“L’amico del popolo”, 15 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

CANDY (Candy e il suo pazzo mondo, Francia, Italia, USA, 1968), regia di Christian Marquand. Basato sul romanzo omonimo del 1968 di Terry Southern e Mason Hoffenberg. Sceneggiatura: Buck Henry. Fotografia: Giuseppe Rotunno. Montaggio: Giancarlo Cappelli, Frank Santillo. Musiche Dave Grusin. Con: Ewa Aulin, Marlon Brando, Richard Burton, Florinda Bolkan, John Huston, Walter Matthau, Christian Marquand, Sugar Ray Robinson, Ringo Starr, Charles Aznavour, Elsa Martinelli, Umberto Orsini, Enrico Maria Salerno, James Coburn, Anita Pallenberg, Nicoletta Rangoni Machiavelli, Lea Padovani, Marilù Tolo, Mark Salvage, Peter Dane, Neal Noorlac, Peggy Nathan, Fabian Dean, Enzo Fiermonte, Tony Foutz, Joey Forman, John Astin, Tom Keyes, Micaela Pignatelli.

CANDY (Candy e il suo pazzo mondo, Francia, Italia, USA, 1968), regia di Christian Marquand

Candy, una giovane studentessa americana dalla fantasia vivacissima, si abbandona, nel corso di una noiosa lezione scolastica, a un lungo sogno che la vede protagonista di alcune esperienze sentimentali con gli individui più disparati. Dapprima ha un incontro amoroso con un poeta istrione, e subito dopo con un giardiniere messicano. Accusata come adescatrice dai parenti di quest'ultimo, Candy, per sottrarsi agli arresti, fugge in aereo con la propria famiglia. Evitate le attenzioni del maturo comandante dell'aereo, la ragazza, una volta atterrata, è presa di mira da un celebre chirurgo al quale ha affidato il proprio padre. Un'infermiera, gelosa del chirurgo, la costringe successivamente a trovare scampo in un bar, nel quale è fatta oggetto di attenzioni da parte di un giovane regista. Costretta ancora una volta a fuggire, Candy viene raccolta a bordo di un autotreno trasformato da un eccentrico fachiro in luogo di meditazione. Insidiata anche dal fachiro, la ragazza scende dall'autocarro ed incontra un santone che la trasporta in uno strano tempio. Poco dopo il tempio crolla e Candy, finalmente risvegliatasi, si ritrova nell'aula della propria scuola.

CANDY (Candy e il suo pazzo mondo, Francia, Italia, USA, 1968), regia di Christian Marquand

Il libro: “Una ragazza che si lascia dirottare senza proteste, anzi, con entusiasmo”.
Recitava così l'ingenua manchette promozionale della prima edizione italiana di Candy, romanzo di Terry Southern e Mason Hoffenberg che, partito dalla Francia, aveva conquistato il mondo grazie a un incredibile mix di peregrinazioni picaresche, sesso e satira sociale, il tutto condito con un inimitabile spirito grottesco.
Correva l'anno 1965, si cominciava a respirare una certa aria di rivoluzione, eppure soltanto Longanesi trovò il coraggio di far uscire qui da noi, provincia dell'impero, quel libro che già imperversava sulla scena internazionale da buoni sette anni. La nostra versione, tuttavia, aveva un vizio di fondo: riprendeva quella inglese, pesantemente edulcorata delle situazioni più scandalose. Ecco perché va salutata l'operazione di Elliot Edizioni che, dopo decenni di assenza, ripropone al nostro pubblico questo delizioso romanzo cult che di fatto ha segnato una generazione, in una traduzione tutta nuova. È un po' come se il libro uscisse per la prima volta in Italia, con la stessa carica di malizia che nel 1958 ne segnò il debutto, sulla scena della Parigi esistenzialista affollata da intellettuali e sedicenti artisti che arrivavano da tutto il mondo civilizzato pur di respirare l'aria della Rive Gauche, Terry Southern, giornalista texano poco più che trentenne destinato un giorno a diventare lo sceneggiatore del Dottor Stranamore di Kubrick, era tra questi. Aveva bisogno di quattrini e allora a quattro mani con il collega e coetaneo newyorchese Mason Hoffenberg, di stanza in Svizzera, si lanciò nella stesura di quello che doveva essere un romanzetto sexy. Partirono senza troppa convinzione, scambiandosi i capitoli per corrispondenza. Il plot tuttavia cresceva e alla fine i due si ritrovarono a condividere la stessa scrivania per la revisione generale dell'opera, in una villa di Tourrettes sur Loup, tra le Alpi Marittime, presa in fitto da un amico di Southern: un certo Mordecai Richler.

Il debutto nel solco di Lolita.
Rifiutato negli States, il libro fu proposto all'unico editore che lo avrebbe pubblicato senza battere ciglio: il parigino Maurice Girodias che, con la sua Olympia Press, tre anni prima aveva fatto il botto grazie a quel capolavoro che è Lolita di Vladimir Nabokov. Il successo di Candy, uscito sotto lo pseudonimo di Maxwell Kenton, andò ben oltre le più rosee aspettative degli autori: il pubblico di mezzo mondo rispose alla grande e tra i critici ci fu addirittura chi definì l'opera un'intelligente parodia sexy del «Candide» di Voltaire. Accostamento che ha sempre fatto sorridere Southern: “È come se vomiti in una grondaia - dirà un giorno - e tutti quanti cominciano a dire che si tratta della più grande nuova forma d'arte, così torni indietro, guardi quello che hai fatto e, per Dio, devi essere d'accordo con loro”. Come nella più classica vicenda di questo tipo, arriveranno una trasposizione cinematografica (“Candy e il suo pazzo mondo”, diretto nel 1968 da Christian Marquand con un cast stellare comprendente, tra gli altri, Marlon Brando e Ringo Starr) e addirittura una parodia porno (“Le avventure erotiche di Candy” con John Holmes), i due autori finiranno a litigare tra loro per chi ha avuto l'idea originale e poi entrambi si scaglieranno contro l'editore per questioni riguardanti sfruttamento dell'opera. Aldilà di qualsiasi considerazione possibile intorno valore filosofico (vero o presunto) del testo, c'è da dire che Candy fotografa un'epoca: siamo alla fine degli anni Cinquanta, il “movimento” è ancora agli albori, ma già se ne intravedono le derive edonistiche del decennio a venire, quando impazzeranno gli hippie. C'è una ragazzina (l'omonima protagonista) che, animata da improbabile spirito da buon samaritano, decide di concedersi a tutti per migliorare il mondo. Davanti alle di lei grazie cadranno tutti: dal Professor Mephisto che insegna filosofia ma risulta animato da istanze tutt'altro che trascendenti al giardiniere messicano di famiglia, dal vecchio sporcaccione zio Jack a un giovane medico che studia gli effetti benefici della masturbazione, passando per il santone di una curiosa setta che la inizierà ai misteri dell'Oriente. Gira e rigira, tutto gira intorno al sesso. La vita appare insomma molto meno seria di come la si vorrebbe far passare. E allora tanto vale prendersi in giro”.

(Francesco Prisco - Il Sole 24 Ore)

Ringo Starr e Ewa Aulin

15 febbraio 1941: nasce Florinda Bolkan, attrice brasiliana

Florinda Bolkan

 
Una poesia al giorno

Sonetto XVIII, di Louise Labé (in donnedipoesia.wordpress.com - Soprannominata La Belle Cordière, per essere figlia di un cordaio, Louise Labé (Lione, 1524 circa - Parcieux, 15 febbraio 1566), è stata una poetessa femminista francese).

Baise m’encor, rebaise moy et baise :
Donne m’en un de tes plus savoureus,
Donne m’en un de tes plus amoureus :
Je t’en rendray quatre plus chaus que braise.

Las, te pleins tu ? ça que ce mal j’apaise,
En t’en donnant dix autres doucereus.
Ainsi meslans nos baisers tant heureus
Jouissons nous l’un de I’autre à notre aise.

Lors double vie à chacun en suivra.
Chacun en soy et son ami vivra.
Permets m’Amour penser quelque folie :

Tousjours suis mal, vivant discrettement,
Et ne me puis donner contentement,
Si hors de moy ne fay quelque saillie.

Louise Labé (Lione, 1524 circa - Parcieux, 15 febbraio 1566)

Baciami ancora, ribaciami e bacia:
dammene uno dei tuoi più succosi,
dammene uno dei tuoi più passionali,
te ne renderò quattro più ardenti della brace.

Ti meravigli? Placo la mia inquietudine,
dandotene altri dieci mielosi.
Così, mescolando i nostri gradevoli baci,
godiamo l’un dell’altro del nostro piacere.

E sarà per entrambi una doppia vita.
Ognuno vivrà in sé e nell’altro.
Permettimi, Amore, di pensare qualche follia:

sto sempre male nel vivere una vita discreta
non potendo donarmi nessuna soddisfazione
se fuori di me non posso liberarmi.

 

Un fatto al giorno

15 febbraio 1933: Giuseppe Zangara uccide il sindaco di Chicago Anton Cermak, nel corso di un tentativo di assassinio di Franklin Roosevelt a Miami. Giuseppe Zangara (Ferruzzano, 7 settembre 1900 - Raiford, 20 marzo 1933) è stato un anarchico italiano naturalizzato statunitense... Il 15 febbraio 1933 fu autore di un tentativo di assassinio ai danni di Franklin Delano Roosevelt a Miami, in Florida, durante il quale invece morì il sindaco di Chicago Anton J. Cermak. Zangara fu giustiziato tramite sedia elettrica il 20 marzo 1933 nel penitenziario di stato della Florida, come pena per il reato di omicidio... Il 20 marzo 1933, dopo aver trascorso solo 10 giorni nel braccio della morte, l'esecuzione di Zangara è stata tenuta nella Florida State Prison in Raiford, in Florida.

(Wikipedia)

Giuseppe Zangara

Quando la mattina del 15 febbraio 1933, con una pistola comprata per 8 dollari in un'armeria locale, al Bayfront Park di Miami sparò cinque colpi all'indirizzo del capo della Casa Bianca - che fece tappa nella cittadina della Florida prima di una breve vacanza ai Caraibi -, Zangara, un muratore fortemente ideologizzato che in quel periodo si trovava senza un lavoro fisso, pensava probabilmente di avere l'occasione di compiere quell'atto di «giustizia proletaria» di cui, diversi anni più tardi, avrebbe cantato anche Francesco Guccini nella sua «Locomotiva». I cinque proiettili sparati dalla sua semiautomatica a buon mercato hanno mancato il presidente Roosevelt, che se l'è cavata solo con un grande spavento, ma sono andati comunque a segno, uccidendo il sindaco di Chigaco, Anton "Tony" Cermak, che faceva parte del drappello presidenziale. E ferendo altre quattro persone. Sulla tomba del povero Cermak compare ora questo epitaffio: «Sono felice di esserci stato io al tuo posto».

L'edizione del Miami Herald del giorno seguente all'attentato

IL PROCESSO - Zangara venne subito fermato dagli agenti di polizia presenti sul luogo del comizio e portato in carcere. Fu giudicato colpevole nel corso di un processo lampo e quasi subito giustiziato: il 20 marzo, poco più di un mese dopo l'attentato, l'immigrato calabrese si è ritrovato faccia a faccia con il boia sulla sedia elettrica del penitenziario di Raiford. E, secondo quanto raccontano le cronache del tempo, l'uomo non ha gradito il fatto che nessun fotoreporter fosse presente per documentare i suoi ultimi attimi di vita. “Io non ho paura di quella sedia - sono state le sue ultime parole -. Voi siete dei capitalisti, anche voi siete dei criminali. Mettetemi sulla sedia elettrica. Non mi importa! Andate al diavolo, figli di puttana Mi ci siedo da solo. Viva Italia! Addio alla gente povera ovunque! Vili capitalisti! Niente foto! Capitalisti! Nessuno qui che mi faccia una foto. Tutti i capitalisti sono una banda di vili criminali. Avanti. Schiacciate il bottone!”.

LIBRI E MUSICAL - Alla vicenda di Giuseppe Zangara, che ha creato qualche imbarazzo anche al governo Mussolini, che per un certo periodo era stato addirittura sospettato di essere il mandante dell'omicidio, era stato dedicato anche un libro a cura di Blaise Picchi, un avvocato della contea di Broward, che nel 1998 diede alle stampe «The five weeks of Giuseppe Zangara - The man Who Tried to Kill FDR». Il suo personaggio compare poi tra i protagonisti del musical di Stephen Sondheims “Assassins”, che narra delle gesta di tutti coloro che nella storia hanno ucciso o cercato di uccidere un presidente americano, dal precursore John Wilker Booth, che nel 1865 pose fine alla vita di Abramo Lincoln, a Lee Harwey Oswald, presunto assassino di John Fitzgerald Kennedy. Una figura, quella di Zangara, che rischia insomma di assurgere alla categoria del mito, seppure nella categoria degli eroi negativi. Un «successo» che probabilmente neppure lui si sarebbe mai immaginato, quel giorno, in cui una scarica di volt lo portò via con sé. Senza neppure un fotografo a riprendere la scena...”

(Alessandro Sala, 20 settembre 2007, Corriiere della Sera)

Immagini:

 

Una frase al giorno

“Combattevamo Mussolini come corruttore, prima che come tiranno; il fascismo come tutela paterna prima che come dittatura; non insistevamo sui lamenti per mancanza della libertà e per la violenza, ma rivolgemmo la nostra polemica contro gli italiani che non resistevano, che si lasciavano addomesticare”.

(Piero Gobetti, Torino, 19 giugno 1901 - Neuilly-sur-Seine, 15 febbraio 1926, giornalista, politico e antifascista italiano).

Piero Gobetti, Torino, 19 giugno 1901 - Neuilly-sur-Seine, 15 febbraio 1926

Considerato un erede della tradizione post-illuminista e liberale che aveva guidato l'Italia dal Risorgimento fino a poco tempo prima, tuttavia di stampo profondamente sociale e sensibile alle rivendicazioni del socialismo, Piero Gobetti fondò e diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione Liberale e Il Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima che le sue condizioni di salute, aggravate dalle violenze fasciste, ne provocassero la morte prematura a nemmeno 25 anni durante l'esilio francese”

(Wikipedia)

Immagini:

 

Un brano musicale al giorno

Michael Praetorius, 3 Dances

Michael Praetorius (1571 - 1621)

15 febbraio 1571 nasce Michael Praetorius, organista e compositore tedesco, morto nel 1621.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k