“L’amico del popolo”, 20 gennaio 2022

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno VI. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

IL CASANOVA DI FEDERICO FELLINI (Italia, 1976), regia di Federico Fellini. Soggetto: Federico Fellini, tratto da Histoire de ma vie di Giacomo Casanova. Sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi. Produttore: Alberto Grimaldi. Fotografia: Giuseppe Rotunno. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Musiche: Nino Rota. Cast: Donald Sutherland, Giacomo Casanova. Tina Aumont, Henriette. Cicely Browne, marchesa Durfé. Carmen Scarpitta, signora Charpillon. Clara Algranti, Marcolina. Daniela Gatti, Giselda. Margareth Clémenti, suor Maddalena. Olimpia Carlisi, Isabella. Silvana Fusacchia, sorella di Isabella. Chesty Morgan, Barberina. Leda Lojodice, bambola meccanica. Sandy Allen, Angelina, la gigantessa. Clarissa Mary Roll, Annamaria. Daniel Emilfork-Berenstein, marchese Du Bois. Luigi Zerbinati, papa. Hans van de Hoek, principe Del Brando. Dudley Sutton, duca di Wuertemberg. John Karlsen, lord Talou. Reggie Nalder, Faulkircher. Mario Cencelli, dottor Moebius. Mary Marquet, madre di Casanova.

A Venezia si celebra, in presenza del doge, l’apertura del carnevale con il volo dell’angelo e il tentativo di far emergere dal Canal Grande una gigantesca effigie del capo della dea Luna. L'operazione fallisce con la caduta del busto nell’acqua, segno di cattivo auspicio. Al di fuori del tripudio carnevalesco, Giacomo Casanova riceve una lettera con l’invito di suor Maddalena a recarsi presso la villetta dell’ambasciatore francese a Venezia all’interno della quale i due amanti si esibiscono in una sorta di danza rituale caratterizzata da una coreografia abbastanza complessa fino ad arrivare all’amplesso vero e proprio, molto simile ad un esercizio ginnico. Scandito dal ritmo di un carillon con la forma di un uccello meccanico, che Casanova porta sempre con sé, l’incontro avviene sotto lo sguardo dell’ambasciatore, amante della suora, nascosto dietro una parete. Prima di congedarsi, Casanova si raccomanda al padrone di casa per ottenere un impiego in Francia. Di ritorno dalla sua avventura con suor Maddalena, Casanova viene arrestato e processato dal tribunale dell'Inquisizione con diverse accuse, tra le quali l’esercizio della magia nera. Condotto in carcere, rievoca l’incontro con Annamaria, giovane operaia di una sartoria, anemica, spesso soggetta a svenimenti. Una volta evaso dal carcere dei Piombi, Casanova lascia Venezia per dirigersi a Parigi dove frequenta il salotto della marchesa Durfé, estimatrice di arti esoteriche. L’attempata marchesa, convinta che Casanova sia a conoscenza del segreto della pietra filosofale, gli chiede di essere fecondata al fine di rinascere in un uomo che vivrà per sempre. L’ospite veneziano esegue con la marchesa un rito d’iniziazione al sesso con la complicità di Marcolina, già compagna di suo fratello, un ex abate (rivisto casualmente in seguito a un incidente in carrozza). Due anni dopo, a Forlì, Casanova accetta di fare da protettore ad Enrichetta, una ragazza francese che solitamente si traveste con abiti maschili, amante di un capitano ungherese più anziano di lei. Entrambi ospiti nella lussuosa residenza del marchese Du Bois, definito “un eccentrico galantuomo dagli incerti confini amorosi”, assistono a un’operina in cui si esibisce lo stesso Du Bois. La partenza improvvisa di Enrichetta lascia Casanova in uno stato di totale disperazione. A Londra, dopo un furioso litigio avvenuto all’ interno di una carrozza con la sua giovane sposa Charpillion e la relativa madre, Casanova si ritrova abbandonato per strada e tenta il suicidio immergendosi nelle acque del fiume Tamigi, fin quando non gli appare la figura di una donna enorme accompagnata da due nani che desta la sua curiosità. Quindi scopre l'esistenza di un circo itinerante di cui la gigantessa è un’attrazione. Dopo aver reso visita al papa, Casanova si reca alla festa organizzata a Roma dall'ambasciatore inglese Lord Talou che propone una sfida tra lo stesso Casanova e il cocchiere del principe Del Brando, Righetto, anche lui noto per le non consuete prodezze amatorie. Dapprima riluttante, Casanova, persuaso dagli elogi di una nobildonna inglese, accetta la sfida che si trasforma in un confronto tra due esibizioni ginniche in cui ciascuno degli sfidanti è impegnato a possedere due partner scelte tra gli ospiti della festa. La scelta di Casanova cade su Romana, definita “la più bella delle modelle di Roma”, mentre la nobildonna si offre spontaneamente a fare da partner per Righetto. La sfida si svolge alla presenza di una folla esultante e pronta a scommettere. Alla fine Casanova, fortemente stremato, viene dichiarato vincitore e portato in trionfo dalla folla. A Berna, in Svizzera, Casanova s’invaghisce di Isabella, figlia dell’entomologo Moebius, alla quale chiede di seguirlo nel suo viaggio verso Dresda. All’indomani, Casanova si ritrova ad aspettare invano l’arrivo di Isabella all’interno di una locanda di Dresda dove è coinvolto in una movimentata e iperbolica orgia con la cantante Astrodi e la gobba Susanna a cui si uniscono gli altri ospiti. Al teatro dell’Opera di Dresda, Casanova assiste all’esibizione di una compagnia di cui fa parte la cantante Astrodi. Alla fine dello spettacolo, in un teatro ormai vuoto, scorge nei loggioni una figura familiare che lo chiama sussurrandone il nome; così Casanova incontra, dopo diversi anni, sua madre che vive a Dresda con una pensione di 400 talleri, grazie all’interessamento del principe. Casanova le promette di andare a farle visita ma, al momento del congedo, si accorge di non averle chiesto nemmeno l'indirizzo della sua attuale abitazione. Nel castello del duca di Württemberg, dove si reca in cerca di un impiego diplomatico, Casanova è attratto da Rosalba, una bambola meccanica con le fattezze di una giovane donna. Al termine di una danza rituale, Casanova adagia la bambola su un letto a baldacchino e ha con questa un rapporto amoroso dove l’estasi e la soddisfazione dell'avventuriero veneziano si contrappongono alla freddezza della gestualità della sua partner meccanica.

Casanova, oramai anziano, ricopre la carica di bibliotecario in Boemia presso il castello Dux, di proprietà del conte Waldstein, lamentandosi quotidianamente del trattamento subito dal personale del castello, in particolare dal maggiordomo Faulkircher e dal suo intimo amico Vidarol. Alla fine ciò che gli resta è ritirarsi nella sua stanza a sognare di rincorrere i fantasmi del passato e a immaginare un ultimo ballo con Rosalba, la bambola meccanica.

“Vado a trovare Federico Fellini, al teatro di Cinecittà dove sta girando il suo Casanova. Mi fa incontrare Donald Sutherland, tutto vestito di seta verde scura e nera, con il volto addirittura modificato nel senso della lunghezza e verticalità, elegantissimo e vampiresco; mi mostra una grande tavola imbandita per un banchetto veneziano, con trofei di frutta di plastica e affreschi popolati di gobbi femmine e maschi, quindi mi fa vedere una sequenza con una gigantessa alta due metri e cinquanta: si apparta finalmente con me e facciamo una lunga chiacchierata su Casanova. Secondo Fellini dunque, Casanova è una "mazzancolla", cioè un crostaceo corazzato di scaglie sociali, fuori, e molliccio come un cencio, dentro; è un "mostruoso neonato mai stato bambino né adulto": è il "vuoto fatto di persona"; è "un archivista della propria vita"; è "un figlio della controriforma che crede di essere un ribelle e non lo è"; è "un insetto degno di essere studiato da Fabre". Sempre secondo Fellini, lui fa il Casanova soltanto perché ha firmato il contratto prim'ancora di leggere le Memorie e avendole poi lette con noia infinita, si è trovato nella triste necessità di dover fare onore alla propria firma. A questo punto ci domandiamo: la firma del contratto è il solo motivo per cui Fellini affronta il personaggio di Casanova o ce ne sono altri che lui stesso, magari, ignora? In altri termini, quali sono i motivi per cui Fellini, come un artista del nostro più "tecnico" Rinascimento, ha deciso di risolvere il problema, appunto, tecnico di un personaggio che non ama e, dunque, non c'è'? Noi crediamo che Fellini sia sincero; ma pensiamo che ci sono almeno quattro validi motivi, per lui, di fare il Casanova. Eccoli. In primo luogo, Casanova è un personaggio eminentemente sociale, per giunta appartenuto alla società più numerosa. più articolata, più estesa che ci sia mai stata al mondo. Ora Fellini è il nostro registra che ha maggiore sensibilità per il fatto sociale, come è dimostrato dal film La dolce vita e Amarcord nei quali sono rappresentati coralmente due momenti storici del nostro paese, come Satyricon nel quale è tentata la sintesi figurativa di un'intera civiltà, come Roma in cui è affrontato il tema di una grande città e della suo ideologia. Sì, Casanova, come dice Fellini, forse non esiste ma non esiste proprio perché è un personaggio così rappresentativo: non è un vitellone di provincia, è "il" vitellone di provincia; non è un uomo del Settecento, è "il" Settecento: non è un seduttore, è "il" seduttore ... Il secondo motivo è che Casanova, per Fellini è un mostro, anzi è perfino un mostro tra i mostri, in quanto non soltanto è mostruoso ma si dimostra capace di vivere da mostro, con successo, tutta la sua lunga vita, come non avviene mai a nessun mostro. Per Fellini, uomo d'ordine curioso dì ogni disordine, Casanova, mostro tra i mostri, è, insomma un'affascinante eccezioni a tutte le regole. E' un mostro di fisicità totale, privo non soltanto di coscienza ma anche di una qualsiasi intimità esistenziale; l, cui mostruosità, peraltro consiste soprattutto nell'essersela cavata lo stesso benissimo Terzo motivo: Casanova, per Fellini, è quel rebus che per gli intellettuali italiani è l'italiano tipico o che tale è reputato. L'Italia È la sola nazione al mondo nella quale sia capovolta la solita proporzione tra spettatori e attori. Di solito, in tutti i paesi, poche centinaia di intellettuali recitano sul palcoscenico nazionale per un pubblico di milioni d loro concittadini non intellettuali. In Italia invece, poche centinaia di intellettuali assistono alla recita continua e imperterrita di milioni di loro concittadini non intellettuali. Casanova per Fellini, è un tipico esemplare di questo popolo di attori.

Cosa recitano, da sempre, i milioni di Casanova per la platea dei pochi intellettuali? Essi fingono con se stessi, via via, di essere liberali, fascisti, democristiani, di essere religiosi, patriottici, ideologici, di essere sportivi, colti, bellicosi, di essere bambini, giovani, vecchi, e così via. Mentre, in realtà non sono nulla di tutto questo: lo sa soltanto il diavolo quello che sono. E il diavolo, maliziosamente se interrogato, confermerebbe: "Lo vedete cosa sono, sono attori". Fellini è dunque l'intellettuale italiano insieme affascinato e spaventato della perpetua recita dei suoi compatrioti. Quarto motivo: Casanova affascina Fellini perché è sessualmente privo di problemi. Si sa o almeno si sente che Fellini, tra i due grandi sistemi conoscitivi che ci ha regalato l'Ottocento, il marxismo e la psicanalisi, preferisce di gran lunga quest'ultima. Si sa infatti, o meglio si sente che Fellini, individualista e personalistico, ritiene che la psicanalisi, in qualche modo ha ricuperato l'individuo attraverso la vita interiore. Casanova così vitale nonostante la sua mancanza completa di vita interiore (come dire qualcuno che sia privo dello stomaco e dell'intestino) smentisce la psicanalisi. E non serve dire che, come la lotta di classe comincia ad esistere soltanto quando le classi prendono coscienza di lottare così l'inconscio, comincia ad esistere soltanto quando si prende coscienza della sua esistenza. Non serve dire insomma, che Casanova non ha colpa di essere nato tanto prima di Freud. Egualmente Fellini sente che nella sessualità di Casanova c'è qualche cosa "che non va".”

(Alberto Moravia, L'Espresso, 7 dicembre 1975)

 

“Il personaggio storico di Giacomo Casanova è certamente vittima della cattiva (o buona) fama dell'attitudine di cui è eponimo. La sua vera identità viene infatti confusa dai luoghi comuni di cui si circonda la leggenda. Riprendere e riproporre questo personaggio oggi, in una epoca che per la sua permissività si potrebbe prendere il lusso di capirlo meglio di quanto non sia avvenuto in passato, vorrebbe dire anche compiere un'opera storico-filologica non immeritevole. Ma certamente non si può chiedere a Fellini di avere la tempra del filologo. Il Casanova dì Fellini non può essere visto come opera di ristrutturazione storica del suo protagonista. Il quale invece risulta, nella rievocazione felliniana, personaggio immerso nella dimensione della fantasia e nel magma autobiografico del suo autore. Diciamo allora che Fellini ha usato il personaggio di Casanova come pretesto. Come pretesto alla proiezione e alla interpretazione di una certa versione del maschilismo contemporaneo, nella figura di uno dei personaggi che ne emblematizzano la genesi. Rappresentare Casanova, cioè, per spiegare se stesso e il proprio rapporto con la realtà. Certo il procedimento è un po' contorto: spiegarsi attraverso l'interpretazione di un brano di storia può essere legittimo sul lettino dello psicoanalista, forse un po' meno in un film che presuppone la testimonianza di centinaia di migliaia di spettatori. Ma poiché è sempre abile nello sfruttare il dominio dell'immaginario per tessere ragnatele dì garantito effetto spettacolare, gli si concede anche il diritto di buttare lì una confessione su Casanova, con un film che, come tanti suoi altri, si svolge in un'atmosfera perennemente onirica. Tanto più che l'intento di Fellini va teoricamente al di là dello strettamente personale. Il successo che ha sempre avuto Fellini è legato anche al fatto che le sue fantasie rappresentano abbastanza bene una parte consistente del bagaglio ideologico della sua generazione. Il suo difetto, la ragione per la quale Fellini non piace a chi non piace, è quello di non selezionare nel coacervo degli stimoli fantastici generazionali e di essersi eletto un po' troppo acriticamente a campione (in senso statistico) di una generazione che è piena di contraddizioni, come portatrice del trauma di essere maturata a cavallo dell'ultima guerra, a cavallo del passaggio dell'Italia dal fascismo al post-fascismo. Ma tornando al tema, nell'atmosfera onirica del suo ultimo film si muove un Casanova che Fellini vede inquieto e inconsapevole protagonista di episodi che documentano più un'epoca che un personaggio. Casanova passa infatti attraverso le sue avventure, o meglio attraverso quelle che Fellini rievoca, quasi come uno spettatore stupito e non come il protagonista o il memorialista che le vive in prima persona. Questa caratteristica di un Casanova che subisce i fatti e di conseguenza subisce anche la propria leggenda è, oltre che elemento di stupore, il segno originalmente più felliniano del ritratto. E rafforza l'impressione che sotto i panni del Casanova storico Fellini abbia messo un esploratore moderno. In questo personaggio riaffiora quella forma di scetticismo egoistico con cui Fellini guarda alla condizione umana e che è stato la matrice di altri suoi precedenti film. Ma questa caratteristica finisce per conferire al personaggio di Casanova, che assiste con stupita meraviglia al proprio passare nella storia, alle sue avventure un po' incontrollate, e alla creazione della propria fama, un'impronta di marcato narcisismo. Per la verità una dose di narcisismo è stata attribuita da talune indagini psicologiche alla figura di Casanova. Ma in questi studi il narcisismo dell'avventuriero veneziano del '700 è stato presupposto come movente della sua singolare ansia di conquistatore di donne, e per individuare psicologicamente le tendenze "casanoviane" presenti nel comportamento maschile attuale. Nel settecento, infatti, la promiscuità dei sessi non doveva essere un comportamento tanto eccezionale. Casanova ne ha fatto solo argomento di propalazione, forse perché aveva il gusto dell'esibizionismo o perché era un estroverso vanitoso. Perciò conosciamo le sue avventure galanti meglio e più dettagliatamente di quelle di tanti altri suoi contemporanei. Ed allora il ritratto di Fellini può non coincidere con la realtà storica. Casanova, al contrario di ciò che risulta dalla interpretazione felliniana, doveva essere un avventuriero ben consapevole, avveduto, molto abile e assai esperto conoscitore del proprio tempo per passare nel suo secolo con i risultati che si sanno. Fellini invece ce lo presenta piuttosto stupito e vissuto dalle sue avventure col risultato di aggiungergli alcune frustrazioni tipicamente d'oggi, che servono allo spettatore per riconoscersi e per paragonarsi a lui.

Ci sarebbe da dire qualcosa delle donne del film, ma sono apparizioni talmente episodiche ed evanescenti che non riescono a definirsi in un’autentica autonomia di personaggi. Sono accessori dell'ambientazione e della scenografia: sono un complemento dell'idea felliniana di Casanova, e proprio in quanto complemento rafforzano l'interpretazione della figura del protagonista in chiave narcisistica.

Stilisticamente, Il Casanova di Fellini è l'ultimo e più elaborato prodotto della fellinilità, un modo di concepire il cinema come spettacolo fantasioso, dominato dagli slanci istintivi più che dalla razionalità comunicativa; ma l'accettazione o il rifiuto di questo stile è solo una questione di gusto individuale. Personalmente allora, mi sembra che gli sforzi di immaginazione siano qui sproporzionati al risultato. Perché se non mancano momenti in cui l'espressione cinematografica raggiunge punte di notevole fascino lirico, come nella scena del teatro di Dresda, ce ne sono altri dove lo spettatore, incalzato dalla prodigalità immaginativa del regista, riesce a districarsi con fatica nel tumulto delle provocazioni visive, come nella scena iniziale del carnevale di Venezia.”

(Carlo Felice Venegoni, Cinema sessanta, n. 114-115, 1977)

 

 

Un regista: 20 gennaio 1920 nasce Federico Fellini (Rimini 1920 - Roma 1993), regista, sceneggiatore e fumettista italiano. Regista tra i più significativi della storia del cinema, che ha attraversato con tratti di indiscutibile ed esemplare leggerezza, grandissimo orchestratore di immagini, di visioni e di ritmi narrativi, si è rivelato maestro nel dare corpo alla passione di sogno che invade lo schermo cinematografico, dove i confini dell'immaginazione vanno a coincidere con quelli della realtà senza tuttavia mai essere condizionati da questa. Premiato con cinque premi Oscar: nel 1957 per La strada (1954), nel 1958 per Le notti di Cabiria (1957), nel 1964 per 8 ¹/² (1963), nel 1976 per Amarcord (1973) e nel 1993 con un Oscar alla carriera.

VITA E OPERE

Dapprima giornalista e disegnatore umoristico, poi sceneggiatore (in collab.: Roma città aperta, 1945; Paisà, 1946; Senza pietà, 1947; In nome della legge, 1949; Il mulino del Po, 1949; Francesco giullare di Dio, 1950; Il cammino della speranza, 1950; Il brigante di Tacca del Lupo, 1952; Europa 51, 1952), esordì nella regia nel 1950 dirigendo, in collaborazione con A. Lattuada, Luci del varietà.

Con Lo sceicco bianco (1952), I vitelloni (1953) e soprattutto La strada (1954) e Il bidone (1955), che gli procurarono un ampio successo internazionale, Fellini dava un suo originale contributo allo svolgimento del neorealismo; le inedite soluzioni espressive, le suggestioni oniriche e le ossessioni autobiografiche, presenti in questi film, sono il primo annuncio del formarsi di quell'universo immaginario, destinato a diventare proverbiale e inconfondibile, di cui sarebbero stati eloquente testimonianza Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1959), cronaca insuperata dell'Italia alle soglie degli anni Sessanta, 8 e 1/2 (1963), Giulietta degli spiriti (1965), Fellini Satyricon (1969), I clowns (1970), Roma (1972) e Amarcord (1973), forse l'apogeo dell'autobiografismo felliniano, della sua memoria favolosa e rivelatrice: film nei quali il diffuso e ambiguo erotismo e il gusto del meraviglioso, la persistenza di una quasi ancestrale appartenenza alla provincia e l'attenzione ai cambiamenti della società, l'inclinazione alla satira e la costante riflessione del cinema su se stesso costituiscono in ugual misura gli elementi di una poetica tra le più coerenti e originali del cinema contemporaneo.

Con le opere successive (Il Casanova di Federico Fellini, 1976; Prova d'orchestra, 1979; La città delle donne, 1979; E la nave va, 1983; Ginger e Fred, 1986; Intervista, 1987; La voce della luna, 1990) le allegorie del presente si fanno più angosciate, e si accentua la tendenza del racconto all'apologo e dello stile a un certo manierismo.

Nel 2019-2020, nella ricorrenza del centenario della nascita, al regista è stata dedicata la mostra Fellini 100. Genio immortale, allestita presso Castel Sismondo di Rimini. Nel 2021 è stato inaugurato a Rimini il Fellini Museum, articolato su tre siti, Castel Sismondo, Piazza Malatesta e Palazzo del Fulgor, dedicato al regista. Premio Oscar alla carriera nel 1993.”

(In www.treccani.it)

 

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Una poesia al giorno

Salmo 5, di Ernesto Cardenal (traduzione: Antonio Melis)

Ascolta le mie parole Signore
Odi i miei gemiti

Ascolta la mia protesta
Perché tu non sei un Dio amico dei dittatori
o sostenitore della loro politica
e non ti influenza la propaganda
e non sei in società con il gangster

Non c’è sincerità nei loro discorsi
o nelle loro conferenze stampa

Parlano di pace nei loro discorsi
mentre aumentano la loro produzione bellica
Parlano di pace nelle Conferenze di Pace
e in segreto si preparano per la guerra

Le loro radio bugiarde ruggiscono tutta la notte

le loro scrivanie sono piene di piani criminali
e di pratiche sinistre
Ma tu mi salverai dai loro piani

Parlano con la bocca delle mitragliatrici
Le loro lingue luccicanti
sono le baionette…
castigali o dio
fai fallire la loro politica
confondi i loro memorandum
impedisci i loro programmi.

Nell’ora della Sirena d’Allarme
tu sarai con me
tu sarai il mio rifugio il giorno della Bomba

Chi non crede nella menzogna dei loro annunci commerciali
e nelle loro campagne pubblicitarie e nelle loro campagne politiche

tu lo benedici
Lo circondi con il tuo amore
come con carri armati

(1964)
 

“Era il gennaio del 1975 quando, leggendo una sua intervista, seppi dell’esistenza del poeta Ernesto Cardenal e della sua comunità nell’arcipelago di Solentiname nel Gran Lago del Nicaragua. L’intervista mi colpì profondamente, perché per me le sue idee e opere rappresentavano una sorta di sintesi delle aspirazioni di molti giovani cristiani che come me erano figli sia del ’68 che di Woodstock.

In quelle righe Ernesto trapelava una fede profonda, un misticismo cosmico, ma allo stesso tempo una profonda decisione a contribuire come cristiano alla liberazione del suo amato Nicaragua dal giogo della dittatura dinastica dei Somoza ed alla costruzione di una società giusta. Inoltre affermava chiaramente che la poesia e l’arte in tutte e sue espressioni erano cosostanziali agli essere umani. A distanza di anni potrei affermare senza indugi che per Ernesto Cardenal la caratteristica più genuina dell’essere umano è la sua capacità di creazione artistica, in primis della poesia.

Decisi che volevo conoscere quell’esperienza. Gli scrissi. Mi disse che potevo andare a trovarlo. Vi arrivai nel marzo del 1976. Da allora sono diventato solentinamegno ed ho vissuto in Nicaragua la maggior parte della mia vita.

Per quanto riguarda la fede, Ernesto Cardenal era un mistico. In alcune sue poesie, scritti e interviste parla di come il 2 giugno del 1956 ebbe un’esperienza mistica totalizzante. Lui stesso affermava di essere stato posseduto da Dio, che da allora la sua vita si era trasformata e aveva deciso di farsi monaco trappista. Così dal 1959 al 1960 fu novizio nel Monastero Trappista di Gethsemani in Kentucky (USA) ed ebbe il sublime Thomas Merton come maestro di novizi. Per ragioni di salute fu costretto a lasciare la trappa dopo solo due anni. Se ne andò, ma con sé portò la missione, indicatagli dallo stesso Merton, di creare una comunità di contemplazione in qualche posto remoto del Nicaragua.

Fu così che nel 1966 fondò con due seminaristi colombiani la Comunità contemplativa di “Nuestra Señora de Solentiname” nell’omonimo arcipelago sito nel Gran Lago del Nicaragua.

Ben presto la Comunità, alla luce delle folate di dirompente ottimismo che generò la Conferenza di Medellín dei Vescovi Latinoamericani del 1968, si trasformò in una Comunità di “cristiani per il socialismo”, come si diceva allora.

Quando vi arrivai il nucleo della Comunità, cioè le persone che vivevano con lui nei due ranchos che fungevano da dormitori, erano otto. Elbis, Laureano ed Alejandro, tre giovani contadini originari del luogo, che poi furono rispettivamente un martire, un eroe ed un distaccato dirigente della Rivoluzione Sandinista, decisero di essere i suoi novizi ed abitavano nel suo stesso rancho. Nell’altro rancho viveva William (uno dei due seminaristi colombiani) che nel frattempo aveva sposato Teresa con cui aveva avuto due figli, Juan ed Irene. Inoltre c’era un bungalow prefabbricato in legno con la funzione di casa per gli ospiti. In questa foresteria c’erano perennemente ospiti delle più varie nazionalità. Soprattutto artisti come scrittori, pittori e cantanti; ma anche sacerdoti, agronomi e ragazzi che come me credevano in un cristianesimo catalizzatore di solidarietà e giustizia.

C’era poi un gruppo di ragazzi e ragazze dell’arcipelago che erano coinvolti dalla Comunità del poeta in moltissime attività, soprattutto nei laboratori che si promuovevano per cercare opzioni di economia locale: artigianato in legno di balsa, tessitura, ceramica, pittura naïve, ecc. Alcuni di questi giovani costituirono addirittura una vera e propria cooperativa agricola, cosa impensabile ed ancora meno realizzabile nel Nicaragua dei Somoza.

Il terzo “cerchio” della Comunità era tutta la popolazione delle 36 isolette. Circa mille abitanti che ogni domenica si riunivano nella cappella, che Ernesto ed i suoi compagni di Comunità avevano ricostruito e decorato copiando disegni di bambini semplici e vivaci. Questi tre ambiti della Comunità di Ernesto Cardenal non erano gerarchici. Erano solo diversi contesti di lavoro. Infatti i colloqui di esegesi del Vangelo domenicale che Ernesto realizzava con contadini, pescatori ed artigiani, uomini e donne, giovani e non di Solentiname erano una vera scuola di teologia della liberazione. A tal punto che quei commenti furono raccolti in due tomi intitolati “Il Vangelo di Solentiname”.

Ernesto era perciò un mistico di grandissima fede ed allo stesso tempo un cristiano che incarnava la convivialità e l’attenzione per i poveri che il Nazzareno ci ha insegnato molto chiaramente, ma che spesso rimane sepolta da tradizioni, riti e conformismo.

Tutta la sua poesia, ovvero il suo sentire, pensare ed agire, almeno dopo essere stato amato da Dio, è una continua interlocuzione fra una fede cosmica che contempla l’immensità di Dio e la piccolezza dell’essere umano, fra le meraviglie dell’universo e della vita, la partecipazione attiva alla liberazione del Nicaragua e la vita quotidiana a Solentiname.

Dirigeva la Comunità, partecipava attivamente alla politica, commentava la parola di Dio, studiava sempre, ma soprattutto creava. Non solo scriveva poesie assiduamente, ma era anche un rinomato scultore. Le sue sculture stilizzate di animali e piante sono la chiara materializzazione del suo costante stupore nei confronti della bellezza intrinseca delle creazione. Colgono, nell’essenza, le forme e i colori delle creature e le materializzano come una lode ad alta voce al creato, fatta di duro legno tropicale e dipinta con vernice da carrozziere.

Cardenal fu perciò anche maestro di artisti e promotore artistico. A Solentiname ideò i laboratori di poesia con gli abitanti del luogo; laboratori che poi furono diffusi da lui stesso in tutto il Nicaragua, insieme ai laboratori di pittura primitivista, quando fu ministro della Cultura del Governo Sandinista negli anni ’80.

Oltre all’impegno politico e culturale, negli ultimi anni si dedicò ad approfondire le sue conoscenze scientifiche per poter portare la sua poesia a essere l’espressione di quello stupore dell’umanità di fronte alle nuove scoperte della fisica, la chimica, la biologia e tutte le scienze e, allo stesso tempo, a essere quel canto al Creatore che nei poemi di Ernesto Cardenal è sempre stato presente sin da quando ricreò i Salmi contestualizzandoli nella realtà del Nicaragua oppresso dal tiranno. Creò così ciò che lui chiamava poesia scientifica e che è l’espressione ultima di quello che lui ha sempre sostenuto e praticato, ovvero che tutto ciò che ci circonda è fonte di poesia. Tutto è poesia e la poesia è tutto.”

(Gianantonio Ricci. Educatore e progettista sociale-ambientale. In confronti.net)

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20 gennaio 1925 nasce Ernesto Cardenal, poeta, presbitero e teologo nicaraguense (morto nel 2020)

 

Un fatto al giorno

20 gennaio 1858: Papa Pio IX pubblica la lettera enciclica Cum Nuper, sulle calamità naturali occorse nel Regno delle Due Sicilie, sulla necessità di sempre maggiore cautela nella scelta degli ordinandi, vista la cattiva condotta di certa parte del clero locale.

“ENCICLICA CUM NUPER DEL SOMMO PONTEFICE PIO IX
Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi e agli altri Ordinari locali del Regno delle Due Sicilie.

Il Papa Pio IX. Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Era trascorsa da poco la solenne, festiva ricorrenza annuale che celebra il giorno in cui l’Unigenito Figlio di Dio, per il grandissimo trasporto con il quale Ci ha amati, scendendo dal cielo senza recedere dalla gloria del Padre, fattosi in tutto simile agli uomini, ha voluto nascere dall’immacolata e beatissima Vergine Maria, quando Noi abbiamo ricevuto la Vostra gentilissima lettera in cui Voi, Venerabili Fratelli, professando la Vostra particolare e profonda devozione, l’amore e l’obbedienza verso di Noi e verso questa Cattedra di Pietro, avete manifestato ancora una volta che niente Vi sta più a cuore che scongiurare con assidue e fervide preghiere il Dio Ottimo e Massimo affinché, con la sua onnipotente grazia, aiuti, confermi e rafforzi l’umile Nostra Persona, travagliata dalla gravissima sollecitudine per tutte le Chiese, e affinché la conservi salva e incolume ancora a lungo e la ricolmi di ogni prosperità per la maggior gloria del suo santo Nome e per la salvezza delle anime.

Gli egregi sentimenti della Vostra piissima devozione, sempre a Noi graditissimi, hanno, così commosso il Nostro animo paterno, che abbiamo voluto scrivere questa Lettera Enciclica a tutti Voi che esercitate il ministero pastorale in codesto Regno delle Due Sicilie, a testimonianza della particolarissima benevolenza Nostra verso di Voi e nello stesso tempo affinché comprendiate sempre meglio con quanta carità Vi amiamo nel Signore e quanto siamo solleciti delle Vostre persone e dei fedeli affidati alle Vostre cure.

Infatti, Venerabili Fratelli, non possiamo quasi esprimere a parole quell’acerbissimo dolore da cui siamo stati colpiti, allorché abbiamo avuto notizia che nello scorso mese di dicembre molte città di codesto Regno furono talmente sconquassate da grandi terremoti che molte persone, travolte dalle rovine di edifici cadenti, in modo miserando hanno perso la vita, con grande dolore del Nostro carissimo Figlio in Cristo il Re Ferdinando II che, per la sua grande carità cristiana e il suo affetto per le popolazioni a lui soggette, non risparmiandosi negli interventi e nelle spese, non cessò di apportare aiuti e soccorsi alle popolazioni di dette città per sollevare la loro deplorevole condizione.

Appena Ci giunsero le prime tristissime notizie di una così grande calamità, senza alcun indugio, nell’umiltà del Nostro cuore abbiamo levato i Nostri occhi al Signore, implorando e scongiurando la Sua divina misericordia per quelle misere popolazioni affinché risanasse le fratture della terra le cui fondamenta erano state scosse in modo così terribile.

Vi sono noti i passi della Sacra Scrittura, che chiaramente e palesemente insegnano che tali castighi di Dio sono provocati dalle colpe degli uomini. Noi, per il Nostro ufficio, sproniamo vivamente in Domino la Vostra episcopale sollecitudine, Venerabili Fratelli, affinché adempiate con ardore e attivamente ciò che fa parte del Vostro ministero, e abbiate subito in animo di allontanare dal vizio e dal peccato, con ogni sforzo e zelo, i fedeli affidati alle Vostre cure e di incamminarli per le vie della virtù, della giustizia e della religione.

E poiché, con Nostro e Vostro grande rammarico si trovano in codesto Regno anche degli ecclesiastici che, dimentichi della loro vocazione, con la loro riprovevole e malvagia condotta eccitano l’indignazione divina e diventano causa di morte spirituale del popolo cristiano, al quale dovrebbero essere guide per la vita, cercate di sradicare gli abusi e le corruzioni che si sono infiltrate nel costume del Clero, e difendete e favorite con la massima diligenza la disciplina ecclesiastica a norma dei sacri canoni. Non lasciate nulla d’intentato affinché i giovani Chierici fin dai teneri anni vengano educati opportunamente alla pietà, alla religiosità e allo spirito ecclesiastico, e vengano istruiti nelle migliori dottrine, nelle più severe discipline e specialmente nella conoscenza solida e sicura della scienza teologica e dei sacri Canoni.

E prima di tutto, avendo sempre davanti agli occhi il precetto dell’Apostolo, preoccupatevi in modo particolare di non aver fretta ad imporre le mani a chiunque, ma usate somma cura e precauzione nel conferimento degli Ordini sacri.

Venerabili Fratelli, non avvenga mai che in una scelta così importante vi sia alcuno di Voi che, indulgendo a interessi d’altri, propensioni, favori e ragioni umane, voglia aggregare al Clero e promuovere alle dignità ecclesiastiche e agli Ordini coloro che, non essendo dotati delle qualità prescritte dai sacri Canoni, sono invece da respingere dal sacro ministero. Infatti ben sapete quale grave colpa commette, quanto danno reca alla Chiesa e quale tremendo e strettissimo conto dovrà rendere a Cristo Signore chi non ha paura di iniziare agli Ordini sacri persone indegne. Per questa ragione, Venerabili Fratelli, per la Vostra singolare pietà, abbiate cura di osservare scrupolosamente le sapientissime e prudentissime prescrizioni dei sacri Canoni nell’ammettere e promuovere ai sacri Ordini gli ecclesiastici; e dopo accurato accertamento ed esame vogliate conoscere e valutare l’origine familiare di ciascuno, la sua formazione, l’indole, l’ingegno e la cultura. Occorre quindi decorare dei sacri Ordini e ammettere a trattare i divini misteri soltanto coloro che, dopo una prova accurata e diligente, sia per il possesso di tutte le virtù, sia per lodata e buona condotta, sia perché dotati di vero spirito ecclesiastico, possono servire le Vostre Diocesi ed esserne di ornamento. Astenendosi da tutte quelle azioni e dagli atteggiamenti che sono vietati ai Chierici e che loro sconvengono, essi siano d’esempio ai fedeli nella parola, nella conversazione, nella carità, nella fede e nella castità. Esigete particolarmente in coloro ai quali si devono affidare la cura e la guida delle anime, buoni costumi, probità, integrità, pietà, scienza e prudenza. E vegliate sempre affinché i Parroci, esercitando premurosamente il proprio ufficio con scienza e virtù, non tralascino mai di istruire il popolo cristiano loro affidato con l’annuncio della parola di Dio, con l’amministrazione dei Sacramenti, e col dispensare la multiforme grazia di Dio, ammaestrando specialmente i fanciulli e le persone ignoranti nei misteri santissimi della nostra divina religione; insegnando diligentemente i comandamenti, onde portarli tutti alla pietà e ad ogni virtù. Voi ben sapete come si corrompono i costumi, con grande danno della società sacra e civile, se si rilassa la disciplina cristiana e si distrugge il culto religioso, se i Parroci non sanno esercitare il loro ministero e compiere il loro dovere, o se lo trascurano. Dovendo inoltre vigilare con particolare attenzione che la gioventù d’ambo i sessi venga educata nel timor santo del Signore, nella Sua legge, e venga preparata all’onestà, dovete avere molto a cuore l’ispezione nelle scuole, sia pubbliche che private, e con particolare zelo procurare che la stessa gioventù, lontana da ogni pericolo, abbia un’istruzione sana e veramente cattolica. Dedicate pertanto tutte le forze della Vostra pastorale sollecitudine a quest’opera, poiché ben sapete che la prosperità della società civile dipende specialmente dalla retta educazione della gioventù, come pure ben conoscete le arti molteplici e nefaste con le quali, in questi tempi scellerati, i nemici di Dio e dell’umanità si sforzano di corrompere e pervertire l’incauta gioventù.”

(Leggi l’intera Enciclica in: www.vatican.va)

 

Una frase al giorno

''Akiko ha messo una pentola d'acqua sulla fiamma del gas…  Mise nel congelatore le vongole sgusciate e il pesce congelato, insieme ai pacchetti di cialde congelate e pizza... Alcune donne disapprovavano i cibi congelati e si lamentavano della mancanza di gusto. Ma per una moglie che lavora, la velocità e il valore nutritivo vengono prima del gusto.''

(Sawako Ariyoshi, da Gli anni del crepuscolo)

Sawako Ariyoshi (有吉佐和子 Ariyoshi Sawako; Wakayama, 20 gennaio 1931 - Tokyo, 30 agosto 1984) scrittrice, drammaturga e regista teatrale giapponese. Considerata una delle più influenti e importanti scrittrici della letteratura moderna giapponese, è stata definita dallo studioso Mark Weston "la scrittrice che diede voce alle donne silenziose".

Nata nella città di Wakayama, passò la prima infanzia a Osaka. A sei anni si trasferì con i genitori a Soerabaja nelle Indie orientali olandesi (l'odierna isola di Giava). Di fede cattolica, nel 1949 si iscrisse ai corsi di Letteratura e Teatro all'Università Cristiana Femminile di Tokyo, dove si laureò nel 1952. Nel 1959 frequentò per un anno il Sarah Lawrence College di New York e, nello stesso anno, ottenne una borsa di studio per ricercatori alla Fondazione Rockefeller. In seguito, lavorò per una casa editrice, scrisse articoli di giornale, si unì a una compagnia di danza, e scrisse racconti e sceneggiature per il teatro, la televisione e la radio.

Ariyoshi viaggiò molto, raccogliendo materiale per i suoi romanzi seriali sulla vita domestica. Nel 1961, visitò la Cina in compagnia di Katsuichiro Kamei, Yasushi Inoue, Ken Hirano ed Eiji Yoshikawa prima della normalizzazione dei rapporti diplomatici, e venne invitata a tornare in numerose occasioni: in particolare, nel 1965 trascorse sei mesi nel paese per studiare il cattolicesimo, e nel 1978, in occasione del suo quinto viaggio, si unì a una comune per scrivere Resoconto dalla Cina, pubblicato nello stesso anno. Ricevette numerosi premi letterari giapponesi, ed era all'apice della sua carriera quando, il 30 agosto 1984, dopo aver sofferto a lungo di insonnia e affaticamento, morì nel sonno di insufficienza cardiaca. È sepolta nel cimitero di Kodaira.

Nonostante una vita relativamente breve, fu un'autrice prolifica. Pubblicò oltre cento tra racconti, romanzi, testi teatrali, musical e sceneggiature cinematografiche. Nelle sue opere rappresenta importanti problematiche sociali, quali la sofferenza degli anziani, gli effetti dell'inquinamento sull'ambiente naturale e gli effetti dei cambiamenti politici e sociali sulla vita domestica e sui valori del Giappone, soprattutto sulla condizione delle donne. Per la marcata impronta femminista delle sue opere, in Giappone venne spesso paragonata a Simone de Beauvoir, che Ariyoshi ammirava senza riserve.

Ottenne presto un grande successo con alcuni tra i suoi romanzi più celebri, quali Il fiume Ki (1959), penetrante ritratto della vita rurale di tre aristocratiche, madre, figlia e nipote, nella città natale dell'autrice. Non a causa del colore (1964), storia del matrimonio tra una donna giapponese e un soldato afro-americano e del loro trasferimento ad Harlem, è incentrata sul tema del razzismo. Il romanzo storico La moglie di Hanaoka Seishū (1966, uscito in Italia col titolo Kae o le due rivali), considerata la sua opera migliore, tratta del ruolo delle donne giapponesi nel XIX secolo, attraverso la storia della moglie e della madre del dottor Seishu Hanaoka (1760-1835), pioniere nell'uso dell'anestesia.

Con quest'opera, che venne adattata sei volte per la televisione e ventitré per il teatro, l'autrice venne consacrata tra le migliori scrittrici giapponesi del dopoguerra. Il vecchio rimbambito (1972) ritrae la vita di un'avvocatessa che si prende cura del suo anziano patrigno, in punto di morte; all'uscita il romanzo vendette un milione di copie e, tra le opere di Ariyoshi, fu quella che destò maggiore scandalo per il tema trattato.

Contaminazione complessa (1975) è uno studio pionieristico sull'impatto, presente e futuro, dell'inquinamento causato da fertilizzanti chimici, detergenti, coloranti cancerogeni, gas di scarico delle automobili e altri fattori inquinanti. Resoconto dalla Cina (1978), scritto in occasione del suo quinto viaggio nel paese, è incentrato sulle devastazioni della rivoluzione culturale in campagna e sull'inquinamento delle metropoli.

In Isole del Giappone - Passato e presente (1981) narra un suo viaggio, tra le altre, alle isole Senkaku, tuttora parte del territorio giapponese, ma reclamate dalla Cina.

Non mancano tuttavia opere incentrate sulla storia giapponese e sull'arte classica nipponica, quali Fiori e incenso (1962), romanzo incentrato sul mondo segreto delle geisha, Vita di un fiore (1958) e Izumo no Okuni (1969) biografie romanzate della scrittrice Fumiko Hayashi e dell'omonima danzatrice inventrice del teatro kabuki.

In Giappone, molte sue opere sono state adattate al cinema e alla televisione. Il suo stile ha influenzato le scrittrici giapponesi contemporanee di romanzi gialli, quali Natsuo Kirino, nell'enfasi posta sulla vita privata delle protagoniste femminili.”

(In wikipedia.org)

Regia di Yasuzô Masumura. “La moglie di Seishû Hanaoka” è ambientata nel Giappone feudale. I suoi due personaggi centrali sono basati sulla moglie e madre del medico giapponese Seishû Hanaoka (1760-1835). Hanaoka sviluppò un anestetico generale a base di erbe, "Tsusensan", circa quarant'anni prima delle innovazioni più note delle sue controparti americane Long, Wells e Morton.

 

Un brano musicale al giorno

Guillaume Lekeu, Quartetto con pianoforte

Ensemble Musique Oblique

  • Elisabeth Glab, violino
  • Françoise Gneri, viola
  • Robin Clavreul, violoncello
  • Alice Ader, pianoforte

 

Jean Joseph Nicolas Guillaume Lekeu (20 gennaio 1870 - 21 gennaio 1894) compositore belga. Lekeu è nato a Heusy, un villaggio vicino a Verviers, in Belgio. Inizialmente ha studiato pianoforte e teoria musicale con Alphonse Voss, il direttore della banda di ottoni del conservatorio locale. Nel 1879 i suoi genitori si trasferirono a Poitiers, in Francia. Ha continuato a proseguire gli studi musicali in modo indipendente mentre era a scuola, componendo il suo primo pezzo all'età di 15 anni. Dal 1885 in poi compose regolarmente nuova musica, in particolare musica da camera, e studiò armonia e violino dal 1887 sotto Octave Grisard.

Nel giugno 1888 la sua famiglia si trasferì a Parigi dove iniziò a studiare filosofia. Fu introdotto alle opere di Téodor de Wyzewa e continuò i suoi studi sotto Gaston Vallin. Nell'agosto del 1889 si recò a Bayreuth per vedere le opere di Richard Wagner. Al suo ritorno studiò contrappunto e fuga privatamente con César Franck. Franck lo ha incoraggiato a continuare a comporre; dopo la morte di Franck nell'autunno del 1890, Wyzewa lo presentò a Vincent d'Indy, che gli insegnò l'orchestrazione e lo incoraggiò a competere per il Prix de Rome belga, assegnato a Bruxelles. Nel 1891 vinse il secondo premio al concorso per la cantata Andromède.

Nel 1892, d'Indy presentò Lekeu a Octave Maus, allora segretario di Le Cercle des XX con sede a Bruxelles.Eugène Ysaÿe gli commissionò un'opera, la Sonata per violino in sol maggiore, presentata per la prima volta nel marzo 1893, ed è la sua opera più famosa e più spesso registrata.

Lekeu contrasse la febbre tifoide a causa di un sorbetto contaminato nell'ottobre 1893. Morì nella casa dei suoi genitori ad Angers il 21 gennaio 1894, il giorno dopo il suo 24esimo compleanno. Il 26 gennaio 1894 fu sepolto in un piccolo cimitero a Heusy.

Lo stile personale di Lekeu era presente nelle sue prime composizioni. Nel 1887 disse: "Bien plus, ce sera bizarre, détraqué, horrible, tout ce qu'on voudra; mais, du moins, ce sera original" ("Ancora di più, sarà strano, pazzo, orribile, qualsiasi cosa ti piaccia, ma almeno sarà originale").

I quartetti d'archi di Lekeu sono stati ispirati da Beethoven e l'esposizione alle opere di Wagner a Bayreuth ha influenzato i suoi approcci alla melodia. Ha descritto questo come "des mélodies de telle longueur qu'un seul exposé suffisait à parfaire ... un morceau de musique" ("melodie di tale lunghezza che una singola presentazione era sufficiente per completare ... un brano musicale ").

La sua principale influenza fu Franck. Molte delle sue opere sono caratterizzate da una certa malinconia: nelle sue stesse parole, "la joie [est] mille fois plus difficile à peindre que la souffrance" ("la gioia è mille volte più difficile da dipingere che la sofferenza").

Le sue composizioni più grandi hanno una struttura ciclica; cioè, i temi nelle sue opere ricorreranno spesso di movimento in movimento, qualcosa senza dubbio ereditato da una lunga tradizione di compositori europei del diciannovesimo secolo, così come da molte opere di Franck e d'Indy. I temi ricorrenti nella sonata per violino hanno portato alcuni studiosi a suggerire che fosse fonte di ispirazione per la Sonata Vinteuil, un'opera immaginaria descritta da Marcel Proust in Alla ricerca del tempo perduto. Tuttavia, la struttura immaginata da Proust è simile anche alla sonata per violino di Franck.

Il suo stile, profetico dei compositori francesi d'avanguardia del primo Novecento come Satie e Milhaud, fu influenzato da Franck, Wagner e (soprattutto nel Trio) Beethoven, sebbene queste influenze non si manifestassero come mera imitazione. In generale, Lekeu è considerato un compositore di grande talento la cui morte ha interrotto una promettente carriera musicale. Lekeu compose circa 50 opere e al momento della sua morte lasciò numerose composizioni incompiute. Due di questi, una Sonata per violoncello e il suo quartetto per pianoforte, furono completati da d'Indy. Tutti sono stati registrati almeno una volta, e molti di loro più di una volta, in particolare la Sonata per violino in sol maggiore e il Trio con pianoforte in do minore. La prima volta che la Sonata per pianoforte in sol minore è stata completamente eseguita dal vivo lo è stata dal pianista Paweł Albiński a Cracovia, in Polonia, il 20 agosto 2014.”

(Da wikipedia.org)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

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Ugo Brusaporco

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