“L’amico del popolo”, 15 aprile 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

RAN (乱 lett. "Caos", Giappone, 1985), scritto e diretto da Akira Kurosawa, basato sulla tragedia di Shakespeare Re Lear. Sceneggiatura: Akira Kurosawa, Masato Ide, Hideo Oguni. Fotografia: Masaharu Ueda, Asakazu Nakai, Takao Saito. Montaggio: Akira Kurosawa, Musiche: Tôru Takemitsu. Con: Tatsuya Nakadai, Akira Terao, Jinpachi Nezu, Daisuke Ryu, Mieko Harada, Yoshiko Miyazaki, Hisashi Igawa, Norio Matsui, Toshiya Ito, Kenji Kodama, Kazuo Kato, Takeshi Katô, Takashi Nomura, Jun Tazaki, Hitoshi Ueki, Masayuki Yui.

Nel Giappone del '500, il "grande principe" Hidetora, che ha alle spalle una vita di violenze, guerre e stragi, sentendosi stanco, decide di spartire tra i tre figli feudo e ricchezze, riservando a se le insegne nobiliari ed il diritto di trascorrere a turno presso di loro i restanti giorni della propria vita. Convocati Taro (che sarà il capo della casata), Jiro e Saburo (il più giovane e prediletto), trova proprio in quest'ultimo, il più schietto e sincero, una inaspettata resistenza: a suo dire, l'odio e la sete di potere sconvolgeranno tutto. Per queste parole, Saburo viene scacciato dal padre, deluso ed irritato, con il fido Tango, trovando asilo da un principe suo futuro suocero. Ma Saburo non aveva torto. Ospite nel torrione del castello di Taro, il vecchio Hidetora viene osteggiato e sarà costretto ad andarsene da Jiro. Taro e Jiro si combattono strenuamente, mandando in rovina i rispettivi domini. Ucciso in battaglia Taro, Jiro si impadronisce dei suoi averi e ne sposa la vedova - la principessa Kaede - che nutre la vendetta contro Hidetora, che le ha ucciso i familiari. Mentre Hidetora, impazzito, vaga tra boschi e radure, accompagnato da uno scudiero e dal fedele buffone, Saburo parte alla ricerca del padre. Jiro dà battaglia a Saburo, che però, aiutato dai soldati del suocero, avrà la meglio. Jiro muore sul campo, Kaede viene decapitata, ma lo stesso Saburo cade, colpito da una pallottola alla schiena e sul suo corpo cade morto il folle Hidetora. Nelle campagne disseminate di cadaveri resta solo il fratello della principessa Suè (la prima moglie di Jiro, da questi fatta uccidere): un giovane cieco, vittima della crudeltà di Hidetora, ma anche di un Fato impietoso e della stupidità degli uomini.

“Motonari Mori (1497-1571) generale e politico di prim'ordine ebbe tre figli leggendari; quando sentendosi troppo vecchio decise di dividere il feudo tra i suoi tre eredi, il loro comportamento fu così esemplare che grazie all'intesa comune il feudo poté prosperare ed ingrandirsi. Leggendo questa pagina di storia, Kurosawa si domanda: cosa sarebbe successo se i tre onesti figlioli di Mori si fossero comportati diversamente, come le figlie di re Lear per esempio? “A un certo punto la storia di Mori e di Lear si sono mescolate nella mia mente” ci confidava il regista a Tokyo; “mentre riscrivevamo numerosi trattamenti non sapevamo più distinguere ciò che apparteneva a Shakespeare e alla nostra immaginazione ...”. Più che una trasposizione del Lear in costumi giapponesi, Ran (tumulto, rivolta) è una storia giapponese strutturata “alla maniera di” Re Lear, rivisitato alla luce del Macbeth: più che sull'ingratitudine dei figli del signore Hidetora, l'accento viene messo qui sulla loro sfrenata ambizione; e Kaede, la giovane lady che li spinge al delitto fa pensare alla reincarnazione di Lady Macbeth che agisce però - vedremo - solo per sete di vendetta. Personaggio inventato, Kaede rimpiazza in qualche modo Edmund, il diabolico figlio naturale di Gloucester; dopo essersi sbarazzato del padre e del fratello Edgar, Edmund seminava la zizzania tra Regana e Goneril. La più radicale innovazione di Ran riguarda le motivazioni della follia del sovrano. Rileggendo il Lear, il regista è rimasto colpito da un particolare: Shakespeare non fa cenno al passato del re; per arrivare e mantenersi al potere, Lear non può non aver commesso dei delitti, che non possono non aver lasciato una traccia profonda nella sua coscienza. Per Kurosawa, la rivolta dei due primogeniti e la conseguente follia di Hidetora è collegata direttamente a quei peccati di gioventù. I fantasmi delle vittime ritornano: miracolosamente scampato all'incendio del castello, mentre raccoglie fiori su una collina flagellata da un vento impetuoso, Hidetora ormai impazzito “vede” sfilare davanti ai suoi occhi i fantasmi delle sue vittime; e poco dopo deve fuggire dalla capanna in cui cercava riparo perché si ritrova davanti il povero Tsurumaru, un ragazzo indifeso che aveva fatto accecare solo perché era l'erede di una famiglia rivale. (Mentre la cecità di Gloucester accusa le figlie di Lear e il bastardo Edmund, quella di Tsurumaru incolpa direttamente Hidetora: quando riconosce la sua vittima, il Principe pazzo indietreggia inorridito come Washizu/Macbeth davanti al fantasma di Miki/Banquo, percorre l'intero perimetro della capanna strisciando le spalle contro le pareti reggendosi il capo fra le mani senza riuscire a staccare gli occhi dal cieco, una tavola cede e Hidetora precipita all'esterno, nel vuoto; il suo itinerario è una caduta senza fine). Se il mite Tsurumaru e la sua soave sorella maggiore Sué (andata sposa per considerazioni politiche al secondogenito di Hidetora) hanno imparato a sublimare il dolore nella religione buddista, c'è qualcuno che non ha per nulla dimenticato le offese ricevute, lady Kaede. Dopo l'uccisione della sua famiglia di feudatari, Kaede (andata sposa al primogenito Taro) ha giurato vendetta: emula di Edmund, di cui ricopre un po' il ruolo, questa inquietante creatura della notte, con l'astuzia della volpe e la sinuosità del serpente, metterà i figli contro Hidetora e in un secondo tempo aizzerà Jiro contro Taro, e arriverà fino ad esigere la testa di Sué (Sué ricopre un po' il ruolo di Edgar, il figlio devoto di Gloucester). C'è un Macbeth che sonnecchia nel passato di Hidetora, il destino si servirà di una sua leggerezza senile (la decisione affrettata di dividere il feudo tra i figli) per fargli espiare le antiche colpe. Il “Caos” cui allude il titolo giapponese del film è figlio della prevaricazione, dell'ingiustizia di un tempo. Adattando il soggetto alla mentalità giapponese, Kurosawa non tradisce lo spirito di Shakespeare: come Re Lear, Ran è una protesta contro l'ingiustizia e la sofferenza immeritata (quella di Hidetora è però meritata), un'interrogazione sul significato dell'erranza umana e del dolore, un saggio sulla decomposizione e il declino del mondo. A questi motivi (brillantemente riassunti da Jan Kott) Kurosawa aggiunge quello dell'espiazione delle colpe, e quello mutuato dal Macbeth della follia dell'ambizione e della guerra (i due figli di Hidetora). (...) Il senso di geometrica astrazione del film è accentuato dall'uso irrealistico del colore. Per distinguere le schiere dei tre figli di Hidetora e dei loro alleati, il regista sceglie dei colori simbolici: l'ambiguo Taro veste di giallo, l'ambiziosissimo Jito porta il colore della violenza (il rosso), Saburo l'azzurro dell'innocenza, Hidetora indossa un kimono bianco. In tutto il film - rileva Perez - c'è un sapiente lavoro di contrappunto tra i colori trattati come “sonorità orchestrali”. Se non è il suo testamento come autore, Ran è probabilmente il testamento di Kurosawa pittore”.

(Aldo Tassone, Akira Kurosawa, Il Castoro Cinema - L’Unità)

“Fondendo l’epica e la tragedia, il film di Kurosawa si propone come un’inquietante rappresentazione dell’avidità degli uomini e della stupidità della guerra. La figura del protagonista, Hidetora, riassume tutto ciò: un vecchio pazzo a cui non rimane che vagare per le montagne in compagnia di un buffone, commiserandosi dei frutti della sua stessa stupidità. Nel finale della pellicola, proprio Hidetora si troverà a stringere fra le braccia il cadavere del figlio Saburo, l’unico che gli si era dimostrato leale, mentre intorno a lui infuria la battaglia; in questo modo, l’ex-sovrano pagherà con il sangue del figlio per tutte le stragi e le cattive azioni e abusi di potere commessi nel corso della propria vita. “Ran”, vincitore di innumerevoli premi, tra cui quattro Premi Oscar e sei BAFTA, è ancora oggi uno dei massimi capolavori della cinematografia mondiale. Mettendo in scena un mastodontico dipinto della follia umana ma anche dell’antica cultura giapponese, con scene che sconfinano nel visionario e che utilizzano uno stile visivo basato su grandiose scene di massa e su un magistrale uso in chiave simbolica dei colori; la fotografia stupisce le spettatore con il passaggio repentino dalla visione di paesaggi orizzontali come le scene di guerra in infiniti campi di battaglia nelle campagne, alle geometrie verticali delle altissime strutture architettoniche delle pagode giapponesi, per poi finire a intime scene di interni, in cui si svolgono le tradizionali cerimonie della tradizione”.

(Dal sito www.japancoolture.com)

RAN (乱 lett.

 

Una poesia al giorno

Attesa del Venerdì Santo, di Ugo Brusaporco, 2017

Silenziose
Le campane
In questa notte
Straordinaria
Foriera
Di notizie
Ferali
Oh tu Morte
Incapace
Di avere un Dio
Da rispettare
Prega!
Prega
Per non dimenticare
Il tuo nome
Nell’aiuola
Di un Limbo
Che ti rinnega.
Non esisti
Morte
Al di là del tuo
Stesso specchio
E a nulla
Serve
Il tuo versare lacrime
In una notte
Come questa

 

Un fatto al giorno

15 aprile 1896: cerimonia di chiusura delle prima Olimpiade moderna tenutasi a Atene dal 6 al 15 aprile. “L’apertura della prima Olimpiade dell’era moderna fu molto solenne. Allo stadio di Atene, lo stesso di Pericle, ricostruito grazie ad una sottoscrizione pubblica e al mecenatismo di Giorgio Averoff, tutta la Grecia era presente con oltre cinquantamila spettatori. Re Giorgio I, accompagnato dalla moglie e dai figli, dichiarò aperti i giochi e pronunciò quella breve formula destinata a rimanere inalterata nel tempo: "Dichiaro aperti i Giochi della prima Olimpiade dell’era moderna". L’Italia non partecipò anche se fu rappresentata nel CIO da due membri, il conte Lucchesi Palli e il Duca Carafa D’Andria. I concorrenti in gara 245 di cui 160 greci. I giochi si svolsero dal 6 al 15 aprile 1896 e ogni vincitore venne cinto con rami d’ulivo, premiato con medaglie e invitato a compiere il giro d’onore, mentre centinaia di colombi vennero fatti volare in cielo. Occorre sottolineare che queste prime Olimpiadi, così come le olimpiadi dell’antica Grecia, furono riservate esclusivamente agli uomini”.

(www2.raisport.rai.it)

Prima Olimpiade moderna tenutasi a Atene dal 6 al 15 aprile 1896

L'Olimpiade e il suo stesso ricordo scomparvero dalla storia dell'umanità per quasi 1500 anni dopo l'editto dell'imperatore Teodosio che pose fine, nel 393 d.C., a tutte le manifestazioni pagane. Nel lungo medioevo dello sport e dei Giochi, spiccano tuttavia alcune iniziative di fonte erudita volte al recupero dell'idea olimpica. La più rilevante va attribuita a un grande scrittore e filosofo francese del 18° secolo, Jean-Jacques Rousseau, che nell'Émile, pubblicato nel 1762, sollecita il recupero degli ideali dell'antica Grecia come strumento per il ritorno alla natura nell'educazione globale dell'uomo moderno. La ripresa degli studi sull'attività motoria offrì un ulteriore stimolo. Nel 1793 apparve il trattato Ginnastica per la gioventù di Johann Christoph Friedrich Guts Muths, pioniere dell'insegnamento dello sport nella parte orientale dell'odierna Germania, a Schnepfentahl, in cui il pedagogo tedesco sosteneva la necessità di riprendere i Giochi con cadenza quadriennale ed elaborava i principi fondamentali dell'educazione motoria, basata sullo sviluppo di forza, agilità e destrezza. "Ogni giorno sport e lavoro" era il motto di Guts Muths che si rivolgeva, in particolare, alla scuola e alla disciplina militare. Il suo invito fu raccolto e rinnovato da Friedrich Ludwig Jahn (1778-1852), il vero creatore della ginnastica moderna. Oltremanica il promotore del rinnovamento in termini di educazione sportiva, con esplicito riferimento ai Giochi, fu Thomas Arnold (1795-1842). Mentre nasceva in Gran Bretagna lo sport moderno, Arnold ne codificò molte delle regole, richiamandosi all'ideale olimpico. Le competizioni per gli studenti ispirate all'ideale classico da lui introdotte in qualità di rettore nel college di Rugby sono descritte e sviluppate nel Tom Brown's schooldays, il diario delle esperienze a Rugby scritto da Thomas Hughes (1822-1896), allievo e successore di Arnold. I lavori di Arnold e Hughes ebbero profonda influenza nei primi anni di studi di Pierre de Coubertin. Quanto ai Giochi veri e propri, nell'Ottocento si trovano diverse tracce del desiderio di rivitalizzarli, come a Ramlosa, in Svezia, vicino Helsingborg, su iniziativa del professor Gustav Johann Schartau dell'Università di Lund, nel 1834 e 1836; a Montreal in Canada negli anni fra il 1830 e il 1850, e a Lago Palic dal 1880, in una cittadina nei pressi di Subotica, allora Ungheria, oggi nella provincia serba di Vojvodina. Ma si deve ancora alla Gran Bretagna il ritorno di un'etichetta olimpica sui campi di gara. Già nel Seicento, fra il 1612 e il 1642, Robert Dover aveva varato a Cotswold una manifestazione polisportiva definita Cotswold Olympic Games; brevemente interrotta dopo la morte di Dover nel 1641, fu ripristinata sotto il regno di Carlo II nel decennio 1660-1670. In epoca più recente, il dottor William Penny Brookes (1809-1895) elaborò a Much Wenlock, villaggio rurale nello Shropshire, a 65 km da Birmingham, l'idea di una celebrazione dei Giochi su base annuale, che vide la luce il 22 ottobre 1850, con prove di salto in alto e lungo, cricket e calcio, corsa nei sacchi, velocità, ma anche lance infilzate negli anelli e corse a occhi bendati. Se ne disputarono 45 edizioni, una delle quali nel 1889 vide fra gli spettatori il barone de Coubertin, e si creò un gemellaggio con l'analoga iniziativa di Evanghelios Zappas ad Atene. I Giochi di Much Wenlock si allargarono ad altre cittadine e continuarono sporadicamente dopo la morte di Brookes, avvenuta, ironia della sorte, solo un anno prima della disputa dei primi Giochi moderni. Le Olimpiadi di Brookes si tengono ancor oggi, in sua memoria. Sua fu l'idea, nel 1881, di proporre la celebrazione ad Atene di un Festival olimpico internazionale.

(Enciclopedia dello Sport Treccani)

 

Una frase al giorno

“Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza”.

(Benjamin Franklin)

 

Un brano al giorno

Ombra mai fu dal “Serse” di Georg Friedrich Händel

Frondi tenere e belle
del mio platano amato
per voi risplenda il fato.
Tuoni, lampi, e procelle
non v'oltraggino mai la cara pace,
nè giunga a profanarvi austro rapace.

Ombra mai fu
di vegetabile,
cara ed amabile,
soave più.

 

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org