“L’amico del popolo”, 14 giugno 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

SIMON, KING OF THE WITCHES (Simon, re dei diavoli, Usa, 1971), regia di Bruce Kessler. Fotografia: David L. Butler. Montaggio: Renn Reynolds. Musica: Stu Phillips. Con: Norman Burton, Angus Duncan, Michael C. Ford, Lee Lambert, William Martel, Andrew Prine, Brenda Scott, Ultra Violet, Gerald York, George Paulsin.

Simon Sinistairs, un uomo dotato di facoltà extrasensoriali, abita in una nicchia, all'interno di un canale di scarico, e vive vendendo amuleti e compiendo esorcismi. Un giorno, egli conosce il giovane Turk, che lo introduce nel suo mondo di droghe, feste sfrenate e bizzarri rituali satanici, dandogli modo di provare così i suoi poteri. In seguito, gli diviene amica una ragazza drogata, Linda, figlia del procuratore distrettuale Rackum, con la quale Simon intreccia una relazione. Avendolo saputo, il padre della giovane minaccia di vendicarsi. Confidando nei propri poteri, Simon decide di sfidarlo, dando protezione a due giovani drogati. Ma saranno proprio costoro, quando si sentiranno perduti, a uccidere il "mago".

SIMON, KING OF THE WITCHES (Simon re dei diavoli, Usa, 1971), regia di Bruce Kessler

La campagna pubblicitaria fuorviante, dopo i processi di Charles Manson, famigerato criminale statunitense, ha seriamente danneggiato il film al botteghino. Il film è praticamente senza scene di sangue, con solo una breve nudità (che ha uno scopo nella storia), ma nessun sesso esplicito e nessun parallelo con Manson. Come molti altri eccentrici film di genere low cost degli anni '70, Simon è diventato un film di culto nel corso degli anni, anche se estremamente marginale.
Uscì anche una novellizzazione in brossura di Simon di Baldwin Hills, probabilmente uno pseudonimo, che fa compiere un ulteriore passo avanti alla commedia dell'assurdo. Da tempo esaurito, il libro esce occasionalmente su e-Bay e nei negozi di libri usati online.

Ian Jane di DVD Talk ha dato al film una recensione positiva, scrivendo, "Simon King Of The Witches è un mix selvaggio di psichedelici anni Settanta e stranezze occulte che lo rendono davvero bizzarro. Andrew Prine è un grande protagonista e il film forse potrebbe funzionare meglio come film dell'orrore, ma rimane comunque un film interessante e ben fatto".

Charles Tatum di eFilmCritic.com scrive: "Questo film cerca di essere serio, quasi un manifesto, ma fallisce miseramente. È spesso divertente, senza significato. Simon, King of the Witches è tutto fumo e specchi. Non lo consiglio."

Jason Coffman di Film Monthly.com ha dato al film una recensione positiva, scrivendo: "Simon, King of the Witches è un film divertente e un'interessante visione della primissima cultura degli anni '70. Potrebbe non essere un capolavoro del genere, ma è un gioiello che merita di essere visto. "

SIMON, KING OF THE WITCHES (Simon re dei diavoli, Usa, 1971), regia di Bruce Kessler

 

Una poesia al giorno

Alla Luna, di Giacomo Leopardi

O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri!

Statua di Giacomo Leopardi a Recanati (MC)

«Si tratta di un componimento compatto, squisito, svolto con una voce affettuosa, delicata e pura e con una specie di alta affabilità che è pure importante componente della futura e maggiore produzione leopardiana dei grandi canti pisano-recanatesi. Ma insieme vi si avverte una certa gracilità e tenuità, una sfumatura di edonismo e di pittoresco più prezioso («O graziosa luna», «E pur mi giova», «Oh come grato»), che ancora risente di toni tardo-settecenteschi, così come vi vibra qualche nota più tremula e preromantica («Ma nebuloso e tremulo dal pianto / che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci / il tuo volto apparia»). E tanto più tali limiti appaiono se si rilegge la poesia nella sua stesura originaria, priva dei versi 13 e 14 che furono aggiunti dal Leopardi solo poco prima della morte, con una correzione a penna sulla edizione napoletana dei Canti. Con quella aggiunta, che voleva anche precisare la differenza fra il suo sentimento più maturo e la situazione giovanile del 1819, tutto il finale della poesia acquistò un respiro maggiore e una maggiore complessità»

(Walter Binni)

  • Ascoltare: Giacomo Leopardi: "Alla luna" (Lettura di Arnoldo Foà)

Statua di Giacomo Leopardi a Recanati (MC)

14 giugno 1837 muore Giacomo Leopardi. Il conte Giacomo Leopardi (al battesimo Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi; Recanati, 29 giugno 1798 - Napoli, 14 giugno 1837) è stato un poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano. È ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché una delle principali del romanticismo letterario; la profondità della sua riflessione sull'esistenza e sulla condizione umana - di ispirazione sensista e materialista - ne fa anche un filosofo di spessore. La straordinaria qualità lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel panorama letterario e culturale europeo e internazionale, con ricadute che vanno molto oltre la sua epoca.

(Wikipedia)

 

Un fatto al giorno

14 giugno 1940: Settecentoventotto prigionieri politici polacchi di Tarnów diventano i primi detenuti nel campo di concentramento di Auschwitz.

“Settant’anni fa, il 14 giugno del 1940, lo stesso giorno in cui le truppe naziste entravano a Parigi, il campo di concentramento di Auschwitz entrò in funzione e i primi 728 prigionieri vi fecero il loro ingresso. Altri 313 prigionieri li seguirono pochi giorni dopo. Erano militari, studenti e oppositori politici polacchi, provenienti dal carcere di Tarnow presso Cracovia e dal campo tedesco di Dachau, con l’aggiunta di prigionieri politici tedeschi già detenuti nel campo di Sachsenhausen, presso Berlino. Altri tremila prigionieri circa vi furono deportati da Varsavia entro il successivo mese di settembre. Il campo, nato come campo di quarantena e di smistamento dei polacchi - militari, oppositori politici, intellettuali - conteneva anche ebrei, ma in numero limitato e arrestati in quanto oppositori politici, non in quanto ebrei. Solo a partire dal 1942 Auschwitz sarebbe divenuto il luogo primario dello sterminio degli ebrei d’Europa: un milione e centomila ebrei deportati, di cui quasi un milione assassinati. Duecentomila in totale i deportati non ebrei. Il campo non fu costruito in una zona deserta, ma ai margini della città di Auschwitz, un nodo ferroviario situato vicino alle strade di comunicazione principali. Auschwitz, in polacco Oswiecim, era una città importante, che nella storia era passata più volte dalla dominazione tedesca a quella polacca. Con una popolazione in maggioranza ebraica, era un importante centro di cultura ortodossa ebraica, tanto da essere chiamata la «Gerusalemme di Oswiecim». Notevole era anche, tra gli ebrei della città, la diffusione del sionismo. Con l’occupazione nazista della Polonia, gli ebrei dell’intera regione furono fatti confluire nella città. Nell’aprile del 1940, quando si decise di costruire il lager, essi furono impiegati coattivamente nella sua costruzione. Il primo nucleo del lager utilizzò le baracche di un campo di sosta per emigranti lavoratori stagionali, costruito all’inizio del Novecento. Fu fin dall’inizio ideato come un campo molto grande, di 40 km², destinato ad accogliere diecimila prigionieri, un numero altissimo. Nel maggio 1940, l’ufficiale delle SS Rudolf Höss fu nominato capo del campo. Il campo creato nel 1940, Auschwitz 1, rappresentò solo il primo nucleo di quella che sarebbe presto divenuta una vera e propria città concentrazionaria, formata da tre campi e da 39 sottocampi. All’inizio del 1942 vi si aggiunse Auschwitz II (Auschwitz-Birkenau), destinato principalmente allo sterminio degli ebrei. Nell’ottobre dello stesso 1942, fu creato Auschwitz III (Auschwitz-Monowitz), destinato ai prigionieri impiegati a lavorare come schiavi nello stabilimento del gruppo industriale chimico tedesco, l’IG Farben. Il gruppo si era infatti installato ad Auschwitz nel 1941, trasferendovi anche i dipendenti dell’impresa, con le loro famiglie. La città era stata trasformata in un modello di città moderna, all’avanguardia dal punto di vista urbanistico. Contemporaneamente, tutti gli ebrei della città erano stati rinchiusi in centri di raccolta e ghetti della zona, da cui furono poi deportati ad Auschwitz-Birkenau.La gassazione tramite lo Zyklon B, un composto a base di cianuro, fu introdotta ad Auschwitz 1 il 3 settembre 1941 su seicento prigionieri di guerra sovietici e duecentocinquanta polacchi ammalati, e successivamente adottata in tutto il complesso di Auschwitz. Nel 1943 il campo di Auschwitz-Birkenau divenne il centro principale di sterminio degli ebrei. A quella data, infatti, degli altri quattro campi di solo sterminio creati in territorio polacco, Belzec e Majdanec erano stati chiusi mentre a Treblinka e Sobibor erano state sospese le gassazioni dopo due tentativi di rivolta dei prigionieri. Le gassazioni ad Auschwitz furono sospese nel novembre 1944. Il campo fu liberato dalle truppe sovietiche il 27 gennaio 1945. Il periodo fra il giugno 1940 e l’inizio del 1942 è quindi quello in cui, prima che fossero costruiti Auschwitz 2 e 3, il campo fu destinato principalmente ai prigionieri polacchi, in tutto circa 150000, 75000 dei quali non sopravvissero. Anche in assenza di camere a gas e di una precostituita volontà di sterminio, le condizioni di questi prigionieri erano durissime, le violenze e le uccisioni numerosissime, il lavoro forzato terribile. La prima testimonianza diretta dal campo è quella di un ufficiale dell’esercito polacco, Witold Pilecki, sopravvissuto ad Auschwitz per essere accusato di spionaggio e assassinato dai comunisti nel 1948, che si fece arrestare nel settembre 1940 per poter entrare nel campo ed organizzarvi la Resistenza e che vi restò fino al 1943, quando riuscì ad evadere. Suoi sono i rapporti forniti già a partire dal novembre 1940 al governo polacco in esilio e ai governi alleati sulle terribili condizioni del campo. Relazioni in cui, tuttavia, Auschwitz appare come un terribile campo di concentramento destinato a sterminare i polacchi, e in cui lo sterminio degli ebrei appare solo marginalmente e sullo sfondo. Se tutte le testimonianze, le fonti e i libri sulla Shoah sparissero, e restassero solo le testimonianze di Witold Pilecki, nessuno avrebbe nel futuro la possibilità di capire che Auschwitz è stato anche e soprattutto il luogo dello sterminio degli ebrei d’Europa”.

(In www.avvenire.it)

Campo di concentramento di Auschwitz

“Il 20 maggio 1940, giunse ad Auschwitz il sottufficiale delle SS Gehrard Palitzsch, insieme a 30 detenuti tedeschi provenienti dal campo di Sachenhausen. Si trattava di criminali (contrassegnati da triangoli verdi) cioè di soggetti che avevano scontato in carcere la pena prevista per i loro delitti, ma invece di essere rimessi in libertà erano stati posti sotto custodia protettiva (cioè internati in lager). Bruno Brodniewitsch ricevette il numero di matricola 1 e fu incaricato del compito di anziano del campo, cioè capo e responsabile dell’operato di tutti gli altri detenuti cui i nazisti assegnarono ruoli e compiti di comando.
Il giorno 14 giugno 1940 cominciarono ad arrivare i detenuti polacchi. I primi 728 furono trasferiti col treno dal carcere di Tarnów, vicino a Cracovia, sbarcarono sulla nuova rampa ferroviaria costruita apposta, al termine di un breve raccordo che collegava il nuovo lager alla stazione di Auschwitz. Si trattava in prevalenza di liceali, di studenti universitari e militari, arrestati mentre tentavano di espatriare clandestinamente in Ungheria. Appena arrivati, alloggiarono per la quarantena negli edifici che erano stati di proprietà dell’ente per il monopolio dei tabacchi. Ricevettero i numeri di matricola dal 31 al 758 e furono utilizzati nei lavori edili di costruzione materiale del lager. Sei giorni dopo, arrivarono altri 313 polacchi, prelevati dalla prigione di Wisnicz Nowy; uno di essi - l’ebreo polacco David Wingoczweski - a seguito di un appello di punizione durato 20 ore consecutive (a causa dell’evasione di un detenuto), il 1° luglio 1940 fu il primo prigioniero di cui venne registrato il decesso. Infine, da Varsavia, in agosto e in settembre giunsero due trasporti, che portarono rispettivamente 1666 e 1705 detenuti. In Germania, quasi tutti i prigionieri (denominati Häftlinge) erano tedeschi. Le differenze interne al mondo dei reclusi derivavano dunque dalla ragione dell’internamento, che poteva essere di tipo politico (per i comunisti, ad esempio), di ordine pubblico (nel caso dei criminali e degli asociali), oppure legato al comportamento (il sesso, nel caso degli omosessuali; la religione, nel caso dei Testimoni di Geova). I nazisti compresero in fretta che questi soggetti così diversi tra loro spesso erano contrapposti gli uni agli altri; quindi, le SS cercarono di sfruttare tali rivalità assegnando ad alcuni prigionieri ruoli di controllo e di responsabilità. Tali figure prominenti, denominate anche kapos, cercavano di favorire i soggetti del loro gruppo, sicché i lager finivano per diventare rossi o verdi, a seconda della predominanza dei politici o dei criminali.
La posizione dei kapos era tutt’altro che sicura, in quanto i nazisti si riservavano di punirli o di esautorarli e sostituirli, se non si mostravano sufficientemente duri nei confronti degli altri detenuti. La situazione si complicò ulteriormente, e si inasprì, con lo scoppio della guerra, allorché i lager si riempirono di soggetti non ariani, mentre i prigionieri tedeschi divennero una sparuta minoranza. I nazisti affidarono responsabilità ancora maggiori a queste figure che appartenevano pur sempre alla razza superiore, ma nel contempo richiesero loro una crescente durezza verso gli altri detenuti, disprezzati come sottouomini.
Nel nascente campo di Auschwitz, pertanto, inizialmente i prigionieri tedeschi comandarono (e, se richiesto dalle SS, picchiarono) i detenuti polacchi; col passar del tempo, tuttavia, allorché divennero i detenuti più anziani del campo, anche diversi polacchi riuscirono ad occupare posti di responsabilità (a danno, in primo luogo, di soggetti come gli ebrei, collocati ancora più in basso nella gerarchia razziale nazista).”

(In www.assemblea.emr.it)

Campo di concentramento di Auschwitz

 

Una frase al giorno

“I filosofi, i nemici naturali dei poeti, e gli schedatori fissi del pensiero critico, affermano che la poesia (e tutte le arti), come le opere della natura, non subiscono mutamenti né attraverso né dopo una guerra. Illusione; perché la guerra muta la vita morale d'un popolo, e l'uomo, al suo ritorno, non trova più misure di certezza in un modus di vita interno, dimenticato o ironizzato durante le sue prove con la morte”

(Salvatore Quasimodo, Modica, 20 agosto 1901 - Napoli, 14 giugno 1968)

Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 - Napoli, 14 giugno 1968)

Salvatore Quasimodo è stato un poeta italiano, esponente di rilievo dell'ermetismo.

Il poeta era cosciente che la storia della poesia passava ormai attraverso la poesia della storia e che in Europa si tornava a leggere la poesia italiana: non quella ermetica, ma quella civile. Mentre anni addietro, in polemica con T.S. Eliot, Dante era ancora rigettato in nome di Petrarca e di Leopardi, all’epoca Quasimodo scrisse: «possiamo leggere Dante per dimenticare Petrarca» (p. 291). Il falso e vero verso intendeva interpretare l’aspirazione al dialogo, anziché al monologo, che caratterizzava la nuova generazione poetica: una generazione apparentemente priva di maestri, cui Quasimodo si proponeva implicitamente per la copertura della cattedra vacante. Pochi anni dopo, tuttavia, Giovanni Raboni affermò, a nome dei giovani poeti, che «l’essenza della personalità e della poesia di Quasimodo è qualcosa che non ci appartiene e non ci compete, qualcosa che sfugge, che risulta imprendibile rispetto alle intenzioni e alle possibilità del nostro lavoro»

(Quasimodo e la giovane poesia, in "Quasimodo e la critica", cit., pp. 274 s.).

La terra impareggiabile (Milano 1958; premio Viareggio) è una summa dei miti e delle realtà del poeta: alla Sicilia, omaggiato luogo d’origine, e a Milano, infernale città della storia e della cronaca, si aggiunge la Grecia, con la testimonianza del viaggio compiuto nel 1956. Contemporaneamente uscirono le Poesie scelte di Edward Estlin Cummings (Milano 1958), il Fiore dell’Antologia Palatina (Parma 1958) e l’antologia Poesia italiana del dopoguerra (Milano 1958). Nello stesso anno Quasimodo ottenne la prima candidatura al premio Nobel, avanzata da Francesco Flora e Carlo Bo. Sul finire del 1958 compì un viaggio in Unione Sovietica, durante il quale fu colpito da un infarto che lo costrinse a una degenza di sei mesi in un ospedale di Mosca.
Il 10 dicembre 1959 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, ma già la notizia del conferimento era stata accompagnata da aspre polemiche («A caval donato non si guarda in bocca», scrisse Emilio Cecchi: v. I “Nobel” italiani, in Corriere della sera, 25 ottobre 1959). Nel 1960 ebbe la laurea honoris causa dall’Università di Messina e inaugurò una rubrica di corrispondenza con i lettori, dapprima su Le Ore e poi su Tempo. Separatosi da Maria Cumani, cominciò una lunga serie di viaggi all’estero. In questi anni uscì nella collana Lo Specchio di Mondadori, per cura di Carlo Bo e Sergio Solmi, l’edizione di Tutte le poesie (Milano 1960), cui seguirono gli Scritti sul teatro (Milano 1961), Mutevoli pensieri di Conrad Aiken (Milano 1963), e infine Dare e avere (Milano 1966), il cui titolo suona già come un bilancio, e le Poesie di Tudor Arghezi (Milano 1966). Nel 1967 ricevette la laurea honoris causa anche dall’Università di Oxford. Colpito da una emorragia cerebrale ad Amalfi, fu trasportato nella clinica Mergellina di Napoli, dove morì il 14 giugno 1968. È sepolto presso il cimitero Monumentale di Milano.
L’attualità e persino la tipicità di Quasimodo rendono la sua opera una cartina di tornasole di ciò che, a livello di tendenze maggioritarie più che di grandi individualità, è stata la poesia italiana del pieno Novecento. Ormai non sono in pochi a pensare che Quasimodo debba essere considerato un ‘minore’, ma i fatti letterari ci dicono che è stato un ‘maggiore’ e non lo è più, avendo forse esaurito il suo tempo insieme con la sua attualità. L’importanza storica che ha avuto prescinde, tuttavia, dalla sua grandezza poetica e non può essere sottovalutata.”

(Articolo completo di Carmelo Princiotta in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85, 2016)

14 giugno 1968 muore Salvatore Quasimodo.

 

Un brano musicale al giorno

Orlande de Lassus, Missa pro defunctis a 4: I. Introitus. Direttore: Mark Brown

Orlando di Lasso (Mons, 1532 - Monaco di Baviera, 1594)

14 giugno 1594 muore Orlande de Lassus, compositore ed educatore fiammingo. Roland de Lassus, o Roland de Lattre, noto in Italia come Orlando di Lasso (Mons, 1532 - Monaco di Baviera, 1594), è stato un compositore fiammingo, ed è considerato uno dei massimi compositori di musica polifonica del Rinascimento.

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k