L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
MODESTY BLAISE (Modesty Blaise - La bellissima che uccide, United Kingdom, 1966), regia di Joseph Losey. Sceneggiatura: Evan Jones dal libro omonimo di Peter O'donnell. Fotografia: Jack Hildyard. Montaggio: Reginald Beck. Musiche: John Dankworth Con: Monica Vitti, Terence Stamp, Dirk Bogarde, Harry Andrews, Michael Craig, Clive Revill, Alexander Knox, Rossella Falk, Scilla Gabel, Michael Chow, Saro Urzì, Tina Aumont, Joe Melia, Jon Bluming.
Il governo inglese si è impegnato a far pervenire a un ricchissimo sceicco del Medio Oriente un grosso quantitativo di gioielli in cambio d'una concessione petrolifera. Per evitare che il prezioso carico venga rubato durante il viaggio, il servizio segreto inglese incarica Modesty di proteggerlo. Infatti ben presto intrighi ed attentati si sviluppano e la ragazza si salva brillantemente con la collaborazione di Willie, l'uomo dal coltello facile. Anima di tutti i complotti è Gabriel, un organizzatissimo avventuriero, peraltro già noto alla ragazza. Modesty, che non si fa ingannare da un'azione diversiva del servizio segreto inglese, che dubita della sua fedeltà, fiuta i gioielli nella stiva della nave Tyboria, che fa scalo a Napoli in attesa di proseguire per il Medio Oriente. Ma Gabriel, che nel frattempo si è agitato a vuoto, cattura la ragazza ed il suo amico e costringe quest'ultimo ad asportare i gioielli dalla nave. Ormai in balia dell'elegante, ma anche temibilissimo avversario, i due chiedono soccorso allo sceicco e ne accolgono gli armati mentre difendono disperatamente i gioielli che hanno riconquistato.
“Non credo si debba negare a Modesty Blaise (a rischio dell'impopolarità in stagioni così inclini al "laissez faire, laissez passer") un posto di tutto riguardo tra i film più orripilanti degli ultimi cinque o sei anni. Eppure c'erano, a priori, tutte le condizioni per una diversa riuscita: un regista, Joseph Losey, sulla cui importanza si potrà discutere, ma al quale non è lecito negare una consapevolezza fin troppo scoperta delle ragioni della propria poetica; un'équipe di attori intelligenti e disincantati al punto giusto; larga disponibilità, infine, dei mezzi indispensabili perché il "pastiche" attingesse la necessaria suggestione scenografica e figurativa...”
(Adelio Ferrero su Cinema Nuovo)
“Ex ladra e spia ritiratasi a vita privata, Modesty Blaise (Monica Vitti) viene reclutata dai servizi segreti inglesi per fare da scorta a un carico di diamanti, destinato allo sceicco Abu Tahir (Clive Revill), che fa gola a Gabriel (Dirk Bogarde), avversario di lunga data della donna. Dopo aver affrontato gli scagnozzi dell'organizzazione criminale ed essere stata fatta prigioniera, l'eroina, con l'aiuto del partner Willie Garvin (Terence Stamp), riuscirà infine nell'impresa di consegnare i preziosi che, però, vorrebbe per sé come ricompensa.
Il diciottesimo lungometraggio del regista di La Crosse (ma solo il terzo a colori) è blandamente ispirato al personaggio nato nelle strisce a fumetti di Peter O'Donnell. Un oggetto curioso che, accolto tiepidamente all'uscita e poi quasi dimenticato, oggi può quasi ambire a diventare un piccolo oggetto di culto camp. Lavorando sui presupposti della parodia di film d'azione e spionaggio (James Bond in testa), Losey lascia che lo schermo venga invaso da tappezzerie optical e costumi tanto eleganti quanto improbabili, in un'atmosfera pop che restituisce perfettamente l'aria dei Sixties. Fa recitare in inglese la Vitti e concede a un divertito (e divertente) Bogarde qualche battuta in italiano. L'intreccio sta scritto su un fazzoletto e il ritmo spesso latita, ma le sequenze surreali non mancano: la scena al Luna Park e il carosello finale degli arabi a cavallo sono intrattenimento di gran gusto. Consapevolmente idiota e lontano dalla volgarità, oggi rischia quasi di sembrare snob allo spettatore abituato alle trivialità stile Austin Powers”.
“Tratto dall’omonima striscia a fumetti di Peter O’Donnell, Modesty Blaise - La bellissima che uccide (1966) è un insolito ma al tempo stesso assai gradevole divertissement, che Joseph Losey, reduce dai grandi successi di Eva (1962) e Il servo (1963), realizzava mettendo insieme un cast di stelle di prim’ordine, in cui svettavano Monica Vitti, che nel 1964 era stata la tormentata protagonista di Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni, qui nell’insolita veste di eroina - agente segreto, e Terence Stamp, che, qualche anno dopo, avrebbe interpretato ruoli particolarmente significativi in Toby Damnit di Federico Fellini e in Teorema di Pier Paolo Pasolini. Inoltre, partecipano a questo bizzarro esperimento cinematografico il Dirk Bogarde di Morte A Venezia di Luchino Visconti e Rossella Falk, la chiaroveggente del pluripremiato 8 e mezzo. Nomi questi che già da soli valgono il prezzo del biglietto e quanto meno dispongono l’animo nel migliore dei modi accostandosi alla visione del film, che diverte per la stravaganza della messa in scena, sempre in bilico tra la più classica delle spy story e i toni della farsa, e spiazza per le varie trovate che disorientano piacevolmente lo spettatore, continuamente convocato a non prendere sul serio quanto accade e a lasciarsi trasportare dalla dichiarata vena comica e fantastica.
I servizi segreti britannici si rivolgono a Modesty per far giungere un carico di diamanti a un ricchissimo sceicco del Medio Oriente, che in cambio assicurerebbe un importantissimo approvvigionamento di petrolio; è chiaro che questa delicatissima missione viene ostacolata dal cattivo di turno, Gabriel (Bogarde), che vuole impadronirsi del prezioso carico. Sarà il fedele compagno Willie Garvin (Stamp) ad aiutare la bella e simpatica protagonista a far giungere le pregiate pietre a destinazione. Particolarmente godibile è tutta la messa in scena, a partire dalle stravaganti scenografie squisitamente anni ’60 di Richard Macdonald fino ai bellissimi costumi di Beatrice Dawson. Alcune sequenze, poi, rimangono particolarmente impresse, come lo scontro, tutto al femminile, tra Monica Vitti e Rosella Falk (Mrs. Fothergill) che si conclude con una rocambolesca impiccagione di quest’ultima, e la spettacolare scena finale in cui il potente sceicco (Clive Revill) invade la fortezza in cui erano stati imprigionati i protagonisti, seguito da un imponente esercito di soldati islamici a cavallo, che assediano, giungendo dal mare, l’intera costa. Monica Vitti poi si destreggia con grande abilità, sfoggiando, tra l’altro, un ottimo inglese, e rivelandosi assolutamente all’altezza del cast internazionale messo in piedi per l’occasione. Tutto l’insieme risulta, dunque, assai godibile, e merita certamente, se non altro per assistere a una particolare esperienza cinematografica, un’attenta visione”.
(Luca Biscontini in www.taxidrivers.it)
- Modesty Blaise (1966) Full Movie: www.youtube.com
Una poesia al giorno
Ora sono morti, di John Dos Passos (Chicago, 14 gennaio 1896 - Baltimora, 28 settembre 1970)
Questa non è una poesia
sono due uomini in grigie casacche di detenuti.
Un uomo siede guardandosi la carne malata delle mani
- mani che non hanno lavorato per sette anni.
Ma tu lo sai quant'è lungo un anno?
Lo sai quante ore ci sono in un giorno
quando il giorno è ventitre ore su una branda in una cella
in una cella in una fila di celle in un braccio di file di celle
tutte vuote del soffocante vuoto di sogni?
Tu li conosci i sogni di uomini in carcere?
Ora sono morti.
I neri automi hanno vinto.
Loro sono completamente bruciati.
Le loro carni sono passate nell'aria del Massachusetts
i loro sogni sono passati nel vento.
"Ora sono morti", dà di gomito la segretaria
del governatore al governatore.
"Ora sono morti", dà di gomito il giudice della Corte d'Appello
al giudice della Corte Suprema.
"Ora sono morti", dà di gomito il rettore dell'università
al rettore dell'università.
Una risata secca sale da tutti i morti,
morti in colletto bianco, morti in cappello da seta;
morti in mantello.
Salgono e scendono dalle automobili
respirano a fondo con sollievo
mentre vanno su e giù per le strade di Boston.
Essi sono liberi dai sogni.
Dai sudici panni del carcere
le loro voci esplodono in mille linguaggi
cantando una canzone
da far scoppiare i timpani al Massachusetts.
Scrivici su una poesia se te la senti!
“John Roderigo Dos Passos è stato uno scrittore, saggista, giornalista, pittore, drammaturgo, poeta e reporter di viaggio statunitense. Occupa nella letteratura, non solo del suo paese, un posto del tutto particolare, grazie soprattutto al grande impegno civile e politico di uno scrittore sempre ancorato ai fatti, all'osservazione sociologica, alieno da quelle evasioni, da quelle mistificazioni tra letterarie e ideologiche che tipizzano invece la narrativa statunitense degli anni ruggenti”.
(Wikipedia)
“Le circostanze a volte gettano gli uomini in situazioni così drammatiche, spingono le loro esili figure sotto gli abbaglianti riflettori della storia al punto che essi, o le loro ombre, assumono il significato di simboli di prima grandezza. Sacco e Vanzetti rappresentano tutti quegli immigrati che hanno costruito l’industria di questa nazione, con il loro sudore e con il loro sangue, e per questo non hanno ricevuto nient’altro che il salario più basso possibile, e la condizione di schiavi sotto il tallone dell’ordine sociale controllato da uomini in divisa. Essi sono tutti i wops, gli hunkies, i bohunks*, tutta la carne da macello per la fabbrica che la fame porta in America attraverso quel triste setaccio che è Ellie Island. Sono i sogni di un ordine sociale più sano fatto da coloro che non accettano la legge della giungla. Questa minuscola aula di tribunale è il punto focale del tumulto, un’età di transizione, quel punto a cui guarda il mondo intero. Sulle pareti di quest’aula Sacco e Vanzetti proiettano le loro immense ombre”.
(John Dos Passos, Davanti alla sedia elettrica, Spartaco edizioni)
“...John Dos Passos nel 1926 compose “Facing the chair. Story of the Americanization of Two Foreign Workmen”, questo il titolo originale dell’opera. Dos Passos scrive dopo che sono state rigettate sei istanze di revisione del processo e poco prima che sia rigettata l’ultima. Nel suo libro sono riportati molti atti del processo, stralci dei verbali, testimonianze, ricostruzioni, dalle quali emerge il clima nel quale si svolse il tutto, l’assurdo modo di procedere del Procuratore e una generale prevenzione verso due soggetti che andavano puniti a prescindere dalla loro reale colpevolezza. I tecnicismi legulei della Corte, i miseri e falliti tentativi di carpire informazioni da Sacco attraverso un falso detenuto posto nella cella accanto alla sua, gli appelli più nazionalisti che giuridici dell’accusa, le testimonianze che sarebbero risibili nella loro inattendibilità se non avessero portato a una tragica fine, le numerose affermazioni di testi che scagionavano i due, dimostrando come nel momento del delitto si trovavano da tutt’altra parte, impegnati nel loro lavoro, tutto ciò è riportato da Dos Passos con dovizia di cronista e penna di poeta. L’autore, inoltre, ci mostra anche il clima più generale che si viveva in quegli anni nel Massachusetts, con l’eco della rivoluzione bolscevica russa che rendeva facile manipolare l’opinione pubblica attraverso giornali inclini a fomentare l’odio verso il nemico “esterno”. Molto toccante anche la breve descrizione dell’incontro che lo scrittore ebbe con i due, detenuti presso carceri diversi e provati dalla loro condizione”.
(Articolo completo in: antoniodileta.wordpress.com)
Un fatto al giorno
14 gennaio 1761: La terza battaglia di Panipat si svolse nel 1761 tra le truppe mārāṭhā (sconfitte) e gli afghani di Aḥmad Shāh Durrānī: quest'ultima battaglia aprì in pratica agli Inglesi la strada per il dominio sull'intera India.
“Le battaglie di Panipat non furono eventi occasionali, ma si trattò di punti cardine di alcune campagne condotte da esponenti della dinastia Moghul a Panipat, località strategica (oggi nello Stato federato di Haryana, India settentrionale), in quanto porta di accesso a Delhi sulla strada del Nord-Ovest. Nella prima (21 aprile 1526) Babur, fondatore della dinastia Moghul, sconfisse e uccise il sultano di Delhi Ibrahim Lodi, ponendo così fine all'era sultanale. Nella seconda (5 novembre 1556) il mughal Akbar, nel tentativo di riconquistare il trono di Delhi, ebbe la meglio sul potente esercito di Himu, generale del re afghano Adil Shah Sur. Nella terza (14 gennaio 1761) i Mughal, minacciati dall'afghano Ahmad Khan Abdali alleatosi con il nawab dell'Awadh Shuja-ud-daula, chiamarono in propria difesa il generale maratha Sadasiva Rao Bao, il quale venne pesantemente sconfitto e perse la vita; la Confederazione maratha subì un duro colpo che le impedì di fatto di prendere il posto dell'ormai indebolito impero Moghul come potenza egemone nel subcontinente indiano, mentre Ahmad Khan fu presto costretto al rientro in patria”.
(Treccani)
Immagini:
- Afghans In History Episode Six - Ahmad Shah Durrani
- Great Ahmad Shah Abdali's Poem (FATHER of Great-Loy Afghanistan and Afghan-Pashton Kingdom)
Una frase al giorno
"L'esempio non è la cosa che influisce di più sugli altri: è l'unica cosa"
(Albert Schweitzer, Kaysersberg, 14 gennaio 1875 - Lambaréné, 4 settembre 1965)
Albert Schweitzer è stato un medico e filantropo, musicista e musicologo, teologo, filosofo, biblista, pastore e missionario luterano franco-tedesco nato in Alsazia.
Immagini:
- Albert Schweitzer - Le Grand Docteur
Un film premio Oscar: Albert Schweitzer (1957, USA, 82 min). Il documentario vincitore dell'Oscar ripercorre la vita e l'opera del filosofo, medico e missionario francese. Prodotto e diretto da Jerome Hill. Fotografia di Erica Anderson. Musica di Alec Wilder. Narrato da Burgess Meredith e Fredric March. Musica: Albert Schweitzer, Johann Sebastian Bach: Fantasia e fuga in sol minore, BWV 542.
Un brano musicale al giorno
“Ombra mai fu” dall’opera “Xerse”, di Francesco Cavalli, cantata dal Controtenore Rene Jacobs
Francesco Cavalli (Crema, 14 febbraio 1602 - Venezia, 14 gennaio 1676) è stato un compositore italiano, tra i maggiori del XVII secolo.
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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