“L’amico del popolo”, 13 giugno 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

IL SOLE NEGLI OCCHI (Italia,1953), regia di Antonio Pietrangeli. Sceneggiatura: Antonio Pietrangeli, Suso Cecchi D'amico, Ugo Pirro, Lucio Manlio Battistrada. Fotografia: Domenico Scala. Montaggio: Eraldo Da Roma. Musiche: Franco Mannino. Con: Giancarlo Cocchini, Rina Dei, Lia Di Leo, Gabriele Ferzetti, Vittorio Duse, Irène Galter, Rossana Galli, Fara Libassi, Anna Maria Dossena, Aristide Baghetti, Attilio Artella, Attilio Martella, Ennio Manfredi, Francesco Mulè, Pina Bottin, Nicoletta Capotondi, Mimmo Palmara, Turi Pandolfini, Maria Pia Trepaoli, Paolo Stoppa, Elvira Tonelli, Scilla Vannucci, Mario Valente.

“Celestina, giovane campagnola di Castelluccio di Norcia: ingenua, sprovveduta, ignorante, dopo aver perduto entrambi i genitori va a Roma a fare la domestica presso la casa di una coppia borghese che sta traslocando in un quartiere di nuova costruzione. Qui fa la conoscenza di Fernando, un idraulico che la corteggia insistentemente. Qualche tempo dopo i suoi fratelli vanno a trovarla per dirle che hanno venduto la casa e che emigrano in Australia in cerca di lavoro. Celestina si ritrova completamente sola in un mondo per lei sconosciuto. Licenziata, viene assunta da una coppia di pensionati dove Fernando la rintraccia, ma lei lo respinge. Qui conosce un agente di polizia con cui si fidanza. I due anziani la trattano come una figlia e progettano di nominarla loro erede, ma questa decisione scatena le rimostranze degli interessati parenti. Celestina chiede allora aiuto al suo fidanzato, ma costui si tira indietro e le propone una convivenza, che la giovane rifiuta, abbandonando sia lui che il lavoro La giovane domestica trova allora un terzo impiego in una casa signorile, ma dopo un inizio promettente è causa di uno scandalo quando viene sorpresa a baciarsi nel bagno con l'idraulico, che stavolta era stata lei a cercare. Licenziata in tronco, trova, grazie ad uno stratagemma, un quarto lavoro presso una famiglia di commercianti arricchiti. Intanto Fernando è andato a lavorare con Marcucci, che gli propone di diventare suo socio, ma a condizione che ne sposi la sorella. Lui intanto continua a frequentare Celestina, ma nascondendole la verità.
La famiglia presso cui la giovane lavora si trasferisce per l'estate a Ladispoli, dove lei attende invano che Fernando, come aveva promesso, la raggiunga. Qui si accorge di aspettare un figlio. Torna allora a Roma per cercarlo, ma scopre che lui nel frattempo si è sposato. Lo incontra ancora, ma, di fronte al suo solito comportamento irresponsabile, disperata, si getta sotto un tram. I medici salvano sia lei che il bambino; Fernando va a trovarla in ospedale e le promette che resterà con lei. Stavolta sembra sincero, ma Celestina ha deciso: rifiuta di vedere ancora l'uomo ed affronterà da sola la vita per amore del bambino che sta per nascere”.

(Wikipedia)

“In contrasto con i gusti del pubblico, Il sole negli occhi riscosse invece molti e prevalenti consensi da parte dei critici. Tra gli elogi alla prima regia di Pietrangeli anche quello di Alberto Moravia, al tempo critico cinematografico de L'Europeo, che considera il film «un neorealismo più sorridente, più accomodante, più manierato» entro cui annoverare anche il film di Pietrangeli, scrisse che «occorre riconoscere che, pur entro i limiti di una specie di vita esemplare, il regista ha lavorato con una sicurezza ed una conseguenza rare per un esordiente in un film che non si alza mai al di sopra di un livello aneddotico e neppure si abbassa mai in una caduta di toni discordanti, tutto unito, eguale, raccontato con effetti che vanno da una misurata commozione ad una non meno misurata ironia».
Un giudizio positivo venne anche da Giulio Cesare Castello su Cinema secondo cui «il merito essenziale del film è tenersi lontano da ogni schematizzazione e da ogni posizione preconcetta», pur avendo descritto quattro ambienti sociali come «la media borghesia frenetica come lo sviluppo, quella colta, ma indigente eppur affettuosa, l'alta borghesia con assenza di rapporto umano ed i commercianti grassi e svelti ad allungare le mani». In conclusione, «come prova d'esordio Il sole negli occhi è assai positiva. La nascita di un nuovo regista è un fatto da festeggiare. Marginali i rilievi, tranne quello del titolo, nebuloso e letterario in senso deteriore».
Critica favorevole anche da Mario Gromo su La Stampa che scrisse di «un film semplice, lineare, sentito. Forse fin troppo semplice, per molti palati soliti a ben altro; ma c'è una deliberata e decisa coerenza, in questo Pietrangeli che delinea un suo soggetto, ne sviluppa una sua sceneggiatura, e giunge alla regia di ogni inquadratura ben sapendo, istante per istante, che cosa dovrà trarne. Se il giovane regista avesse dedicato le sue molteplici fatiche a una vicenda più corposa e più appariscente, ne avrebbe forse composto un film di non minore valore, ma di un più vasto e sicuro successo. Si è imposto, invece, un tema di tutti i giorni, quasi in grigio, scegliendo a sua eroina una giovane servetta; ed è questa una modestia che si risolve in orgoglio. Forse non saranno molti, a riconoscere le sue orgogliose ambizioni sotto una veste, apparentemente, tanto modesta; ma quei non molti potranno apprezzare e gustare una regia meditata, coerente, sensibile. Ciò è cosa talmente rara da doversi additare, soprattutto in un giovane. [...] È un romanzetto che ha l'andamento di una novelluccia; rinuncia a ogni e qualsiasi «finale»; e prima, durante il suo procedere, aveva rinunciato a ogni e qualsiasi effettistica. Ma le varie figure e figurine sono tratteggiate con un intelligente impegno, che sa giungere a coloriti evidenti. C'è una visione diretta, in questo film, del suo modesto scorcio di vita; nulla di riecheggiato, di ricalcato, di riimpastato. Non tutti gli episodi sono egualmente riusciti, talvolta pare di seguire una cronaca assai dimessa; ma poi una battuta ravviva il quadro un po' scolorito, ci si riavvia verso un altro momento più sentito; e la prova più indiscutibile offerta da questa regia è nella condotta degli attori. [...]».
Riserve che espresse anche Nino Ghelli, pur riconoscendo che «seppur attraverso gravi difetti di struttura (il film) riveste una certa importanza. Presenta un personaggio preciso, credibile e di abbastanza viva immediatezza umana, il che non è poco merito specie se si considera che la materia, sollecitando furori di polemica sociale, avrebbe potuto sfociare nelle consuete diatribe». Nonostante i difetti, quindi, «non mancano momenti felici o addirittura felicissimi, di toccante e viva attualità, con inquadrature che puntualizzano la dolorosa solitudine della ragazza, il suo avvilimento fisico. In conclusione, una prova che pur con le dovute riserve, deve considerarsi notevole se riferita alla personalità di un autore debuttante». La scena della balera, passatempo domenicale delle domestiche. Irene Galter/Celestina, è seduta impacciata in primo piano Il giudizio più negativo restò quindi quello dei fautori del neorealismo, che criticarono proprio quella mancanza di una "tesi" con cui il regista aveva presentato il suo film. Posizione esemplificata in particolare da Ferdinando Rocco sulla rassegna stampa, che ritenne il film di esordio di Pietrangeli «un racconto ben presentato, lindo e singolarmente corretto, ma pressoché privo di una sostanziale vena realistica. Ogni cosa è al suo posto, la recitazione sobria e misurata, la sceneggiatura nitida (...), tuttavia siamo lontani sia dal piano dell'arte che da quello, più modesto, di una commossa e vibrante oratoria; non sentiamo più scorrere la linfa vitale del vero e grande cinema italiano realistico». Pur riconoscendo che il film «non scade mai nel tono di "appendice"», l'autore - secondo il commento - «si rifugia in un assenteismo allarmante e significativo. Egli si è prefissato di non dimostrare nulla e nulla ha dimostrato». Con gli anni, il primo film di Pietrangeli venne considerato anticipatore di tutta la sua successiva filmografia. «Il sole negli occhi - ha scritto Marradi - così apparentemente legato al modello neorealista, se ne allontana per l'inedito rilievo dato al personaggio femminile (che) si presente dimessa e smarrita, assolutamente priva di qualsiasi carica erotica, contrapposta da un lato al protagonismo maschile di molti film neorealisti, dall'altro al divismo casereccio a base di "maggiorate". Celestina è l'archetipo di molti personaggi femminili di Pietrangeli, come l'Adriana di Io la conoscevo bene». Anche secondo Rondolino «l'esilità dell'opera non molto differiva dai film di Comencini o di Emmer. Ciò che distingue tuttavia Pietrangeli fu una notevole ed originale capacità di rappresentare i vari aspetti, spesso complessi e contraddittori, della psicologia femminile (come Adua e le compagne)».

«Il primo film di Pietrangeli - ha scritto il Catalogo Bolaffi - che si richiama per la semplice storia ed i modi di narrazione al neorealismo, è invece soprattutto un acuto ritratto psicologico di donna che preannuncia quelli più complessi di Nata di marzo e de La visita», mentre secondo Sergio Toffetti «Pietrangeli rivela originalità di stile, predilezione per i volti femminili, anticonformismo sui temi, precisione dello sguardi e la scelta di una dimensione sospesa tra disincanto e commozione». Più recentemente, sia il Morandini che il Mereghetti concordano nel ritenere Il sole negli occhi la prima opera in cui il regista romano dimostra una inconsueta capacità di tratteggiare ritratti di donne: «è l'inizio - secondo Morandini - di una ricca galleria di personaggi femminili che è forse il suo maggior titolo di gloria». «Inaugura - scrive Mereghetti - in modo non banale la sua galleria di ritratti femminili (con una) commedia umana e ricca di osservazioni acute assai lontana dal neorealismo rosa che allora cominciava ad imperversare». Sarà lo stesso Pietrangeli ad illustrare nel 1967 la logica ed il significato da lui attribuito a quei ritratti: «Dalla Celestina de Il sole negli occhi alla Adriana di Io la conoscevo bene possono ritrovarsi alcune tappe dell'evoluzione della società italiana, un processo di trasformazione in cui la donna ha incontestabilmente un ruolo da protagonista, dalla posizione in cui era relegata ancora subito dopo la guerra a quella che, di forza, ha occupato negli ultimi anni. Tra questi due personaggi c'è effettivamente un legame di parentela, meno lontano e superficiale di quanto si possa pensare».

(Wikipedia)

IL SOLE NEGLI OCCHI (Italia,1953), regia di Antonio Pietrangeli

 

Una poesia al giorno

O Vivo, di Augusto de Campos São Paulo, 14 febbraio 1931)

Não queiras ser mais vivo do que és morto.
As sempre-vivas morrem diariamente
Pisadas por teus pés enquanto nasces.
Não queiras ser mais morto do que és vivo.
As mortas-vivas rompem as mortalhas
Miram-se umas nas outras e retornam
(Seus cabelos azuis, como arrastam o vento!)
Para amassar o pão da própria carne.
Ó vivo-morto que escarnecem as paredes,
Queres ouvir e falas.
Queres morrer e dormes.
Há muito que as espadas
Te atravessando lentamente lado a lado
Partiram tua voz. Sorris.
Queres morrer e morres.

 

Un fatto al giorno

13 giugno 1525: Martin Lutero sposa Katharina von Bora, contro la regola del celibato decretato dalla Chiesa cattolica romana per sacerdoti e suore.
Katharina von Bora, nata nel 1499, divenuta poi la moglie di Martin Lutero, spesso chiamata anche “Lutherin” (“la Lutera”), era originaria di una famiglia aristocratica sassone e venne mandata a 16 anni nel convento cistercense di Marienthron vicino a Grimma, nella Sassonia. Là essa conduceva insieme ad altre donne la vita della suora di convento, isolata dal resto del mondo, a vari giorni di viaggio da Wittenberg. Nonostante l’isolamento, giunge anche in quel convento isolato notizia delle parole e delle gesta di Martin Lutero. In seguito alla lettura degli scritti di Lutero, per alcune monache l’orizzonte delle mura conventuali incomincia ad apparire ristretto. In una lettera segreta esse chiedono aiuto a Lutero. Lutero, con l’aiuto di un uomo d’affari della città di Torgau, fa rapire per finta le monache. Trovare rifugio per le 12 monache non era cosa facile per Lutero. La maggior parte delle monache fuggite vengono fatte sposare, solo Katharina von Bora rifiuta vari uomini. Infine è Lutero stesso a prenderla in moglie nel 1525. Per molto tempo Lutero e sua moglie Katharina devono sopportare lo scherno e le maldicenze. Perfino gli amici più stretti di Lutero non trovano una buona cosa che Lutero, come uomo di chiesa, sia sposato. I due vivono nel “Schwarzes Kloster” (il cosiddetto “Convento nero”, originariamente il seminario per i monaci agostiniani) ed hanno sei figli. In casa Lutero c’era sempre molto movimento, studenti e ospiti vi trovavano sempre alloggio. Katharina si occupava con molta cura della grande famiglia e gestiva la casa e l’orto. Veniva chiamata dolcemente da Martin Lutero “Signor Kathe””.

(Chiesa Evangelica Luterana in Italia)

Martin Lutero e Katharina von Bora

 

Una frase al giorno

“I sogni tristi provengono da Satana, perché tutto quello che serve alla morte e al terrore, all'assassinio e alle menzogne, è opera del diavolo. Spesso mi ha distolto dalla preghiera e mi ha insufflato pensieri tali che io sono fuggito. Le mie lotte migliori con lui le ho combattute a letto, a fianco della mia Käthe”.

(Martin Lutero)

 

Un brano al giorno

Dalida, Pour en arriver là (Per arrivarci) 

Omaggio ad una donna sublime e di gran talento che rimarrà eternamente nel cuore di coloro che l’amano.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org