“L’amico del popolo”, 18 ottobre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

RECORDAÇÕES DA CASA AMARELA (Ricordi della casa gialla, Portogallo,1989) scritto, diretto ed interpretato da João César Monteiro. Fotografia: José António Loureiro. Montaggio: Helena Alves. Musica: Franz Schubert, Antonio Vivaldi. Con: João César Monteiro (João De Deus), Manuela de Freitas (Violeta), Sabina Sacchi (Mimi), Ruy Furtado (Armando), Teresa Calado (Julieta), Henrique Viana (il vicecapo di polizia), Duarte de Almeida (Ferdinando), Luís Miguel Cintra (Livio), Antonio Terrinha (medico).

Pieno d'acciacchi, disoccupato e tifoso del Benfica, João de Deus vive in una squallida pensione gestita da Violeta e da sua figlia Julieta. Un giorno tenta di violentare la ragazza e viene cacciato via. Recuperata chissà dove un'uniforme, João si mette a fare la vita da barbone e a vivere alla giornata. Fino al momento in cui, completamente alla deriva e ridotto a una larva umana, finirà in manicomio.

“Un film narrato con piglio fra elegiaco e picaresco, apologo agrodolce tutto da meditare”.

(Antonio Mazza, Il Tempo)

“Attore di grande espressività, Monteiro è anche regista fascinoso. E' da comprendere fra i migliori cineasti europei”.

(Giovanni Grazzini, Il Messaggero)

“Lo stile del film è limpido ed elegante, i dialoghi sono brillanti, i contrappunti musicali costruiti sapientemente per contrastare la sgradevolezza di quel che racconta, e lo humor è sempre in agguato”.

(Irene Bignardi, La Repubblica)

“Grande storia, asciutta e violenta, di uno spostato. Presentato a Venezia nel 1989. Esilarante e disperato, il film che rivelò il talento di Monteiro. Il personaggio di Joao de Deus tornerà in La commedia di Dio e Lo sposalizio di Dio”.

(FilmTV)

“Caso raro di una commedia lusitana: la casa gialla è un ospedale psichiatrico dove finisce lo strambo Joao de Jesus (J.C. Monteiro), emaciato e straziato intellettuale pieno di acciacchi, corteggiatore senza fortuna di fanciulle in fiore, e da dove esce per seguire l'esortazione di un compagno di pena: "Va', e dà loro del filo da torcere". Film poverissimo di mezzi, ma non di idee e di stile, seminato di battute scollacciate e canzonette allusive. Un grottesco che si libra, in precario equilibrio, sulla corda di una serena e mite follia. Leone d'argento a Venezia 1989 ex aequo col sopravvalutato Morte di un maestro del tè, del giapponese Kumai”.

(Il Morandini)

“Ricordi della casa gialla non smentisce quello che già si sapeva del cinema portoghese: che non è un cinema allegro, consolatorio, vivace ed ottimista. Stilisticamente, Monteiro non si distacca dall’uso di lunghi ed estenuanti piani sequenza (non certo di quelli mobilissimi alla De Palma ma di quelli a camera fissa su di un’inquadratura che finisce per sembrare immutabile e pietrificata), con un’attenzione pittorica per la composizione dell’immagine la cui insistenza suggerisce qualcos’altro, non foss’altro lo squallore delle cose, degli oggetti (vere e proprie nature morte) che costituiscono l’habitat vitale di João De Deus, anch’esso sgradevole e fisicamente disturbante, ma più positivo del quotidiano in cui è costretto a vivere.
Monteiro attore dà vita ad un personaggio difficile da riconoscere, e l’intento di farne un inclassificabile ribelle, un diverso, gli riesce pienamente. Magro, scheletrico addirittura, lo vediamo alle prese con problemi triviali e “volgari”, dalle cimici che gli infestano la stanza e che cattura con veri e propri agguati, ad un’imbarazzante infiammazione agli organi genitali (anche le ripetute allusioni sessuali, soprattutto al sesso orale, non hanno gioia né carnalità, ma sanno di squallido e di mercificato). Lo vediamo (ci sembra) “buono”, attento nei riguardi di una giovane prostituta che vive nella stessa pensione, ma lo scopriamo “cattivo”, o per lo meno cinico, quando questa improvvisamente muore e l’unica sua preoccupazione è cercare i soldi da lei nascosti nella pancia di una bambola di pezza.
Tutto questo in una Lisbona che è quella distrutta dal disastroso incendio di qualche anno fa, ben lontana da ogni stereotipo turistico. A tratti assomiglia a una certa Napoli, con le genti pronte ad urlare oscenità dalle finestre, i ragazzini che scivolano sui materassi gettati nell’immondizia. In un Portogallo che ha consumato pacificamente una rivoluzione “floreale”, João tenta, alla fine, di marciare da solo sul Parlamento con un’uniforme della Marina, cosa che gli merita il manicomio. Ma prima lo abbiamo visto dichiarare un amore ridicolo all’improbabile clarinettista figlia della padrona di casa, e al suo rifiuto tentare di usarle violenza. L’abbiamo visto bere l’acqua saponosa del bagno in cui la ragazza si è lavata, spillare soldi alla madre anziana e malata senza il minimo scrupolo filiale. Non a caso Monteiro ha scelto ad emblema del film un quadro di George Grosz il cui titolo suona, tradotto, come “John, l’assassino delle donne”.
Dalla “pazzia” in poi, il film cambia completamente registro. L’apparente cronaca tragicomica della vita di un uomo del sottosuolo si trasfigura in altro. De Deus, rapato e rasato, somiglia sempre più al Nosferatu di Max Shrenck, di cui assume l’andatura saltellante, e come lui emerge nottetempo da una botola (una scena bellissima) con il compito dichiarato di portare il disordine nel mondo.
Se pure ci sembrano un po’ eccessivi gli entusiasmi con cui la critica accolse il film a Venezia nell’anno del Leone d’oro a Città dolente, questo, che gli fu buon secondo (condividendone la sorte distributiva), è senz’altro il più bel film che abbiamo visto negli ultimi tempi sullo squallore del viver quotidiano in una città, un paese, che finisce con l’assomigliare all’Orano di Camusiana memoria. E col merito di non cadere nella tentazione (pratica un po’ facile di parecchi autori “alternativi”) di prendere i suoi luoghi e i suoi personaggi come elementi di una rivalutazione della “estetica del brutto”. I suoi “mostri” restano tali, e in un cinema d’ispirazione sicuramente originale non dispiace ritrovare echi polanskiani (il suo inquilino) o rimandi ad una letterarietà non troppo ostentata.
Ma più che un Don Chisciotte alle prese coi mulini a vento dell’alienazione dettata dal conformismo, João De Deus è un uomo che sopravvive per frammenti, un artista marcio che deve, per soldi, inventarsi articoli patetici in base alle foto che gli dà un ricco reporter. Contro questa ricostruzione della realtà, Monteiro-De Deus oppone una decostruzione del racconto cinematografico che se ci lascia sul momento irritati e depressi, molto dopo la visione ci ritrova grati e ammirati”.

(Daniela Catelli, Segnocinema, luglio-agosto 1991)

RECORDAÇÕES DA CASA AMARELA (Ricordi della casa gialla, Portogallo,1989) scritto, diretto ed interpretato da João César Monteiro

 

Una poesia al giorno

18 ottobre 1775: Phillis Wheatley è libera dalla schiavitù. Phillis Wheatley (Senegal o Gambia, 8 maggio 1753-Boston, 5 dicembre 1784) è stata una poetessa statunitense di origine africana. È stata la prima scrittrice afroamericana a veder pubblicata una propria opera, e i suoi scritti rappresentano la nascita del genere noto come letteratura afroamericana.

On the Death of a young Lady of Five Years of Age

FROM dark abodes to fair etherial light
Th’ enraptur’d innocent has wing’d her flight;
On the kind bosom of eternal love
She finds unknown beatitude above.
This know, ye parents, nor her loss deplore,
She feels the iron hand of pain no more;
The dispensations of unerring grace,
Should turn your sorrows into grateful praise;
Let then no tears for her henceforward flow,
No more distress’d in our dark vale below.

Her morning sun, which rose divinely bright,
Was quickly mantled with the gloom of night;
But hear in heav’n’s blest bow’rs your Nancy fair,
And learn to imitate her language there.
“Thou, Lord, whom I behold with glory crown’d,
By what sweet name, and in what tuneful sound
Wilt thou be prais’d? Seraphic pow’rs are faint
Infinite love and majesty to paint.
To thee let all their graceful voices raise,
And saints and angels join their songs of praise.”

Perfect in bliss she from her heav’nly home
Looks down, and smiling beckons you to come;
Why then, fond parents, why these fruitless groans?
Restrain your tears, and cease your plaintive moans.
Freed from a world of sin, and snares, and pain,
Why would you wish your daughter back again?
No-bow resign’d. Let hope your grief control,
And check the rising tumult of the soul.
Calm in the prosperous, and adverse day,
Adore the God who gives and takes away;
Eye him in all, his holy name revere,
Upright your actions, and your hearts sincere,
Till having sail’d through life’s tempestuous sea,
And from its rocks, and boist’rous billows free,
Yourselves, safe landed on the blissful shore,
Shall join your happy babe to part no more.

Sulla morte di una giovane signora di cinque anni di età

Da antri bui alla chiara luce celeste
l’estasiante innocente ha spiccato il volo:
sul tenero seno dell’amore eterno
Lei trova lassù beatitudine ignota
Sappiatelo, voi genitori, non rammaricatevi per la sua perdita,
Lei non sente più il pugno di ferro del dolore;
I favori della grazia infallibile,
Dovrebbero trasformare le vostre tristezze in lode riconoscente;
Non piangete più per lei d’ora in poi,
Non angosciatevi in questa nostra valle oscura,

Il suo sole del mattino, che è sorto divinamente luminoso,
È stato subito avvolto dall’oscurità della notte;
Ma sappiate che nel paradiso dei beati s’inchinano alla vostra bella Nancy,
E lì imparano a imitarla.
“Tu, Signore, che io scorgo incoronato di gloria,
“Con quale dolce nome, e con quale suono melodioso
“Vuoi essere lodato? Le potenze celestiali sono incapaci
di rendere l’infinito amore e la maestà.
“Lascia che verso di te tutte le loro voci aggraziate si levino,
“E i santi e gli angeli uniscano i loro canti di lode.”

Perfetta nella beatitudine, lei, dalla sua casa celestiale,
Guarda in basso, e sorridente vi invita a venire;
Perché allora, genitori affettuosi, perché questi infruttuosi lamenti?
Trattenete le lacrime, e cessate i vostri gemiti tristi.
Liberata da un mondo di peccato, di insidie e di dolore,
Perché vorreste indietro vostra figlia?
Nessun inchino rassegnato. Lasciate che la speranza si curi del vostro dolore,
Dominate il crescente tumulto dell’anima.
Siate sereni nella prosperità e nella sfortuna,
Adorate il Dio che dà e che toglie;
Seguitelo in tutto, onorate il suo santo nome,
Siano rette le vostre azioni e sinceri i vostri cuori,
Finché, avendo navigato nel mare tempestoso della vita,
liberi dalle sue asperità, e dai tempestosi marosi,
Voi stessi, approdati sani e salvi sulla spiaggia beata,
ritroverete la vostra bimba felice per non lasciarla mai più..

Video:

 

Un fatto al giorno

18 ottobre 614: Il re Clotario II promuove l'Editto di Parigi (Edictum Clotarii), una sorta di Magna Carta che difende i diritti dei nobili francesi, escludendo gli ebrei da tutti gli impieghi civili nel Regno. L'Editto di Parigi rimase in vigore durante il regno del suo successore, Dagoberto I.
Rimasto l'unico re dei Franchi, avendo unito alla corona di Neustria quelle di Austrasia e Borgogna, il 18 ottobre 614, mantenne l'impegno preso con la nobiltà e con l'Editto di Parigi (o Edictum Clotarii), confermò le grandi concessioni ai nobili e al clero, garantì l'autonomia dei tre regni e sancì che ognuno di questi sarebbe stato retto da un maggiordomo, la cui carica venne resa ereditaria. Concesse che il clero ed i vescovi venissero eletti dal popolo, in un congresso, presieduto dal metropolita, scegliendo il candidato ritenuto migliore; il re non aveva più il diritto di imporre il suo candidato, ma accettare quello eletto dal popolo e consacrarlo oppure chiedere che si procedesse alla scelta di un secondo candidato, concesse inoltre che il clero ed i vescovi godessero del privilegio di poter essere giudicati solo da altri ecclesiastici ed infine concesse a tutte le chiese del regno il diritto di asilo, cioè qualsiasi malfattore, che entrava in una chiesa, non poteva più essere arrestato dai soldati e dalle guardie del re.
Clotario II aveva finito di smantellare quanto rimaneva della concezione romana dello Stato, che quindi più fortemente assunse il carattere patrimoniale tipico della cultura barbarica, in cui le cariche e il territorio erano considerate proprietà private. Il regno divenne un insieme di potentati civili ed ecclesiastici...” (Wikipedia)

 

Una frase al giorno

"The poor old Past, The Future's slave" (Il povero vecchio passato, schiavo del futuro)

Herman Melville (1819-1891) fu scrittore, poeta e critico letterario statunitense.

 

Un brano al giorno

18 ottobre 1945: L'ufficiale militare argentino e politico Juan Perón sposa l'attrice Eva Duarte.

  • Il film “Eva Peron” (1 di 4, di seguito le altre parti): www.youtube.com

Eva Perón

"Don't Cry For Me Argentina", Madonna: www.youtube.com

La canzone è stata scritta nel 1976 in memoria di Evita Perón, la seconda moglie del presidente argentino Juan Perón. Il filmato è tratto dal film: “Eva Perón” di Juan Carlos Desanzo, con Esther Goris e Victor Laplace. Madonna ha cantato la stessa canzone nel 1996, nel dramma musicale: “Evita”, diretto da Alan Parker e scritto da Parker e Oliver Stone. Il film ha interpretato Madonna come Evita Perón, Antonio Banderas come Ché e Jonathan Pryce come Juan Perón.

It won't be easy, you'll think it strange
when I try to explain how I feel
that I still need your love after all that I've done.
You won't believe me
all you will see is a girl you once knew
although she's dressed up to the nines
at sixes and sevens with you.

I had to let it happen, I had to change
couldn't stay all my life down at heel
looking out of the window, staying out of the sun.
So I chose freedom
running around, trying everything new
but nothing impressed me at all
I never expected it to.

Don't cry for me Argentina
the truth is I never left you
all through my wild days
my mad existence
I kept my promise
don't keep your distance.

And as for fortune and as for fame
I never invited them in
though it seemed to the world they were all I desired.
They are illusions
they are not the solutions they promised to be
the answer was here all the time
I love you and hope you love me.

Don't cry for me Argentina.

Don't cry for me Argentina
the truth is I never left you
all through my wild days
my mad existence
I kept my promise
don't keep your distance.

Have I said too much?
there's nothing more I can think of to say to you
but all you have to do is look at me to know
that every word is true.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k