“L’amico del popolo”, 14 ottobre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LUCI DEL VARIETÀ (Italia, 1950) di Alberto Lattuada e Federico Fellini. Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Alberto Lattuada, Ennio Flaiano. Fotografia: Otello Martelli, Roberto Gerardi, Luciano Trasatti. Montaggio: Mario Bonotti. Musiche: Felice Lattuada. Con: Peppino De Filippo, Carla Del Poggio, Giulietta Masina, John Kitzmiller, Dante Maggio, Checco Durante, Gina Mascetti, Franca Valeri, Carlo Romano, Giulio Calì, Alberto Bonucci, Vittorio Caprioli, Silvio Bagolini, Vanja Orico, Giacomo Furia, Sophia Loren, Giovanna Ralli, Alberto Lattuada, Mario De Angelis, Folco Lulli, Fanny Marchiò, Joseph Falletta, Renato Malavasi, Enrico Piergentili, Marco Tulli, Carlo Bianco, Italo Dragosei, Tanio Boccia, Rina Dei, Barbara Leite, Guglielmo Leoncini, Patrizia Caronti, Luca Cortese, Carlo Mazzarella, Alfredo Ragusa.

Liliana, una bella ragazza di provincia, vuole affermarsi nel mondo dello spettacolo. Fugge di casa e si unisce ad una piccola compagnia d'avanspettacolo; il direttore, Checco, se ne invaghisce e la fa esordire immediatamente. E' un esordio fortunato, con tanti applausi, anche perché durante un numero a Liliana scivola un gonnellino... Alcuni giorni dopo la compagnia è invitata a casa di un ricco avvocato di paese, che tenta un approccio notturno con Liliana. Interviene Checco, geloso, e scatena una baraonda al termine della quale tutti i guitti vengono cacciati via. Checco e Liliana lasciano la compagnia alla ricerca di un ingaggio favorevole: l'unica offerta viene fatta a Liliana, ma la gelosia di Checco la fa saltare. Questi, con i soldi avuti in prestito dalla sua compagna Melina, anch'essa nella vecchia compagnia, tenta di formarne una nuova con altri artisti. Ma prima dell'esordio Liliana lo abbandona e firma un contratto con un altro impresario, colpito anch'esso dalla sua avvenenza. A Checco non resta che tornare con i vecchi compagni e con Melina, che lo ha perdonato. La compagnia è di nuovo insieme, e sta viaggiando in treno alla ricerca di qualche buona "piazza" quando nel vagone appare una bella ragazza. Checco la nota subito e la storia ricomincia...

“Il capo di una compagnia di guitti (Peppino de Filippo) che presenta la sua scalcinata rivista in meschini teatri di provincia, inganna un'innamorata (Giulietta Masina) con una fresca campagnola (Carla del Poggio) che l'abbandona per un impresario (Folco Lulli). Più che di Lattuada, il film reca l'impronta di Fellini. Già avverte il suo "universo", la divertita tenerezza, la tristezza ironica, il gusto per il barocco, l'amore per il povero mondo dei "guitti". La descrizione della "tournée" della compagnia è a volte di un'efficacia impressionante, tra il grottesco e l'amaro”.

(Georges Sadoul)

“C’è una tradizione sulla vita dei comici del varietà che si basa su poche formule: la carriera coronata dal successo improvviso (il Protagonista sostituisce il Divo); la rinunzia all’amore per la carriera (il pubblico come oggetto d’amore più vasto); la dura necessità di anteporre lo spettacolo agli affari privati (ridi, pagliaccio!). Su questi temi sono stati fatti molti film e se ne faranno ancora. È triste, ma non c’è motivo che i produttori smettano di sfruttare queste miniere sentimentali. Il fondo bohème di ogni spettatore riposa anche nella certezza che il mondo del varietà è picaresco, prodigo di imprevisto e di evasioni sessuali, felice come un’infanzia: e che il Successo, sempre raggiunto dai suoi personaggi, è quasi un di più, bastando già a rendere gradevole quella vita la promessa di un ozio allegro e irresponsabile”.

(Ennio Flaiano)

“Lattuada tenta, assieme a Fellini, una iniziativa tanto atipica quanto rischiosa; la compartecipazione alle spese di produzione per il film Luci del varietà (1951). I finanziamenti - dopo il rifiuto di Carlo Ponti, che inizia a girare contemporaneamente Vita da cani sullo stesso argomento - vengono da tre parti: il Credito Cinematografico della Banca Nazionale del Lavoro, la casa produttrice Capitolium-Film (nella persona di Mario Ingrami) e Lattuada stesso. Parte della troupe viene pagata da Lattuada insieme a Carla Del Poggio (protagonista) e Fellini (co-regista), mentre gratuitamente lavorano anche Giulietta Masina (come attrice), il padre di Lattuada, Felice (per la musica) e la sorella Bianca (per l'organizzazione), realizzando così un singolare esempio di produzione cooperativistica. Per la distribuzione Lattuada si appoggia alla Fincine, che sottoscrive il contratto fornendo la quota del "minimo garantito". Iniziano così le riprese, dopo un lavoro di sceneggiatura compiuto sulla base dei ricordi personali di Fellini (era stato varie volte in tournèe con la compagnia di varietà di Aldo Fabrizi) e degli appunti presi da Lattuada assistendo ai numeri del varietà romano di Altieri. La storia di Dalmonte è quella di un individuo sempre uguale a se stesso: nella prima sequenza, in treno adocchia Liliana e la convince a entrate nella compagnia; alla fine svanito il sogno d'amore e di successo rivolge nello scompartimento la parola a un'altra bella ragazza: "E' attrice lei? No! Eppure sarebbe il tipo...". La storia ricomincia uguale a se stessa, rivelando i meccanismi di funzionamento di un modello di spettacolo in cui all'immobilità di un ruolo (il capocomico) corrisponde l'intercambiabilità di altri (la soubrette). L'avanspettacolo di Luci del varietà riproduce a un livello più "basso" il sistema di leggi che governa l'universo teatrale descritto, nello stesso anno, dal film di Mankiewicz Eva contro Eva, dove il passaggio delle consegne dalla vecchia attrice (Bette Davis) alla nuova diva (Anne Baxter) e poi alla "starlet" (Marilyn Monroe) configura un universo retto da regole rigide: la precarietà di alcuni ruoli (le attrici) e la stabilità di altri (il giornalista) non modifica il tipo di teatro che si fa, anzi ne garantisce la sopravvivenza. Non diversamente, anche se in ambiente differentemente caratterizzati e geograficamente circoscritto, le leggi dell'avanspettacolo assorbono, utilizzano e rigettano gli artisti secondo le esigenze del momento: è la sorte che toccherà presumibilmente a Liliana in un ipotetico (ma prevedibile) seguito del film, dopo aver goduto dell'interessamento dell'impresario Adelmo Conti (Folco Lulli, in una parte simile a quella di George Sanders nel film di Mankiewicz). Dalmonte resta invece al suo posto, dopo aver appena sfiorato il mondo del varietà della metropoli ed esserne stato estromesso. La fine della storia segna la sconfitta del tentativo di acquisire un nuovo ruolo (cioè diventare un impresario importante) e il ritorno alla condizione iniziale, ma conferma anche la pervicace volontà di proseguire il gioco. Dalmonte continuerà a cercare la sua attrice in ogni bella ragazza e prolungherà l'autocompiacimento fregiandosi degli appellativi di "grande fantasista", "fucinatore d'ilarità", "paralizzatore delle platee".
Intorno a lui, e come lui, i componenti della compagnia perpetuano nella vita di ogni giorno il comportamento spettacolare: nella cena a casa dell'avvocato (Carlo Romano) l'euforia collettiva per un momento altro dallo spettacolo copre la realtà di una serie di atti speculari a quelli della finzione: il fachiro addenta la carne allo stesso modo con cui sgranocchia la lampadina sul palcoscenico, Liliana balla nella cucina con una treccia d'aglio a mo’ di collana, il napoletano imbraccia la chitarra e esegue un numero del suo mesto repertorio. Questo mondo piccolo e ristretto, ripiegato su se stesso, tanto limitato nelle ambizioni (Melina vuole mettere da parte i soldi per aprire una salumeria) quanto sfrenato nell'immaginazione (la messa in scena del balletto hawaiano, dei grattacieli americani, dell'India misteriosa) è rappresentato criticamente disseminando il racconto di veloci notazioni che colmano i vuoti di una struttura narrativa estremamente duttile e diversificata a seconda della situazione da presentare. "Tutta l'Italia artistica si accorgerà dei nostri successi, tutta l'Italia artistica!". Il patetico grido di Dalmonte resterà senza risposta e assumerà il senso di una profezia amara e ironica: gli antieroi di Lattuada e Fellini, apprezzati dalla critica, risulteranno sgraditi al pubblico, anche in virtù del fallimento della casa distributrice proprio al momento del decollo del film. Lattuada pagherà i debiti per alcuni anni, preoccupandosi anche di salvare il negativo del film che altrimenti sarebbe andato perduto”.

(Claudio Camerini, “Alberto Lattuada”, Il castoro cinema, 1981)

“Si trovano qui già tutti i miti di Fellini e si anticipano tutte le sue opere future: la solitudine dei personaggi e il ridicolo della loro condizione ci appaiono in un clima insolito, di cui sono elementi principali il senso dello "spettacolo" e la mobilità. Il barocchismo si dilata nell'atmosfera soffocante, formicolante, esasperata di quel piccolo teatro di provincia dove Clara [sic] si esibisce. Il ricevimento della compagnia a casa di un signorotto innamorato di Clara [sic] contiene già, in filigrana, i balli di Vitelloni e del Bidone, così come le nozze della Strada. Vi si ritrova anche un procedimento di costruzione drammatica impiegato più tardi negli stessi balli. L'idea consiste nel dissolvere il problema individuale nella frenesia della folla e del movimento, poi nell'isolarlo a poco a poco, fino al punto di riportarlo di nuovo alla sua totale solitudine interiore”.

(Geneviève Agel "Le chemins de Fellini", Editions du Cerf, Paris, 1956)

LUCI DEL VARIETÀ (Italia, 1950) di Alberto Lattuada e Federico Fellini

 

Una poesia al giorno

Iperbole, di Eduardas Mieželaitis, (Kareiviškis, 3 ottobre 1919 - Vilno, 6 giugno 1997. Raggiunse la notorietà a metà degli anni ’40, diventando uno degli autori più popolari nella Lituania Sovietica del dopoguerra. Traduzione di Paolo Statuti).

Cos’è il cielo?
Cosa sono le stelle? Non sono semplici occhi blu?
Cos’è la luna? Non è un sopracciglio a forma di arco?
Non sono i tuoi tratti che nella mia poesia nascono
Disegnati nello spazio, e lasciati nei cieli a splendere?

Io disegno nello spazio
Il tuo viso effimero
Dalle stelle, dall’aria - con le tinte del tramonto,
Coi trilli dell’usignolo - una parodia
Di un poeta bambino che piange tristemente.

Disegno
Il tuo viso effimero dal nulla,
Dallo spazio, dal tempo, dai fulgidi tragitti degli uccelli,
Dai suoni, dal lampo, dalla pioggia, dal vento, dalla neve
E dai più astratti punti nel labirinto delle galassie.

Io posso sentire
La tua liscia pelle dipinta coi colori dell’aria,
Il mio occhio è attratto dal blu del tuo sguardo,
Il mio quadro ha il tuo profumo - il profumo
Del lillà che danza al chiaro di luna.

Ho appeso il ritratto
Qui, nel mio solaio,
E lo imploro di restare, come sogno che svanisce.
No, non è poeta chi non deruba i cieli,
Non è pittore chi non aggiunge le stelle ai propri colori.

Cos’è il cielo
Se le stelle sono i tuoi occhi e la luna - il tuo sopracciglio,
Il tramonto - le tue labbra che fluttuano come visione.
Il tuo immenso, immenso effimero ritratto
Disegnato da niente nello spazio
E’ il mio cielo!

  • Zuikis Puikis - Eduardas Mieželaitis (Sukurta 2017. Ramūnas P.): www.youtube.com

 

Un fatto al giorno

14 ottobre 1964: il capo del movimento americano per i diritti civili, Martin Luther King, diventa il più giovane vincitore del Premio Nobel per la pace, che gli venne assegnato per la guida della resistenza non-violenta alla fine del pregiudizio razziale negli Stati Uniti.

Martin Luther King, 1929-1968, pastore protestante, politico e attivista statunitense

 

Una frase al giorno

[Rifiutando una pistola ricevuta in regalo] “Sono un predicatore della non violenza. Non ho diritto di portarla. E poi, ciò che conta non è quanto si vive, ma come si vive”.

(Martin Luther King, 1929-1968, pastore protestante, politico e attivista statunitense.)

 

Un brano al giorno

Joan Baez - Gacela Of The Dark Death (Federico Garcia Lorca poem) 

14 ottobre 1967, guerra in Vietnam: la cantante e attivista popolare americana Joan Baez viene arrestata in seguito ad una manifestazione presso il centro di induzione dell'esercito americano a Oakland, California.

Gacela de la muerte oscura
Quiero dormir el sueño de las manzanas,
alejarme del tumulto de los cementerios.
Quiero dormir el sueño de aquel niño
que quería cortarse el corazón en alta mar.

No quiero que me repitan que los muertos no pierden la sangre;
que la boca podrida sigue pidiendo agua.
No quiero enterarme de los martirios que da la hierba,
ni de la luna con boca de serpiente
que trabaja antes del amanecer.

Quiero dormir un rato,
un rato, un minuto, un siglo;
pero que todos sepan que no he muerto;
que hay un establo de oro en mis labios;
que soy el pequeño amigo del viento Oeste;
que soy la sombra inmensa de mis lágrimas.

Cúbreme por la aurora con un velo,
porque me arrojará puñados de hormigas,
y moja con agua dura mis zapatos
para que resbale la pinza de su alacrán.

Porque quiero dormir el sueño de las manzanas
para aprender un llanto que me limpie de tierra;
porque quiero vivir con aquel niño oscuro
que quería cortarse el corazón en alta mar.

(From: Diván del Tamarit, 1936)

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k