“L’amico del popolo”, 16 aprile 2020

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno IV. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

MODERN TIMES (Tempi moderni, US, 1936), regia di Charlie Chaplin. Prodotto e scritto da Charlie Chaplin. Musiche di Charlie Chaplin. Fotografia: Ira H. Morgan, Roland Totheroh. Montaggio: Willard Nico. Cast: Charlie Chaplin come operaio. Paulette Goddard nel ruolo di Ellen Peterson "The Gamin". Henry Bergman come proprietario del Café. Stanley "Tiny" Sandford nel ruolo di Big Bill. Chester Conklin come meccanico. Al Ernest Garcia come presidente della Electro Steel Corp .. Stanley Blystone come padre di Gamin. Richard Alexander come compagno di cella della prigione. Cecil Reynolds come ministro. Mira McKinney nel ruolo della moglie del ministro. Murdock MacQuarrie nel ruolo di J. Widdecombe Billows, inventore. Wilfred Lucas come ufficiale giovanile. Edward LeSaint nel ruolo dello sceriffo Couler. Fred Malatesta è il capo cameriere del Café. Sammy Stein come operatore di turbina. Hank Mann come ladro con Big Bill. Louis Natheaux come ladro con Big Bill. Gloria DeHaven nel ruolo della sorella di Gamin (non accreditato). Juana Sutton come donna con seno abbottonato. Ted Oliver come assistente di Billow. Bobby Barber come lavoratore (non accreditato). Harry Wilson come lavoratore (non accreditato).

MODERN TIMES (Tempi moderni, US, 1936), regia di Charlie Chaplin

“Charlot è un operaio in una fabbrica; la sua mansione è quella di stringere i bulloni in una catena di montaggio. I gesti ripetitivi, i ritmi disumani e spersonalizzanti della catena di montaggio minano la ragione del povero Charlot; la pausa pranzo potrebbe concedere un momento di riposo per tutti i lavoratori della fabbrica, se non che Charlot viene prescelto per sperimentare la macchina automatica da alimentazione, che dovrebbe consentire di mangiare senza interrompere il lavoro (aspetto che in una visione scientifica del lavoro produrrebbe vantaggio competitivo). L'esperimento però gli causa parecchi danni dato che il marchingegno non funziona come si aspettavano.

Le infinite ore di lavoro lo portano ad essere ossessionato al punto da immaginare che i bottoni della gonna indossata dalla segretaria siano bulloni da stringere. Egli perde così ogni controllo sulla propria mente. Con gesto liberatorio mette mano su leve e pulsanti all'interno della sala di comando del suo reparto, provocando il fermo dell'intera catena produttiva e, dopo aver spruzzato in faccia a tutti l'olio lubrificante per gli ingranaggi, Charlot sarà affidato forzatamente ad una clinica affinché venga riabilitato dall'esaurimento nervoso.

Dimesso dall'ospedale raccoglie una bandiera di segnalazione, presumibilmente rossa, caduta da un mezzo in transito e la agita per richiamare l'attenzione dell'autista, senza accorgersi che dietro le sue spalle si sta aggregando un corteo di disoccupati che marciano agitando anch'essi delle bandiere. La carica della polizia disperde i manifestanti e provoca l'arresto dell'ignaro Charlot ritenuto, a torto, a capo dei dimostranti. Egli viene allora rinchiuso nel penitenziario dove, grazie all'effetto di una sostanza stupefacente accidentalmente ingerita, da solo e senza accorgersene sventa il tentativo di rivolta di alcuni galeotti, guadagnandosi la grazia, la remissione del reato e la libertà con tanto di lettera di presentazione che attesta le sue qualità.

La recessione che attanaglia il paese, la chiusura delle fabbriche e la conseguente perdita del lavoro generano uno stato diffuso di povertà e scontento e stimolano il ricorso ad espedienti non sempre legali pur di sfamare la famiglia. Le merci delle imbarcazioni attraccate al porto sono un richiamo irresistibile per una giovane monella, che vuole contribuire a sfamare i ragazzini del quartiere e le sue sorelle più piccole, alle quali il padre disoccupato non può provvedere e che sono orfane di madre. Quando lo sfortunato genitore perderà la vita colpito da un proiettile esploso durante una manifestazione di protesta dei disoccupati, la sua famiglia verrà disgregata con l'affidamento delle sorelle minori ad un istituto.

Nel frattempo la lettera di presentazione frutta a Charlot l'ingaggio presso un cantiere navale, dove è in fase avanzata la costruzione di una maestosa imbarcazione che non sarà mai ultimata, dato che Charlot la varerà prima del tempo, sotto lo sguardo attonito dei colleghi, rimuovendo inavvertitamente il cuneo di ancoraggio che la trattiene sulla terra ferma. Il dignitoso auto licenziamento e il girovagare per la città lo portano ad imbattersi nella monella, minacciata d'arresto in quanto responsabile del furto di un filone di pane dal furgone che sta rifornendo una panetteria. Charlot tenterà di addossarsene la colpa con lo scopo di farsi arrestare e di risolvere così il problema del vitto. Riuscirà nel suo intento mangiando gratis una quantità sconsiderata di cibo ad un self-service, prendendo dei sigari e regalando dolci a dei ragazzini senza pagare nulla. Sul camioncino che lo trasporta verso la stazione di polizia sale anche la monella, riconosciuta quale vera autrice del furto, e i due fanno conoscenza. Approfittando del ribaltamento del mezzo, coinvolto in un incidente, Charlot (adesso motivato alla libertà) e la monella si danno alla fuga.

L'infortunio alla guardia notturna di un grande magazzino offre a Charlot la possibilità di rifarsi. Mostrata la sua lettera di presentazione, ottiene l'impiego in sostituzione dell'infortunato. Dopo aver preso servizio alla chiusura al pubblico, Charlot fa entrare la monella per andare alla scoperta del magazzino. Prima tappa reparto pasticceria per placare la fame; seconda tappa reparto giochi per dare libero sfogo alla voglia di divertimento repressa dalla miseria; infine reparto arredamento dove lei può concedersi il sonno in un fantastico e morbido letto, che probabilmente nessuno dei due ha mai provato in vita sua. Tre malintenzionati armati si sono intanto introdotti nel negozio e hanno immobilizzato Charlot. Uno di loro si rivela essere un suo ex compagno di fabbrica che, come gli altri due, è costretto al furto dalla povertà. I tre festeggiano allora con una bevuta nel reparto alimentare: l'indomani mattina alcune clienti rinveniranno Charlot addormentato sotto il banco dei vestiti. Cacciato dal negozio, il pover'uomo dovrà scontare dieci giorni in galera.

Al suo rilascio la monella lo aspetta e lo invita nell'abitazione che nel frattempo ha rimediato. Si tratta di una catapecchia fatiscente ma, se non altro, è un riparo per la notte e un luogo dove consumare i pasti. L'indomani Charlot, che ha dormito nel canile annesso, scorre il giornale e la lettura della notizia della riapertura delle fabbriche in prima pagina riaccende i loro sogni di normalità. Egli si precipita ai cancelli della fabbrica, riuscendo a farsi assumere come aiutante manutentore. Questa volta tra gli ingranaggi finisce il suo capo, a causa sua naturalmente. Inghiottito completamente e con la sola testa sporgente, toccherà a Charlot alimentarlo durante la pausa pranzo. Un nuovo sciopero interrompe l'attività lavorativa e durante i successivi tumulti Charlot sarà nuovamente fermato e condotto in galera. Anche questa volta la monella lo accoglie al suo rilascio, raggiante di felicità perché ha trovato un impiego come ballerina presso un ristorante, in cui le riesce di far assumere come cameriere lo stesso Charlot.

L'impiego prevede inoltre un'esibizione come cantante e Charlot deve ricorrere all'espediente di scriversi il testo della canzone sui polsini, perché non riesce a ricordarlo. L'operazione è però inutile, poiché al primo gesto del numero, nell'allargare velocemente le braccia, i polsini gli si sfilano ed egli è costretto ad improvvisare le parole sul famoso pezzo della Titina, primo e unico episodio di interpretazione sonora del vagabondo. Sarà grazie a questa abilità e al discreto successo ottenuto, più che alle doti di cameriere (travolto dal pubblico danzante peregrinerà per il locale nel tentativo di servire l'anatra che un cliente attende impaziente al tavolo e che non avrà il piacere di gustare), che riesce ad ottenere l'assunzione definitiva.

MODERN TIMES (Tempi moderni, US, 1936), regia di Charlie Chaplin

Tutto sembra procedere per il meglio, ma due funzionari dell'ufficio assistenza ai minori orfani bloccano la monella nel corso della sua esibizione con l'evidente intenzione di rinchiuderla in istituto. Ancora una volta, grazie all'aiuto di Charlot, ella riesce a sottrarsi alle autorità e a fuggire. Sconsolata, si abbandona al pianto sul margine di una strada deserta. Le parole di Charlot, che le dice di sorridere, le infondono la fiducia e il coraggio per rialzarsi e incamminarsi insieme a lui, mano nella mano, lungo la strada che si apre tra gli sconfinati spazi, a dispetto degli ambienti a loro ostili.

“Appare chiaro che furono le tensioni economiche, le condizioni sociali e il clima intellettuale dei primi anni Trenta a suggerire a Chaplin un film in cui il rapporto tra il suo personaggio, Charlot, (con tutte le convenzioni comiche a lui legate) e le problematiche sociali dell’epoca fosse più diretto di quanto accaduto nelle sue opere precedenti. Tempi moderni nasce indubbiamente dalle riflessioni di Chaplin sulla Depressione. Negli Stati Uniti l’economia precipito in una spirale negativa dagli inizi del crollo della Borsa, nell’ottobre del 1929, fino ai primi mesi del 1933. Durante quel periodo, il PIL diminuì del 29%, il settore dell’edilizia accuso una flessione del 78% e gli investimenti precipitarono del 98%. Il tasso di disoccupazione in tutti settori, agricoltura a parte, balzò da poco piu del 3% a quasi il 25% e il valore della maggior parte dei prodotti agricoli diminuì drasticamente. Come osservo Robert S. McElvaine, “gli Stati Uniti attraversarono la loro crisi peggiore dai tempi della Guerra civile”. Fu allora che il candidato democratico Franklin D. Roosevelt riportò una vittoria schiacciante e molti americani attesero con ansia un intervento attivo del governo federale mirato a risollevare le sorti della nazione.”

(Wikipedia)

MODERN TIMES (Tempi moderni, US, 1936), regia di Charlie Chaplin 

“…Uno sguardo generale alle attività di Chaplin agli inizi degli anni Trenta aiuta a fornire una maggiore specificità storica al contesto della Depressione di Tempi moderni. Dopo l’uscita di Luci della città, nel gennaio del 1931, Chaplin si imbarcò in un giro del mondo di sedici mesi che lo condusse, tra gli altri, in paesi come Germania, Austria, Italia, Francia, Inghilterra, Singapore e Giappone. Dal luglio 1932 fino al febbraio 1933, mese precedente all’insediamento del presidente Roosevelt, Chaplin scrisse per la rivista “A Woman’s Home Companion” una serie di articoli intitolati Un comico vede il mondo. Malgrado Chaplin dedichi buona parte del suo racconto alle personalità incontrate e agli eventi mondani a cui prese parte, questo diario di viaggio e uno strumento prezioso per comprendere la posizione politica di Chaplin e la sua visione della società nel periodo immediatamente precedente a Tempi moderni.

Quattro i temi direttamente riconducibili al film. Il primo è la solidarietà di Chaplin nei confronti di coloro che soffrivano maggiormente la Depressione: le classi operaie e i disoccupati. […] La naturale empatia espressa da Chaplin in questa serie di articoli è facilmente comprensibile. L’esperienza della povertà vissuta in prima persona durante l’infanzia è ben documentata, e non stupisce che il suo personaggio, Charlot, appartenga alla classe sociale più depressa.

Un secondo insieme di preoccupazioni che emerge da Un comico vede il mondo è riconducibile al sospetto che le istituzioni sociali moderne mirassero più a controllare e opprimere i lavoratori che a garantire loro la stabilità necessaria per migliorare le proprie condizioni di vita. [...]

Il terzo elemento di interesse della serie riguarda il punto di vista di Chaplin sull’arte, difesa in quanto fine a se stessa, visione che muterà proprio con la realizzazione di Tempi moderni. [...] Inoltre il clima sociale dei primi anni Trenta chiamava sempre più a gran voce gli artisti e li incoraggiava a uscire dal loro isolamento estetico e a occuparsi di temi sociali e politici. Tempi moderni e sicuramente un prodotto di questa transizione.

Infine, l’incredibile incontro che Chaplin ebbe a Londra con Gandhi sembra aver fornito degli spunti importanti per Tempi moderni. Non appena arrivato in Inghilterra, Chaplin disse a Winston Churchill che uomini come Gandhi erano “spinti dalle masse a dare una voce al loro volere”.

MODERN TIMES (Tempi moderni, US, 1936), regia di Charlie Chaplin

Durante l'ideazione del film tra scontri e simpatie laburiste

Opinioni della critica a parte, il periodo in cui Chaplin realizzò Tempi moderni fu particolarmente turbolento per la vita politica della nazione. In particolare, mentre si dedicava alla scrittura della sceneggiatura, tra l’inizio del 1933 e l’ottobre 1934, crebbe la popolarità di alcune figure politiche così come il sostegno di una serie di programmi di riforma sociale. [...]

Sempre durante l’ideazione di Tempi moderni, si acuirono i conflitti tra classe operaia e classe dirigente, altro tema che trovò poi spazio nel film. Il National Recovery Act (1933) di Roosevelt, giudicato incostituzionale da una Corte Suprema a maggioranza conservatrice nel 1935, garantiva ai lavoratori il diritto alla contrattazione collettiva. Gli scontri tra i lavoratori e una classe dirigente riluttante divennero sempre più frequenti e a tratti violenti, come accadde nel 1934, quando furono dichiarati ben 1800 scioperi che coinvolsero oltre un milione e mezzo di lavoratori.

Durante la campagna del 1934 per la nomina di governatore della California, che da molti storici viene indicata come l’ingresso del cinema hollywoodiano nella sfera politica del paese, Chaplin si schierò a sostegno di Upton Sinclair e del suo programma EPIC. Le sue simpatie per il Partito laburista inglese erano note, così come il suo sostegno al New Deal di Roosevelt, espresso anche durante un suo intervento radiofonico nell’ottobre del 1933 a favore del National Recovery Administration (NRA). In poche parole, durante il periodo in cui lavorava a Tempi moderni, Chaplin poteva essere definito un ‘progressista’, apartitico, orientato a sinistra, solidale nei confronti dei lavoratori e di quanti risentivano della depressione economica.

MODERN TIMES (Tempi moderni, US, 1936), regia di Charlie Chaplin

La catena di montaggio

Ovviamente il bersaglio della satira chapliniana in Tempi moderni - la catena di montaggio - precede la Depressione. Introdotta da Henry Ford nel settore automobilistico negli anni Dieci e Venti, l’utilizzo della catena di montaggio fu anche associato al piano di ‘management scientifico’ promosso da Frederick W. Taylor. Chaplin rivelò che era stata la conversazione avuta con un cronista del “World” di New York a dargli lo spunto per la lunga sequenza iniziale: “mi parlò delle catene di montaggio adottate dalle fabbriche di Detroit: la storia angosciosa dei robusti giovanotti strappati alle fattorie con la prospettiva di più lauti guadagni, che dopo quattro o cinque anni di lavoro alle catene di montaggio diventavano rottami umani col sistema nervoso a pezzi”.

Dal punto di vista puramente visivo e della satira sociale alcune delle trovate più divertenti sono proprio all’inizio del film, con Charlot che fa da cavia per la sperimentazione di un macchinario per alimentare gli operai e lentamente perde la salute mentale alla catena di montaggio nel nome di una maggiore produttività industriale. Anche il proprietario della fabbrica, che passa il tempo facendo puzzle e leggendo fumetti, ma che allo stesso tempo spia i suoi dipendenti e ordina che la catena di montaggio venga azionata a una velocità inumana, è una figura antagonista piuttosto tipica nei film sulla Depressione.

MODERN TIMES (Tempi moderni, US, 1936), regia di Charlie Chaplin

Un film ancorato alla realtà

Come rispose, dunque, Chaplin al contesto determinato dalla Depressione durante la realizzazione di Tempi moderni? Semplicemente inglobando la questione sociale all’interno della stessa formula cinematografica sviluppata nelle sue precedenti commedie. Una formula che comprendeva almeno quattro caratteristiche: un protagonista, Charlot, il Vagabondo, o una variante del personaggio interpretata da Chaplin; una ‘figura romantica’, una compagna, di cui egli si innamora; un sistema sociale e individuale antagonista che gli rende la vita difficile; un senso del comico fortemente caratterizzato da invenzioni visive, spesso innescato dall’interazione di Charlot con altri personaggi o altri oggetti che popolano il suo mondo; infine due ‘universi morali’ contrastanti, uno associato a Charlot e al suo desiderio di soddisfare i bisogni primari - mangiare, essere amati, avere un luogo dover ripararsi e dei vestiti da indossare - e l’altro associato alla figura o alle figure antagonista/e che ostacolano Charlot nella realizzazione dei suoi desideri. All’interno di questa struttura, e rispondendo così a chi lo criticava di essere eccessivamente sentimentale e politicamente irrilevante, Chaplin fu in grado di includere nella sua poetica alcune delle tematiche sociali legate alla Depressione. [...]

Le aspirazioni delle persone comuni come Charlot e la Monella sono molto semplici: una casa comoda e cibo in abbondanza, ma la realtà sembra concedere loro al massimo una baracca ai margini della città. Persino quando sembrano aver trovato un lavoro e la sicurezza economica appare possibile alla fine del film, i servizi sociali infrangono i loro sogni. Malgrado l’obiettivo di Tempi moderni non sia quello di suggerire una riforma radicale del sistema sociale - nonostante il futuro dei due protagonisti sia molto incerto il film si conclude con un invito di Charlot a non arrendersi mai - il film è sicuramente molto più ancorato alla realtà sociale di quanto lo siano state tutte le opere precedenti di Chaplin.”

(Testo di Charles Maland estratto del booklet del cofanetto Dvd Tempi moderni - Edizioni Cineteca di Bologna 2014 - in: distribuzione.ilcinemaritrovato.it)

MODERN TIMES (Tempi moderni, US, 1936), regia di Charlie Chaplin

 

“Un gregge di pecore va al macello, un gruppo di operai entra in fabbrica. L'operaio Charlie lavora alla catena di montaggio, imbullona dadi. Una volta non tiene il ritmo e finisce in un tunnel. Un'altra volta, per salvare un compagno intrappolato dagli ingranaggi di un enorme macchinario, ci si infila dentro, e i due si rincorrono invano nei meandri del “moloch”. Il padrone escogita vari sistemi per accelerare i tempi di lavoro. Collauda su Charlie una “macchina per mangiare”, che imbocca, pulisce, strattona e alla fine si rompe torturando il malcapitato. Che un giorno, vinto dallo stress e dall'oppressione dei controlli (nemmeno al gabinetto può fumare in pace: da uno schermo televisivo il padrone lo rimbrotta), esce di senno, danza con le chiavi inglesi alle orecchie, come un caprone, imbullona tutto ciò che trova, anche i bottoni sul seno di una matrona. Lo portano all'ospedale. Quando è dimesso, si ritrova disoccupato. Cerca dappertutto lavoro. Finalmente lo ottiene, ma subito è coinvolto in uno sciopero, e accerchiato da poliziotti. Si rifugia su un camion che trasporta esplosivi. Cade e cade con lui la bandierina rossa che segnala il pericolo. Charlie la raccoglie per restituirla quando alle sue spalle sbuca un corteo di dimostranti: non sa di essere diventato un capopopolo. Trascinano in galera anche lui. Nel refettorio, senza avvedersene, versa nella minestra la droga che un detenuto aveva messo nella saliera. Eccitato e improvvisamente forte, impedisce una fuga in massa. Lo rimettono in libertà. Intanto, una ragazza orfana, che deve badare alle sorelline, si arrangia per sopravvivere. L'autorità le strappa le bambine per ricoverarle in un orfanotrofio (motivo ricorrente, in numerose versioni, nel cinema: lo si trova nell'episodio contemporaneo di Intolerance). Charlie, che è riuscito a farsi assumere in un cantiere, per sbaglio vara innanzi tempo una nave. Incontra la ragazza, la salva dall'arresto per furto, si fa arrestare a sua volta per aver mangiato senza pagare in un ristorante, fugge con lei.. Scoprono una baracca in riva al mare, ci si installano, fingendo pateticamente di essere signori (al mattino Charlie si tuffa dal trampolino e non si accorge che l'acqua basta appena per immergerci i piedi). Dopo un'altra serie di avventure Charlie trova lavoro come cameriere. Sogna la nuova vita che l'attende, la moglie premurosa in una bella casa, lui che torna dal lavoro (un'altra sequenza di sogno, nello stile idillico che Chaplin tratta come sempre con ironica delicatezza). La realtà è diversa, nemmeno fare il cameriere è facile. Per servire a un cliente un'anatra arrosto deve passare in mezzo alle coppie che ballano, finisce travolto dal ritmo, il vassoio tenuto disperatamente in equilibrio (un movimento di gru - splendida invenzione registica - porta la macchina verso il soffitto: il povero omino e il vassoio sono come annegati nella folla): ma ce la fa ad arrivare a destinazione. Ora è venuto il momento della canzone. Il cantante non c'è e incitato dalla ragazza, lo sostituisce. Si scrive le parole sul polsino e poi improvvisa (sulla celebre aria della “Titina”) una filastrocca di parole in libertà e in varie lingue comicamente storpiate: è la sola sequenza in cui si ode la voce di Chaplin (Modern Times è il suo primo film sonoro, ma di sonoro ha soltanto rumori e musica). Arriva la polizia, che sta cercando la ragazza. Charlie organizza una perfetta fuga, seminando sedie rovesciate sul cammino degli inseguitori.

Quando uscì, il 5 febbraio 1936 a New York (cinque anni dopo City Lights), il film non piacque. Fu giudicato severamente da più parti: per ragioni politiche spesso (troppo sovversiva parendo la satira del capitale), per ragioni di gusto in altri casi (struttura debole e confusa della narrazione, efficacia delle gags, sentimentalismo troppo in evidenza). Questi sono gli anni di una doppia crisi sociale, che fa perdere a Chaplin ogni illusione sulla possibilità di dominare, da parte dell'individuo, la complessità e le ingiustizie della macchina produttiva; la crisi linguistico-espressiva determinata dall'avvento del sonoro. È logico che si muova a disagio. Non sceglie, per ora. Resta fedele al suo omino riottoso, lui da una parte, la massa dall'altra: l'individualismo aggressivo della frontiera sembra ancora una valida soluzione. Resta fedele al suo linguaggio mimico, e al personaggio che ne fu l'interprete. Ma l'incrinatura è già palese: Charlie soffoca, nel suo linguaggio e nella sua società.”

(Fernaldo Di Giammatteo, 100 film da salvare, Mondadori 1978 in: www.comune.re.it)

 

16 aprile 1889 nasce Charlie Chaplin, attore, regista, produttore, sceneggiatore e compositore inglese (morto nel 1977)

 

Una poesia al giorno

Brief, di Sarah Kirsch

Ich bin glücklich in Italien, in diesem
Frühen Dezember. Morgens Sterne, dann
Nebel unter den grünen Bäumen. Der Steinvogel
Klirrt Kiesel auseinander mit seiner Stimme, ihr seht mich
Auf roten Fliesen und obgleich
Der Herd ein Elektroherd ist tu ich
Die einfachen Dinge von vor dreihundert Jahren.
Ich brate - ja, ich habe Pompeji gesehen und zweitausend
Säulen und alle Kirchen, abgeschiedene Gärten - ich brate
Den Hasen im Topf und er kriegt
Einen Whisky am Schluß und ich auch ich hab
Das Schreibzeug aufm Küchentisch und lebe und lebe
Und lebe immer noch und mein Geliebter
Hat Locken und Kleider aus Samt und Seide und schöne
Achtfüssige Hunde, die bringen
Mir Stiefel und Feuer und Flamme, was zu rauchen und
dann
Kommt er selbst

 

Lettera (traduzione Stefanie Golisch in lapoesiaelospirito.wordpress.com)

Sono felice in Italia, in questi
Primi giorni di dicembre. Alla mattina stelle, poi
Nebbia sotto gli alberi verdi. L’uccello di pietra
Rastrella la ghiaia con la sua voce, mi vedete camminare
Su piastrelle rosse e anche se
Il focolare è un forno elettrico, faccio
Le cose semplici di trecento anni fa.
Friggo - sì, ho visto Pompei e duemila
Colonne e tutte le chiese, giardini solitari - friggo
La lepre nella pentola e alla fine verso
Un whisky a lui e a me e ho
Le cose per scrivere sul tavolo della cucina e vivo e vivo
E vivo ancora e il mio amato
Ha dei capelli ricci e vesti di velluto e seta e cani
A otto zampe, bellissimi, che mi portano
Degli stivali e fuoco e fiamma, qualcosa da fumare e
Poi
Arriva egli stesso

 

Sarah Kirsch, nata Ingrid Bernstein (Nordhausen, 16 aprile 1935 - Heide, 5 maggio 2013), è stata una poetessa tedescaSarah Kirsch, nata Ingrid Bernstein (Nordhausen, 16 aprile 1935 - Heide, 5 maggio 2013), è stata una poetessa tedesca vincitrice con Konrad Wolf, Christa Wolf e Manfred Krug della Erich-Weinert-Medaille nel 1965, con Ernst Meister del Petrarca-Preis nel 1976, dell'Österreichischer Staatspreis für Europäische Literatur nel 1980, del Literaturpreis der Konrad-Adenauer-Stiftung nel 1993 e del Georg-Büchner-Preis nel 1996.

Nasce al tempo del Nazismo da un accanito sostenitore della politica hitleriana, che sin da giovane non condivide: per contrastare l'antisemitismo del padre cambia il suo nome in Sarah. Studia biologia presso la Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg tra Halle e Wittenberg e poi letteratura presso l'Istituto Johannes R. Becher di Lipsia.

Nel 1965 sposa lo scrittore Rainer Kirsch di Döbeln. Protesta attivamente contro l'espulsione del poeta dissidente Wolf Biermann dalla Germania orientale nel 1976; successivamente lei stessa deve lasciare il Paese.”

(In wikipedia.org)

 

Sarah Kirsch nacque col nome di Ingrid Bernstein a Nordhausen in Turingia, il 16 aprile del 1935Sarah Kirsch nacque col nome di Ingrid Bernstein a Nordhausen in Turingia, il 16 aprile del 1935, da un accanito sostenitore della politica hitleriana. Crebbe nelle vicinanze del Campo Dora, un distaccamento del campo di concentramento di Buchenwald, che fu costruito pochi anni dopo la sua nascita. Sin da giovane, per contrastare l’antisemitismo dei genitori, cambiò il suo nome in Sarah. Studiò dapprima biologia ad Halle e in seguito letteratura a Leipzig. Nel 1960 sposò lo scrittore Rainer Kirsch con il quale pubblicherà, nel 1965, il volume in versi “Gespräch mit der Saurier” (Dialogo col dinosauro) . Dal 1965 i due vissero ad Halle come scrittori freelance e Sarah divenne membro della Unione degli Scrittori della Repubblica Democratica Tedesca. Quando la coppia divorziò, nel 1968, Sarah si trasferì a Berlino Est dove ebbe un figlio da una breve relazione con lo scrittore Karl Michel. Nel 1976 prese parte attiva nella protesta contro l’espulsione del poeta dissidente Wolf Biermann dalla Germania Orientale. Di conseguenza, nel 1977 lei stessa dovette lasciare il Paese e si trasferì a Berlino Ovest. Dal 1983 ha trascorso la sua vita nello Schleswig-Holstein dove è morta dopo breve ma grave malattia il 5 maggio 2013.

Per comprendere la poetica di Sarah Kirsch non si può prescindere dalla storia, dalla sua storia personale e dalla sua condizione di poeta sotto un regime totalitario. Caratteristico del suo stile è l’uso sapiente della metafora: le immagini partono dall’osservazione del dato oggettivo per poi astrarsi, sublimare, virare verso direzioni impensate e sorprendenti. La sua poesia è fondata generalmente sul verso libero, le rime sono quasi assenti o non utilizzate secondo le regole, gestite in funzione di una maggiore resa di senso. Gioca un ruolo fondamentale il ritmo quasi “respiratorio” conferito ai testi, per lo più privi di punteggiatura, attraverso estensioni e contrazioni dei versi che creano un flusso o una mancanza di respiro, e poi il richiamo di suoni in assonanze e consonanze tra le parole in un linguaggio che combina espressioni spesso specialistiche o colte con coloriture sonore del parlato popolare.”

(Con sue poesie in www.magicamente.net)

Sarah Kirsch, nata Ingrid Bernstein (Nordhausen, 16 aprile 1935 - Heide, 5 maggio 2013), è stata una poetessa tedesca
 
Un fatto al giorno

16 aprile 1943: Albert Hofmann scopre accidentalmente gli effetti allucinogeni del farmaco LSD. Prende intenzionalmente il farmaco tre giorni dopo, il 19 aprile.

“L'LSD (dietilamide dell'acido lisergico) è una fra le più potenti sostanze psichedeliche conosciute. La sigla è un'abbreviazione del nome tedesco del composto, Lysergsäurediethylamid.

Una dose di appena 25 μg (microgrammi) può causare minime alterazioni della percezione e dell'umore per più di 10 ore. Tipicamente non causa semplicemente allucinazioni, ma anche amplificazione emotiva, esperienze mistiche e spirituali, cambiamenti nella percezione di sé e della realtà.

Negli ultimi anni è stata considerata sufficientemente sicura per riaprire le ricerche scientifiche e la sperimentazione in ambito psichiatrico e psicoterapeutico, nel trattamento di ansia, depressione, dipendenze e nell'alleviare la condizione dei malati terminali, ma ad oggi non ha alcun uso medico approvato. È attualmente una sostanza illegale e controllata al pari di altri stupefacenti.

L'LSD è stato sintetizzato per la prima volta il 16 novembre 1938 nei Laboratori Sandoz di Basilea dal chimico svizzero Albert Hofmann. Hofmann stava effettuando delle ricerche sugli alcaloidi presenti nella scilla marina e nella segale cornuta nel tentativo di ricavarne sostanze utilizzabili come farmaci e tra i vari derivati che aveva sintetizzato, c’era la dietilammide-25 dell'acido lisergico, da lui così chiamata perché proveniente dal campione numero 25.

Albert Hofmann (Baden, 11 gennaio 1906 - Burg im Leimental, 29 aprile 2008) è stato uno scienziato svizzero

L'acido lisergico è un composto presente nell'ergot, un fungo parassita della segale. Le caratteristiche escrescenze che questo fungo forma hanno portato a definire le piante di segale da esso colpite segale cornuta. L'ingestione dell'ergot, della segale cornuta o di prodotti che da essa derivano (come ad esempio farine non depurate dal fungo) causa la cosiddetta "febbre del pellegrino", o ergotismo, i cui sintomi sono deliri allucinatori, febbre e forti dolori alle gambe.

Le proprietà psichedeliche dell'LSD non vennero però riconosciute fino al 1943, quando a Hofmann cadde involontariamente qualche goccia della sostanza sulla mano che, traspirando, gli provocò forti giramenti di testa e allucinazioni. Questa esperienza lo condusse ad ipotizzarne un potenziale psicotropo e perciò, tre giorni dopo, decise di assumerne volontariamente una dose di 250 µg (microgrammi) di LSD in modo da testarne più chiaramente gli effetti. Per errore riteneva questa dose la minima efficace, mentre in realtà si tratta di un dosaggio molto forte, sbagliando la stima di circa un ordine di grandezza. Quel giorno fu chiamato "il giorno della bicicletta" perché dopo aver assunto la sostanza si diresse verso casa proprio in bicicletta, cominciando a sperimentare una crescente alterazione di coscienza che poi, raggiunto il divano di casa dopo momenti di terrore, divennero "visioni meravigliose, piacevoli e persistenti, giochi di forme e colori caleidoscopici, immagini fantastiche che mi comparivano davanti agli occhi chiusi alternandosi, variando, trasformandosi in cerchi e spirali, esplodendo in fontane colorate, riarrangiandosi e ibridandosi in un flusso costante…”.

Lo scienziato riportò tali osservazioni ai colleghi della compagnia che a breve ne ipotizzarono ampi utilizzi in ambito psichiatrico tant'è che venne istituito un gruppo di ricerca volto a testare gli effetti sui mammiferi con diversi dosaggi del composto. I risultati furono decisamente positivi in termini di sicurezza ed effetti collaterali tanto che la Sandoz cominciò a distribuire LSD ad università ed istituti medici che ne facevano richiesta per fini scientifici fino al 1966.

Nel 1947, la Sandoz (ora Novartis) lo mise in commercio come farmaco con il nome di Delysid, in confezioni da compresse da 25 mcg (una dose molto bassa), in qualità di "farmaco per psicoterapia analitica" chiedendo inoltre agli psichiatri di somministrarlo ai propri pazienti, una o due volte, in modo da "poter capire meglio i propri casi clinici".

Inizialmente trovò infatti largo uso tra gli psichiatri e gli psicologi per il trattamento della schizofrenia, autismo, depressione e alcolismo specie nell'ambito della cosiddetta psicoterapia psichedelica, mostrando spesso risultati positivi. Ciò portò negli anni '60 ad una esplosione di studi e pubblicazioni sull'utilizzo dell'LSD nei più disparati ambiti psicoterapeutici. Nel frattempo i servizi segreti di vari paesi cominciarono a sperimentarne le potenzialità come sostanza per gli interrogatori, il controllo mentale e l'ingegneria sociale: la CIA, ad esempio, ha condotto estese ricerche (nell'ambito del progetto MKULTRA) in questo senso, concludendo però che non vi erano utilizzi militari plausibili per la sostanza.

Durante gli anni '50 l'LSD cominciò a diventare popolare in alcuni circoli a scopo ricreativo per poi esplodere con la cultura hippie, di cui fu manifesto e principale motore. Alcuni studiosi (in particolare Timothy Leary, uno dei maggiori psicologi americani dell'epoca, e Richard Alpert) si convinsero che l'LSD potesse avere altre applicazioni oltre a quelle cliniche, rappresentando cioè un mezzo di crescita ed esplorazione spirituale, per via delle sue notevoli proprietà enteogene. Tuttavia, accusati di non essere guidati da uno spirito propriamente scientifico, vennero allontanati dalla comunità accademica. Leary e Alpert furono strumentali nel diffondere l'uso e la conoscenza dell'LSD tra il grande pubblico inserendosi nei movimenti di cultura alternativa degli anni sessanta; l'LSD divenne rapidamente un simbolo della cultura hippie. Nel 1967 l'uso e la produzione di LSD per scopi sia personali sia scientifici venne bandito negli Stati Uniti e successivamente, su pressione degli stessi, nella maggior parte dei paesi del mondo. La produzione e la commercializzazione di questa sostanza continuò comunque clandestinamente alimentando il mercato nero delle sostanze stupefacenti.

Solo negli ultimi anni, su pressione del mondo accademico, è ripresa la ricerca scientifica sulla sostanza che con l'ausilio dei moderni mezzi delle neuroscienze sta riconfermando i potenziali terapeutici nel trattamento di diverse patologie psichiatriche e indagando i meccanismi alla base della particolare esperienza indotta da essa.

Negli ultimi anni si sta diffondendo, specie tra gli ambienti della Silicon Valley, l'uso di "microdosi" di LSD (10-20 µg) che assunte regolarmente non hanno effetti psichedelici e non indurrebbero alterazioni percettibili della percezione ma sarebbero in grado di migliorare le capacità di problem solving, la creatività, il senso di benessere e in definitiva alcune prestazioni cognitive. Tuttavia non sono stati ancora condotti studi rigorosi volti a confermare tali osservazioni.

Il 16 novembre 1938, il dottor Albert Hofmann sintetizza per la prima volta l'LSD-25.

La sostanza rimane nei laboratori della Sandoz per cinque anni. Tuttavia Hofmann, convinto che la sostanza non fosse stata studiata a fondo, decide di sintetizzarla di nuovo. Il 16 aprile 1943 Hofmann entra in contatto per errore con una piccola quantità della sostanza durante la sintesi. È la prima esperienza di un uomo con l'LSD. Hofmann racconta di aver "visto un flusso ininterrotto di immagini meravigliose, forme straordinarie con un intenso gioco caleidoscopico di colori". L'esperienza durò circa due ore.

Tre giorni dopo, il 19 aprile, noto come "giorno della bicicletta", Hofmann assume intenzionalmente 250 µg di LSD, da lui considerato il dosaggio minimo efficace, sbagliando la stima di un ordine di grandezza e provocandosi un'esperienza molto più potente di quanto aveva previsto. È il primo utilizzo intenzionale della sostanza. Successivamente al test, Hofmann si dedica quasi integralmente allo studio della sostanza.

Nel 1947 viene pubblicato il primo articolo scientifico sull'LSD (Werner Stoll, Swiss Archives of Neurology) sull'uso della sostanza nel trattamento di alcune patologie psichiatriche come la schizofrenia, da parte dello psichiatra svizzero Werner Stoll. Nel 1949 il dottor Max Rinkel porta l'LSD negli USA e incomincia un lavoro sistematico sulla sostanza nei suoi laboratori di Boston; nello stesso periodo il Nick Bercel comincia a lavorarci a Los Angeles. Il primo articolo americano in merito è pubblicato sull'American Psychiatric Journal nel 1950. La comunità scientifica è esaltata: tra il 1950 e il 1960 verranno pubblicati centinaia di studi sull'LSD. I possibili utilizzi in psichiatria e terapia si mostrano subito molteplici. Anche la CIA nel 1951 incomincia a sperimentare l'LSD. Nel 1952 il dottor Charles Savage pubblica il primo studio riguardo l'uso di LSD per facilitare la psicanalisi nella cura della depressione. Dal 1953 il dottor Humphrey Osmond pubblica uno studio con i risultati positivi sul trattamento degli alcolisti dalla dipendenza con l'LSD.

Nel 1953 viene aperta in Inghilterra dal dott. Ronald Sandison la prima clinica di psicoterapia con LSD.

Tra il 1955 e il 1959 intellettuali di spicco quali lo scrittore Aldous Huxley, lo psicoterapeuta e docente di Harvard Timothy Leary e l'esponente della controcultura Allen Ginsberg sperimentano l'LSD.

Nella prima metà degli anni Sessanta, col diffondersi della cultura beat, l'LSD si diffonde anche fuori dai circuiti medici e "alternativi". Il Congresso americano approva una legge che rende l'LSD un farmaco vietato fuori dal mondo della ricerca e della psicoterapia.

Nel 1963 Timothy Leary e un altro professore universitario, Richard Alpert, vengono licenziati da Harvard a causa dei ripetuti esperimenti di massa con LSD. Nel 1966 Leary fonda la Lega dello Sviluppo Spirituale, una sorta di ashram che usa l'LSD come sacramento. L'uso di acido, all'epoca in gocce sciolte nell'acqua o in zuccherini impregnati della sostanza, si diffonde a macchia d'olio, col conseguente allarme mediatico e il ritiro da parte della Sandoz dei campioni dai laboratori, per tutelare la propria immagine pubblica. Nel 1967 l'LSD viene vietato negli USA mentre la diffusione non si ferma; l'uso di LSD diventa parte integrante e fondamento della cultura del movimento hippie. La DEA calcola che nel 1970 circa 2 milioni di americani, in maggioranza giovani, abbiano sperimentato l'LSD. Il bando totale della sostanza mette fine alle numerose sperimentazioni scientifiche e all'uso dell'LSD in terapia.

Nella prima metà degli anni Settanta, per effetto della proibizione, sparisce l'acido in gocce e in zuccherini e appaiono le forme "commerciali" contemporanee di acido lisergico illegali, ovvero francobolli (blotter) e gelatine (windowpane).

Nel 1979 Albert Hofmann pubblica il celebre libro LSD: il mio bambino difficile.

Nel 2006 a Basilea, in occasione del centesimo compleanno di Hofmann, si tiene il primo congresso multidisciplinare sull'LSD. Nel convegno Hofmann affermò: "Come sospeso in un sogno, con gli occhi chiusi perché trovavo la luce del sole troppo abbagliante, ho sperimentato un flusso ininterrotto di immagini fantastiche, forme meravigliose con giochi caleidoscopici di colori straordinariamente intensi". Hofmann sperimentò l'LSD con finalità curative, sostenendo che potesse aiutare a comprendere i percorsi e i processi associativi della mente umana, così come la struttura e le origini dell'immaginazione. Il convegno si è ripetuto nel 2008, sempre a Basilea, pochi mesi prima della morte di Hofmann, a 102 anni.

Nel gennaio 2009, in Svizzera, viene avviata una sperimentazione dell'LSD su persone gravemente malate di cancro. "Contro il panico e l'angoscia del confronto con la morte", spiega Rosanna Cerbo, neurologa e terapista del dolore dell'università "La Sapienza" di Roma. Uno studio dell'Università dell'Alabama pubblicato nel 2015 sul Journal of psychopharmacology ha mostrato come gli utilizzatori di LSD e altri psichedelici sarebbero meno propensi alla depressione e al suicidio.

Nel 2017 la Norvegia è il primo paese a depenalizzare specificamente l'LSD valutandolo "a scarso potenziale tossico ed elevato potenziale terapeutico".

L'LSD è prodotto sotto forma di cristalli e mischiato con eccipienti o diluito. Spesso è venduto in piccole tavolette, su cubetti di zucchero, in cubetti di gelatina o, più comunemente, in pezzi di cartoncino (di solito coperti da disegni colorati e spesso perforati in quadratini per indicare le singole dosi e chiamati blotter) sui quali è stato versato un quantitativo minimo della sostanza in forma liquida. Si stima che più di 200 tipi di tavolette di LSD di diverso tipo siano state commercializzate dagli anni '60 in poi. È noto in gergo come acido, trip, cartone.

L'LSD è, in rapporto al peso, uno degli stupefacenti più potenti tra quelli conosciuti. Test farmacologici (come il receptor binding assay) hanno determinato che una mole di LSD è 100 volte più potente di una mole di psilocibina o di psilocina e circa 4 000 volte più potente di una mole di mescalina. Le dosi sono quindi misurate in microgrammi (milionesimi di grammo), mentre la maggior parte delle altre droghe è normalmente misurata in milligrammi. La dose minima capace di produrre un effetto psichedelico negli esseri umani è stimata in circa 20 microgrammi. Negli anni '90 le dosi sequestrate dalle forze di polizia si aggiravano tra i 20 e gli 80 microgrammi; negli anni '60 le dosi erano molto più alte (500 microgrammi o più)….”

(Articolo completo in: wikipedia.org)

 

Gli effetti dell’LSD dipendono dal dosaggio, dal «set» e dal «setting». Essendo un allucinogeno, l’LSD ha ripercussioni sulle percezioni sensoriali e sulla percezione di spazio e tempo e ci si sente più leggeri e distaccati.

Sotto effetto dell’LSD, le sensazioni e l’umore possono cambiare radicalmente. Ad alti dosaggi è possibile sperimentare una dissociazione dal corpo e/o dall’identità. Soprattutto durante la salita, è possibile avvertire difficoltà respiratorie o aritmie cardiache, sudorazione e sbalzi di pressione, nausea.

Inizio degli effetti: dopo 20-60 minuti.
Durata degli effetti. ATTENZIONE, la lunga durata degli effetti è un rischio che non deve essere sottovalutato: 8-12 ore.
Effetti secondari: 2-5 ore.
Rischi e effetti collaterali: convulsioni, digrignamento dei denti e le fluttuazioni della temperatura corporea.
I rischi legati al consumo di LSD sono principalmente di ordine psichico e dipendono dalla personalità del consumatore. Gli intensi cambiamenti della percezione possono sopraffare in particolare i consumatori inesperti.
È possibile che si manifestino disorientamento, panico, paranoia, «bad trip» soprattutto quando non si rispettano le regole di «set» e «setting».
Rischi a lungo termine: perdita di contatto con la realtà. Il pericolo maggiore, anche consumando solo una volta, è che si manifestino disordini psichici già presenti in persone vulnerabili.

Non sono conosciuti casi di dipendenza legati al consumo di LSD.”

(In danno.ch)

Albert Hofmann (Baden, 11 gennaio 1906 - Burg im Leimental, 29 aprile 2008) è stato uno scienziato svizzero

 

Albert Hofmann (Baden, 11 gennaio 1906 - Burg im Leimental, 29 aprile 2008) è stato uno scienziato svizzero, conosciuto soprattutto per essere stato la prima persona ad aver sintetizzato, assunto tramite ingestione ed appreso gli effetti del dietilamide dell'acido lisergico (LSD) e ad aver isolato i principali alcaloidi dei funghi psichedelici, la psilocina e la psilocibina. Nacque a Baden in Svizzera nel 1906, e studiò chimica all'Università di Zurigo. Il suo principale interesse era la chimica di piante e animali, in seguito ha condotto importanti ricerche sulla struttura chimica della chitina, per la quale ha ricevuto il suo dottorato. Hofmann si unì al dipartimento chimico-farmaceutico dei Laboratori Sandoz, Basilea (ora Novartis), studiando le piante medicinali scilla marina e segale cornuta come parte di un programma per purificare e sintetizzare i principi attivi per l'uso come farmaco.

Le sue ricerche sull'acido lisergico, il componente comune centrale degli alcaloidi della Claviceps purpurea o segale cornuta (un ascomiceta che cresce sulla segale), condussero nel 1938 finalmente alla sintesi dell'LSD-25 (dextro lysergyc acid diethylamyde tartrate 25) o dietilamidetartrato 25. Fu cinque anni dopo, ripetendo la sintesi della sostanza ormai quasi dimenticata, che il Dr. Hofmann scoprì gli effetti psichedelici dell'LSD dopo che una piccola quantità della sostanza gli cadde sulla mano durante un esperimento di laboratorio provocandogli una notevole irrequietezza e una leggera vertigine; era il 16 aprile del 1943. Tre giorni dopo, il 19 aprile Hofmann assunse deliberatamente 250 µg di LSD prima di tornare a casa in bicicletta, e sperimentò effetti molto più intensi dopo 40 minuti (vedi: LSD per dettagli). Questo fu seguito da una serie di auto-sperimentazioni condotte da Hofmann e la sua équipe. Scrisse per la prima volta circa questi esperimenti il 22 aprile. Lo psichiatra di Albert, Wistoll, disse che "gli effetti raggiunsero l'apice quando il chimico ebbe visioni di scene reali distorte; sapore metallico sulla lingua; gola secca; intorpidimento degli arti e stati confusionali. Solo dopo 6 ore e 5 minuti, le condizioni cominciarono a ritornare alla normalità. Lo stesso Hofmann ribadì che lo stato predominante era sempre quello dello scambio uditivo-visivo: i suoni si trasformavano in sensazioni variopinte, ovvero la sua mente riusciva ad associare le immagini a diversi suoni." Divenne direttore del dipartimento di prodotti naturali a Sandoz e continuò studiando le sostanze psichedeliche trovate nei funghi messicani e altre piante utilizzate dagli aborigeni. Questo portò alla sintesi della psilocibina, l'agente attivo di molti funghi psichedelici.

Hofmann si interessò anche ai semi della Morning Glory messicana (Rivea corymbosa), i cui semi sono chiamati Ololiuhqui dai nativi. Fu molto sorpreso quando scoprì nell'Ololiuhqui diverse ammidi dell'acido lisergico, compresa l'ergobasina, già trovate nell'ergot, quando però quest'ultimo non aveva nulla a che vedere (dal punto di vista evoluzionistico) con i semi della pianta messicana.

Nel 1962, lui e sua moglie Anita si spostarono in Messico alla ricerca della Ska Maria Pastora, più tardi conosciuta come Salvia divinorum. Fu capace di ottenere campioni di questa pianta ma non riuscì mai a isolarne il principio attivo.

Era membro del Comitato Nobel, socio dell'Accademia Mondiale delle Scienze, membro della Società Internazionale sulla Ricerca delle Piante e della Società Americana di Farmaceutica.

Ha scritto oltre 100 articoli scientifici e ha scritto e collaborato a diversi libri, tra cui LSD, My Problem Child (LSD, il mio bambino difficile), che fa parte di un'autobiografia e descrive il suo famoso giro in bicicletta.

Nell'ottobre 2007 è stato inserito nella classifica dei 100 Geni Viventi alla prima posizione, a pari merito con Tim Berners-Lee, inventore del World Wide Web.

È morto il 29 aprile 2008 a causa di un infarto, nella sua casa di Burg im Leimental, nei pressi di Basilea, all'età di 102 anni.”

(In wikipedia.org)

 

Un frase al giorno

“La potenza del capitale è tutto, la Borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un gioco di marionette, di pupazzi.”

(Vladimir Il'ič Ul'janov, detto Lenin, Da: “Sullo Stato”, 1919)

Vladimir Lenin (Simbirsk, 22 aprile 1870, 10 aprile del calendario giuliano - Gorki, 21 gennaio 1924), è stato un rivoluzionario, politico e politologo russo, poi sovietico

Vladimir Lenin: membro fondatore, teorico e dirigente del Partito Bolscevico. Protagonista della Rivoluzione d'Ottobre, condusse il partito e i Soviet alla presa del potere e ne rimase alla guida sino al 1922. Creò l'Internazionale Comunista, formulò la teoria sull'Imperialismo e del partito come avanguardia rivoluzionaria.”

(In www.marxists.org)

Nessuna figura politica dell’epoca ebbe un impatto così forte sulla Rivoluzione russa come lui. Prima di portare a termine il colpo di stato nella capitale a ottobre, dovette guadagnarsi l’appoggio del proprio Partito. Non fu affatto semplice, tenendo conto che agli occhi di molti leader bolscevichi le idee di Lenin erano pura follia.

Quando scoppiò la Rivoluzione di febbraio del 1917 il leader dei bolscevichi era in Svizzera. In Russia sarebbe tornato soltanto dopo un mese, all’inizio di aprile.

Il Consiglio (Soviet) dei deputati degli operai e dei soldati di Pietrogrado che in quel momento si spartiva il potere con il Governo provvisorio di orientamento liberale organizzò un’accoglienza trionfale per Lenin, in quanto leader di uno dei principali partiti socialisti. Il capo del Petrosovet, Nikolaj Chkheidze, incontrando Lenin alla Stazione di Finlandia nella notte tra il 3 e il 4 aprile gli propose subito di avallare l’intenzione del Consiglio di cooperare con il governo provvisorio a favore della continuazione della guerra. La risposta di Lenin non piacque al capo del Consiglio di Pietrogrado. Il leader dei bolscevichi si rivolse agli operai, ai soldati e ai marinai, ignorando completamente Chkheidze, e li salutò come “l’avanguardia dell’armata proletaria mondiale”. Affermò che “la guerra imperialistica di rapina era l’inizio di una guerra civile in tutta l’Europa”. La folla riunita lo sollevò in aria e lo portò sulle braccia in piazza dove fu issato su un carro armato da cui, avvolto dalla luce dei proiettori, dichiarò l’imminente vittoria della rivoluzione mondiale socialista.

Come scrisse in seguito uno storico, “nella luce dei proiettori che squarciava il buio della notte, con il braccio proteso in avanti, Lenin sembrava un gigante”. “Quello che diceva non sembrava appartenere alla rivoluzione russa per come la intendevano le persone che vi avevano preso parte o ne erano state dirette testimoni. Era qualcosa di straordinario! Davanti ai nostri occhi, davanti a tutti esplose una luce viva, accecante che colpì tutti noi impegnati nella fatica quotidiana della causa rivoluzionaria”, ricorda il menscevico Nikolaj Suchanov che pur non faceva parte della schiera dei grandi sostenitori del leader bolscevico.

La rivoluzione socialista

La “luce” di cui parlava Suchanov era l’impostazione necessaria per prepararsi alla rivoluzione socialista. A differenza della stragrande maggioranza dei socialisti russi - tra cui molti membri del partito bolscevico - Lenin era sicuro che la fase “borghese” della rivoluzione, quella in cui comandavano i “ministri-capitalisti” del Governo provvisorio, avesse i minuti contati. Il potere doveva passare “nelle mani del proletariato e dei contadini più poveri”. Come se non bastasse Lenin dichiarò ufficialmente il suo rifiuto delle forme esistenti di organizzazione del potere. “Non una repubblica parlamentare […], ma una repubblica dei Soviet di deputati operai, braccianti e contadini in tutto il Paese, dal basso verso l’alto” sosteneva il leader dei bolscevichi. In seguito Lenin inserì questi punti in un articolo che divenne famoso con il titolo di “Tesi di aprile”.

Molti leader bolscevichi guardavano alle idee di Lenin con ostilità, ribadendo che non si doveva considerare concluso il periodo di sviluppo borghese della Russia e che il socialismo in Russia non era possibile a causa della sua arretratezza, della gran massa dei contadini e dell’esiguo numero di operai. Nel corso di decine di discorsi pubblici Lenin mise in guardia sul pericolo del dogmatismo e sulla necessità di “tenere presente la vita vera”. Alla fine riuscì a convincere i leader bolscevichi e i partecipanti delle numerose assemblee di Partito che si tennero a Pietrogrado in aprile: i bolscevichi incitati da Lenin iniziarono a declamare una serie di slogan tra cui: “Nessun appoggio al Governo provvisorio!”, “Tutto il potere ai Soviet!”.

Il successo della rivolta

Dopo la pubblicazione delle “Tesi di aprile” i menscevichi accusarono Lenin di voler far scoppiare in Russia una guerra civile. In risposta il leader dei bolscevichi dichiarò di voler soltanto spingere i membri del Partito a sostenere il “passaggio” del potere ai Soviet, senza alcuna intenzione di innescare un conflitto armato per la conquista del potere.

Nei mesi successivi ci furono due manifestazioni di massa degli operai e dei soldati di Pietrogrado contro il Governo provvisorio - ad aprile e a luglio - entrambe appoggiate dai bolscevichi. All’epoca però i leader del Petrosovèt esercitavano ancora un’influenza superiore a quella dei sostenitori di Lenin. La situazione mutò radicalmente in autunno quando, all’indomani di un tentativo fallito di colpo di Stato della destra per mano del generale Kornilov, a Pietrogrado le simpatie per i partiti di sinistra crebbero a dismisura e i bolscevichi ottennero la maggioranza nel Consiglio dei deputati degli operai e dei soldati di Pietrogrado. Forti di questo risultato alla fine di ottobre rovesciarono il Governo provvisorio e presero il potere a nome del Secondo congresso panrusso dei Soviet riunitosi nella capitale. Come già era avvenuto ad aprile Lenin svolse un ruolo fondamentale nell’opera di convincimento dei compagni, ancora titubanti all’idea di una possibile vittoria dei bolscevichi.”

(In: it.rbth.com)

Vladimir Lenin (Simbirsk, 22 aprile 1870, 10 aprile del calendario giuliano - Gorki, 21 gennaio 1924), è stato un rivoluzionario, politico e politologo russo, poi sovietico

 

Quel viaggio in treno di Lenin che cambiò la storia

Gli eventi convulsi del marzo 1917 non avevano preso alla sprovvista solamente lo Zar Nicola II che, in pochi giorni, aveva perso il più grande impero del mondo. Vladimir Ilijch Ulyanov, l’uomo che con lo pseudonimo di Lenin è universalmente ritenuto il padre della rivoluzione bolscevica, in quelle settimane era immerso nei suoi studi e la caduta della monarchia, le rivolte per le strade della capitale russa Pietrogrado, la nascita di un governo provvisorio lo avevano quasi spiazzato.

L’esilio

L’agitatore Lenin era stato esiliato dopo la fallita rivoluzione del 1905 ed era finito inizialmente in un paesino dell’Impero asburgico nell’attuale Polonia meridionale. Poi, con lo scoppio delle ostilità tra i due grandi Imperi europei, aveva dovuto lasciare l’Austria-Ungheria e si era trasferito a Zurigo, in Svizzera. Aveva scelto la città posta sull’omonimo lago perché era tra le più economiche della Confederazione e perché disponeva di una ricca biblioteca pubblica nella quale Lenin passava la maggior parte del tempo. Aveva appena finito di scrivere uno dei suoi saggi più famosi, sul quale per decenni avrebbero poi studiato migliaia di rivoluzionari di tutto il mondo: L’imperialismo, fase suprema del capitalismo. Ma gli eventi incalzavano in Russia e nella sua capitale, alla quale era stato cambiato nome all’inizio della guerra, da Pietroburgo a Pietrogrado, per sostituire alla desinenza tedesca burg quella slava di grad. La giornata delle donne del 23 febbraio (secondo il vecchio calendario giuliano; l’8 marzo per il resto d’Europa che già adottava il riformato calendario gregoriano) aveva segnato l’inizio di manifestazioni sempre più incontrollabili.

Stanchi di guerra

Quell’inverno era stato durissimo per i russi al fronte e altrettanto difficile in tutte le città dell’Impero con la scarsezza di viveri che si era fatta drammatica. I morti nelle trincee erano ormai milioni e nessuno voleva più continuare la guerra per lo Zar. Il 10 marzo era stato proclamato lo sciopero generale e dopo la strage dell’11, con 150 morti, le truppe iniziavano a non rispondere più agli ordini degli ufficiali. Dopo lo scioglimento della Duma (il Parlamento) da parte dello Zar, era stato formato un governo provvisorio al quale si contrapponevano i soviet (consigli) creati da contadini, operai e dagli stessi soldati. La base navale di Kronstadt si era ribellata al governo provvisorio, trucidando gli ufficiali. Lo Zar era stato costretto ad abdicare il 15 marzo e il 22 era stato arrestato.

La via del ritorno

Lenin (al centro nella foto, fra i membri dell’Unione per la liberazione della classe operaia di San Pietroburgo, nel 1895) doveva assolutamente tornare in patria per prendere la guida dei suoi bolscevichi che sembravano non aver capito che quella era la grande occasione. Parlavano di continuazione della guerra e di unità di tutte le forze democratiche e questo lo faceva andare in bestia. Tornare, dunque, ma come? Zurigo era separata dalla Russia dagli Imperi centrali in guerra con il suo paese. Avrebbe potuto tentare di arrivare via mare, passando per la Francia e circumnavigando la penisola scandinava come facevano i convogli alleati. Ma, intanto, c’era il fortissimo pericolo che la nave fosse colpita dai sottomarini tedeschi, come sarebbe accaduto più avanti anche al Lusitania. E, poi, francesi e britannici non avevano alcuna intenzione di favorire il ritorno in patria di un celebre agitatore che si sarebbe battuto perché l’alleato orientale uscisse dal conflitto in corso, consentendo così a Germania e Austria di non dover più combattere su due fronti. L’unica strada possibile era attraversare la Germania in guerra per raggiungere la costa, imbarcarsi verso la neutrale Svezia e di lì proseguire fino al Granducato di Finlandia che faceva parte dell’Impero russo. Ma i tedeschi avrebbero accettato? Era un gioco rischioso per loro, ma l’Alto Comando germanico capì che ne valeva la pena. Tutto, pur di aumentare le difficoltà della Russia e, magari, provocarne il collasso con la rivoluzione.

Il ruolo di Parvus

Vari personaggi iniziarono una lunga e complessa trattativa che vide coinvolti i socialisti svizzeri e quelli tedeschi, oltre a figure che agivano nell’ombra. Lenin desiderava l’aiuto tedesco, ma non voleva essere dipinto in patria come un agente del nemico. E proprio su questo tasto stavano già battendo i suoi avversari a Pietrogrado. L’uomo che contribuì maggiormente all’organizzazione del viaggio fu Aleksandr Parvus, un rivoluzionario russo che aveva stretto contatti con i tedeschi a Istanbul. Era stato lui a organizzare alcuni dei moti rivoluzionari russi grazie ai soldi avuti proprio dai tedeschi. E fu lui a finanziare il ritorno e a trattare l’accordo con Berlino.

Seconda e terza classe

Lenin e i suoi avrebbero viaggiato su in vagone con status di extraterritorialità, al quale non avrebbero avuto accesso poliziotti e altri cittadini del Reich. Come racconta bene Catherine Merridale nel suo Lenin sul treno, appena pubblicato da Utet, il rivoluzionario russo rifiutò una carrozza di lusso e ne chiese una con i sedili di legno, con scompartimenti di seconda e terza classe. Il gruppo dei bolscevichi era formato in totale da 32 persone, una pattuglia piuttosto eterogenea. Lo stesso Lenin viaggiava con la moglie Nadezhda Krupskaya, ma sul treno c’era pure l’agitatrice rivoluzionaria Inessa Armand, sua amante. Grigorij Zinoviev, futuro presidente del Comintern, era a bordo assieme alla consorte e al figlio di nove anni. Ma prima della partenza, si presentò al treno anche la sua prima moglie Olga che alla fine divise con la famiglia lo scompartimento. C’erano vecchi compagni di lotta, come Grigorij Usievich, che avrebbe comandato la rivoluzione a Mosca. Si presentò con la moglie Elena e il padre di lei Feliks Kon. In seguito molti di loro furono eliminati da Stalin.

La linea con il gesso

Il vagone aveva due gabinetti, uno in testa e uno in coda. Nell’ultimo scompartimento, sedettero le guardie. Fu tracciata una linea col gesso che separava le due zone del treno (e uno dei gabinetti, quindi, rimase in «territorio» tedesco) e che non avrebbe dovuto essere mai oltrepassata. I russi, sapendo che anche la Germania era affamata dopo quasi tre anni di guerra, si presentarono carichi di salsicce, formaggio e altri generi alimentari. Ma i doganieri svizzeri, a sottolineare che il loro Paese non aveva nulla a che fare con quell’intesa, sequestrarono quasi tutto al primo posto di controllo a Schaffhausen, tranne poche cose oltre allo zucchero e al cioccolato. Lenin era con la moglie in uno degli scompartimenti di seconda classe. Le famiglie furono alloggiate negli altri due scompartimenti di seconda, mentre gli altri finirono in terza classe.

Divieto di fumare

Il leader bolscevico odiava il fumo e quindi sul convoglio le sigarette erano vietate. I fumatori, visto che non potevano mai scendere dal vagone, finivano per occupare permanentemente il gabinetto, suscitando vivaci proteste degli altri. Fu lo stesso Lenin a codificare le regole per quel viaggio e a risolvere la questione: pass di prima categoria per i non fumatori (che quindi avevano la precedenza) e pass di seconda categoria per i tabagisti. Il 9 aprile il treno aveva lasciato Zurigo, e dopo aver attraversato il vicino confine tedesco, aveva proseguito verso Stoccarda, Francoforte e Berlino. Il convoglio viaggiava solo di giorno, per motivi di sicurezza e, nonostante la segretezza, suscitava l’interesse di migliaia di tedeschi. Così ai punti di sosta, i gendarmi dovettero varie volte richiamare i russi che continuavano a cantare a voce alta la Marsigliese e altre canzoni rivoluzionarie. Fatto certamente non ben accolto dagli affamati e depressi abitanti delle campagne.

Il traghetto per la Svezia

Quel convoglio era un problema, ma pure una priorità assoluta per l’Alto Comando che sapeva bene in che stato si trovavano le truppe degli Imperi centrali. Ad Halle, come racconta ancora la Merridale, per far passare il treno di Lenin venne bloccato quello del principe della corona. L’11 aprile, finalmente, il vagone piombato, come venne definito, arrivò a Berlino dove fu parcheggiato su un binario secondario, sotto strettissimo controllo militare. Dopo 20 ore nella capitale del Reich, i bolscevichi poterono finalmente raggiungere la costa a Sassnitz, dove vennero imbarcati su un traghetto per la Svezia. I tedeschi avevano giocato il loro asso, l’unica speranza oramai di cambiare le carte in tavola, vista l’entrata in guerra degli Stati Uniti (il 6 aprile) e l’inizio della grande offensiva anglo-francese sul fronte occidentale il 9 aprile.

«Arrivo. Informate la Pravda»

A Malmö Lenin e i suoi poterono finalmente scendere dal treno piombato e passare la notte allo splendido Hotel Savoy. A Stoccolma, il 13 aprile, i russi furono accolti da sostenitori entusiasti. Credevano di essere quasi arrivati, ma il viaggio si rivelò ancora lungo e complicato, visto anche che le linee per il grande nord erano tutt’altro che veloci. In più, mentre il viaggio proseguiva nella neve verso Haparanda, al confine con la Finlandia, gli alleati ed alcuni esponenti del governo provvisorio russo si erano tardivamente messi al lavoro per tentare di bloccare quel viaggio. Non si erano mossi tempestivamente prima che il convoglio lasciasse la Svizzera e ora tentavano l’impossibile. Lenin venne fermato e interrogato a lungo alla frontiera, ma alla fine, senza un ordine esplicito dall’alto (nessuno aveva voluto prendersene la responsabilità a Pietrogrado), fu lasciato entrare nel territorio dell’impero russo. Oramai era nel Granducato di Finlandia, praticamente a casa. Nulla poteva più fermarlo. Ai finlandesi Lenin promise la libertà, poi, da un ufficio postale, inviò un telegramma ai suoi: «Arrivo. Informate la Pravda».

16 aprile 1917 Vladimir Lenin ritorna a Pietrogrado, in Russia, dopo l’esilio in Svizzera

L’arrivo alla stazione Finlandia

In realtà, per entrare nel territorio vero e proprio dell’Impero, bisognava passare un altro posto di frontiera a Beloostrov. Lenin si aspettava nuovi controlli e nuovi interrogatori, ma invece le cose andarono del tutto diversamente. Centinaia di operai di Pietrogrado e cittadini della vicina Sestroretsk (20 chilometri di distanza) erano arrivati a piedi per salutare il leader bolscevico. Fu qui che Lenin tenne il suo primo discorso in suolo russo, salito su una sedia dopo aver abbracciato e baciato i più accesi. Era chiaro oramai che alla stazione di Finlandia della capitale dell’Impero, il 16 aprile Lenin non avrebbe trovato la polizia pronta ad arrestarlo. La cerimonia era stata organizzata in grande, soprattutto per far dimenticare che il leader era tornato in Russia con l’aiuto dei nemici tedeschi. Archi di trionfo sui binari, bandiere ovunque, oro e rosso dappertutto. Tantissime persone, donne con mazzi di fiori, la banda, un picchetto d’onore dei marinai del Baltico. Era il ritorno dell’eroe, esattamente come avevano deciso i leader locali. Questi sostenevano la tesi che occorresse unire le forze per «difendere la rivoluzione da qualsiasi attentato, sia dall’interno che dall’esterno». Vale a dire, pieno sostegno al governo provvisorio impegnato a continuare la guerra. Ma Lenin li gelò subito con parole incendiarie. La folla lo sollevò di peso portandolo fuori dalla stazione. Lì, quasi per caso, finì sulla torretta di un’autoblindo. «La piratesca guerra imperialista segna l’inizio della guerra civile in tutt’Europa. Ormai l’intero imperialismo europeo può crollare da un giorno all’altro. La rivoluzione russa da voi compiuta ha dato inizio a questo crollo e ha aperto una nuova epoca. Viva la rivoluzione socialista mondiale!»

Fedeli alla linea

Era la linea che i bolscevichi avrebbero seguito da allora in avanti. Altro che unità nazionale e proseguimento della guerra! Ma, per arrivare a dettare le sue condizioni, Lenin avrebbe dovuto combattere ancora per mesi. E a portarlo al potere, alla fine, non sarebbe stato un moto rivoluzionario, ma un colpo di Stato. La famosa Rivoluzione d’ottobre che in realtà si verificò il 7 novembre di quel 1917.”

(Fabrizio Dragosei in: www.corriere.it)

 

“Il treno di Lenin” è una miniserie televisiva italiana del 1988 diretta da Damiano Damiani.

“Il treno di Lenin” è una miniserie televisiva italiana del 1988 diretta da Damiano Damiani

TRAMA

In seguito alla rivoluzione di febbraio la Germania guglielmina intravede la possibilità di dare una svolta alla prima guerra mondiale, qualora Lenin rientrasse in Russia e rovesciasse il governo provvisorio, il cui capo effettivo era Alexander Kerenski, e chiedesse un armistizio alla Germania, in modo tale da svincolarsi dal fronte orientale e concentrare così lo sforzo bellico in occidente e in Italia.
Nel marzo del 1917 il Comando Supremo della Deutsches Heer organizza così un viaggio in treno per rimpatriare un gruppo di bolscevichi dalla Svizzera alla Russia post-rivoluzionaria. Fra i passeggeri vi è il leader bolscevico Lenin con la moglie Nadežda Krupskaja, la sua collaboratrice particolare Inessa Armand e il rivoluzionario Zinoviev.
La Germania concede il permesso di transito del vagone piombato, ossia una carrozza ferroviaria con porte e finestrini sigillati in modo da evitare qualsiasi contatto con l'esterno e che godeva dell'extraterritorialità.

Regia: Damiano Damiani. Soggetto: Damiano Damiani, Enzo Bettiza, con la collaborazione di Dario Staffa e Jean Marie Drot. Sceneggiatura: Damiano Damiani, Fulvio Gicca-Palli. Cast: Ben Kingsley: Vladimir Lenin. Leslie Caron: Nadežda Krupskaja. Dominique Sanda: Inessa Armand. Paolo Bonacelli: Zinoviev. Peter Whitman: Radek. Günther Maria Halmer: Von Planetz. Xavier Elorriaga: Platten. Jason Connery: David. Mattia Sbragia: Furstenberg. Timothy West: Parvus.

16 aprile 1917 Vladimir Lenin torna a Pietrogrado, in Russia, dopo l’esilio in Svizzera.

 

Un brano musicale al giorno

Tobias Hume - Musicall Humors - Captain Humes Pavin, Jordi Savall - viola da gamba

Tobias Hume (tra il 1569 e il 1575 - 1645) è stato un gambista e compositore inglese. Poco si conosce della vita di Tobias Hume. Si suppone che sia nato fra il 1569 e il 1575. La data del 1569 viene suggerita in quanto all'epoca occorreva avere 60 anni per essere ammessi alla Charterhouse di Londra, luogo per i pensionati dell'esercito, dove egli entrò nel 1629 come fratello povero.

Hume fu un soldato professionista, noto per la sua rudezza e forse mercenario, ufficiale sia dell'esercito Svedese che di quello Russo. La musica era il suo diletto. Pubblicò due raccolte musicali: Musicall Humors (1605) e Captaine Hume's Poeticall Musicke (1607).

Fu certamente un virtuoso della viola da gamba, contro la moda dominante del liuto. Questo indusse John Dowland a pubblicare un rifiuto e una confutazione delle idee di Hume. Ma fu anche noto come burlone, a causa soprattutto dei commenti e delle illustrazioni che inseriva nelle sue pubblicazioni musicali.

Fu il primo compositore conosciuto a fare uso, nella raccolta The First Part of Ayres (1605), della tecnica col legno.”

(In: wikipedia.org)

Jordi Savall (Igualada, 1º agosto 1941) è un gambista, direttore d'orchestra, violoncellista e musicologo spagnolo

“Molto poco si sa dell'inglese Tobias Hume, o meglio del Captaine Tobias Hume, come è meglio noto. Incerta la data di nascita, che taluno pone intorno al 1569, come incerto il luogo di nascita. Ciò che sappiamo, lo dobbiamo principalmente alle dediche che egli scrisse per le due raccolte di cui fu autore, datate rispettivamente 1605 e 1607, ed alle petizioni che, di volta in volta, egli indirizzò ai sovrani ed ai nobili inglesi, cercando invano di attirarsene i favori. Fu un abile ufficiale, un capitano appunto, e la sua vita, come egli stesso dice, fu dedicata alle armi. Non solo a quelle inglesi; come mercenario, infatti, pare sia anche stato al soldo, tra le altre, della corona svedese. Di certo, poi, morì povero e abbandonato da coloro che aveva servito negli anni.

Se dunque la vita di Hume fu dedicata alle armi, di certo egli rivolse il suo diletto alla musica. Egli fu un valente violista da gamba, e si contrappose al coevo John Dowland in quella competizione (assai di moda in quei tempi) tra coloro che assegnavano alla viola e quelli che invece assegnavano al liuto la supremazia tra gli strumenti di accompagnamento. Hume, si diceva, diede alle stampe due raccolte di composizioni. Nel 1605, egli pubblicò un insieme di 117 pezzi (dei quali è rimarchevole notare come ben 104 siano per viola da gamba sola) cui dette il nome di Musicall Humours. Nel 1607, invece, fu la volta di Captaine Hume's Poeticall Musicke, un raccolta di arie e brani strumentali, in cui la viola da gamba ha sempre parte predominante.

In questo insieme di composizioni non certo copioso, meritano un certo interesse quelle scritte per viola da gamba da sola. Questi brani mostrano l'abilità di Hume nello scrivere musica per uno strumento che, evidentemente, doveva conoscere assai bene e che naturalmente forse non si presterebbe a suonare senza alcun accompagnamento. Certo, se si pensa all'uso che della viola da gamba farà Johann Sebastian Bach poco più di cento anni dopo, ai mondi che egli sarà capace di costruire su uno strumento in fondo così poco 'armonico', la musica di Hume sembrerà primitiva. Vinta questa sensazione, però, forse anche per l'idea che la personalità di Hume trasmette (una personalità bifronte, divisa tra l'essere uomo d'armi ed al contempo stesso fine musicista), tale musica sarà assai interessante e, a suo modo, altrettanto evocativa. Si capisce che essa nasce come musica di accompagnamento, intesa a non offendere le nobili orecchie cui era dedicata e a non diventare mai troppo presente. Ma non è mai musica di pura circostanza: da essa scaturisce una profonda spiritualità, accentuata da certe scure sonorità della viola da gamba. Non mancano ovviamente i brani militareschi, come la bella A Souldiers Galliard.”

(In: www.giottoinmusica.altervista.org)

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k