“L’amico del popolo”, 14 giugno 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

SIMON, KING OF THE WITCHES (Simon, re dei diavoli, Usa, 1971), regia di Bruce Kessler. Fotografia: David L. Butler. Montaggio: Renn Reynolds. Musica: Stu Phillips. Con: Norman Burton, Angus Duncan, Michael C. Ford, Lee Lambert, William Martel, Andrew Prine, Brenda Scott, Ultra Violet, Gerald York, George Paulsin.

Simon Sinistairs, un uomo dotato di facoltà extrasensoriali, abita in una nicchia, all'interno di un canale di scarico, e vive vendendo amuleti e compiendo esorcismi. Un giorno, egli conosce il giovane Turk, che lo introduce nel suo mondo di droghe, feste sfrenate e bizzarri rituali satanici, dandogli modo di provare così i suoi poteri. In seguito, gli diviene amica una ragazza drogata, Linda, figlia del procuratore distrettuale Rackum, con la quale Simon intreccia una relazione. Avendolo saputo, il padre della giovane minaccia di vendicarsi. Confidando nei propri poteri, Simon decide di sfidarlo, dando protezione a due giovani drogati. Ma saranno proprio costoro, quando si sentiranno perduti, a uccidere il "mago".

La campagna pubblicitaria fuorviante, dopo i processi di Charles Manson, famigerato criminale statunitense, ha seriamente danneggiato il film al botteghino. Il film è praticamente senza scene di sangue, con solo una breve nudità (che ha uno scopo nella storia), ma nessun sesso esplicito e nessun parallelo con Manson. Come molti altri eccentrici film di genere low cost degli anni '70, Simon è diventato un film di culto nel corso degli anni, anche se estremamente marginale.
Uscì anche una novellizzazione in brossura di Simon di Baldwin Hills, probabilmente uno pseudonimo, che fa compiere un ulteriore passo avanti alla commedia dell'assurdo. Da tempo esaurito, il libro esce occasionalmente su e-Bay e nei negozi di libri usati online.

Ian Jane di DVD Talk ha dato al film una recensione positiva, scrivendo, "Simon King Of The Witches è un mix selvaggio di psichedelici anni Settanta e stranezze occulte che lo rendono davvero bizzarro. Andrew Prine è un grande protagonista e il film forse potrebbe funzionare meglio come film dell'orrore, ma rimane comunque un film interessante e ben fatto".

Charles Tatum di eFilmCritic.com scrive: "Questo film cerca di essere serio, quasi un manifesto, ma fallisce miseramente. È spesso divertente, senza significato. Simon, King of the Witches è tutto fumo e specchi. Non lo consiglio."

Jason Coffman di Film Monthly.com ha dato al film una recensione positiva, scrivendo: "Simon, King of the Witches è un film divertente e un'interessante visione della primissima cultura degli anni '70. Potrebbe non essere un capolavoro del genere, ma è un gioiello che merita di essere visto. "

 

Una poesia al giorno

Alla Luna, di Giacomo Leopardi

O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri!

 

«Si tratta di un componimento compatto, squisito, svolto con una voce affettuosa, delicata e pura e con una specie di alta affabilità che è pure importante componente della futura e maggiore produzione leopardiana dei grandi canti pisano-recanatesi. Ma insieme vi si avverte una certa gracilità e tenuità, una sfumatura di edonismo e di pittoresco più prezioso («O graziosa luna», «E pur mi giova», «Oh come grato»), che ancora risente di toni tardo-settecenteschi, così come vi vibra qualche nota più tremula e preromantica («Ma nebuloso e tremulo dal pianto / che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci / il tuo volto apparia»). E tanto più tali limiti appaiono se si rilegge la poesia nella sua stesura originaria, priva dei versi 13 e 14 che furono aggiunti dal Leopardi solo poco prima della morte, con una correzione a penna sulla edizione napoletana dei Canti. Con quella aggiunta, che voleva anche precisare la differenza fra il suo sentimento più maturo e la situazione giovanile del 1819, tutto il finale della poesia acquistò un respiro maggiore e una maggiore complessità»

(Walter Binni)

  • Ascoltare: Giacomo Leopardi: "Alla luna" (Lettura di Arnoldo Foà)

 

14 giugno 1837 muore Giacomo Leopardi. Il conte Giacomo Leopardi (al battesimo Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi; Recanati, 29 giugno 1798 - Napoli, 14 giugno 1837) è stato un poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano. È ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché una delle principali del romanticismo letterario; la profondità della sua riflessione sull'esistenza e sulla condizione umana - di ispirazione sensista e materialista - ne fa anche un filosofo di spessore. La straordinaria qualità lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel panorama letterario e culturale europeo e internazionale, con ricadute che vanno molto oltre la sua epoca.

(Wikipedia)

 

Un fatto al giorno

14 giugno 1940: Settecentoventotto prigionieri politici polacchi di Tarnów diventano i primi detenuti nel campo di concentramento di Auschwitz.

“Settant’anni fa, il 14 giugno del 1940, lo stesso giorno in cui le truppe naziste entravano a Parigi, il campo di concentramento di Auschwitz entrò in funzione e i primi 728 prigionieri vi fecero il loro ingresso. Altri 313 prigionieri li seguirono pochi giorni dopo. Erano militari, studenti e oppositori politici polacchi, provenienti dal carcere di Tarnow presso Cracovia e dal campo tedesco di Dachau, con l’aggiunta di prigionieri politici tedeschi già detenuti nel campo di Sachsenhausen, presso Berlino. Altri tremila prigionieri circa vi furono deportati da Varsavia entro il successivo mese di settembre. Il campo, nato come campo di quarantena e di smistamento dei polacchi - militari, oppositori politici, intellettuali - conteneva anche ebrei, ma in numero limitato e arrestati in quanto oppositori politici, non in quanto ebrei. Solo a partire dal 1942 Auschwitz sarebbe divenuto il luogo primario dello sterminio degli ebrei d’Europa: un milione e centomila ebrei deportati, di cui quasi un milione assassinati. Duecentomila in totale i deportati non ebrei. Il campo non fu costruito in una zona deserta, ma ai margini della città di Auschwitz, un nodo ferroviario situato vicino alle strade di comunicazione principali. Auschwitz, in polacco Oswiecim, era una città importante, che nella storia era passata più volte dalla dominazione tedesca a quella polacca. Con una popolazione in maggioranza ebraica, era un importante centro di cultura ortodossa ebraica, tanto da essere chiamata la «Gerusalemme di Oswiecim». Notevole era anche, tra gli ebrei della città, la diffusione del sionismo. Con l’occupazione nazista della Polonia, gli ebrei dell’intera regione furono fatti confluire nella città. Nell’aprile del 1940, quando si decise di costruire il lager, essi furono impiegati coattivamente nella sua costruzione. Il primo nucleo del lager utilizzò le baracche di un campo di sosta per emigranti lavoratori stagionali, costruito all’inizio del Novecento. Fu fin dall’inizio ideato come un campo molto grande, di 40 km², destinato ad accogliere diecimila prigionieri, un numero altissimo. Nel maggio 1940, l’ufficiale delle SS Rudolf Höss fu nominato capo del campo. Il campo creato nel 1940, Auschwitz 1, rappresentò solo il primo nucleo di quella che sarebbe presto divenuta una vera e propria città concentrazionaria, formata da tre campi e da 39 sottocampi. All’inizio del 1942 vi si aggiunse Auschwitz II (Auschwitz-Birkenau), destinato principalmente allo sterminio degli ebrei. Nell’ottobre dello stesso 1942, fu creato Auschwitz III (Auschwitz-Monowitz), destinato ai prigionieri impiegati a lavorare come schiavi nello stabilimento del gruppo industriale chimico tedesco, l’IG Farben. Il gruppo si era infatti installato ad Auschwitz nel 1941, trasferendovi anche i dipendenti dell’impresa, con le loro famiglie. La città era stata trasformata in un modello di città moderna, all’avanguardia dal punto di vista urbanistico. Contemporaneamente, tutti gli ebrei della città erano stati rinchiusi in centri di raccolta e ghetti della zona, da cui furono poi deportati ad Auschwitz-Birkenau.La gassazione tramite lo Zyklon B, un composto a base di cianuro, fu introdotta ad Auschwitz 1 il 3 settembre 1941 su seicento prigionieri di guerra sovietici e duecentocinquanta polacchi ammalati, e successivamente adottata in tutto il complesso di Auschwitz. Nel 1943 il campo di Auschwitz-Birkenau divenne il centro principale di sterminio degli ebrei. A quella data, infatti, degli altri quattro campi di solo sterminio creati in territorio polacco, Belzec e Majdanec erano stati chiusi mentre a Treblinka e Sobibor erano state sospese le gassazioni dopo due tentativi di rivolta dei prigionieri. Le gassazioni ad Auschwitz furono sospese nel novembre 1944. Il campo fu liberato dalle truppe sovietiche il 27 gennaio 1945. Il periodo fra il giugno 1940 e l’inizio del 1942 è quindi quello in cui, prima che fossero costruiti Auschwitz 2 e 3, il campo fu destinato principalmente ai prigionieri polacchi, in tutto circa 150000, 75000 dei quali non sopravvissero. Anche in assenza di camere a gas e di una precostituita volontà di sterminio, le condizioni di questi prigionieri erano durissime, le violenze e le uccisioni numerosissime, il lavoro forzato terribile. La prima testimonianza diretta dal campo è quella di un ufficiale dell’esercito polacco, Witold Pilecki, sopravvissuto ad Auschwitz per essere accusato di spionaggio e assassinato dai comunisti nel 1948, che si fece arrestare nel settembre 1940 per poter entrare nel campo ed organizzarvi la Resistenza e che vi restò fino al 1943, quando riuscì ad evadere. Suoi sono i rapporti forniti già a partire dal novembre 1940 al governo polacco in esilio e ai governi alleati sulle terribili condizioni del campo. Relazioni in cui, tuttavia, Auschwitz appare come un terribile campo di concentramento destinato a sterminare i polacchi, e in cui lo sterminio degli ebrei appare solo marginalmente e sullo sfondo. Se tutte le testimonianze, le fonti e i libri sulla Shoah sparissero, e restassero solo le testimonianze di Witold Pilecki, nessuno avrebbe nel futuro la possibilità di capire che Auschwitz è stato anche e soprattutto il luogo dello sterminio degli ebrei d’Europa”.

(In www.avvenire.it)

“Il 20 maggio 1940, giunse ad Auschwitz il sottufficiale delle SS Gehrard Palitzsch, insieme a 30 detenuti tedeschi provenienti dal campo di Sachenhausen. Si trattava di criminali (contrassegnati da triangoli verdi) cioè di soggetti che avevano scontato in carcere la pena prevista per i loro delitti, ma invece di essere rimessi in libertà erano stati posti sotto custodia protettiva (cioè internati in lager). Bruno Brodniewitsch ricevette il numero di matricola 1 e fu incaricato del compito di anziano del campo, cioè capo e responsabile dell’operato di tutti gli altri detenuti cui i nazisti assegnarono ruoli e compiti di comando.
Il giorno 14 giugno 1940 cominciarono ad arrivare i detenuti polacchi. I primi 728 furono trasferiti col treno dal carcere di Tarnów, vicino a Cracovia, sbarcarono sulla nuova rampa ferroviaria costruita apposta, al termine di un breve raccordo che collegava il nuovo lager alla stazione di Auschwitz. Si trattava in prevalenza di liceali, di studenti universitari e militari, arrestati mentre tentavano di espatriare clandestinamente in Ungheria. Appena arrivati, alloggiarono per la quarantena negli edifici che erano stati di proprietà dell’ente per il monopolio dei tabacchi. Ricevettero i numeri di matricola dal 31 al 758 e furono utilizzati nei lavori edili di costruzione materiale del lager. Sei giorni dopo, arrivarono altri 313 polacchi, prelevati dalla prigione di Wisnicz Nowy; uno di essi - l’ebreo polacco David Wingoczweski - a seguito di un appello di punizione durato 20 ore consecutive (a causa dell’evasione di un detenuto), il 1° luglio 1940 fu il primo prigioniero di cui venne registrato il decesso. Infine, da Varsavia, in agosto e in settembre giunsero due trasporti, che portarono rispettivamente 1666 e 1705 detenuti. In Germania, quasi tutti i prigionieri (denominati Häftlinge) erano tedeschi. Le differenze interne al mondo dei reclusi derivavano dunque dalla ragione dell’internamento, che poteva essere di tipo politico (per i comunisti, ad esempio), di ordine pubblico (nel caso dei criminali e degli asociali), oppure legato al comportamento (il sesso, nel caso degli omosessuali; la religione, nel caso dei Testimoni di Geova). I nazisti compresero in fretta che questi soggetti così diversi tra loro spesso erano contrapposti gli uni agli altri; quindi, le SS cercarono di sfruttare tali rivalità assegnando ad alcuni prigionieri ruoli di controllo e di responsabilità. Tali figure prominenti, denominate anche kapos, cercavano di favorire i soggetti del loro gruppo, sicché i lager finivano per diventare rossi o verdi, a seconda della predominanza dei politici o dei criminali.
La posizione dei kapos era tutt’altro che sicura, in quanto i nazisti si riservavano di punirli o di esautorarli e sostituirli, se non si mostravano sufficientemente duri nei confronti degli altri detenuti. La situazione si complicò ulteriormente, e si inasprì, con lo scoppio della guerra, allorché i lager si riempirono di soggetti non ariani, mentre i prigionieri tedeschi divennero una sparuta minoranza. I nazisti affidarono responsabilità ancora maggiori a queste figure che appartenevano pur sempre alla razza superiore, ma nel contempo richiesero loro una crescente durezza verso gli altri detenuti, disprezzati come sottouomini.
Nel nascente campo di Auschwitz, pertanto, inizialmente i prigionieri tedeschi comandarono (e, se richiesto dalle SS, picchiarono) i detenuti polacchi; col passar del tempo, tuttavia, allorché divennero i detenuti più anziani del campo, anche diversi polacchi riuscirono ad occupare posti di responsabilità (a danno, in primo luogo, di soggetti come gli ebrei, collocati ancora più in basso nella gerarchia razziale nazista).”

(In www.assemblea.emr.it)

 

Una frase al giorno

“I filosofi, i nemici naturali dei poeti, e gli schedatori fissi del pensiero critico, affermano che la poesia (e tutte le arti), come le opere della natura, non subiscono mutamenti né attraverso né dopo una guerra. Illusione; perché la guerra muta la vita morale d'un popolo, e l'uomo, al suo ritorno, non trova più misure di certezza in un modus di vita interno, dimenticato o ironizzato durante le sue prove con la morte”

(Salvatore Quasimodo, Modica, 20 agosto 1901 - Napoli, 14 giugno 1968)

Salvatore Quasimodo è stato un poeta italiano, esponente di rilievo dell'ermetismo.

Il poeta era cosciente che la storia della poesia passava ormai attraverso la poesia della storia e che in Europa si tornava a leggere la poesia italiana: non quella ermetica, ma quella civile. Mentre anni addietro, in polemica con T.S. Eliot, Dante era ancora rigettato in nome di Petrarca e di Leopardi, all’epoca Quasimodo scrisse: «possiamo leggere Dante per dimenticare Petrarca» (p. 291). Il falso e vero verso intendeva interpretare l’aspirazione al dialogo, anziché al monologo, che caratterizzava la nuova generazione poetica: una generazione apparentemente priva di maestri, cui Quasimodo si proponeva implicitamente per la copertura della cattedra vacante. Pochi anni dopo, tuttavia, Giovanni Raboni affermò, a nome dei giovani poeti, che «l’essenza della personalità e della poesia di Quasimodo è qualcosa che non ci appartiene e non ci compete, qualcosa che sfugge, che risulta imprendibile rispetto alle intenzioni e alle possibilità del nostro lavoro»

(Quasimodo e la giovane poesia, in "Quasimodo e la critica", cit., pp. 274 s.).

La terra impareggiabile (Milano 1958; premio Viareggio) è una summa dei miti e delle realtà del poeta: alla Sicilia, omaggiato luogo d’origine, e a Milano, infernale città della storia e della cronaca, si aggiunge la Grecia, con la testimonianza del viaggio compiuto nel 1956. Contemporaneamente uscirono le Poesie scelte di Edward Estlin Cummings (Milano 1958), il Fiore dell’Antologia Palatina (Parma 1958) e l’antologia Poesia italiana del dopoguerra (Milano 1958). Nello stesso anno Quasimodo ottenne la prima candidatura al premio Nobel, avanzata da Francesco Flora e Carlo Bo. Sul finire del 1958 compì un viaggio in Unione Sovietica, durante il quale fu colpito da un infarto che lo costrinse a una degenza di sei mesi in un ospedale di Mosca.
Il 10 dicembre 1959 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, ma già la notizia del conferimento era stata accompagnata da aspre polemiche («A caval donato non si guarda in bocca», scrisse Emilio Cecchi: v. I “Nobel” italiani, in Corriere della sera, 25 ottobre 1959). Nel 1960 ebbe la laurea honoris causa dall’Università di Messina e inaugurò una rubrica di corrispondenza con i lettori, dapprima su Le Ore e poi su Tempo. Separatosi da Maria Cumani, cominciò una lunga serie di viaggi all’estero. In questi anni uscì nella collana Lo Specchio di Mondadori, per cura di Carlo Bo e Sergio Solmi, l’edizione di Tutte le poesie (Milano 1960), cui seguirono gli Scritti sul teatro (Milano 1961), Mutevoli pensieri di Conrad Aiken (Milano 1963), e infine Dare e avere (Milano 1966), il cui titolo suona già come un bilancio, e le Poesie di Tudor Arghezi (Milano 1966). Nel 1967 ricevette la laurea honoris causa anche dall’Università di Oxford. Colpito da una emorragia cerebrale ad Amalfi, fu trasportato nella clinica Mergellina di Napoli, dove morì il 14 giugno 1968. È sepolto presso il cimitero Monumentale di Milano.
L’attualità e persino la tipicità di Quasimodo rendono la sua opera una cartina di tornasole di ciò che, a livello di tendenze maggioritarie più che di grandi individualità, è stata la poesia italiana del pieno Novecento. Ormai non sono in pochi a pensare che Quasimodo debba essere considerato un ‘minore’, ma i fatti letterari ci dicono che è stato un ‘maggiore’ e non lo è più, avendo forse esaurito il suo tempo insieme con la sua attualità. L’importanza storica che ha avuto prescinde, tuttavia, dalla sua grandezza poetica e non può essere sottovalutata.”

(Articolo completo di Carmelo Princiotta in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85, 2016)

14 giugno 1968 muore Salvatore Quasimodo.

 

Un brano musicale al giorno

Orlande de Lassus, Missa pro defunctis a 4: I. Introitus. Direttore: Mark Brown

14 giugno 1594 muore Orlande de Lassus, compositore ed educatore fiammingo. Roland de Lassus, o Roland de Lattre, noto in Italia come Orlando di Lasso (Mons, 1532 - Monaco di Baviera, 1594), è stato un compositore fiammingo, ed è considerato uno dei massimi compositori di musica polifonica del Rinascimento.

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

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Ugo Brusaporco

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