“L’amico del popolo”, 18 ottobre 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

RECORDAÇÕES DA CASA AMARELA (Ricordi della casa gialla, Portogallo,1989) scritto, diretto ed interpretato da João César Monteiro. Fotografia: José António Loureiro. Montaggio: Helena Alves. Musica: Franz Schubert, Antonio Vivaldi. Con: João César Monteiro (João De Deus), Manuela de Freitas (Violeta), Sabina Sacchi (Mimi), Ruy Furtado (Armando), Teresa Calado (Julieta), Henrique Viana (il vicecapo di polizia), Duarte de Almeida (Ferdinando), Luís Miguel Cintra (Livio), Antonio Terrinha (medico).

Pieno d'acciacchi, disoccupato e tifoso del Benfica, João de Deus vive in una squallida pensione gestita da Violeta e da sua figlia Julieta. Un giorno tenta di violentare la ragazza e viene cacciato via. Recuperata chissà dove un'uniforme, João si mette a fare la vita da barbone e a vivere alla giornata. Fino al momento in cui, completamente alla deriva e ridotto a una larva umana, finirà in manicomio.

“Un film narrato con piglio fra elegiaco e picaresco, apologo agrodolce tutto da meditare”.

(Antonio Mazza, Il Tempo)

“Attore di grande espressività, Monteiro è anche regista fascinoso. E' da comprendere fra i migliori cineasti europei”.

(Giovanni Grazzini, Il Messaggero)

“Lo stile del film è limpido ed elegante, i dialoghi sono brillanti, i contrappunti musicali costruiti sapientemente per contrastare la sgradevolezza di quel che racconta, e lo humor è sempre in agguato”.

(Irene Bignardi, La Repubblica)

“Grande storia, asciutta e violenta, di uno spostato. Presentato a Venezia nel 1989. Esilarante e disperato, il film che rivelò il talento di Monteiro. Il personaggio di Joao de Deus tornerà in La commedia di Dio e Lo sposalizio di Dio”.

(FilmTV)

“Caso raro di una commedia lusitana: la casa gialla è un ospedale psichiatrico dove finisce lo strambo Joao de Jesus (J.C. Monteiro), emaciato e straziato intellettuale pieno di acciacchi, corteggiatore senza fortuna di fanciulle in fiore, e da dove esce per seguire l'esortazione di un compagno di pena: "Va', e dà loro del filo da torcere". Film poverissimo di mezzi, ma non di idee e di stile, seminato di battute scollacciate e canzonette allusive. Un grottesco che si libra, in precario equilibrio, sulla corda di una serena e mite follia. Leone d'argento a Venezia 1989 ex aequo col sopravvalutato Morte di un maestro del tè, del giapponese Kumai”.

(Il Morandini)

“Ricordi della casa gialla non smentisce quello che già si sapeva del cinema portoghese: che non è un cinema allegro, consolatorio, vivace ed ottimista. Stilisticamente, Monteiro non si distacca dall’uso di lunghi ed estenuanti piani sequenza (non certo di quelli mobilissimi alla De Palma ma di quelli a camera fissa su di un’inquadratura che finisce per sembrare immutabile e pietrificata), con un’attenzione pittorica per la composizione dell’immagine la cui insistenza suggerisce qualcos’altro, non foss’altro lo squallore delle cose, degli oggetti (vere e proprie nature morte) che costituiscono l’habitat vitale di João De Deus, anch’esso sgradevole e fisicamente disturbante, ma più positivo del quotidiano in cui è costretto a vivere.
Monteiro attore dà vita ad un personaggio difficile da riconoscere, e l’intento di farne un inclassificabile ribelle, un diverso, gli riesce pienamente. Magro, scheletrico addirittura, lo vediamo alle prese con problemi triviali e “volgari”, dalle cimici che gli infestano la stanza e che cattura con veri e propri agguati, ad un’imbarazzante infiammazione agli organi genitali (anche le ripetute allusioni sessuali, soprattutto al sesso orale, non hanno gioia né carnalità, ma sanno di squallido e di mercificato). Lo vediamo (ci sembra) “buono”, attento nei riguardi di una giovane prostituta che vive nella stessa pensione, ma lo scopriamo “cattivo”, o per lo meno cinico, quando questa improvvisamente muore e l’unica sua preoccupazione è cercare i soldi da lei nascosti nella pancia di una bambola di pezza.
Tutto questo in una Lisbona che è quella distrutta dal disastroso incendio di qualche anno fa, ben lontana da ogni stereotipo turistico. A tratti assomiglia a una certa Napoli, con le genti pronte ad urlare oscenità dalle finestre, i ragazzini che scivolano sui materassi gettati nell’immondizia. In un Portogallo che ha consumato pacificamente una rivoluzione “floreale”, João tenta, alla fine, di marciare da solo sul Parlamento con un’uniforme della Marina, cosa che gli merita il manicomio. Ma prima lo abbiamo visto dichiarare un amore ridicolo all’improbabile clarinettista figlia della padrona di casa, e al suo rifiuto tentare di usarle violenza. L’abbiamo visto bere l’acqua saponosa del bagno in cui la ragazza si è lavata, spillare soldi alla madre anziana e malata senza il minimo scrupolo filiale. Non a caso Monteiro ha scelto ad emblema del film un quadro di George Grosz il cui titolo suona, tradotto, come “John, l’assassino delle donne”.
Dalla “pazzia” in poi, il film cambia completamente registro. L’apparente cronaca tragicomica della vita di un uomo del sottosuolo si trasfigura in altro. De Deus, rapato e rasato, somiglia sempre più al Nosferatu di Max Shrenck, di cui assume l’andatura saltellante, e come lui emerge nottetempo da una botola (una scena bellissima) con il compito dichiarato di portare il disordine nel mondo.
Se pure ci sembrano un po’ eccessivi gli entusiasmi con cui la critica accolse il film a Venezia nell’anno del Leone d’oro a Città dolente, questo, che gli fu buon secondo (condividendone la sorte distributiva), è senz’altro il più bel film che abbiamo visto negli ultimi tempi sullo squallore del viver quotidiano in una città, un paese, che finisce con l’assomigliare all’Orano di Camusiana memoria. E col merito di non cadere nella tentazione (pratica un po’ facile di parecchi autori “alternativi”) di prendere i suoi luoghi e i suoi personaggi come elementi di una rivalutazione della “estetica del brutto”. I suoi “mostri” restano tali, e in un cinema d’ispirazione sicuramente originale non dispiace ritrovare echi polanskiani (il suo inquilino) o rimandi ad una letterarietà non troppo ostentata.
Ma più che un Don Chisciotte alle prese coi mulini a vento dell’alienazione dettata dal conformismo, João De Deus è un uomo che sopravvive per frammenti, un artista marcio che deve, per soldi, inventarsi articoli patetici in base alle foto che gli dà un ricco reporter. Contro questa ricostruzione della realtà, Monteiro-De Deus oppone una decostruzione del racconto cinematografico che se ci lascia sul momento irritati e depressi, molto dopo la visione ci ritrova grati e ammirati”.

(Daniela Catelli, Segnocinema, luglio-agosto 1991)

 

Una poesia al giorno

18 ottobre 1775: Phillis Wheatley è libera dalla schiavitù. Phillis Wheatley (Senegal o Gambia, 8 maggio 1753-Boston, 5 dicembre 1784) è stata una poetessa statunitense di origine africana. È stata la prima scrittrice afroamericana a veder pubblicata una propria opera, e i suoi scritti rappresentano la nascita del genere noto come letteratura afroamericana.

On the Death of a young Lady of Five Years of Age

FROM dark abodes to fair etherial light
Th’ enraptur’d innocent has wing’d her flight;
On the kind bosom of eternal love
She finds unknown beatitude above.
This know, ye parents, nor her loss deplore,
She feels the iron hand of pain no more;
The dispensations of unerring grace,
Should turn your sorrows into grateful praise;
Let then no tears for her henceforward flow,
No more distress’d in our dark vale below.

Her morning sun, which rose divinely bright,
Was quickly mantled with the gloom of night;
But hear in heav’n’s blest bow’rs your Nancy fair,
And learn to imitate her language there.
“Thou, Lord, whom I behold with glory crown’d,
By what sweet name, and in what tuneful sound
Wilt thou be prais’d? Seraphic pow’rs are faint
Infinite love and majesty to paint.
To thee let all their graceful voices raise,
And saints and angels join their songs of praise.”

Perfect in bliss she from her heav’nly home
Looks down, and smiling beckons you to come;
Why then, fond parents, why these fruitless groans?
Restrain your tears, and cease your plaintive moans.
Freed from a world of sin, and snares, and pain,
Why would you wish your daughter back again?
No-bow resign’d. Let hope your grief control,
And check the rising tumult of the soul.
Calm in the prosperous, and adverse day,
Adore the God who gives and takes away;
Eye him in all, his holy name revere,
Upright your actions, and your hearts sincere,
Till having sail’d through life’s tempestuous sea,
And from its rocks, and boist’rous billows free,
Yourselves, safe landed on the blissful shore,
Shall join your happy babe to part no more.

Sulla morte di una giovane signora di cinque anni di età

Da antri bui alla chiara luce celeste
l’estasiante innocente ha spiccato il volo:
sul tenero seno dell’amore eterno
Lei trova lassù beatitudine ignota
Sappiatelo, voi genitori, non rammaricatevi per la sua perdita,
Lei non sente più il pugno di ferro del dolore;
I favori della grazia infallibile,
Dovrebbero trasformare le vostre tristezze in lode riconoscente;
Non piangete più per lei d’ora in poi,
Non angosciatevi in questa nostra valle oscura,

Il suo sole del mattino, che è sorto divinamente luminoso,
È stato subito avvolto dall’oscurità della notte;
Ma sappiate che nel paradiso dei beati s’inchinano alla vostra bella Nancy,
E lì imparano a imitarla.
“Tu, Signore, che io scorgo incoronato di gloria,
“Con quale dolce nome, e con quale suono melodioso
“Vuoi essere lodato? Le potenze celestiali sono incapaci
di rendere l’infinito amore e la maestà.
“Lascia che verso di te tutte le loro voci aggraziate si levino,
“E i santi e gli angeli uniscano i loro canti di lode.”

Perfetta nella beatitudine, lei, dalla sua casa celestiale,
Guarda in basso, e sorridente vi invita a venire;
Perché allora, genitori affettuosi, perché questi infruttuosi lamenti?
Trattenete le lacrime, e cessate i vostri gemiti tristi.
Liberata da un mondo di peccato, di insidie e di dolore,
Perché vorreste indietro vostra figlia?
Nessun inchino rassegnato. Lasciate che la speranza si curi del vostro dolore,
Dominate il crescente tumulto dell’anima.
Siate sereni nella prosperità e nella sfortuna,
Adorate il Dio che dà e che toglie;
Seguitelo in tutto, onorate il suo santo nome,
Siano rette le vostre azioni e sinceri i vostri cuori,
Finché, avendo navigato nel mare tempestoso della vita,
liberi dalle sue asperità, e dai tempestosi marosi,
Voi stessi, approdati sani e salvi sulla spiaggia beata,
ritroverete la vostra bimba felice per non lasciarla mai più..

Video:

 

Un fatto al giorno

18 ottobre 614: Il re Clotario II promuove l'Editto di Parigi (Edictum Clotarii), una sorta di Magna Carta che difende i diritti dei nobili francesi, escludendo gli ebrei da tutti gli impieghi civili nel Regno. L'Editto di Parigi rimase in vigore durante il regno del suo successore, Dagoberto I.
Rimasto l'unico re dei Franchi, avendo unito alla corona di Neustria quelle di Austrasia e Borgogna, il 18 ottobre 614, mantenne l'impegno preso con la nobiltà e con l'Editto di Parigi (o Edictum Clotarii), confermò le grandi concessioni ai nobili e al clero, garantì l'autonomia dei tre regni e sancì che ognuno di questi sarebbe stato retto da un maggiordomo, la cui carica venne resa ereditaria. Concesse che il clero ed i vescovi venissero eletti dal popolo, in un congresso, presieduto dal metropolita, scegliendo il candidato ritenuto migliore; il re non aveva più il diritto di imporre il suo candidato, ma accettare quello eletto dal popolo e consacrarlo oppure chiedere che si procedesse alla scelta di un secondo candidato, concesse inoltre che il clero ed i vescovi godessero del privilegio di poter essere giudicati solo da altri ecclesiastici ed infine concesse a tutte le chiese del regno il diritto di asilo, cioè qualsiasi malfattore, che entrava in una chiesa, non poteva più essere arrestato dai soldati e dalle guardie del re.
Clotario II aveva finito di smantellare quanto rimaneva della concezione romana dello Stato, che quindi più fortemente assunse il carattere patrimoniale tipico della cultura barbarica, in cui le cariche e il territorio erano considerate proprietà private. Il regno divenne un insieme di potentati civili ed ecclesiastici...” (Wikipedia)

 

Una frase al giorno

"The poor old Past, The Future's slave" (Il povero vecchio passato, schiavo del futuro)

Herman Melville (1819-1891) fu scrittore, poeta e critico letterario statunitense.

 

Un brano al giorno

18 ottobre 1945: L'ufficiale militare argentino e politico Juan Perón sposa l'attrice Eva Duarte.

  • Il film “Eva Peron” (1 di 4, di seguito le altre parti): www.youtube.com

"Don't Cry For Me Argentina", Madonna: www.youtube.com

La canzone è stata scritta nel 1976 in memoria di Evita Perón, la seconda moglie del presidente argentino Juan Perón. Il filmato è tratto dal film: “Eva Perón” di Juan Carlos Desanzo, con Esther Goris e Victor Laplace. Madonna ha cantato la stessa canzone nel 1996, nel dramma musicale: “Evita”, diretto da Alan Parker e scritto da Parker e Oliver Stone. Il film ha interpretato Madonna come Evita Perón, Antonio Banderas come Ché e Jonathan Pryce come Juan Perón.

It won't be easy, you'll think it strange
when I try to explain how I feel
that I still need your love after all that I've done.
You won't believe me
all you will see is a girl you once knew
although she's dressed up to the nines
at sixes and sevens with you.

I had to let it happen, I had to change
couldn't stay all my life down at heel
looking out of the window, staying out of the sun.
So I chose freedom
running around, trying everything new
but nothing impressed me at all
I never expected it to.

Don't cry for me Argentina
the truth is I never left you
all through my wild days
my mad existence
I kept my promise
don't keep your distance.

And as for fortune and as for fame
I never invited them in
though it seemed to the world they were all I desired.
They are illusions
they are not the solutions they promised to be
the answer was here all the time
I love you and hope you love me.

Don't cry for me Argentina.

Don't cry for me Argentina
the truth is I never left you
all through my wild days
my mad existence
I kept my promise
don't keep your distance.

Have I said too much?
there's nothing more I can think of to say to you
but all you have to do is look at me to know
that every word is true.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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