“L’amico del popolo”, 14 luglio 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

QUATORZE JUILLET (Per le vie di Parigi, Francia, 1932), scritto e diretto da René Clair. Fotografia: Rudolf Maté. Montaggio: René Le Henaff. Musiche: Maurice Jaubert. Con: Annabella, Georges Rigaud, Raymond Cordy, Pola Illéry, Paul Ollivier, Raymond Aimos, René Bergeron, Gaston Modot, Louis Pré Fils, Odette Talazac, Thomy Bourdelle.

Anna fa la fioraia, Jean conduce il taxi. I due abitano nello stesso quartiere e, la sera della vigilia del Quattordici luglio, si conoscono a un ballo. Dopo la piacevole serata passata insieme, la loro promessa è di rivedersi presto; ma le condizioni di salute della madre della ragazza impediscono un nuovo appuntamento. Recatasi da Jean per comunicargli la cosa, Anna lo trova in compagnia della sua ex-amante Pola. Jean, in realtà, è incolpevole: la donna gli si è infilata in casa, e a nulla sono valsi gli inviti di lui ad andarsene. Quanto basta, comunque, perché Anna fraintenda e rompa con Jean. Alla morte della madre, Anna trova lavoro come cameriera in un bar. Jean, che si è rimesso con Pola, lascia il taxi e va a vivere in un altro quartiere, facendosi coinvolgere in cattive compagnie. Durante un tentativo di rapina al bar dove Anna lavora, Jean ne prende le difese, mandando a monte il colpo. Lei perde il posto, lui capisce che è meglio dare un taglio a quel tipo di vita. Persisi di vista ancora una volta, Anna riprende il lavoro di fioraria, mentre Jean torna a condurre il taxi. Il tamponamento fra il carretto di lei e il taxi di lui è galeotto: i due, dapprima, litigano, coinvolgendo nella bega tutti i passanti. Poi, mentre gli altri continuano la lite, i due si defilano, si riconciliano e si scambiano un lungo bacio.

Come Le million è il prototipo di quella comicità legata al dinamismo dell'azione, così Quatorze juillet, pervaso da un ritmo che può essere considerato antitetico a quello di Le million, rappresenta l'altro filone dell'ispirazione clairiana: quello sentimentale, purché naturalmente si dia all'aggettivo un valore tutto particolare, significante amore per i sentimenti puri, semplici, forse un po' ingenui; l'abbandono, sempre però controllato quasi da un istintivo pudore, a quel senso di tenerezza e di nostalgia che conferisce alla banlieu parigina quel tono così morbido e patinato. Essa, che già in Un chapeau de paille d'Italie costituiva lo sfondo, diventa qui protagonista, elemento figurativo al quale Clair affida l'espressione del suo stato d'animo. Quasi una specie di rievocazione malinconica dell'infanzia filtrata attraverso il ricordo, proprio come la Parigi di Le silence est d'or, con i suoi boulevard e con i suoi caffè-concerto, simboleggia un'infanzia ormai lontana. [...] Nonostante in questo film l'adesione di Clair al piccolo mondo di periferia sia più aperta, e il suo atteggiamento meno distaccato, tuttavia egli non si lascia mai prendere la mano. La sua partecipazione sentimentale non diventa mai abbandono, proprio in virtù di quelle piccole notazioni ironiche che stemperano il patetismo della vicenda: naturalmente esse sono un po' in sordina o, se si vuole, assumono un ruolo secondario rispetto al tema principale, con il quale, però, si innestano perfettamente sia dal punto di vista ritmico che figurativo.

(Vilna Berti, L'arte del comico in René Clair, «Bianco e Nero», anno XXIX, n. 9/10, ottobre 1968)

“La perdurante, ancorché contrastata, reputazione di René Clair quale stilista supremo della commedia cinematografica si basa sostanzialmente su un quartetto di film populisti da lui realizzati, in uno slancio di irrefrenabile creatività, tra il 1930 e il 1933: quattro commedie - Sous les toits de Paris (Sotto i tetti di Parigi), Le million (Il milione), À nous la liberté (A me la libertà) e il meno conosciuto 14 juillet (Per le vie di Parigi) - che contribuirono ad affermare l’arte del cinema sonoro europeo, a liberare i primi film parlati dal giogo del teatro filmato, a iscrivere il nome di Clair nella élite dei registi di levatura internazionale.
Per ironia della sorte, tra i sostenitori più accesi del cineasta figurano gli americani, la cui industria cinematografica per tutti gli anni ’20 era riuscita abilmente a escludere dagli schermi nazionali la quasi totalità dei film francesi – ivi compresi quelli di Clair. Per una buona parte dei recensori americani, Clair sembrava essere spuntato, nella sua compiutezza formale, da un vuoto culturale - e non a caso, Sous les toits de Paris venne spesso definito il suo “primo film”. Quando poi, nell’estate del 1931, un piccolo distributore fece uscire a New York (col titolo The Horse Ate the Hat) la sua commedia muta Un chapeau de paille d’Italie (Un cappello di paglia di Firenze) ormai vecchia di quattro anni, i critici storsero il naso. Bollandola come "noiosa", Variety precisava che Clair, che “in precedenza aveva girato solo un paio di film ultramodernisti e pseudoartistici”, era “nel frattempo notevolmente migliorato”.
Il “frattempo” risale in realtà al 1923, quando il venticinquenne esordiente, con pochissima esperienza pratica e un budget ridotto al proverbiale osso, realizzò il primo dei suoi sei lungometraggi e due cortometraggi muti che avrebbero stupito, sconcertato, irritato e affascinato l’establishment culturale francese - annunciando la nascita di un nuovo, fantasioso talento. Egli era nato col nome di René Chomette nel 1898, nel cuore e ventre di Parigi - il quartiere del mercato delle Halles - dove i suoi genitori gestivano un redditizio commercio di saponi. Durante la Grande Guerra, aveva pubblicato i suoi primi versi e racconti, e nel 1917 era stato brevemente sul fronte con il reparto ambulanze. Poche settimane dopo l’armistizio (l’11 novembre del 1918, che era il giorno del suo ventesimo compleanno), fece il suo debutto professionale come giornalista, tenendo una rubrica di letteratura, musica e teatro per un importante quotidiano parigino, L’Intransigeant (e anche scrivendo, sotto pseudonimo, canzoni per la grande cantante realista Damia)”.

(Lenny Borger in "René Clair: le Silence est d'or", Le Giornate del Cinema Muto, XXVI edizione)

“... qui Clair ha voluto aderire alla realtà in maniera più completa che in Sotto i tetti di Parigi e assumere spesso un tono documentario: molte scene, infatti, e non pochi passaggi sembrano narrati da un operatore nascosto che abbia seguito gli avvenimenti e ne abbia riprese le fasi più caratteristiche”.

(Pasinetti)

René Clair

 

Una poesia al giorno

A una bella Signora, di Joseph Freiherr von Eichendorff (1788–1857)

Dovunque mi volga e in ogni ora,
ai campi, ai boschi, alle valli,
dal monte sin giù alla pianura,
mia nobile e bella signora
il mio saluto a te vola.

I più bei fiori delicati
nel mio giaciglio sono cresciuti,
e tante volte li ho intrecciati
con dolci pensieri dorati
e insieme con mille saluti.

Ma a lei non li posso offrire:
ella è troppo nobile fiore;
e tutti dovranno appassire.
Ma l’amore, che non vuole morire,
mi resta eterno nel cuore.

Ben sembro allegro e contento,
lavoro svelto e con possa
se il cuore spezzato mi sento,
canto senza un lamento,
eppure mi scavo la fossa.

 

Un fatto al giorno

14 luglio1881: Billy il Kid viene ucciso da Pat Garrett fuori da Fort Sumner. Billy the Kid, all'anagrafe Henry McCarty, conosciuto anche come Henry Antrim o William Harrison Bonney (New York, 23 novembre 1859 - Fort Sumner, 14 luglio 1881), il 14 luglio del 1881 era fuggitivo da tre mesi dopo essere rocambolescamente riuscito a scappare dal carcere di Santa Fe uccidendo due guardie. Non avesse osato colpire un rappresentante della legge, probabilmente il bandito avrebbe continuato ad avere un ruolo da protagonista nella faida di Lincoln, una guerra tra bande di cowboy che si disputavano pezzi di terra, dalla parte dei cosiddetti “Regolatori”.
Ma aver assassinato il precedente sceriffo William Brady gli costò la cattura, una certa notorietà e una altrettanto certa condanna alla fucilazione, a cui riuscì a scampare solo al prezzo della fuga e di un altro massacro. Da allora la sua notorietà prese ad assurgere al rango di leggenda, e al sanguinario Billy the Kid, considerato una specie di Robin Hood del Far West, vennero attributi tanti omicidi quanti erano gli anni che aveva.
Fu in questa veste che un giorno si parò dinanzi ad Anna Maria Segale da Cicagna, già diventata Sorella della Carità Blandina e adusa a difendere indiani, ispanici e varia umanità dolente dal razzismo dei bianchi, a ristrutturare scuole con le proprie mani e a promuovere la costruzione di ospedali e orfanotrofi. Vestito elegante, stivali lucidissimi, un sombrero nero con un nastro verde che avrebbe reso inconfondibili le sue apparizioni, l’immancabile fucile a tracolla, gli comparve davanti durante un viaggio in diligenza da Albuquerque a Santa Fe, mentre il carro attraversava il passo di Raton, una zona vulcanica e sperduta proprio sul confine tra il Colorado e il New Mexico, luogo ideale per gli agguati.
“Tutti i viaggiatori delle pianure si alzano presto e così avevamo fatto anche noi. Il conducente e i passeggeri stavano caricando e pulendo fucili e pistole. Eravamo stati avvertiti che Billy the Kid attaccava le diligenze e tutto ciò che gli capitava a tiro. Dopo circa un’ora di viaggio, il conducente nero con la voce tremante diede il primo messaggio di allarme. Qualcuno galoppava velocemente sulla pianura diretto verso di noi. All’istante tutti gli uomini, ormai febbrilmente turbati, estrassero le pistole. Li osservai e dovetti ammirare la loro espressione risoluta che significava vincere o morire. Ruppi il silenzio dicendo che se quell’uomo a cavallo era una spia della banda, sarebbe stato meglio nascondere le pistole e rimanere passivi. Mi guardarono come si guarda una donna incapace di comprendere l’estremo pericolo. Il conducente, sempre più terrorizzato, ci avvisò che il cavaliere era vicinissimo. Con un tono che esprimeva la mia profonda convinzione chiesi nuovamente di mettere via le pistole. Si poteva sentire il leggero calpestio degli zoccoli. Il cavaliere arrivato alle spalle della diligenza la affiancò. Sollevai la mia grande cuffia per farmi riconoscere e i nostri occhi si incontrarono. Lui, senza interrompere il suo frenetico galoppo, si tolse il cappello a larghe tese, lo sventolò per salutarmi e accennò a un inchino. Poi si allontanò di una decina di metri e si fermò per esibirsi in magnifiche acrobazie a cavallo. Quel cavaliere era Billy the Kid”. E l’assalto alla diligenza, nelle parole di suor Blandina, si era trasformato in un’esibizione di galanterie. Quello che gli attoniti passeggeri non potevano sapere è che quello tra la giovane suora e lo spietato bandito non era affatto il primo incontro, e che tra i due esisteva già una reciproca simpatia che avrebbe loro salvato se non la vita almeno il portafogli.
La descrizione che ne fa suor Blandina sprigiona ammirazione e lascerebbe presupporre un’infatuazione persino contraccambiata se non ci trovassimo in presenza di una donna consacrata all’ultraterreno piuttosto che a un giovane bandito. “Aveva gli occhi azzurro acciaio, carnagione rosea e l’aria di un ragazzino: non gli si sarebbero dati più di diciassette anni”, così Blandina Segale descriverà il Kid all’indomani del primo incontro, avvenuto qualche mese prima, nella primavera del 1876 a Trinidad quando il Kid aveva appunto sedici anni, al capezzale di un uomo della banda ferito gravemente.
”Un componente della banda di Billy era stato ferito in un duello. Ben quattro medici si erano rifiutati di estrargli la pallottola dalla gamba e lo facemmo noi. Con gli occhi di tigre che brillavano per la soddisfazione, il ferito mi disse che la banda avrebbe tolto lo scalpo ai medici. Non potevo rimanere senza far nulla e gli chiesi di far sapere al suo capo che desideravo incontrare lui e la sua banda. Anche se ferito il bandito rise di tutto cuore. Vennero le due del sabato e andai all’appuntamento con Billy e i suoi compagni. Quando entrai nella stanza del malato tutti i componenti della banda erano attorno al letto del ferito. Non ero preparata a incontrare gli uomini che mi trovai di fronte e non compresi bene i nomi di ognuno. Billy, il capo, aveva occhi color azzurro acciaio, carnagione rosea e l’aria di un ragazzino, con un’espressione innocente, se non fosse per la fermezza dei propositi che si coglieva nel suo sguardo. Tuttavia gli chiesi di non mettere in atto quei propositi di vendetta verso quei medici. Non solo rinunciò, ma si dimostrò ancor più generoso, promettendomi il suo aiuto in caso di bisogno”.
Fu l’ultima volta che suor Ellade incontrò il Kid a piede libero. Anzi da allora il latitante più famoso del West, assorbito dalla sanguinosa faida di Lincoln, scomparve dalla vita della donna. Salvo ricomparirvi qualche anno dopo, quando suor Ellade sentì il bisogno di andare a far visita in carcere a quel ragazzino ormai ragazzo che nel frattempo era stato catturato e rischiava seriamente la fucilazione secondo le regole spietate del vecchio West. “Appena entrai nella cella non si mostrò sorpreso e si comportò come se ci fossimo visti il giorno prima invece dei quattro anni trascorsi. Billy era incatenato mani e piedi al pavimento e si scusò di non potermi offrire una sedia, a causa delle autorità che lo costringevano ad essere sgarbato con i suoi ospiti. Parlammo per qualche minuto; infine lo salutai promettendogli di andare a trovarlo altre volte. Mi rispose di non preoccuparmi perché lui certamente se la sarebbe cavata; invece mi chiese di fare qualcosa per il suo compagno di cella, che era al suo primo delitto. Anche incatenato, la sua spavalderia era stupefacente. Non riuscivo a immaginare come avrebbe potuto cavarsela in quella situazione. Durante la nostra conversazione mi convinsi della sua sincerità nel voler collaborare con la giustizia. Aveva appena finito di scrivere al governatore Wallace ricordandogli la promessa di grazia in cambio di una sua testimonianza davanti al tribunale di Lincoln e lo sollecitava ad andare a trovarlo in prigione, prima di recarsi davanti ai giudici.
Nel leggere quella lettera mi resi conto che la sua fiducia era minata dai comportamenti poco rassicuranti da parte del giudice itinerante Leonard, del direttore della prigione, che permetteva a tutti i curiosi di poterlo vedere dietro le sbarre, ma impediva a Billy di incontrare i suoi amici e addirittura il suo avvocato”. Era il mese di marzo del 1881, Billy the Kid aveva appena 21 anni e non sapeva che la sua gioventù sarebbe stata definitivamente bruciata nell’arco di pochi mesi. Prima con la mancata grazia e la sentenza di morte, poi con l’evasione che costò la vita a due guardie. Infine incrociando la pallottola del suo vecchio compagno di giocate che lo spedì a mangiare la polvere del ranch di Maxwell. Suor Blandina venne a conoscenza degli ultimi accadimenti solo leggendo i giornali di Albuquerque e non poté farci molto...”

(da: “La suora che confessò Billy the Kid”, di Angelo Mastrandrea, 13 maggio 2011, in Rassegna Sindacale CGIL)

Pat Garrett e Billy the Kid

Da vedere:

 

Una frase al giorno

“Le poète ne ritient pas ce qu’il découvre; l’ayant transcrit, le perd bientôt. En cela réside sa nouveauté, son infini et son péril”.
“Il poeta non trattiene a sé ciò che scopre / Non appena lo trascrive, subito lo perde. / In ciò risiede la sua novità / il suo infinito, il suo pericolo”.

(Renè Clair)

 

Un brano al giorno

Billy Joel, The Ballad of Billy the Kid 

From a town known as Wheeling, West Virginia
Rode a boy with a six-gun in his hand
And his daring life of crime
Made him a legend in his time
East and west of the Rio Grande

Well, he started with a bank in Colorado
In the pocket of his vest, a Colt he hid
And his age and his size
Took the teller by surprise
And the word spread of Billy the Kid

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k