“L’amico del popolo”, 13 settembre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

CALABUCH (Calabuig, Spagna, Italia, 1956), regia di Luis García Berlanga. Dal romanzo di Leonardo Martin. Sceneggiatura: Leonardo Martin, Fiorentino Soria, Ennio Flaiano. Fotografia e Montaggio: Francisco Sempere, Pepita Orduna. Musica: Guido Guerrini. Con: Edmund Gwenn, Valentina Cortese, Franco Fabrizi, Juan Calvo, Félix Fernández, Manuel Alexandre, Francisco Bernal, Pedro Beltrán, Mario Berriatua, Manuel Guitián, Isa Ferreiro, José Isbert, José Luis Ozores, Maria Vico, Manuel Beringola, Lolo Garcia, Casimiro Hurtado, Nicolás D. Perchicot.

Uno scienziato atomico, George Hamilton, s'appresta a partire per una base segreta del Mediterraneo, ma, giunto a Barcellona, stanco e nauseato dal suo lavoro, rivolto alla produzione di mezzi di distruzione sempre più terribili, decide di sparire dalla circolazione. Per attuare il suo disegno, si reca a Calabuig, piccolo paese di mare sconosciuto a tutti. Naturalmente egli tace il suo nome, dice soltanto di chiamarsi Jorge, e poiché nel paesino fiorisce il contrabbando, egli stesso viene preso per un contrabbandiere. Scambiandolo per un collega, i contrabbandieri del luogo gli affidano un pacco da consegnare a un certo Langosta. In compagnia di Langosta, Jorge impara a conoscere la vita semplice, idilliaca, patriarcale di Calabuig: le vicende amorose della figliola del doganiere, i problemi di una maestrina elementare, i misteri delle partite a scacchi tra il Parroco e il guardiano del faro, ecc. A poco a poco tutti prendono a benvolere Jorge per la sua bonarietà, per le sue doti di uomo servizievole, ed egli passa lietamente le sue giornate tra pacifiche, innocenti occupazioni e distrazioni. Arriva così l'epoca della grande festa annuale del villaggio e naturalmente Jorge si occupa della parte tecnica: per la gara di fuochi d'artificio egli ha costruito un razzo che, esplodendo, scrive nel cielo notturno il nome "Calabuig", con caratteri tanto luminosi che sono visti tutto intorno, alla distanza di molti chilometri. Nell'entusiasmo della festa qualcuno ha scattato una fotografia che, riprodotta dai giornali, svela il rifugio dello scienziato atomico George Hamilton, che la flotta americana verrà di lì a poco a prelevare.

"Amareggiato nel constatare come le sue scoperte siano impiegate a scopo bellico, l'anziano professor George Hamilton, insigne scienziato atomico, approfitta di un viaggio di lavoro in Europa per far perdere le proprie tracce fuggendo in incognito a Calabuig, un piccolo villaggio di pescatori. Scambiato in un primo tempo per un contrabbandiere, il professore, che si fa chiamare semplicemente Jorge, entra ben presto in sintonia con la vita tranquilla dei pittoreschi abitanti conquistando la simpatia e la stima di tutti. Di animo semplice e generoso, l'uomo si appassiona ai piccoli problemi dei suoi nuovi concittadini, distribuendo a ciascuno consigli preziosi, ma coinvolto nei preparativi della festa annuale del paese si lascia prendere un po' troppo la mano. Il sensazionale spettacolo di fuochi artificiali che allestisce richiama la curiosità di un giornalista e una sua fotografia giunge in possesso della marina americana che invia una nave per prelevarlo e ricondurlo in patria, al lavoro di sempre".

Calabuig è una commedia amara, condotta e interpretata con bel mestiere, che non ci sembra estranea alle tematiche di fantapolitica prese in considerazione nella nostra Guida. Nel film non ci sono deflagrazioni atomiche né scenari apocalittici, ma la parabola del protagonista che incarna lo scienziato disinteressato, riluttante a compromettersi con il potere, ha un sorprendente (dati i tempi) sapore di attualità e propone con lucido discorso il dilemma del ruolo della scienza e della ricerca tecnologica in una società dominata più dall'ansia di prevaricazione che dalla volontà di pace. Titoli alternativi: Calabuch, The Rocket From Calabuch”.

(Mymovies.it)

“Il film, sceneggiato da Flaiano, ottenne il premio Ocic a Venezia. E' una racconto morale bizzarro e limpido sui dilemmi morali della scienza nell'era atomica”.

(FilmTV)

CALABUCH (Calabuig, Spagna, Italia, 1956), regia di Luis García Berlanga


Una poesia al giorno

The Defence of Fort McHenry (The Star-Spangled Banner), di Francis Scott Key.

Il 13 settembre 1814, in un punto di svolta nella Guerra del 1812, gli inglesi non riescono a catturare Baltimora. Durante la battaglia, Francis Scott Key compone la sua poesia "Difesa di Fort McHenry", che è successivamente destinata alla musica e diventa l'inno nazionale degli Stati Uniti. Francis Scott Key (Carroll City, 2 agosto 1779 - Baltimora, 11 gennaio 1843) è stato un giurista, scrittore e poeta statunitense, celebre per aver scritto l'inno nazionale degli Stati Uniti, "The Star-Spangled Banner".

O! say can you see by the dawn’s early light
What so proudly we hailed at the twilight’s last gleaming?
Whose broad stripes and bright stars through the perilous fight,
O’er the ramparts we watched were so gallantly streaming?
And the rockets’ red glare, the bombs bursting in air,
Gave proof through the night that our flag was still there.
O! say does that star-spangled banner yet wave
O’er the land of the free and the home of the brave?
On the shore, dimly seen through the mists of the deep,
Where the foe’s haughty host in dread silence reposes,
What is that which the breeze, o’er the towering steep,
As it fitfully blows, half conceals, half discloses?
Now it catches the gleam of the morning’s first beam,
In full glory reflected now shines in the stream:
’Tis the star-spangled banner! Oh long may it wave
O’er the land of the free and the home of the brave.

And where is that band who so vauntingly swore
That the havoc of war and the battle’s confusion,
A home and a country should leave us no more!
Their blood has washed out their foul footsteps’ pollution.
No refuge could save the hireling and slave
From the terror of flight, or the gloom of the grave:
And the star-spangled banner in triumph doth wave
O’er the land of the free and the home of the brave.

O! thus be it ever, when freemen shall stand
Between their loved home and the war’s desolation!
Blest with victory and peace, may the heav’n rescued land
Praise the Power that hath made and preserved us a nation.
Then conquer we must, when our cause it is just,
And this be our motto: ’In God is our trust.’
And the star-spangled banner in triumph shall wave
O’er the land of the free and the home of the brave!

Ritratto di Francis Scott Key

Traduzione

Di’ dunque, puoi vedere nella luce del primo mattino
quel che, fieri, salutammo all’ultimo bagliore del crepuscolo,
le cui larghe strisce e stelle lucenti, nel pericolo della battaglia
fluttuavano valorosamente sui bastioni che osservavamo?
E il rosseggiar dei razzi, e le bombe che scoppiavano in aria
mostrarono, nella notte, che la nostra bandiera era ancora là.
Di’ dunque, lo stendardo lucente di stelle sventola ancora
sul paese degli uomini liberi, e sulla dimora dei coraggiosi?

Sulla costa, che pallidamente si scorge tra le nebbie marine,
ove l’altezzosa schiera nemica sta in un tremendo silenzio,
cos’è dunque che il vento, sull’erta torreggiante,
soffiando con forza ora nasconde, e ora rivela?
Ora cattura il barlume del primo raggio del mattino
che risplende sui flutti con riflessi di gloria:
E’ lo stendardo lucente di stelle! Ch’esso sventoli a lungo
sul paese degli uomini liberi, e sulla dimora dei coraggiosi.

E dov’è mai quella banda, che giurò, nella sua vanagloria,
che la rovina della guerra e il caos della battaglia
non ci avrebbero mai più permesso di avere una casa e un paese?
Il loro sangue ha cancellato anche il puzzo dei loro sporchi passi.
Nessun rifugio potrebbe salvare il mercenario e lo schiavo
dal terrore della fuga o dalla cupezza della tomba:
E lo stendardo lucente di stelle sventola trionfante
sul paese degli uomini liberi, e sulla dimora dei coraggiosi.

E così sia per sempre, quando uomini liberi dovranno
scegliere tra le loro amate case e la desolazione della guerra!
Benedetta dalla vittoria e dalla pace, la nazione salvata dal cielo
renda lode alla Potenza che ci ha creati e preservati come nazione.
Indi vincer dobbiamo, ché giusta è la nostra causa,
e questo sia il nostro motto: “Abbiamo fede in Dio.”
E lo stendardo lucente di stelle sventolerà in eterno
sul paese degli uomini liberi, e sulla dimora dei coraggiosi!

 

Un fatto al giorno

13 settembre 1985: esce in Giappone Super Mario Bros, che pone fine alla crisi dei videogiochi e segna l'inizio dell'era di Nintendo. “Super Mario Bros. (スーパーマリオブラザーズ Sūpā Mario Burazāzu?) è un videogioco a piattaforme sviluppato e pubblicato nel 1985 da Nintendo per il Nintendo Entertainment System. Ideato da Shigeru Miyamoto, è il primo titolo della serie Super Mario. Il gioco ha venduto oltre 40 milioni di copie, ed è celebre per il tema musicale del suo primo livello, il cui gameplay è stato imitato da numerosi platform successivi”.

(Wikipedia)

“Mezzo miliardo di copie vendute, 35 anni di grandi successi alle spalle. Eppure sugli smartphone ci arriva solo ora. Mario, l’idraulico dei videogame Nintendo, per la prima volta dal 15 dicembre (2016) sarà il protagonista di una app per iPhone e iPad. Quando suo “padre”, Shigeru Miyamoto, a settembre è salito sul palco della Apple a San Francisco per mostrare Super Mario Run, il titolo della Nintendo è volato in borsa raddoppiando il suo valore. “Sarà un fenomeno più grande di Pokémon Go?”, ci si domanda sul sito della Bloomberg. “È l’inizio di una nuova era”, commenta il Wall Street Journal. E pensare che lui, Miyamoto-san, classe 1952 e fra i più grandi creatori di giochi del mondo, aveva detto che mai e poi mai avrebbero ceduto alle app. Scottava lo smacco per aver visto un mercato come quello delle console portatili (amate dai bambini) svanire per colpa degli smartphone e dei tablet di Steve Jobs. E alla Nintendo hanno la pignoleria della Disney: proteggono i loro personaggi in maniera ossessiva e li cambiano con il contagocce. «C’è stata un’epoca nella quale pensavo che Mario non sarebbe mai apparso su un iPhone», racconta il sessantaquattrenne Miyamoto. «Ma è un fatto che gli smartphone sono i più diffusi in assoluto ed è un fatto che tanti bambini giocano su quelli dei genitori», prosegue. La sua speranza è che attraverso Super Mario Run possano arrivare ad apprezzare giochi ben più ricchi e complessi sulle console Nintendo. Riservato, due figli ormai grandi dei quali non parla mai, una laurea in design industriale e un’infanzia passata nelle campagne attorno a Kyoto, Miyamoto è entrato nel 1977 nell’azienda che al tempo era diretta da Hiroshi Yamauchi. Nipote del fondatore, Yamauchi aveva trasformato la vecchia manifattura in un colosso dell’intrattenimento digitale, passando prima per il business dei taxi e per quello degli alberghi ad ore. Vide in Miyamoto grandi potenzialità. A ragione. Non è solo il “padre” di Super Mario, ha creato anche la saga di Zelda - che di copie ne ha vendute quasi 90 milioni - e quella di Pikmin. Ma è a Mario che alla fine è legato. Un idraulico senza nome, era l’eroe che si opponeva alla scimmione Donkey Kong, nel 1981, quando le sale giochi spadroneggiavano. Da allora l’idraulico con baffi e pancetta ha generato un giro d’affari da 15 miliardi di dollari. Nessuno si aspettava che sarebbe arrivato così lontano”.

(Jaime D'alessandro Shigeru Miyamoto: "Così ho creato Super Mario" - Repubblica.it)

Super Mario Bros è un film statunitense del 1993, basato sull'omonima serie di videogiochi e in generale sull'universo creato intorno al personaggio di Mario. È stato il primo film nella storia del cinema ad essere tratto da un videogioco. La regia è di Rocky Morton e Annabel Jankel.

 

Una frase al giorno

“Se do il pane ai poveri, tutti mi chiamano santo; se dimostro perché i poveri non hanno pane, mi chiamano comunista e sovversivo”.

(Hélder Pessoa Câmara, noto come Dom Hélder, 1909-1999, arcivescovo cattolico e teologo brasiliano).

 

Un brano al giorno

Clara Schumann - Trio per violino, violoncello e pianoforte op. 17 - I - Allegro moderato. Gelius Trio (Micaela Gelius, Sreten Krstic, Stephan Haack).

“Clara Josephine Wieck (sarebbe diventata Schumann dopo il matrimonio) nacque a Lipsia in Germania il 13 settembre del 1819. Quando aveva quattro anni, i suoi genitori si separarono: lei rimase con il padre, che le fece coltivare il suo spiccato talento per la musica. A otto anni Clara tenne un piccolo concerto nell’abitazione del direttore della casa di cura per malati psichiatrici che sorgeva nei pressi della città. Lì incontro un altro giovane pianista, Robert Schumann, che aveva diciassette anni. Il ragazzo rimase molto colpito dall’esibizione di Clara e ottenne il permesso dalla madre di interrompere gli studi in legge, così da poter frequentare con assiduità casa Wieck e ricevere lezioni di piano insieme con la giovane pianista. Schumann, che sarebbe poi diventato uno dei più importanti compositori del periodo romantico tedesco, si trasferì per un anno nella casa di Clara. I due divennero buoni amici e qualche anno più tardi, nel 1840, si sposarono.”

(Continua in: “Clara Schumann, un ritratto” - Quinte Parallele)

Clara Wieck Schumann

Clip dal film biografico "Song of Love" in cui Katharine Hepburn interpreta Clara Wieck Schumann, Paul Henreid è Robert Schumann e Robert Walker impersona Johannes Brahms. In questa scena (che avrebbe avuto luogo nel 1853), il 20enne Brahms arriva a casa Schumann e suona un estratto dalla sua Rhapsody in Sol Minore Op. 79 No. 2, opera non composta fino al 1879.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k