgrado questa mole schiacciante di prove, dopo un processo in cui ben sette testimoni muoiono in incidenti sospetti, gli imputati vengono condannati a pene lievi; il Governo si dimette travolto dallo scandalo, le opposizioni si organizzano per affrontare le elezioni nelle quali sono favorite; ma una settimana prima delle votazioni, un colpo di Stato militare porta alla dittatura. Sullo schermo scorre come epilogo una scritta:
«Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trockij, scioperare, la libertà sindacale, Lurçat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l'ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l'enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostoevskij, Čechov, Gorkij e tutti i russi, il "chi è?", la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, la lettera "Ζ" che vuol dire "è vivo" in greco antico.»
“Fenomenologia del potere. Come si manifesta, come esercita la sua influenza, come si insinua nella società civile, come può risultare comunque vittorioso. L’episodio storico alla base del film è l’assassinio del deputato socialista greco Gregoris Lambrakis nel 1963. Il romanzo, che si ispira a questi fatti realmente accaduti e che ha rappresentato l’asse portante della sceneggiatura, è Z di Vassilis Vassilikos pubblicato nel 1966. Costa Gavras riesce ad equilibrare la tensione del thriller politico con la necessità di ristabilire la verità degli eventi e il principio di giustizia. Un deputato (Yves Montand) socialista e pacifista viene ucciso alla fine di un comizio da estremisti di destra segretamente appoggiati dalle forze governative. Un giudice istruttore probo (Jean-Louis Trintignant) prova a ricostruire gli avvenimenti per individuare colpevoli e mandanti ostacolato dal procuratore (Francois Perier) e dal generale (Pierre Dux).
Costa-Gavras fa di tutto per tenere desta l’attenzione dello spettatore: utilizza un montaggio serrato e alternato, fa parlare tutti i personaggi con un tono elevato di voce trasmettendo un senso crescente di concitazione e sottolinea i passaggi importanti con le musiche ansiogene di Mikis Theodorakis (a quel tempo vittima del regime dei colonnelli).
Influenzato dal cinema di denuncia di Rosi (Le mani sulla città), Pontecorvo (La battaglia di Algeri) e Petri (A ciascuno il suo), Costa-Gavras scende all’interno dei meccanismi di una società malata in cui il potere ha contaminato tutti gli apparati infiltrandoli: la stampa, la televisione e le forze dell’ordine sono dei burattini nelle mani del partito della Gendarmeria che accomuna la peronospora al comunismo, come una malattia da estirpare. In questi regimi la falsificazione della verità è ad uso propagandistico: il fotografo (Jacques Perrin anche produttore del film) e la moglie (Irene Papas) del deputato si scontrano contro il mostro burocratico e contro il muro di gomma delle forze reazionarie governative.
Costa-Gavras spinge sia il pedale della tensione (la magnifica scena del doppio attentato, gli interrogatori del giudice istruttore, le fotografie rubate nei vicoli di Algeri), sia quello del grottesco (i generali che sbagliano porta, gli attentatori che sbagliano deputato, la confusione negli uffici giudiziari e nelle redazioni dei giornali) riuscendo contemporaneamente ad avvincere e a fare indignare.
Ai tempi il film divise letteralmente in due la critica: i detrattori contestarono il meccanismo spettacolare accusando il film di non essere divisivo rimanendo troppo in superficie; i sostenitori ne apprezzarono i meccanismi della indagine investigativa che si riferiva indirettamente a fatti politici. A distanza di cinquant’anni tiene bene tutta la parte grottesca con la eliminazione sistematica dei testimoni e l’interferenza nei meccanismi giudiziari applicabile ad ogni violazione dei diritti democratici in qualsiasi paese del mondo. Risultano invece datati certi flashback amorosi (quelli tra Irene Papas e Yves Montand) e qualche figura un po’ caricaturale come quelle di Yago (Renato Salvatori) e il pedofilo Vigo (Marcel Bozzuffi). Il finale del film non è consolatorio: nonostante i grandi sforzi per ristabilire il principio di giustizia la salita al potere dei colonnelli ribalta tutte le posizioni di forza e si deve ripartire da zero. Ma l’impegno civile e la correttezza morale sono le pietre miliari per combattere tutti i fascismi.
Premio della giuria a Cannes, vincitore del Golden Globe e dell’Oscar come miglior film straniero, Z - L’orgia del potere è cinema di denuncia che anche a distanza di tempo non ha perso la sua forza eversiva. La lista di proscrizione finale con tutti i divieti dei militari ricorda come le forze reazionarie agiscono primariamente come movimenti populisti anti culturali, intolleranti e razzisti.
«Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trockij, scioperare, la libertà sindacale, Lurçat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l’enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostoevskij, Čechov, Gorkij e tutti i russi, il “chi è?”, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, la lettera “Ζ” che vuol dire “è vivo” in greco antico».
Il film ha ricevuto:
- Premio Oscar come miglior film straniero.
- Premio Oscar per il miglior montaggio (Françoise Bonnot)
- Premio della giuria al 22° Festival di Cannes
- Palma per il miglior attore a Jean-Louis Trintignant al 22° Festival di Cannes”
(Fabio Fulfaro in www.sentieriselvaggi.it)
- Il film: Z - L'ORGIA DEL POTERE
Un regista: “Costa-Gavras, Constantin, nome d'arte di Konstantinos Gavras, regista cinematografico greco, naturalizzato francese, nato a Loutra Iraias (Atene) il 12 febbraio 1933. Si è imposto come autore a livello internazionale con Z (1969; Z - L'orgia del potere), film politico, ma anche spettacolare e d'effetto, che nel 1969 ha vinto un premio della giuria al Festival di Cannes e nel 1970 l'Oscar per il miglior film straniero. Ha continuato a lavorare per un cinema di denuncia e d'impegno, in particolare con Missing (1982; Missing - Scomparso), premiato con la Palma d'oro al Festival di Cannes e per la cui sceneggiatura Costa-Gravas ha vinto l'Oscar nel 1983, e con Music box (1989; Music box - Prova d'accusa), premiato nel 1990 con l'Orso d'oro al Festival di Berlino, riuscendo a richiamare l'interesse del grande pubblico su temi scottanti con film di grande onestà civile che hanno però la struttura e il ritmo dei thriller.
Dalla madre ricevette un'educazione religiosa greco-ortodossa, ma fu il padre, originario di Odessa (Ucraina) e militante nella Resistenza durante la Seconda guerra mondiale, a influire sulla sua vocazione di cineasta di thriller politici. A causa delle idee del padre, funzionario ministeriale sospettato di essere comunista e più volte arrestato, il giovane Costa-Gavras non poté iscriversi all'università e si vide negato il visto per gli Stati Uniti. Cosicché nel 1949 si trasferì a Parigi, dove in seguito avrebbe ottenuto la cittadinanza francese (1956) e sposato la giornalista Michèle Ray.
Conseguita la laurea in lettere alla Sorbonne, studiò cinema all'IDHEC. Dopo alcune esperienze giornalistiche e un apprendistato come assistente regista (tra gli altri di René Clair, Jacques Demy e René Clément), esordì nel 1965 con un solido noir, Compartiment tueurs (Vagone letto per assassini), tratto da un romanzo poliziesco di S. Japrisot e prodotto grazie all'appoggio degli amici Yves Montand e Simone Signoret, che ne furono protagonisti. Un homme de trop (1967; Il 13° uomo), ambientato durante l'occupazione nazista, fu poco apprezzato dalla critica, ma Costa-Gavras stava già mettendo a punto quel suo modo peculiare di coniugare impegno e cinema spettacolare che, con Z, gli avrebbe assicurato il successo internazionale.
Concepito all'indomani del colpo di stato dei colonnelli in Grecia (aprile 1967), Z si ispira al romanzo di V. Vassilikos sull'affare Lambrakis, un professore universitario e deputato di sinistra morto nel 1963 investito da un'auto. Sull'incidente, non certo casuale, si aprì un'inchiesta, ma il processo si risolse in un nulla di fatto. Il film stentò a trovare finanziamenti e venne realizzato grazie al coraggioso appoggio dell'attore Jacques Perrin, interprete di questo e dei precedenti lavori del regista. Nella sceneggiatura, scritta con Jorge Semprún, Costa-Gavras mascherò i fatti cambiando i nomi dei personaggi e ambientando la vicenda in un immaginario Paese mediterraneo, ma la significativa dicitura iniziale suggeriva che "ogni riferimento a fatti reali e persone morte [era] volontario". Per l'appassionato spirito civile e la tesa suspense, sottolineata dalla musica di Mikis Theodorakis (in quel momento chiuso nelle prigioni greche), Z conquistò il pubblico di tutto il mondo, ottenendo numerosi riconoscimenti.
Di nuovo con Semprún, Costa-Gavras realizzò L'aveu (1970; La confessione), ancora ispirato a uno scottante caso politico, ma di segno ideologico opposto: quello dell'ebreo comunista Arthur London, viceministro cecoslovacco degli Esteri, che nel 1951 era stato arrestato, processato e condannato all'ergastolo da un tribunale stalinista. Scritto con la collaborazione dello stesso London (in seguito riabilitato) e girato diciotto mesi dopo l'invasione sovietica di Praga, L'aveu rappresentò per il regista, per Semprún e gli interpreti, Yves Montand e Simone Signoret, una sorta di lacerante ripensamento sulla propria militanza comunista: Costa-Gavras infranse il tabù secondo cui criticare la sinistra significava fare il gioco della destra e l'accoglienza entusiasta al film dimostrò che i tempi erano ormai maturi. Con État de siège (1973; L'amerikano), ancora una volta in coppia con Semprún, Costa-Gavras completò l'ideale trilogia iniziata con Z raccontando (sempre ispirandosi alla cronaca) il rapimento di un funzionario della CIA a Montevideo da parte dei Tupamaros. Il film venne accolto con riserve: molti critici reputarono che Yves Montand nel ruolo del cattivo fosse poco credibile e che le riflessioni sulla lotta di liberazione nel Terzo mondo appesantissero l'azione senza arricchire lo spessore della storia. Le stesse debolezze furono riscontrate in Section spéciale (1975; L'affare della sezione speciale), in cui Costa-Gavras condannava il regime di Vichy. L'insuccesso del film bloccò il regista per quattro anni, inducendolo a cambiare momentaneamente registro con Clair de femme (1979; Chiaro di donna), dramma intimista interpretato ancora da Yves Montand e da Romy Schneider.
Dopo un nuovo, lungo periodo di inattività, sono stati gli studi hollywoodiani a offrire a Costa-Gavras nel 1982 l'occasione di un rilancio di carriera, affidandogli la regia di Missing, denuncia delle responsabilità statunitensi nella dittatura cilena del dopo Allende, presentata attraverso la vicenda di un padre (Jack Lemmon) che in America Latina cerca di rintracciare il figlio misteriosamente scomparso. Il connubio fra impegno e mélo non risulta invece sufficientemente equilibrato nel successivo film americano di Costa-Gavras, Hanna K. (1983), in cui un'avvocatessa ebrea (Jill Clayburgh) cade in crisi di identità dopo aver assunto la difesa di un palestinese accusato di terrorismo. Nominato presidente della Cinémathèque française nel 1982, Costa-Gavras si è dedicato con passione a riorganizzarne le attività. Durante i cinque anni in cui è stato a capo dello storico istituto, ha girato Conseil de famille (1986; Consiglio di famiglia), una piccola commedia sulle contraddizioni interne della borghesia. Lasciato l'incarico alla Cinémathèque, Costa-Gavras ha realizzato Betrayed (1988; Tradita), requisitoria contro gli orrori del Ku Klux Klan, e l'anno successivo il più convincente Music box, dramma giudiziario in cui un'avvocatessa (Jessica Lange) assume la difesa del padre (Armin Müller-Stahl), esule ungherese accusato di crimini di guerra perpetrati in quanto membro delle milizie ungheresi filonaziste, scoprendo un inquietante passato con cui dovrà confrontarsi. Meno felici sono apparsi La petite apocalypse (1993; La piccola apocalisse), satira degli errori e delle debolezze della sinistra europea, girata all'indomani della caduta del muro di Berlino, e Mad city (1997; Mad city - Assalto alla notizia), denuncia delle mistificazioni dell'universo mediatico. Con Amen (2002), ispirato al testo teatrale Der Stellvertreter di Rolf Hochhuth, ha affrontato, con il consueto piglio civile, la spinosa questione dei rapporti tra papa Pio XII e il regime nazista a proposito dell'Olocausto.”
(Alessandra Levantesi - Enciclopedia del Cinema, 2003)
Ultimi titoli: Cacciatore di teste (Le Couperet) (2005). Verso l'Eden (Eden à l'Ouest) (2009). Le Capital (2012). Adults in the Room (2019).
Una poesia al giorno
Wo du geliebt wirst, di Elli Michler
Wo du geliebt wirst,
kannst du getrost alle Masken ablegen,
darfst du dich frei und ganz offen bewegen.
Wo du geliebt wirst,
zählst du nicht nur als Artist,
wo du geliebt wirst,
darfst du so sein, wie du bist.
Wo du geliebt wirst,
musst du nicht immer nur lachen,
darfst du es wagen, auch traurig zu sein.
Wo du geliebt wirst,
darfst du auch Fehler machen
und du bist trotzdem nicht hässlich und klein.
Wo du geliebt wirst,
darfst du auch Schwächen zeigen
oder den fehlenden Mut,
brauchst du die Ängste nicht zu verschweigen,
wie das der Furchtsame tut.
Wo du geliebt wirst,
darfst du auch Sehnsüchte haben,
manchmal ein Träumender sein,
und für Versäumnisse, fehlende Gaben
räumt man dir mildernde Umstände ein.
Wo du geliebt wirst,
brauchst du nicht ständig zu fragen
nach dem vermeintlichen Preis.
Du wirst von der Liebe getragen
wenn auch unmerklich und leis.
Dove sei amato (Traduzione di Ugo Brusaporco)
Dove sei amato
puoi tranquillamente togliere tutte le maschere,
puoi muoverti liberamente e apertamente.
Dove sei amato,
non conti solo come artista,
dove sei amato,
ti è permesso essere quello che sei.
Dove sei amato,
non devi sempre ridere,
Hai il coraggio di essere anche tu triste.
Dove sei amato,
ti è permesso commettere errori
e tu non sei ancora brutta e piccola.
Dove sei amato,
puoi anche mostrare punti deboli
o mancanza di coraggio,
non hai bisogno di nascondere le tue paure,
come fanno i timidi.
Dove sei amato,
puoi anche avere desideri,
a volte essere sognatore
e per omissioni, regali mancanti
ti sono concesse circostanze attenuanti.
Dove sei amato,
non devi continuare a chiedere
secondo il prezzo supposto.
Sei portato dall'amore
anche se impercettibilmente e silenziosamente.
“Elli Michler (Würzburg, 12 febbraio 1923 - Heilbronn, 18 novembre 2014) poetessa tedesca.
Suo padre ha svolto una professione commerciale. Dopo che la scuola conventuale che frequentava fu sciolta dal nazionalsocialismo, completò l'obbligo sociale. Poco dopo l'inizio della seconda guerra mondiale, fu arruolata in un'associazione industriale di Würzburg. Anni dopo, si offrì volontaria per aiutare a ricostruire l'università di Würzburg. Durante questo periodo conobbe il suo futuro marito, e riprese gli studi a Würzburg. Lo sposò tre anni dopo, dopo aver completato gli studi in economia. Dopo la nascita di una figlia, la famiglia si trasferì in Assia per lavoro e infine a Bad Homburg vor der Höhe.
Nel marzo 2010, Elli Michler ha ricevuto la Croce al merito per il suo lavoro lirico. Nella dichiarazione del Presidente federale si afferma: "Il premio è da considerare come un ringraziamento e un incentivo per il sostegno che dai a molti lettori della tua poesia attraverso il tuo modo di affermare la vita"”
(In wikipedia.org)
Un fatto al giorno
12 febbraio1944: il piroscafo Oria, con a bordo circa 4200 soldati italiani prigionieri dei nazisti, naufraga nei pressi dell'isola di Patroklou in Grecia. Si salvano in 37.
“Piroscafo Oria, la peggior tragedia del Mediterraneo: morirono 4.200 soldati internati italiani. Il 12 febbraio 1944 la più grande sciagura marittima dimenticata del Mediterraneo e una delle più grandi nella storia del mare: affogarono nostri militari che non aderirono alla Rsi.
Erano esattamente settantasette anni fa. La data è quella del 12 febbraio 1944. La più grave sciagura marittima del Mediterraneo. Che riguardò i nostri soldati, quelli che tra l’altro si opposero al nazifascismo e che per questo stavano per essere internati negli stalag in Germania. Le vittime nelle acque lungo la rotta tra Rodi e Atene, davanti all’isola di Patroklos, furono 4.200, numero impreciso (qui il ricordo di pochestorie.corriere.it) che comprende anche il personale dell’equipaggio norvegese, dei marinai greci e alcune decine di soldati tedeschi di scorta agli italiani. Una tragedia letteralmente dimenticata, come a lungo è stata dimenticata la scelta di Resistenza che fecero circa 600.000 fanti in grigioverde, bersaglieri, carabinieri e alpini che rifiutarono di aderire alla Rsi e che per questo motivo patirono due anni di sofferenze indicibili nei campi di internamento, del tutto simili a quelli di sterminio con i quali, in molti casi, confinavano le baracche. In 60.000 non fecero ritorno, morti di fame, stenti e fatica, malattie. Torturati atrocemente, fucilati, gassati assieme ai deportati ebrei. Oggi (venerdì) a ricordare le vittime di quel giorno è stata una messa a San Giovanni Rotondo, in Puglia, nei pressi del sacrario in cui riposano i pochi corpi recuperati. Domenica si svolgerà, in Grecia, un’altra cerimonia. Verranno deposte due corone, una dall’ambasciatrice Patrizia Falcinelli, l’altra dal sindaco di Saronikos - nell’Attica - Petros Philippou. Un trombettiere greco intonerà il Silenzio. Il blog dedicato alla tragedia è un pezzo della nostra Memoria. I curatori portano avanti una ricerca monumentale, cercando ricordi dei soldati, contattando le famiglie. Una della pagine contiene circa 300 foto delle vittime. L’ultima è stata aggiunta proprio venerdì, ed è l’immagine del soldato Nello Giachè, di Filottrano. Impressionante, guardare quei volti e leggerne le età: comprese, nella maggior parte dei casi, tra i 20 e i 25 anni.
Lo status di questi soldati era quello di internati, non militari prigionieri e nemmeno civili detenuti. Un «limbo» appositamente umiliante, che li privava delle tutele della convenzione di Ginevra e degli aiuti della Croce Rossa, architettato dai nazisti per punire gli ex alleati che si erano ribellati dopo l’8 settembre. Quella dell’Oria è una tragedia tra le più orribili persa nelle tante di quei sette anni di guerra. I nostri perirono affogando a bordo di una carretta del mare. Probabilmente restarono ore sommersi sott’acqua andandosene uno dopo l’altro come accadde ai marinai della corazzata Arizona che ancora oggi, a Pearl Harbour, giace sul fondo con i corpi mai estratti. Sul quel che resta del relitto dell’Oria dei sommozzatori italiani hanno posato qualche anno fa un Tricolore. E come nella tradizione marinara, è considerato un Sacrario.
La nave di 2000 tonnellate, varata nel 1920, requisita dai tedeschi, salpò l’11 febbraio 1944 da Rodi alle 17,40 per il Pireo. A bordo le migliaia di prigionieri italiani - si legge nel sito che racconta la tragedia - che si erano rifiutati di aderire al nazismo o alla RSI dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943: poi novanta tedeschi di guardia o di passaggio e l’equipaggio d norvegese e alcuni greci. L’indomani, 12 febbraio, colto da una tempesta, il piroscafo affondò presso Capo Sounion, a 25 miglia dalla destinazione finale, dopo essersi incagliato nei bassi fondali prospicienti l’isola di Patroklos. I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni meteo, consentirono di salvare solo 37 italiani, sei tedeschi, un greco, cinque uomini dell’equipaggio, incluso il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina.
L’Oria era stipata all’inverosimile, aveva anche un carico di bidoni di olio minerale e gomme da camion oltre ai nostri soldati che dovevano essere trasferiti come forza lavoro nei lager del Terzo Reich. Nel 1955 il relitto fu smembrato dai palombari greci per recuperare il ferro, mentre i cadaveri di circa 250 naufraghi, trascinati sulla costa dal fortunale e sepolti in fosse comuni, furono traslati, in seguito, nei piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari. I resti di tutti gli altri sono ancora là sotto.
La testimonianza dell’artigliere
La tragedia si consumò in pochi minuti ed è stata ignorata per decenni. Eppure si sapeva per filo e per segno come fossero andate le cose. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti, come quella del sergente di artiglieria Giuseppe Guarisco, che il 27 ottobre 1946 ha redatto di proprio pugno per la Direzione generale del ministero un resoconto lucido del naufragio: «Dopo l’urto della nave contro lo scoglio - scrisse Guarisco - venni gettato per terra e quando potei rialzarmi un’ondata fortissima mi spinse in un localetto situato a prua della nave, sullo stesso piano della coperta, la cui porta si chiuse. In detto locale c’era ancora la luce accesa e vidi che vi erano altri sei militari. Dopo poco la luce si spense e l’acqua iniziò ad entrare con maggior violenza. Salimmo in una specie di armadio per restare all’asciutto, di tanto in tanto mettevo un piede in basso per vedere il livello dell’acqua. Passammo la notte pregando col terrore che tutto si inabissasse in fondo al mare».
«Le ore passavano ma nessuno veniva in nostro soccorso»
All’indomani, nel silenzio spettrale della tragedia, «i sette riuscirono - continua Guarisco - a smontare il vetro dell’oblò, ma non ad uscire da quell’anfratto, perché il buco era troppo stretto. Le ore passavano ma nessuno veniva in nostro soccorso (…). Uno di noi, sfruttando il momento che la porta rimaneva aperta, si gettò oltre essa per trovare qualche via d’uscita e dopo un’attesa che ci parve eterna lo vedemmo chiamarci al di sopra del finestrino. Ci disse allora che era passato attraverso uno squarcio appena sott’acqua. Un altro compagno, pur essendo stato da me dissuaso, volle tentare l’uscita ma non lo rivedemmo più. I naufraghi rimasero due giorni e mezzo rinchiusi là dentro prima dell’arrivo dei soccorsi dal Pireo. Quello che era riuscito ad uscire ci disse che dove eravamo noi, all’estremità della prua, era l’unica parte della nave rimasta fuori dall’acqua e che intorno non si vedeva nessuno all’infuori degli aerei che continuavano a incrociarsi nel cielo e ai quali faceva segnali. Poco dopo si accostò una barca con due marinai; essi dissero che erano italiani, dell’equipaggio di un rimorchiatore requisito dai tedeschi. Ci dissero di stare calmi che presto ci avrebbero liberati. Ma sopraggiunse l’oscurità e dovemmo passare un’altra nottata più tremenda forse della prima». Dei pochi sopravvissuti dell’Oria più nessuno è rimasto in vita. Le spoglie di molti dei nostri stanno ancora nelle acque del Mediterraneo. Oppure seppelliti in tombe comuni di cui non si sa più nulla. Nei giorni e nelle settimane successive all’inabissamento i loro corpi continuavano a riaffiorare raggiungendo le coste di Patroklos e venivano tumulati in prossimità delle spiagge.
(Il colossale lavoro di recupero di volti e storie di chi era bordo dell’Oria viene condotto da una trentina di appassionati - citiamone alcuni: Michele Ghiradelli, Salvatore Rossetti, Barbara Antonini, Salvatore Criniti - che gravita attorno al sito online. Molto della Memoria ritrovata, ci tengono a dire, viene da un gesto del presidente Sergio Mattarella che nel corso di un viaggio in Grecia decise una visita non programmata al sacrario di Patroklos.
Oggi i familiari delle vittime contattano il gruppo, forniscono documenti, fogli matricolari, foto. E il sito aggiunge questi ricordi. A un sommozzatore greco, Aristotelis Zervoudis, si deve la localizzazione del relitto. Avvertito da alcuni pescatori che al largo di Patroklos le loro reti tiravano su gavette, elmetti, ossa, teschi, decise di approfondire. Dopo immersioni e studi, comprese che si trattava dell’Oria: è un cittadino benemerito anche per la nostra Repubblica che lo ha omaggiato. Quella spiaggia a Patroklos viene chiamata da chi vive nei pressi «la spiaggia delle gavette».)”
(Alessandro Fulloni in www.corriere.it)
Una frase al giorno
“(…) Il racconto dei giorni trascorsi nei lager non solo rende giustizia ai martiri che ne fecero esperienza, non solo mi permise di riacquistare un’identità celata ormai da più di cinquant’anni, ma parla anche alla coscienza di ogni possibile lettore. È un inno alla forza della vita. Ogni pagina è percorsa sì da profonda e struggente pietà per l’uomo umiliato, ridotto a numero, a ‘pezzo’ di un’orrenda catena di montaggio, ma non lascia spazio all’incredulità ed all’indifferenza, è un lucido ricordo di una vita dominata dal silenzio che diventa testimonianza di un passato, anche italiano, da non rimuovere”
(Elisa Springer, Vienna 12 febbraio 1918 - Matera 2004, scrittrice austriaca naturalizzata italiana, superstite dell'olocausto)
“Di famiglia ebraica di origine ungherese, dopo che, con l’annessione dell’Austria alla Germania, i suoi genitori e i suoi familiari furono catturati e deportati, nel 1940 Elisa Springer scappò in Italia. A Milano, città nella quale lavorava come traduttrice, è stata arrestata nel 1944 e deportata ad Auschwitz dove le venne tatuato il numero di matricola A-24020. È stata trasferita poi nel campo di concentramento di Bergen Belsen nel quale ha conosciuto Anna Frank e poi a Terezin, e lì nel 1945 è stata liberata. Dal 1946 è tornata in Italia e ha vissuto per gran parte della sua vita a Manduria, in provincia di Taranto. Per cinquant’anni ha portato con sé i ricordi di quegli orrori per paura di non essere capita o peggio creduta, ma nel 1997 ha avuto il coraggio di condividere la sua esperienza di sopravvissuta nel libro Il silenzio dei vivi. All'ombra di Auschwitz, un racconto di morte e di resurrezione, per lei una seconda liberazione. Da allora ha iniziato l’attività di divulgazione, soprattutto tra i giovani, della sua storia di perseguitata, convinta che il ricordo di una della pagine più buie dell’umanità potesse portare alla diffusione di quei valori in cui aveva sempre creduto, come la solidarietà e la tolleranza, uniche armi contro l’odio, la barbarie e l’indifferenza. Dagli incontri avuti con le giovani generazioni sperando di indirizzarle con il suo esempio a una scelta di pace e fratellanza, nel 2003 è nato il secondo libro L'eco del silenzio. La Shoah raccontata ai giovani. La testimonianza di S. è riportata anche nel documentario Memoria (1997) di R. Gabbai.”
(In www.treccani.it)
- Immagini: Elisa Springer
- Un film documentario: Memoria, regia di Ruggero Gabbai. Autori: Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto, Produzione: Forma International, Italia, 1997. Durata: 90' (col). Sottotitoli in inglese.
"Memoria" è un documento storico assolutamente unico, che raccoglie le testimonianze dei deportati ebrei italiani ad Auschwitz. 90 interviste, realizzate da Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto negli anni '90, agli ultimi sopravvissuti della deportazione. Un racconto dalla viva voce di chi ha vissuto tutte le fasi della Shoah italiana; il ricordo di chi ha provato sulla propria persona la follia della storia e ne porterà il segno per sempre.
Un brano musicale al giorno
Daniele Bertotto (1947 - 2007) O dulcissimum puerum (2006) per coro a 4 voci, flauto, 2 clarinetti, fagotto, arpa, organo e archi
Registrato a Saluzzo, 8 aprile 2006 (chiesa di S. Giovanni)
- Coro e Ensemble Strumentale dell'Accademia Musicale Ruggero Maghini
- Direttore: Claudio Chiavazza
- Violino 1: Fation Hoxholli
- Violino 2: Teodora Gapik
- Viola: Flobens Zyma
- Violoncello: Francesca Villa
- Contrabbasso: Franco Feruglio
- Flauto: Alessandra Masoero
- Clarinetto: Diego Losero
- Clarinetto basso: Sergio Delmastro
- Fagotto: Alberto Brondello
- Arpa: Gabriella Bosio
- Organo: Maurizio Fornero
Daniele Bertotto (Torino, 12 febbraio 1947 - Avigliana, 31 maggio 2007) è stato un compositore italiano.
Allievo dei maestri G. Ferrari e R. Maghini, è stato maestro sostituto del Teatro Regio (Torino) nel 1976 e docente di Composizione al conservatorio Giuseppe Verdi di Torino dal 1985 al 2007. Fra i suoi vasti interessi musicali, citiamo l'attenzione riservata alla musica popolare piemontese, con un ciclo di concerti in veste di pianista dedicati alle raccolte di Leone Sinigaglia. Preparò lui stesso degli adattamenti per coro a quattro voci di canzoni popolari piemontesi. Le prime esecuzioni di sue composizioni sono state spesso proposte in importanti festival di musica contemporanea.
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
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Ugo Brusaporco
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