“L’amico del popolo”, 13 luglio 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

CONTE DE PRINTEMPS (Racconto di primavera, Francia, 1990), scritto e diretto da Éric Rohmer. È il primo episodio del ciclo dei Racconti delle quattro stagioni. Fotografia: Luc Pagès. Montaggio: María Luisa García. Musiche: Jean-Louis Valéro. Con: Anne Teyssedre, Hugues Quester, Florence Darel, Eloïse Bennett, Marc Lelom, François Lamore, Sophie Robin.

Jeanne, una giovane insegnante di filosofia, fidanzata con il matematico Mathieu, attualmente lontano per motivi di studio, dopo aver conosciuto ad una festa Natacha, una diciottenne pianista, simpatizza subito con questa e accetta l'invito di trasferirsi per alcuni giorni nel suo appartamento, dal momento che il suo lo ha prestato a sua cugina, mentre quello di Mathieu è troppo disordinato per lei. Le due ragazze diventano amiche e si confidano i propri problemi: Jeanne è preoccupata del suo rapporto con Mathieu; Natacha, che si sente trascurata da William, un giornalista, detesta sia sua madre, divorziata, sia Eve, la saccente amante di suo padre Igor, perché è convinta che abbia rubato una collana, il gioiello di famiglia a lei destinato. Quando suo padre Igor incontra casualmente Jeanne, si sente attratto da quella donna riposante e Natacha pensa che le piacerebbe che la fidanzata di suo padre fosse una brillante e giovanile insegnante di filosofia...

"Ma bisogna vedere la grazia con cui l'autore articola il discorso, tagliato in dialoghi il più delle volte a due personaggi, e quali palpiti sa dare alle sue ragazze in fiore. C'è nelle immagini, nonostante l'impermeabilità di Rohmer a tutto quanto esula dell'orizzonte sentimentale dei personaggi, il senso del vissuto con le sue pungenti amarezze, le sue contraddizioni, le accensioni e i dolori. L'abbiamo già detto da Berlino: un film così è una splendida occasione per riscoprire la commedia della vita e la vita come commedia. E abbiamo già detto, e lo diremo ancora, che Eric Rohmer è l'Amadeus del cinema."

(Il Corriere della Sera, 6 maggio 1990)

"E' il delizioso film che chiuse in bellezza, fuori concorso, l'ultimo festival di Berlino. Dopo i sei film dei 'Racconti morali' e i cinque di 'Commedie e proverbi', Maurice Scherer, in arte Rohmer, settantenne felice, ha aperto un nuovo ciclo che s'intitola 'Racconti delle quattro stagioni'. S'incomincia, come l'uso vuole, con la primavera. Rohmer ha cambiato ciclo, ma non la classica trasparenza dello stile, l'interesse per i personaggi giovani, la leggerezza elegante del tocco, la cristallina e armoniosa purezza, insomma il suo cinema fondato sulla comunicazione verbale e l'analisi psicologica. (...) Hugo von Hoffmanstahl diceva: 'La profondità va nascosta. Dove? In superficie'. Il suo film s'appoggia qua e là, con competenza, a frammenti di un arioso Beethoven e di Schumann."

(Morando Morandini, 'Il Giorno', 5 maggio 1990)

"Dopo i sei film che hanno dato vita ai 'Racconti morali' e ai sette andati sotto il titolo 'Commedie e proverbi', Rohmer inaugura con questo 'Racconto di primavera' un nuovo ciclo dedicato alle stagioni. E della primavera quest'ultima fatica del professore di Lettere ha la freschezza e il profumo, il tiepido calore e la fragranza, di per sé sufficienti a confortare un animo dotato di un minimo di sensibilità. Se poi in fondo a quest'animo c'è qualcosa di più, il gioco si fa maggiormente invitante e piacevole. A renderlo tale contribuiscono fra l'altro, ancora una volta, gli attori ai quali ricorre abitualmente Rohmer. Non attori noti - che probabilmente mal si adatterebbero ai personaggi loro assegnati, tutti invariabilmente marcati da quell'anonimato che è la caratteristica della gente comune, - ma attori che suppliscono alla popolarità con la genuinità. E sempre gradevoli sorprese. Come Anne Teyssedre nel ruolo di Jeanne."

(Enzo Natta, 'Famiglia Cristiana', 23 maggio 1990)

“Tra appartamenti di Parigi e una casa di campagna si muovono quattro personaggi. Jeanne (A. Teyssedre), docente di filosofia al primo incarico, si fa ospitare da Natasha (F. Darel) che, in antipatia verso l'amichetta del padre (E. Bennett), sua coetanea, spinge la nuova amica tra le braccia del genitore (H. Quester). È il primo del ciclo "Racconti della quattro stagioni" che segue ai "Racconti morali" e a "Commedie e proverbi". Vi succede poco sul piano dei fatti, molto su quello dei sentimenti. Gli si addice un noto detto di Hoffmanstahl: "La profondità va nascosta. Dove? In superficie". Settantenne felice, E. Rohmer continua per la sua strada: la trasparenza dello stile, l'interesse per i personaggi giovani, la leggerezza elegante del tocco, il suo cinema fondato sulla comunicazione verbale e l'analisi psicologica”.

(Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli)

“Dopo "Racconti morali" e "Commedie e proverbi", un nuovo ciclo per Rohmer, "Le quattro stagioni". Si comincia con la primavera, stagione degli amori, della vita all’aria aperta, della natura in fiore. Luoghi comuni? Per il non più giovanissimo (settant’anni il 21 marzo scorso) ma ancora giovanile regista della Nouvelle Vague, probabilmente sì. Ma senza astio, senza rancore, più filosoficamente che mai, con il sorriso sulle labbra e tanta comprensione per la "sostenibilissima leggerezza dell’essere".
Gli eroi e, più spesso, le eroine del cinema rohmeriano praticano il pensiero debole quasi senza accorgersene: in ciò la loro forza, spontaneità e naturalezza che si consumano (sublimano?) nello spazio di un film, tanto è ferrea la legge del regista in base alla quale solo per una volta (l’eccezione è Marie Rivière) possono assurgere al rango di protagonisti. Cambiano i volti di attori e attrici - sempre bravissimi - ma non lo spessore dei personaggi, cinici, egoisti o, al contrario, sin troppo garbati, timidi, in una modulazione di tipologie che ammette, ed anzi sollecita, il variare delle sfumature. Attraverso la "ciclicità", il regista può "ripetersi senza mai ripetersi", ossia fare (in fondo) sempre lo stesso film rinnovandolo ogni volta. È in questa originalità della serialità la cifra ultima del famoso Rohmer’s touch, non meno impareggiabile e inconfondibile di altri tocchi d’autore ormai celebri.
Ciò premesso veniamo pure al Conte de printemps, sottolineando per prima cosa gli scarti evidenti che il narrato offre per rapporto alle coordinate spaziotemporali della narrazione. È primavera ma l’ambientazione privilegia gli interni: cucine, soggiorni, camere da letto, salotti, sale da pranzo di uno e poi due, e poi tre, e poi quattro, e poi cinque (tanti ne abbiamo contati) diversi appartamenti: a Parigi, Montmorency, in campagna. Sono i luoghi non indifferenti che un regista come Rohmer, mai casuale nell’organizzazione dello spazio, esso stesso dimensione del linguaggio, sceglie per far parlare i personaggi. Ancora una volta la storia nasce dall’insofferenza del personaggio principale (Jeanne) per il luogo (i luoghi) in cui vive. Solo che l’uscita - rifuggendo dalle teoriche del fláneur di benjaminiana (e rohmeriana) memoria - origina in questo caso nuove entrate, in continuazione. È alla festa di un’amica, dove si annoia, capitatavi perché non sapeva dove altro andare, che Jeanne incontra Natacha. È a casa di quest’ultima, in circostanze "imbarazzanti" per la tradizionale pudicizia rohmeriana, che Jeanne conosce Igor, sentendosi subito a disagio. È qui, ancora, che dopo aver stretto amicizia con Natacha, rivede Igor e fa la conoscenza di Eve, capendo che attorno a quel tavolo tutti hanno una buona ragione per sentirsi a disagio. È poi nella villa di campagna (sorvolando su molti altri interni) che il disagio produce alterchi, separazioni distacchi: più o meno dolorosi, più o meno definitivi. Lo spazio urbano, la città, il tessuto metropolitano non sono più l’altrove che ciascuno cerca immaginando di trovare. Rade inquadrature di Parigi intervengono a mo’ di siparietti fra un interno e l’altro. Consentono allo spettatore di respirare ed anche di riflettere: non è la città che manca, è piuttosto il suo richiamo che non attrae più i personaggi, è la sua necessità che pare mancare.
L’altro significativo scarto che caratterizza il film è che in primavera gli amori non sbocciano, muoiono. Baruffano e si lasciano Igor e Eve, per la gioia di Natacha, ma fino ad un certo punto, perché anche i rapporti con il suo fidanzato si sono fatti di recente difficili. Quanto a Jeanne, che dribbla volentieri le avances di Igor, chi può dire che sia felice con Mathieu (che, infatti, non compare mai)? Odia sentirsi sposata e, non esserlo, mantiene il doppio domicilio ma non si sente a suo agio in nessuno dei due, mostra saggezza e manifesta comprensione per i guai degli altri ma chissà... Conte de printemps è meno brillante di altri recenti lavori di Rohmer ma si suggella con un lieto fine che sembra autentico, non di maniera. È più ritto, dialogato, lento e "sofferto", benché sempre "aereo" e forse maggiormente "ottimistico". Persino il "caso" (componente essenziale della poetica rohmeriana) sembra meno bizzarro e imprevedibile, intervenendo quasi soltanto nel finale (il ritrovamento della collana). Se, poi, gli interpreti se la cavano nel migliore dei modi (averne, qui da noi, di "sconosciuti" così...), non si può dire che il regista non sappia cogliere quell’infinità di stati d’animo e sensazioni per cui va giustamente famoso.
Né si può muovere al film l’appunto che alla fin fine non succede niente: sappiamo che nei racconti di Rohmer quel che di più importante accade, accade dentro i personaggi, non fuori di essi. Intrigante, in Racconto di primavera è piuttosto che il senso di incompiutezza, di sottile infelicità di ciascuno dei personaggi (l’ostentato equilibrio di Jeanne, le fissazioni di Natacha, la paranoia di Igor, la libresca filosofia di Eve) rimanga sostanzialmente irrisolto e forse neppure affrontato. Soltanto accennato. Ma, si sa, la primavera non è che l’inizio...”

(Roberto Ellero, Segno cinema n. 44, luglio 1990)

 

Una poesia al giorno

Im Vorübergehn, di Johann Wolfgang von Goethe (Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 - Weimar, 22 marzo 1832)

Ich ging im Felde
So für mich hin,
Und nichts zu suchen,
Das war mein Sinn.

Da stand ein Blümchen
Sogleich so nah,
dass ich im Leben
Nichts lieber sah.

Ich wollt es brechen,
da sagt es schleunig:
Ich habe Wurzeln,
Die sind gar heimlich.

Im tiefen Boden
bin ich gegründet;
Drum sind die Blüten
So schön geründet.

Ich kann nicht liebeln,
Ich kann nicht schranzen;
musst mich nicht brechen,
musst mich verpflanzen.

 

Andavo per i campi
così, per conto mio,
e non cercare niente
era quello che volevo.

E lì c’era un fiorellino,
subito lì, vicino,
che nella vita mai
ne vidi uno più bello.

Volevo coglierlo,
ma il fiore mi disse:
possiedo radici,
e sono ben nascoste.

Giù nel profondo
sono interrato;
per questo i miei fiori
son belli tondi.

Non so amoreggiare,
non so adulare;
non cogliermi devi,
ma trapiantare.

 

Un fatto al giorno

13 luglio 1793: il giornalista e rivoluzionario francese Jean-Paul Marat viene assassinato nella sua vasca da bagno da Charlotte Corday, membro della fazione politica opposta. Costretto a letto durante l'estate a causa di una malattia, il 13 luglio ricevette la visita di una filogirondina della Normandia, Charlotte Corday, una giovane donna di Caen (noto centro girondino), che si recò a Parigi con l'obiettivo di uccidere Marat; la Corday, infatti, riteneva che Marat stesse tradendo gli ideali della Rivoluzione fomentando una guerra civile, e vedeva in lui una personificazione del Terrore. La giovine si recò a casa dell'uomo, che la accolse immerso in una tinozza d'acqua medicamentosa (Marat, infatti, era afflitto da un'irritante malattia della pelle che lo costringeva a lunghe permanenze nella vasca da bagno per alleviare il dolore). Dopo una breve conversazione la Corday gli immerse un coltello nel petto e lo uccise, mentre egli stava leggendo la falsa lettera di supplica utilizzata dalla donna come pretesto per farsi ricevere.

Jean-Paul Marat, uomo politico francese (Boudry, Neuchâtel, 1743 - Parigi 1793) fu tra i protagonisti della Rivoluzione francese e direttore dell'Ami du peuple, nel 1792 fu eletto alla Convenzione. Fautore della dittatura rivoluzionaria, gli fu imputata dai girondini la responsabilità dei massacri del settembre 1792, ma venne assolto. Fu tra gli artefici della caduta dei girondini (giugno 1793) e poco dopo venne assassinato da C. Corday.
Medico, scrittore, filosofo e scienziato, costantemente agitato da idee radicali. In gioventù Marat coltivò con alterni successi la passione per le scienze esatte, la speculazione teoretica e il sogno di un rivolgimento sociale che abbattesse il legame tra diritti politici e censo.

  • Da vedere: Marat/Sade di Peter Brook, da Peter Weiss (1967) 
 
Una frase al giorno

“La libertà non fa per noi: siamo troppo ignoranti, boriosi, presuntuosi, codardi, vili e corrotti, siamo troppo legati ai piaceri e all'ozio, siamo schiavi della fortuna a tal punto da non conoscere affatto il prezzo della libertà”.

(Jean Paul Marat)

 

Un brano al giorno

Die Moritat von Mackie Messer, musica composta da Kurt Weill su testo di Bertolt Brecht. Canta Lotte Lenya.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org