“L’amico del popolo”, 13 aprile 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

HÖHENFEUER (Falò. Fuoco alpino, Svizzera, 1985), scritto e diretto da Fredi M. Murer. Fotografia: Pio Corradi. Montaggio: Helena Gerber. Musica: Mario Beretta. Con: Thomas Nock, Johanna Lier, Dorothea Moritz, Rolf Illig, Tilli Breidenbach, Jörg Odermatt.

Il "ragazzo" e sua sorella Belli vivono con i genitori in una baita isolata, da qualche parte sulle Alpi. Il ragazzo è nato sordo e non è mai andato a scuola. Belli, che avrebbe voluto diventare maestra, dopo aver abbandonato gli studi insegna al suo "fratellino" a leggere e a far di conto. Per i genitori la cosa più importante è che essi lavorino ogni giorno nei pascoli per poter sbarcare il lunario. In seguito a questa situazione di ristrettezza e di isolamento, fratello e sorella diventano inseparabili già dalla più tenera età. Ormai sul punto di diventare adulti, un giorno oltrepassano ogni legge non scritta: risvegliati dai loro sogni, diventano amanti, finché Belli resta incinta. Quando la verità viene rivelata alla famiglia, scoppia la tragedia: in un tentativo di punizione, il padre resta ucciso, e in seguito è la madre a morire di crepacuore. Siamo in pieno inverno: le montagne sono coperte di neve e la baita è completamente isolata. Costruita una tomba nella neve, il ragazzo e Belli vi depongono i corpi dei genitori; poi, tornano a casa ad attendere la primavera, una nuova vita?
In una fattoria alpina una coppia di anziani ha due figli, Belli, la più grande, che vorrebbe fare l'insegnante, e Franzi, sordo, che pur lavorando come un uomo, è giovane e ingenuo. Belli gli fa da insegnante. Il duro lavoro, può diventare frustrante e un giorno per ripicca Franzi getta un rasaerba costoso giù da una rupe. Suo padre per questo, lo bandisce alla periferia della fattoria, in modo da utilizzare tutta la sua energia pubere per rompere rocce e costruire muri. (E' tradizione della famiglia del padre, soprannominata "gli irascibili" dai vicini di casa, trascorrere la pubertà in questo modo). Un giorno Belli va a trovarlo e iniziano ad andare a letto insieme. Con l'arrivo dell'inverno, il ragazzo torna a casa e Belli è incinta. Ben presto i suoi genitori devono sapere...

Siamo sulle Alpi svizzere, nell'Alto Uri. Qui Bub e Belli vivono con i genitori contadini in una baita sperduta in alta montagna. Bub, quindicenne, intelligente e astuto, è sordomuto dalla nascita. Belli, che ha pochi anni più di lui, coltiva il sogno inappagato di fare la maestra e intanto si impegna a far uscire dal suo mondo silenzioso il fratello, insegnandogli a leggere e a scrivere. In realtà, il silenzio è una presenza incombente. I genitori, soprattutto il padre, consunto dal duro lavoro, conducono la loro esistenza tra il mutismo dei gesti e una ferrea rassegnazione di stampo religioso. Ma Bubi sente i primi impulsi della maturazione sessuale e comincia a guardare la sorella con occhi diversi. I due finiscono per consumare un rapporto incestuoso. Ma i genitori li scoprono. Il padre imbraccia il fucile ma, nella lotta che ne segue, è lui a rimanere ucciso. La madre resta fulminata da un infarto. I due ragazzi seppelliscono i genitori sotto la neve e rimangono lì, agghiacciati, paralizzati dal trauma, in attesa del grande inverno.
La rivista cinematografica Frame ha svolto un sondaggio in collaborazione con i membri dell’Accademia del cinema svizzero per stilare una classifica delle migliori pellicole elvetiche. Höhenfeuer, film del 1985 di Fredi M. Murer, ne è emerso trionfante.

"Una magistrale regia e una rara unità stilistica... Un film limpido, visivamente essenziale, profondamente coinvolgente. Un capolavoro".

(Enrico Livraghi)

“È la storia di un’infanzia, ma anche quella di una famiglia, di una tribù montanara che è stata battezzata da un antenato con il nome di “Jähzornigen”, gli irascibili. Al centro del film c’è “il ragazzo” (Nock). Non ha nome, è sordo dalla nascita, non va a scuola; come un gatto è intelligente e astuto, domestico e selvaggio. Belli, sua sorella maggiore (Lier), gli insegna a leggere e scrivere. Così vuole il padre, questo è il suo modo di legare i figli alla fattoria: farne una “proprietà esclusiva” dei genitori. Alla fine dell’adolescenza, i due fratelli si alleano contro l’autorità, tenera ma dura, dei genitori. E un giorno superano un tabù, si innamorano... Il film comporta la descrizione minuziosa, lungo il corso delle quattro stagioni, di una fattoria situata sulle Alpi e riprende le principali qualità del documentario di Murer Wir Bergler in den Bergen e di numerosi altri film etnografici dei vent’anni precedenti. Ma se si guarda più da vicino, nonostante questa ambientazione così precisa, la materia del film non è mai regionale, bensì universale. La fattoria degli “irascibili”, l’alpe che si trova più in alto nella montagna e la valle lontana costituiscono la scena dove si svolge la tragedia (o la favola) dell’amore di un fratello per la sorella. Un cineasta scandinavo o giapponese avrebbe potuto immaginare la stessa storia situandola in un contesto completamente diverso”.

(Schaub, 2)

“...Dopo venti anni, nessuno ha ancora dimenticato Ame sœur (Höhenfeuer, 1985), considerato da molti critici come una chicca della storia del cinema”.

(Berlinale, 2016)

Falò. Fuoco alpino è un film denso che illumina le dinamiche di un nucleo familiare che vive isolato sulle Alpi svizzere. Mamma, papà e due figli, Bub e Belli rinchiusi in un ritmo di vita lento, amorevole ma che nasconde i pericoli di un eccessivo isolamento. Il figlio maschio è sordo-muto, con tratti autistici: simbolo di un'intera famiglia che si è identificata con le problematiche del figlio al punto da optare per un isolamento quasi assoluto, sordo ai richiami della vita "a valle". La parte femminile della famiglia non andrà infatti mai a valle, una valle che rappresenta il fermento della vita e degli incontri. La madre per sua stessa ammissione dirà: "ho sempre pensato che a valle ci fossero solo uomini e animali", escludendo le donne e dunque se stessa dalla possibilità attiva di incontro-ricerca dell'altro. Le giornate si susseguono lente, il tempo è scandito dalle attività di pascolo, di mungitura e di manutenzione del casolare. Siamo trascinati in un mondo sordo-muto spaventato, la sensazione è quella di nuotare in un tempo fatto di melassa, claustrofobico nonostante la bellezza del paesaggio montano, il verde e le sue distese. Il clima emotivo della famiglia appare affettuoso e collaborativo: Bub aiuta il padre nei lavori faticosi, Belli aiuta Bub insegnandogli a comunicare, l'unica a soffrire in maniera visibile è la madre affetta da un asma invalidante. L'unico segno di sofferenza che ci introduce ad un epilogo drammatico è proprio questo asma: questa incapacità di prendere aria e ossigenare i polmoni in questo contesto. Come è possibile infatti contenere le pulsioni sessuali di due fratelli adolescenti, facendoli crescere in un mondo senza pari? L'unica via è il silenzio di una relazione incestuosa, che non trova parole per esprimere la propria necessità di incontro con l'altro, ma che trova via di fuga nell'azione. I due fratelli avranno una relazione incestuosa, che verrà "parlata" ai genitori dal fatto che Belli rimarrà incinta. E' a questo punto che la situazione precipita, la mamma asmatica è l'unica a capire anzitempo quello che è successo tra i due fratelli e nel momento in cui la figlia le comunicherà di essere incinta, lei risponderà che stava aspettando questa comunicazione da tempo, poiché era già a conoscenza del fatto. La madre ha la possibilità e la capacità di contenere emotivamente la situazione, tanto che madre e figlia si scambieranno un lungo abbraccio nel momento della comunicazione. La madre, nonostante le sue somatizzazioni è l'unica a mettere in campo uno spazio di pensiero che riesca a "dire" e a "parlare" ciò che sta accadendo. Sarà infatti lei a comunicare al marito che la figlia è incinta di Bub: a questo punto vi è un ritorno all'agito, all'impossibilità di tenere nella mente ciò che è capitato. Il padre, furibondo afferra il fucile ed è intenzionato a liberarsi di Bub, che a suo dire gli ha distrutto la famiglia, portandola a questo isolamento esasperato. Vi è una lotta disperata, nella quale la madre tenta in tutti modi di fermarlo per proteggere suo figlio, ma la situazione prenderà una piega inaspettata. Nella lotta con il figlio Bub, verrà sparato un colpo che ferirà a morte il padre; a tale vista la madre non reggerà e morirà immediatamente per un attacco d'asma fulminante, che la lascerà senza vita al suolo. In questo momento ci troviamo spaesati: la coppia generativa dei due fratelli è potuta esistere pena la morte della coppia genitoriale. Non è stato "pensabile" e digeribile la convivenza sotto lo stesso tetto di una famiglia generativa entro le proprie stesse mura. L'occhio paterno del giudizio e della censura è dovuto scomparire, lasciando ai fratelli l'illusione di una sua non esistenza. Rimane il silenzio di una situazione indicibile: così ci viene fatto intravedere il prosieguo della gravidanza di Belli in compagnia di Bub, nel silenzio di un inverno nevoso, che passa senza dialoghi, scandito dalle sole azioni...”

(Elena Paloscia)

 

Una poesia al giorno

La notte davanti al mio quadro, di George Trakl (alla sorella)

Te io canto selvaggio dirupo,
nella tempesta notturna
erta montagna;
voi grigie torri
traboccanti di ghigni infernali,
animali di fuoco,
ruvide felci,
abeti,
fiori di cristallo.
Infinito tormento,
che tu insegua Dio,
mite spirito,
che sospiri nella cascata,
negli ondeggianti pinastri

 

Un fatto al giorno

13 aprile 1948: il massacro del convoglio medico di Hadassah. Un convoglio medico, scortato da miliziani Haganah, che stava trasportando materiale medico e militare e personale all'ospedale di Hadassah, sul monte Scopus, subì un'imboscata da un gruppo di soldati arabi. Settantotto, tra medici, infermieri, studenti, pazienti, membri di facoltà e soldati Haganah israeliani, più un soldato britannico furono uccisi durante l'aggressione. Dozzine di corpi impossibili da identificare per via di ustioni furono seppelliti in una fossa comune nel cimitero di Sanhedria. L'Agenzia Ebraica affermò che l'aggressione era stata una pesante violazione delle convenzioni internazionali, tra cui quella di Ginevra. Gli arabi affermarono di aver attaccato una formazione militare, che tutti i membri del convoglio avevano risposto al fuoco e che era stato impossibile distinguere i militari dai civili. Fu condotta un'inchiesta e alla fine fu raggiunto un accordo per distinguere i convogli militari da quelli umanitari. Tra le vittime ci fu Enzo Bonaventura.

Di famiglia ebrea, Enzo Bonaventura studiò alla Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Firenze, dove si laureò nel 1913 con Francesco De Sarlo. Ebbe così modo di lavorare nel Laboratorio di psicologia sperimentale da questi fondato nel 1903 e di diventare quindi suo assistente, dedicandosi in particolare agli studi sulla percezione degli intervalli di tempo. Nella sua attività di ricerca Bonaventura utilizzò in modo originale gli strumenti raccolti da De Sarlo e li integrò con nuovi apparati da lui stesso realizzati, fra i quali il tachistoscopio a doppia caduta. Lo strumento fu usato da Bonaventura e dai suoi allievi (fra cui Renata Calabresi) nelle ricerche sull'attenzione, sul tempo di apprendimento e sulla percezione del tempo, in particolare sulla durata del presente psichico. Nel 1929 Bonaventura dedicò a questo tema il volume Il problema psicologico del tempo, la sua opera più famosa nel campo della psicologia sperimentale. Nel 1931, quando venne bandito un concorso nazionale per ricoprire la cattedra di psicologia sperimentale lasciata vacante da Sante De Sanctis a Roma, Mario Ponzo ottenne la cattedra, mentre gli altri "ternati", Bonaventura e Cesare Musatti, non vennero chiamati in alcuna università italiana. Bonaventura continuò comunque l'attività di ricerca sperimentale nel laboratorio fiorentino, di cui era diventato direttore sin dal 1924, e dedicò particolare attenzione alla psicologia applicata, soprattutto nel campo dell'orientamento scolastico e professionale. Si aprì inoltre alla psicoanalisi, sulla base della convinzione che il metodo introspettivo potesse essere applicato non solo nella ricerca di laboratorio, ma anche come strumento di indagine psicoanalitica. Nel laboratorio di Firenze lavorò intensamente fino al 1938, quando ne fu allontanato in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. Decise quindi di emigrare in Palestina, dove continuò la sua attività all'Università di Gerusalemme. Morì nel massacro di Hadassah del 1948.

 

Una frase al giorno

“Non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini”

(Elio Vittorini)

 

Un brano musicale al giorno

Dean Martin - Everybody Loves Somebody per apprezzare un grande attore

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org