L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno V. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
TO BE OR NOT TO BE (Vogliamo vivere, US, 1942), regia di Ernst Lubitsch. Prodotto da Ernst Lubitsch. Sceneggiatura: Melchior Lengyel, Edwin Justus Mayer, Ernst Lubitsch (non accreditato). Musiche: Werner R. Heymann, Miklós Rózsa. Fotografia: Rudolph Maté. Montaggio: Dorothy Spencer.
Cast: Carole Lombard nel ruolo di Maria Tura, un'attrice nella Polonia occupata dai nazisti. Jack Benny nei panni di Joseph Tura, attore e marito di Maria. Robert Stack nel ruolo del tenente Stanislav Sobinski, un aviatore polacco innamorato di Maria. Felix Bressart nei panni di Greenberg, un membro ebreo della compagnia che interpreta piccole parti e sogna di interpretare Shylock. Lionel Atwill nei panni di Rawich, un attore amatoriale della compagnia. Stanley Ridges nei panni del professor Alexander Siletsky, una spia nazista mascherata da operaio della resistenza polacca. Sig Ruman nel ruolo del Col. Ehrhardt, il maldestro comandante della Gestapo a Varsavia. Tom Dugan come Bronski, un membro della compagnia che impersona Hitler. Charles Halton nel ruolo di Dobosh, il produttore dell'azienda. George Lynn come attore-aiutante, un membro della compagnia che si traveste da aiutante del colonnello Ehrhardt. Henry Victor nei panni del Capitano Schultz, il vero aiutante del Col. Ehrhardt. Maude Eburne come Anna, la cameriera di Maria. Halliwell Hobbes nei panni del generale Armstrong, un ufficiale dell'intelligence britannica. Miles Mander nei panni del maggiore Cunningham, un ufficiale dell'intelligence britannica. James Finlayson nel ruolo di Scottish Farmer (non accreditato). Olaf Hytten come Polonio a Varsavia (non accreditato). Maurice Murphy come pilota polacco della RAF (non accreditato). Frank Reicher come funzionario polacco (non accreditato).
“Alla vigilia dell'invasione tedesca della Polonia, una compagnia di attori di Varsavia sta portando in scena una versione dell'Amleto e una nuova commedia di satira sul nazismo, che viene però bloccata dalla censura. Della compagnia fanno parte Josef Tura e la bella moglie Maria, coppia di noti attori. Durante una rappresentazione dell'Amleto nell'agosto 1939 Maria conosce un ammiratore, il giovane e aitante pilota Sobinski, e i due cominciano a vedersi. Ogni sera il giovane ufficiale si alza all'inizio del famoso monologo per incontrare Maria. Dopo lo scoppio della guerra il pilota va al fronte e poi raggiunge in Inghilterra la resistenza polacca.
A Londra Sobinski conosce uno dei dirigenti della resistenza, il professor Siletsky e, saputo da quest'ultimo del suo imminente viaggio a Varsavia per incontrarsi con i resistenti locali, gli affida un messaggio per Maria. Tuttavia, quando si accorge che il professore non conosce il nome della donna pur essendo famosissima, egli s'insospettisce e due giorni dopo riferisce il tutto ai suoi superiori, che concordano nel ritenere Siletsky un impostore. Sobinski parte per la Polonia per avvertire la resistenza locale.
A Varsavia Siletsky incontra Maria e le porta il messaggio, offrendole di diventare una spia dei nazisti. Maria ne parla con il marito e Sobinski, e insieme concordano un piano per distruggere i pericolosi documenti in possesso del professore. Siletsky, con il pretesto di un incontro con il capo della Gestapo locale - il colonnello Ehrhardt - viene condotto nel teatro della compagnia, si accorge dell'inganno ma viene ucciso da Sobinski.
Tura, truccato con la foggia di Siletsky, torna all'albergo dove egli alloggiava per distruggere la documentazione, ma viene fermato da un drappello di soldati e portato dal vero Ehrhardt. I due convengono d'incontrarsi il giorno dopo, ma il colonnello viene informato del ritrovamento del cadavere di Siletsky, e quando Tura si presenta da lui mascherato da professore Ehrhardt cerca d'incastrarlo. Tura, però, riesce a convincere il colonnello che il vero impostore è l'uomo ucciso.
Il giorno dopo Hitler arriva a Varsavia e viene organizzata una rappresentazione teatrale in suo onore. La compagnia di Tura riesce a intrufolarsi nell'aereo del Fuhrer e, sbarazzatisi dei piloti, riesce a lasciare la Polonia e ad arrivare in Scozia. Qui gli attori vengono accolti da eroi e Tura viene premiato con l'onore di potere rappresentare Amleto a teatro. Per uno sberleffo del destino anche in quell'occasione, per lo stupore del protagonista, un giovane ufficiale in prima fila si alza all'inizio del famoso monologo.”
(In wikipedia.org)
“Il titolo originale di questo bellissimo film diretto da Ernst Lubitsch è To Be or Not to Be, cioè Essere o non essere, che è l'inizio d'un discorso di Amleto nel terzo atto dell'opera di Shakespeare. In Italia era uscito col titolo Vogliamo vivere, ma oggi la casa di distribuzione Teodora l'ha presentato in edizione originale, restaurato, con sottotitoli in italiano. Un modo eccellente per fornire al pubblico un film, vecchio di oltre 70 anni, che appare attuale e vivo. Infatti l'abilità del regista di comporre visivamente una storia che è piena di elementi storici, e quella di tutti gli attori di essere coinvolgenti, significa creare un'opera che interessa moltissimo il pubblico oltre a divertirlo scena dopo scena. [...] Insomma To Be or Not to Be nasce e si sviluppa mescolando il teatro e la politica, gli attori polacchi e gli aggressori tedeschi, ma soprattutto si afferma con quella che possiamo chiamare la "mescolanza" della storia e della commedia, della serietà e della comicità, dell'amore e della crisi sessuale. Ed è questa combinazione, nuova e originale, a costituire la bellezza di un film che avrebbe potuto invecchiare negli anni. Se pensiamo che sembra realizzato oggi, sia pure in bianco e nero, ciò significa che la regia di un grande autore come è stato Lubitsch è riuscita a fare non soltanto una storia complessa, ma anche un racconto ricco di ogni varietà: comica e tragica, seria e leggera, storica e inventata. Ed è questo stile e questa genialità a far sì che sarebbe molto "istruttivo" se, ogni tanto, si ripresentassero al cinema film intelligenti e moderni come è questo.”
(Gianni Randolino, "La stampa in www.cinetecadibologna.it)
“Due anni dopo Charlie Chaplin e il suo The Great Dictator, Ernst Lubitsch prende di mira Hitler, con l'intenzione di provocarlo tramite l'ironia e la derisione. Paradossalmente questo film, poi riconosciuto un capolavoro del cinema mondiale, all'epoca fu frainteso, poiché qualcuno trovava che Lubitsch non trattava bene il popolo polacco. Bisogna essere ciechi per non vedere la maniera - quanto sottile ed efficace - con cui al contrario To Be or Not to Be tesse l'elogio del coraggio e dell'intelligenza dimostrati dai resistenti polacchi, tutti appartenenti al mondo del teatro e dello spettacolo. Perché è proprio di questo che si parla nel film. Come restare attore, a ogni costo, anche nelle situazioni più pericolose? Come fare affinché la recitazione e l'amore del teatro, la simulazione o il travestimento, finiscano per prevalere sul nemico peggiore, lo stesso Hitler e il regime nazista? Per imporre il proprio punto di vista fondato sull'arte della commedia e della satira, Lubitsch aveva bisogno di una sceneggiatura dai meccanismi impeccabili, complessa ed efficace a un tempo. La sceneggiatura di To Be or Not to Be non funzionerebbe però tanto bene senza il movimento che la regia imprime al film. La forza e il fascino di questa commedia risiedono nella vivacità e nel ritmo, nel succedersi di situazioni una più divertente dell'altra. Tutto funziona in questo film. Tanto sul piano generale, che mostra come, con determinazione e creatività, una troupe di attori fa di tutto per resistere all'occupazione di un paese, quanto sul piano dei dettagli: ogni gesto è preciso, ogni dialogo e ogni situazione testimoniano di una intelligenza pronta, del gusto per il gioco e per lo scherzo, di un senso critico penetrante. Lubitsch riserva evidentemente ai grotteschi e stupidi nazisti le sue frecce più affilate, ma non risparmia all'occasione i difetti degli altri suoi personaggi, anche i preferiti. Così, il geloso Joseph Tura è un istrione vanitoso, cui sta a cuore solo il suo prestigio di attore. Quanto a Maria, sua moglie, interpretata dalla bella Carole Lombard, nella sua ultima apparizione sullo schermo prima del terribile incidente d'aereo nel quale perse la vita, è una seduttrice pronta ad appartarsi con uno dei suoi pretendenti mentre il marito in scena declama il monologo di Amleto. A distanza di sessant'anni, il film di Lubitsch non ha perso niente del suo fascino gioioso, sottile e esilarante.”
(Serge Toubiana - Enciclopedia del Cinema, 2004, in www.treccani.it)
- Il film: To Be or Not to Be, 1942- Full Movie with Subtitles
16 gennaio 1942 muore Carole Lombard, attrice e comica americana (nata nel 1908).
“Carole Lombard è il nome d'arte di Jane Alice Peters, attrice cinematografica statunitense, nata a Fort Wayne (Indiana) il 6 ottobre 1908 e morta nei pressi di Las Vegas (Nevada) il 16 gennaio 1942. La voce ben modulata, la disinvoltura nel pronunciare battute fulminanti e il portamento elegante permisero alla bionda L., affascinante e spiritosa nell'aspetto, intensa e pungente nello sguardo, di diventare la migliore interprete delle commedie sofisticate degli anni Trenta e dei primi anni Quaranta, una delle quali, My man Godfrey (1936; L'impareggiabile Godfrey) di Gregory La Cava, le valse l'unica candidatura all'Oscar della sua breve ma intensa carriera. Fu tuttavia anche raffinata e misurata interprete di melodrammi.
Nel 1914, dopo il divorzio dei genitori, si trasferì a Los Angeles con le sorelle maggiori e la madre. A tredici anni comparve con il suo nome in una piccola parte in A perfect crime (1921) di Allan Dwan. A quindici abbandonò la scuola e iniziò a recitare in spettacoli di varietà. Il suo effettivo esordio nel cinema avvenne nel 1925, quando firmò un contratto con la Fox Film Corporation: accreditata come Carol Lombard, nel giro di un anno recitò in ruoli secondari in una mezza dozzina di film, soprattutto western, tra cui nel 1925 Durand of the bad lands (Malaterra) di Lynn Reynolds e Hearts and spurs (Uno contro tutti) di W.S. Van Dyke, e nel 1926 The road to glory di Howard Hawks.
Proprio nel 1926 un incidente stradale, che le sfigurò il viso, sembrò doverne interrompere la carriera, tanto che la Fox rescisse il suo contratto; ma grazie a un intervento chirurgico la sua bellezza non fu compromessa. Riprese così a recitare, e tra il 1927 e il 1929 interpretò sedici esilaranti film da due rulli prodotti da Mack Sennett, che probabilmente ne fecero emergere la predisposizione alle situazioni e ai personaggi umoristici.
Scritturata nel 1930 dalla Paramount Famous Lasky Corporation, e assunto il suo nome d'arte definitivo, ebbe la possibilità di recitare con due partner d'eccezione, nonché suoi futuri mariti: William Powell (che avrebbe sposato nel 1931 e dal quale avrebbe divorziato due anni dopo) in Ladies' man (1931) di Lothar Mendes e in Man of the world (1931) di Richard Wallace, e Clark Gable (che avrebbe sposato nel 1939) in No man of her own (1933; Nessun uomo le appartiene) di Wesley H. Ruggles. Seguirono il bellico The eagle and the hawk (1933; L'aquila e il falco) di Stuart Walker, con Cary Grant e Fredric March, e il melodrammatico Bolero (1934) di Ruggles, con George Raft.
La consacrazione arrivò con Twentieth century (1934; Ventesimo secolo) di Hawks, autentico prototipo della migliore screwball comedy hollywoodiana. Qui la L. interpreta un'attrice trasformatasi in star, dopo essere stata succube di un marito attore e regista (John Barrymore), pigmalione subdolo e pieno di sé. La capacità comica della protagonista di passare repentinamente dalla timidezza alla spavalderia, dalla dedizione sottomessa allo snobismo capriccioso, scatenando nello spettatore reazioni contrastanti, la rende non una semplice comprimaria sulla scena, bensì un vero e proprio alter ego della tradizionale ma in fondo fragile controparte maschile. La L. inaugurò con questa interpretazione una stagione del cinema hollywoodiano in cui fierezza e determinazione diventarono un requisito indispensabile delle protagoniste femminili per tenere testa alla presunzione e al sussiego di maschi 'furbi', convinti di reggere le fila delle schermaglie amorose. Presentano questo rinnovato schema alcuni suoi film degli anni successivi, tra i massimi esempi della commedia sofisticata, come Hands across the table (1935; I milioni della manicure) di Mitchell Leisen, con Fred MacMurray, My man Godfrey, True confession (1937; La moglie bugiarda) di Ruggles, ancora con Fred MacMurray e con John Barrymore, Nothing sacred (1937; Nulla sul serio) di William Wellman, con Fredric March; ma anche film minori eppure interessanti come Love before breakfast (1936; La bisbetica innamorata) di Walter Lang, The princess comes across (1936; Resa d'amore) di William K. Howard, nuovamente al fianco di Fred MacMurray, e Fools for scandal (1938; Il piacere dello scandalo) di Mervyn LeRoy. Il gioco dei rapporti venne perfezionato nell'impietoso e sottovalutato apologo anticoniugale Mr. and Mrs. Smith (1941; Il signore e la signora Smith) di Alfred Hitchcock, con Robert Montgomery, dove la L. si fa di nuovo desiderare da un marito indolente perché 'abituato' al ménage domestico.
In My man Godfrey (L'impareggiabile Godfrey, 1936, regia di Gregory La Cava), a fronte dell'autocontrollo dell'aristocratico maggiordomo (William Powell), la leggerezza capricciosa, eccentrica ma sostanzialmente autoironica di una svampita ragazza dell'upper class diventa l'arma più forte per una conquista sentimentale siglata dal matrimonio. Lo spirito pragmatico e franco del personaggio incarnato dalla L. nei più svariati contesti sociali si coglie con particolare chiarezza nella figura dell'ambiziosa estetista di Hands across the table, che comprende ben presto, seguendo le ragioni del cuore, che in un'epoca di crisi economica o di ricchezze effimere, l'unico capitale reale, garanzia di affidabilità anche sul piano privato e affettivo, è il guadagno sicuro di un lavoro diuturno e onesto, non quello fiabesco di sedicenti rampolli dell'alta società. Come si evince anche dall'implacabile e amaro sottotesto di My man Godfrey.
La maturità espressiva di un'attrice in grado di esprimere con uno sguardo penetrante un profondo sdegno interiore, un senso di smarrimento, un'improvvisa contrarietà o addirittura un forte richiamo alla responsabilità divenne un tratto inconfondibile anche nell'ambito di tracciati narrativi non necessariamente ancorati alle convenzioni umoristiche, soprattutto dopo il 1937, quando la L., abbandonata la Paramount, lavorò con la United Artists. In concomitanza con l'inizio della Seconda guerra mondiale, il carattere frizzante delle commedie, che si era dimostrato fino ad allora irriducibile ai condizionamenti materiali e morali della Grande depressione, risentì infatti di un clima dominato da quella grave incombenza nazionale e internazionale, cedendo il passo a film drammatici quali Made for each other (1939; Ritorna l'amore), con James Stewart, e In name only (1939; Non puoi impedirmi d'amare), con Cary Grant, entrambi diretti da John Cromwell, Vigil in the night (1940; Angeli della notte) per la regia di George Stevens, They knew what they wanted (1940; Non desiderare la donna d'altri) di Garson Kanin.
Il capolavoro To be or not to be (1942; Vogliamo vivere) di Ernst Lubitsch, l'ultimo film della L., uscì soltanto dopo la sua tragica morte, avvenuta in un incidente aereo. In questa splendida e amara commedia, potente denuncia della minaccia hitleriana attraverso il gioco di maschere del teatro, la L. disegna mirabilmente l'attrice Maria Tura, con i suoi eccessi da primadonna, decisa a cedere alle lusinghe di un aitante e romantico aviatore, ma anche a non abbandonare il marito (Jack Benny) attore roboante e pieno di sé, per non rischiare di compromettere la propria carriera, e infine coinvolta con tutta la compagnia in una pericolosa 'recita' a danno dei nazisti.
Alla L. e al suo secondo marito fu dedicato un film biografico, Gable and Lombard (1976; Gable e Lombard: un grande amore) di Sidney J. Furie, in cui il suo personaggio è interpretato da Jill Clayburgh.”
(Anton Giulio Mancino, Enciclopedia del Cinema, 2003, in www.treccani.it)
- Uno dei suoi corti: The Campus Vamp (1928) - Daphne Pollard, Carole Lombard
Regia di Harry Edwards. Scritto da: Ewart Adamson (writer). Carl Harbaugh (writer). Jefferson Moffitt (writer). Earle Rodney (writer). Maurice Stevens (titles), Dan Thomas (titles). James J. Tynan (writer). Cast: Daphne Pollard, Sally Eilers, Carole Lombard. Fotografia: Fred Dawson. Montaggio: William Hornbeck
Una poesia al giorno
Aftensalme, di Dorothe Engelbretsdotter (Bergen, 16 gennaio 1634 - 19 febbraio 1716)
1. Dagen viker og går bort,
luften bliver tykk og sort,
solen alt har dalet platt,
det går ad den mørke natt.
2. Tiden sakte lister sig,
glasset rinner hastelig,
døden oss i hælen går,
evigheten forestår.
3. Nu en dag jeg eldre blev,
det er som mitt tankebrev,
at jeg med min vandringsstav,
nærmer heller til min grav.
4. Rett nu blinket solens ljus,
nu er skummelt i hvert hus,
så forandres alle ting,
til vi gjør det siste spring.
5. Kjære sjel, kom det i hu,
og derhos bekjenn kun nu,
at du som et Adams barn,
velter dig i synd og skarn.
6. Denne dag er du ei kvitt,
at du jo har fallet titt.
reis dig og med bønn gakk hen
til din Gud i himmelen.
7. Be om nåde og gjør bot,
åpne dine øynes flod,
slipp ham ikke med ditt skrik,
før han får velsignet dig.
8. Nu min Jesu sjeles skatt,
ta her lossament i natt.
Se, jeg har et hvilested
i mitt hjerte til dig red.
9. La din sterke englevakt
på mitt leie give akt,
at min søvnetunge kropp
skades ei av Satans tropp.
10. Så jeg arme ormesekk
ikke vekkes opp med skrekk,
min husbond med barn og slekt
ta og i din varetekt.
11. Vær din menighets forsvar,
ordsens tjenere bevar,
at de må som hyrder tro
føde dine får i ro.
12. Alle kongers konge bold,
vær vor arvekonges skjold;
han forlader sig på dig,
gi ham hva han ønsker sig.
13. At på ham i mange led
nådekilden flyter ned;
alt det kongelige blod
øse trøst av samme flod.
14. La ham leve mange år,
til han mett av verden går;
gi ham her all fryd og fred,
siden evig salighed.
15. De som ere i hans råd,
Herre styr selv deres dåd,
at de trolig en og hver
råder det som tjenligst er.
16. Still den sjukes hjerteve,
tenk på de bedrøvede;
vær de faderløse trøst
og gi akt på enkers røst.
17. Til en blund står nu mitt sinn,
men før enn jeg slumrer inn,
vil jeg hos mitt hvilerom
stå og tenke mig litt om.
18. At det er således fatt,
jeg en gang den lange natt
skal iblant de dødes tal
sove i den mørke dal.
19. Fire fjele er min prakt,
hvor uti jeg bliver lagt,
med et laken og litt mer;
eier ikke så en fjær.
20. Alle verdslig ting forgår;
jeg til herlighet oppstår
når Gud ved basunens lyd
kaller mig til evig fryd.
(Fra Siælens Sang-Offer, 1678)
Inno della sera (traduzione di Ugo Brusaporco)
1. Il giorno si allontana e se ne va,
l'aria diventa densa e nera,
il sole è caduto tutto piatto,
passa la notte oscura.
2. Il tempo scorre lentamente,
il bicchiere si svuota veloce,
abbiamo la morte nel tallone,
l'eternità è a portata di mano.
3. Ora in un giorno sono invecchiato,
è come una lettera nel mio pensiero,
che io con il mio bastone da passeggio,
sento avvicinandomi alla mia tomba.
4. In questo momento il sole sta lampeggiando,
ora spaventoso in ogni casa,
poi tutto cambia,
fino a quando non facciamo l'ultimo salto.
5. Cara anima, ricorda,
e ci confessiamo solo ora,
che tu come figlio di Adamo,
ti sei capovolto nel peccato e nella colpa.
6. Questo giorno ti sei sbarazzato di
chi ti sei innamorato.
Alzati e con la preghiera vai
al tuo Dio nei cieli.
7. Chiedi misericordia e pentiti,
apri il fiume dei tuoi occhi,
non lasciarlo andare con il tuo grido,
prima che ti benedica.
8. Ora il tesoro della mia anima Gesù,
prendi qui dolcemente stasera.
Ecco, ho un luogo di riposo
Per il mio cuore che a te cavalcò.
9. Lascia che il tuo angelo forte mi protegga
e sulla mia carne in affitto fai attenzione,
che il mio corpo assonnato
non sia stato danneggiato dalle truppe di Satana.
10. Ho visto il mio povero rifugio
non svegliare con paura,
mio marito con figli e parenti
e prendili sotto la tua custodia.
11. Sii la difesa della tua chiesa,
che i servi della parola custodiscono,
perché loro, come pastori, devono credere
pasci in pace le tue pecore.
12. Re dei re di tutti i re,
sii lo scudo del nostro re ereditario;
lui conta su di te,
dagli quello che vuole.
13. Che su di lui in molti rami
la fonte della grazia scorra verso il basso;
e in tutto il sangue reale
raccogli il conforto dallo stesso fiume.
14. Lascialo vivere molti anni,
finché non è pieno del mondo;
donagli qui ogni gioia e pace,
dall'eterna beatitudine.
15. Il Signore stesso controlla le azioni
Di quelli che sono nel suo consiglio,
perché facilmente uno e ciascuno
consigli ciò che è più utile.
16. Consola il cuore degli ammalati,
pensa agli afflitti;
sii il conforto ai senza padre
e ascolta la voce delle vedove.
17. A un passo dal sonno ora sta la mia mente,
ma prima che mi addormenti
Voglio nella mia saletta di riposo
stare in piedi e pensare un po’.
18. Che è così inteso,
Verrà la lunga notte
dove capiterà tra i tanti morti
di dormire nella valle oscura.
19. Quattro montagne sono il mio splendore,
dove sei messo dentro,
con un lenzuolo e poco più;
non possiedi tale primavera.
20. Tutte le cose del mondo periscono;
Io alla gloria sorgo
quando Dio farà sentire il suono della tromba
chiamandomi alla gioia eterna.
“Dorothe Engelbretsdatter (Bergen, 16 gennaio 1634 - Bergen, 19 febbraio 1716) è stata una scrittrice norvegese. Scrisse principalmente inni e poesie di natura prettamente religiosa. È stata la prima donna norvegese riconosciuta come scrittrice, oltre che la prima femminista norvegese prima ancora che il femminismo divenisse un concetto riconosciuto.
Dorothe Engelbretsdatter nacque a Bergen, ed era la figlia del Rettore e Vicario, Engelbret Jørgenssøn (1592–1659) e di Anna Wrangel. Suo padre fu inizialmente preside della scuola della cattedrale di Bergen, e successivamente decano della cattedrale stessa. Durante la sua giovinezza Dorothe trascorse un periodo di tempo a Copenaghen. Nel 1652 sposò Ambrosius Hardenbeck (1621–1683), uno scrittore di teologia noto per i suoi elaborati sermoni funerari, successore di suo padre come Decano della Cattedrale nel 1659. Ebbero 5 figli e 4 figlie.”
(In wikipedia.org)
“Dorothe Engelbretsdatter, una letterata pioniera norvegese.
Vissuta nel diciassettesimo secolo seppe affermarsi con autorevolezza. Ebbe due primati: avere firmato i suoi libri ed i suoi canti con il proprio nome, usanza fino ad allora ritenuta sconveniente per le autrici, autodefinendosi la prima “She-Poet in the Kingdoms” ed essere stata la prima scrittrice norvegese professionista. Difese con ogni mezzo l’autorialità dei suoi scritti dai delatori che l’accusarono addirittura di plagio, di contro fu acclamata dalla corte reale norvegese, dai più grandi letterati del nord Europa ed ovviamente dalle donne sia lettrici che scrittrici, che la considerarono un modello da emulare.
Seppe coniugare con ammirevole abilità la volontà di autoaffermazione ed il rispetto delle convenzioni sociali, non desistendo dai feroci attacchi a lei rivolti. Principalmente scrisse inni e poesie religiose, occasionalmente anche dei testi con un un linguaggio semplice ed il ricorso a metafore prese a prestito dalla vita quotidiana, persino gli arrangiamenti musicali dei canti popolari, a cui adattò i suoi scritti, che si diffusero sia in Norvegia che in Danimarca.
Nata nel 1634 a Bergen in Norvegia, era figlia di Anna Wrangel e del rettore della della Bergen Cathedral School, in seguito decano della cattedrale di Bergen. Grazie all’ambiente familiare colto ebbe un’istruzione eccellente perlopiù di teologia e salvo che per qualche anno trascorso a Copenaghen dal 1647 al 1650 trascorse gran parte della sua esistenza nella sua cittadina natale, allora considerata la più importante in Norvegia. Nel 1652 sposò Hardenbeck, un oratore religioso celebre per i suoi sermoni, succeduto come decano al padre e con cui ebbe nove figli, sette dei quali scomparvero prematuramente. Il dolore causatole fu la fonte di ispirazione di “Själens Sangoffer”, “L’offerta di canzoni dell’anima”, i suoi primi scritti pubblicati a Copenaghen nel 1678. Si tratta di preghiere sia mattutine che serali oltre che di inni liturgici musicali per i giorni festivi. Pubblicati con gli spartiti corrispondenti i canti furono scritti tenendo conto dei motivi popolari in voga, il che contribuì alla diffusione estesa dei suoi scritti con molte ristampe anche successive alla sua esistenza. Seguirono altre due pubblicazioni “Taareoffer”, una raccolta di sue poesie devozionali, nel 1685 ed “Et kristeligt Valet fra Verden” nel 1698. Consuetudine ancora inusuale firmò i libri con il proprio nome, la prima donna in Norvegia, a cui si aggiunse il secondo primato involontario di essere stata la prima scrittrice professionista norvegese a tempo pieno, un onore di cui fu consapevole da rivendicare per se stessa autodefinendosi la prima “She-Poet in the Kingdoms“.
Le pubblicazioni dei suoi libri riscontrarono un gran successo comprensibile considerando che, nel corso della riforma luterana, si consolidò la scrittura religiosa in lingua volgare molto richiesta dalle lettrici donne, assecondate dall’evolversi della stampa e della distribuzione dei libretti devozionali. Allora chi meglio di una donna colta e religiosa, se non lei, poteva riscontrare tale esigenza? D’altronde dei suoi scritti va focalizzata la formula retorica della “modestia” attraverso immagini femminili attive, dignitose ed umili, presentandosi lei stessa come donna, madre, moglie e poi vedova in veste di “peccatrice” rispettando le convenzioni sociali dei suoi contemporanei ed al contempo superarle conquistando di fatto il pubblico femminile. Questa abilità compromissoria, apparentemente dimessa, fu intrinsecamente radicale e le consentì di riscuotere tantissimi consensi proprio tra le donne, peraltro in un’epoca contrassegnata da molte ostilità da parte dell’editoria nascente all’ingresso delle donne scrittrici.
Fatte le debite eccezioni, ovviamente non poche furono le critiche da parte degli uomini, i quali tutt’altro che raramente manifestarono scetticismo addirittura sull’autorialità femminile dei suoi scritti, sostenendo trattarsi di plagi addirittura che l’autore fosse il marito. Critiche false ed offensive, a cui Dorothe Engelbretsdatter replicò con delle polemiche esplicite: “Dio vuole che gli uccelli cantino, perché li ha creati così; allo stesso modo le donne fanno parte della natura di Dio e devono essere incluse dalla sapienza di Dio“. Dovette persino tutelarsi dalle ristampe non autorizzate dei suoi libri compiute da alcune tipografie, a cui ingiunse un primitivo diritto di autorialità per gli introiti delle vendite. Non poteva essere diversamente stante anche la necessità di un sostentamento autonomo a seguito della sopravvenuta vedovanza nel 1683. Difese a spada tratta i propri diritti d’autore contro gli altrui guadagni usurpati dalla stampa e dalla vendita di copie-pirata dei suoi libri, rivelandosi una lotta incessante a salvaguardia della sua arte fino a quando gli sforzi compiuti furono premiati dal sostegno della casa reale norvegese.
Tra i suoi estimatori vanno annoverati oltre gli esponenti della corte anche il drammaturgo Holberg; Kingo, il padre della poesia danese ed altri eminenti letterati, che l’acclamarono come “Musa sul Parnaso“, mentre dalle donne, sia lettrici che scrittrici, fu ritenuta il modello ideale a cui emularsi.
Contestata da una parte e portata in auge dall’altra, Dorothe Engelbretsdatter conquistò tanta fama e popolarità con numerose ristampe dei suoi libri sia in Norvegia che in Danimarca addirittura oltre il diciassettesimo secolo, cioè dopo la sua scomparsa avvenuta nel 1716. Un omaggio alla sua figura importante é stato reso da Ambrosia Tønnesen, scultrice norvegese, che realizzò un bellissimo rilievo ancora oggi visibile alla cattedrale di Bergen; mentre pochi e rari sono gli studi recenti della sua opera così come della sua biografia contemplati dalla storia della letteratura femminile nordica pur tuttavia menzionate dal sito “the history of nordic women’s literature”.”
(Patrizia Cordone in luoghididonneilblogdipatriziacordone.wordpress.com)
Un fatto al giorno
16 gennaio 2006: Ellen Johnson Sirleaf presta giuramento come nuovo presidente della Liberia. Diventa il primo capo di stato donna eletto in Africa.
“Ellen Eugenia Johnson Sirleaf (detta Ma Ellen "Mamma Ellen"; Monrovia, 29 ottobre 1938) è una politica, economista e imprenditrice liberiana e presidente della Liberia dal 2006 al 2018.
La sua vittoria elettorale fu annunciata formalmente dalla commissione liberiana per le elezioni il 23 novembre 2005. È stata la prima donna eletta come capo di Stato in Africa. Spesso viene chiamata con l'appellativo di "Signora di ferro". Nel 2011 ha vinto il Premio Nobel per la pace assieme a Tawakkul Karman e Leymah Gbowee, con la seguente motivazione:"per la loro battaglia non violenta a favore della sicurezza delle donne e del loro diritto alla piena partecipazione nell'opera di costruzione della pace"
Tre dei nonni di Johnson-Sirleaf erano indigeni liberiani; il quarto era un tedesco che sposò una donna del mercato rurale. Il nonno fu costretto a lasciare il paese quando la Liberia - per lealtà verso gli Stati Uniti - dichiarò guerra alla Germania nel 1917.
Johnson-Sirleaf si diplomò al College of West Africa (Monrovia), una scuola superiore della Chiesa Metodista Unita. Conseguì il Bachelor of Business Administration in contabilità al Madison Business College a Madison, nel Wisconsin nel 1964, un diploma in economia presso l'Università del Colorado nel 1970, ed il Master of Public Administration presso l'Università Harvard nel 1971.
Tornata in Liberia dopo il periodo alla Harvard, Johnson-Sirleaf divenne Assistant Minister delle Finanze sotto l'amministrazione di William Tolbert. Nel 1980, Tolbert fu rovesciato e ucciso dal sergente dell'esercito Samuel Doe, il quale pose fine a decenni di relativa stabilità. Doe rappresentava il gruppo etnico dei Krahn e fu il primo presidente liberiano non discendente della élite rappresentata dalla comunità degli ex-schiavi americani. Nel decennio che seguì, Doe permise ai Krahn di dominare la vita pubblica.
Dopo il rovesciamento di Tolbert, Johnson-Sirleaf andò in esilio a Nairobi, in Kenya, dove lavorò per la Citibank. Tornò per partecipare alle elezioni del Senato della Liberia nel 1985, ma quando accusò pubblicamente il regime militare di Doe (People's Redemption Council) fu condannata a dieci anni di prigione. Rilasciata dopo poco tempo, si trasferì a Washington (USA). Tornò in Liberia nel 1997 nel ruolo di economista, lavorando per la Banca Mondiale e per la Citibank in Africa.
Dopo aver inizialmente supportato la sanguinosa ribellione di Charles Taylor contro il presidente Doe del 1990, si oppose a Taylor, e corse contro di lui alle elezioni presidenziali del 1997. Raggiunse solo il 10% dei voti, contro il 75% di Taylor. Questi la accusò di tradimento. Johnson-Sirleaf fece una campagna per la rimozione di Taylor dalle sue funzioni, giocando un ruolo attivo nel governo di transizione, mentre il paese si preparava per le elezioni presidenziali del 2005. Con la partenza di Taylor, tornò ad occupare il ruolo di leader del Partito dell'Unità.
Nel primo turno delle elezioni del 2005, giunse seconda con 175.520 voti, arrivando così al ballottaggio dell'8 novembre contro l'ex-calciatore George Weah. L'11 novembre, la Commissione Elettorale Nazionale della Liberia dichiarò Johnson-Sirleaf presidente eletto della Liberia. Il 23 novembre, confermò la sua decisione sostenendo che Johnson-Sirleaf aveva vinto con un margine pari quasi al 20% dei voti. Osservatori indipendenti, internazionali, regionali e nazionali, dichiararono che il voto era libero, corretto e trasparente. L'insediamento ebbe luogo il 16 gennaio 2006; tra i partecipanti stranieri alla cerimonia vi furono Condoleezza Rice e Laura Bush.
Il 15 marzo 2006, la presidentessa Johnson-Sirleaf si rivolse alle camere riunite del Congresso degli Stati Uniti, chiedendo il supporto americano per aiutare il suo paese a "divenire un faro splendente, un esempio per l'Africa e per il mondo di cosa può ottenere l'amore per la libertà."
Nel governo della Liberia rimangono tuttavia molti seguaci dell'ex presidente Taylor. Edwin Snowe, attuale presidente del Parlamento liberiano (terza carica di governo), è il genero di Taylor e aveva una posizione importante nel suo governo. La moglie separata di Taylor, Jewel Howard Taylor, è nel parlamento, così come Prince Johnson, autore della raccapricciante tortura e dell'uccisione del presidente Samuel Doe (che, tra l'altro, sono registrate in un filmato di ampia distribuzione). Ciò nonostante, il 17 marzo 2006, la presidentessa Johnson-Sirleaf ha sottoposto alla Nigeria una richiesta ufficiale di estradizione per Taylor. Egli è stato detenuto dalle autorità ONU in Sierra Leone e poi nel carcere Haaglanden all'Aja, in attesa di processo presso il Tribunale Speciale per la Sierra Leone (TSSL). Nel maggio 2012 è stato condannato a 50 anni di reclusione per tutti gli undici reati di cui era accusato, inclusi terrorismo, omicidio e stupro.
Nel 2007 Johnson-Sirleaf emettendo un ordine esecutivo ha reso l'educazione primaria obbligatoria e gratuita per ogni bambino liberiano. Il 16 settembre 2010 è riuscita ad azzerare, dopo varie riforme economiche e accordi internazionali, il debito estero della Liberia.
Il 4 ottobre 2010 ha firmato una legge per la libertà di informazione, la prima del genere in Africa.
Johnson-Sirleaf è madre di quattro figli (due vivono negli USA e due in Liberia) e ha sei nipoti, alcuni dei quali vivono ad Atlanta.”
(In wikipedia.org)
“Johnson Sirleaf, Ellen. - Donna politica liberiana (n. Monrovia 1938). Laureatasi alla Harvard University, fu ministro delle Finanze nel 1979. Dopo la presa del potere in Liberia di S. Doe si rifugiò in Kenya, dove lavorò per la Banca mondiale. Candidatasi in seguito al senato della Liberia nel 1985, denunciò i crimini commessi dal regime di Doe, atto costatole una condanna a 10 anni di carcere. Scontati alcuni mesi di prigione si rifugiò negli USA; nel 1997 tornò in Liberia, dove si candidò alle elezioni presidenziali ottenendo il 10% dei voti. Entrata in contrasto con il presidente C. Taylor, lasciò il paese rientrandovi solo nel 2003. Nel 2005 vinse il ballottaggio alle elezioni presidenziali con il 59,4% dei voti, divenendo la prima donna presidente di uno stato africano. Nel 2011 è stata insignita, con la connazionale L. Gbowee e l'attivista yemenita per la democrazia T. Karman, del premio Nobel per la pace ''per la lotta non violenta in favore della sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di pace''. Alle presidenziali tenutesi nell'ottobre dello stesso anno in un clima di forti tensioni ha ottenuto il 45,5% dei voti, riconfermandosi presidente al secondo turno con il 90% dei voti, ma a fronte di una scarsissima afflenza alle urne (37%), e ricoprendo la carica fino al 2018, quando le è subentrato il candidato dell'opposizione G. Weah. Nel 2012 è stata pubblicata in Italia sotto il titolo Un giorno sarai grande (This child will be great, 2005) l'autobiografia della donna politica, in cui trova spazio anche una lucida analisi sui processi in grado di aprire all'Africa un nuovo corso politico.”
(In www.treccani.it)
Immagini:
- H.E. Ellen Johnson Sirleaf: Come le donne ci guideranno
- A Conversation with President Ellen Johnson Sirleaf
Una frase al giorno
“Non sai leggere? La musica richiede "con amore" e cosa stai facendo? Stai suonando come un uomo sposato!”
(Arturo Toscanini, 25 marzo 1867 - 16 gennaio1957, violoncellista e direttore d’orchestra italiano)
“TOSCANINI, Arturo. Nacque a Parma il 25 marzo 1867, primogenito di Claudio e di Paola Montani (seguirono le sorelle Narcisa, Ada, Zina); fu registrato l’indomani con i nomi di Arturo Alessandro.
Il padre, repubblicano e anticlericale, dopo aver partecipato alla seconda guerra d’indipendenza e alla spedizione dei Mille, si arruolò nei bersaglieri, ma nel 1862 disertò per seguire Giuseppe Garibaldi sull’Aspromonte. Arrestato a Messina, dopo tre anni di prigionia fece ritorno a Parma, dove iniziò a lavorare come sarto. Si sposò il 7 giugno 1866 tornando subito dopo a combattere come volontario a Condino e Bezzecca.
Arturo si accostò alla musica grazie al padre, che nel 1876 lo iscrisse alla Regia scuola del Carmine, dove studiò violoncello con Leandro Carini e composizione con Giusto Dacci, diplomandosi nel 1885 con il massimo dei voti e i premi destinati ai migliori allievi. Prestò servizio nell’orchestra del Regio e nel marzo del 1886 fu ingaggiato come violoncellista e secondo maestro di coro per una tournée in Brasile. Fin dai primi spettacoli si evidenziarono contrasti fra l’orchestra e il direttore Leopoldo Miguéz, che dopo un clamoroso insuccesso rassegnò le dimissioni accusando la compagnia di ostruzionismo. Il 30 giugno a Rio de Janeiro, durante una burrascosa replica di Aida, il secondo direttore fu costretto ad abbandonare il podio per le proteste del pubblico, e così pure il maestro del coro intervenuto per sostituirlo. L’impresario Claudio Rossi si rivolse allora a Toscanini, che riuscì a portare in fondo la recita con successo e nel seguito della tournée, esonerato dall’incarico in orchestra, diresse altre dodici opere.
Dopo il rientro in Italia il tenore Nikolaj Figner, ch’egli aveva conosciuto nella tournée brasiliana, lo segnalò all’editrice Lucca come possibile direttore per la ‘prima’ della versione riveduta di Edmea di Alfredo Catalani a Torino. La candidatura fu poi caldeggiata dal compositore stesso, e il 4 novembre 1886 Toscanini diresse l’opera con successo. Nel 1887 tornò a suonare in orchestra alla Scala per la prima dell’Otello di Giuseppe Verdi e nel giugno del 1888 l’ascolto del Tristano e Isotta di Richard Wagner, diretto in ‘prima’ italiana da Giuseppe Martucci al Comunale di Bologna, lo convinse a concludere per sempre un’attività di compositore che pure aveva fruttato alcune pagine pubblicate da Lucca e Giudici & Strada.
Il 21 maggio 1892 diresse al teatro Dal Verme di Milano la prima di Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e in ottobre a Genova Cristoforo Colombo di Alberto Franchetti, subentrando dalla terza recita a Luigi Mancinelli. Fra il dicembre del 1892 e l’aprile del 1893 fu a Palermo con otto opere e nel gennaio del 1895 diresse Tannhäuser di Wagner a Genova, tornando poi nella città del debutto italiano, alla quale era legato dall’amicizia con il concittadino Giovanni Bolzoni, direttore del conservatorio, e con Giuseppe Depanis, infaticabile organizzatore della vita musicale torinese. Ottenuta la direzione della nuova orchestra municipale e del teatro Regio, fin dalla prima in italiano del Crepuscolo degli dei di Wagner (dicembre del 1895) impostò quelle che sarebbero state le linee guida del proprio repertorio. Nella stessa stagione incluse Falstaff di Verdi, che gli valse i complimenti di Arrigo Boito, e in prima a Torino Savitri di Natale Canti e Emma Liona di Antonio Lozzi, che già aveva diretto in prima assoluta rispettivamente a Bologna e a Venezia; prime cittadine furono anche quelle di Andrea Chénier di Umberto Giordano (dicembre del 1896) e di Ero e Leandro di Mancinelli (gennaio del 1898). Inoltre, presentò in prima assoluta La bohème di Giacomo Puccini il 1° febbraio 1896, Forza d’amore di Arturo Buzzi-Peccia (1897) e La Camargo di Enrico De Leva (1898).
Dal dicembre del 1896 diresse anche molti concerti sinfonici, ben quarantatré in occasione dell’Esposizione generale del 1898, includendovi la prima italiana di tre dei Pezzi sacri di Verdi, con il quale a Genova aveva concordato l’esecuzione. Contattato dalla Scala su segnalazione di Boito, vi debuttò il 26 aprile 1896 dirigendo Franz Joseph Haydn, Pëtr Il´ič Čajkovskij e Wagner.
Il 21 giugno 1897 sposò Carlotta (Carla) De Martini (1877-1951), che gli era stata presentata due anni prima a Torino dalla sorella cantante: un matrimonio destinato a durare tutta la vita e dal quale nacquero quattro figli, Walter (1898-1971), Wally (1900-1991), Giorgio (1901-1906) e Wanda (1907-1998), nonostante le frequenti relazioni extraconiugali di Toscanini, fra le quali quelle con le cantanti Rosina Storchio (che gli dette un figlio: Giovanni, detto Giovannino, nato con una disabilità gravissima, 1903-1919), Geraldine Farrar, Elsa Kurzbauer e con la pianista Ada Colleoni Mainardi.
Nel dicembre del 1898 tornò alla Scala con un contratto triennale dirigendo I maestri cantori di Norimberga di Wagner. Vi propose in prima assoluta Anton di Cesare Galeotti (1900; lo stesso anno battezzò Zazà di Leoncavallo al Lirico), Le maschere di Pietro Mascagni e, nella chiesa di S. Maria della Pace, Mosè di Lorenzo Perosi (1901), Germania di Franchetti (1902) e Oceana di Antonio Smareglia (1903), e in prima a Milano Pezzi sacri di Verdi, Iris di Mascagni, Sigfrido di Wagner (1899), Eugenio Oneghin di Čajkovskij, Tristano e Isotta di Wagner (1900), Euriante di Carl Maria von Weber, Hänsel e Gretel di Engelbert Humperdinck (1902) e il terz’atto del Parsifal wagneriano (1903).
I successi si accompagnarono però a contrasti con il consiglio direttivo e talvolta a critiche della stampa per la rigidità ritmico-metrica e i tempi spediti delle sue esecuzioni. Fra i primi è da ricordare lo scontro con i dirigenti del teatro causato dal rifiuto di Toscanini di dirigere Norma di Vincenzo Bellini per la presunta inadeguatezza della protagonista (1899). Fra le seconde l’aperta ostilità manifestata da Giulio Ricordi sulla Gazzetta musicale di Milano.
Il 27 febbraio 1901 diresse il coro Va’, pensiero dal Nabucco in occasione della traslazione delle salme di Verdi e di Giuseppina Strepponi nella Casa di riposo per musicisti, e il 27 gennaio 1902, per la prima volta, la Messa da Requiem.
I contrasti con il teatro divennero però insanabili, e il 14 aprile 1903, irritato dall’insistenza del pubblico nel pretendere un bis, abbandonò prima del termine l’ultima recita di Un ballo in maschera di Verdi e partì l’indomani per Buenos Aires, dove già aveva debuttato nel 1901.
Nel 1905 diresse a Bologna la prima di Cassandra di Vittorio Gnecchi e a Torino Sigfrido per la riapertura del Regio restaurato, accompagnandone poi l’orchestra in tournée. Due gravi lutti lo colpirono nel 1906, la morte del padre e quella per difterite del figlio Giorgio. Lo stesso anno riprese l’incarico alla Scala pretendendo sostanziali modifiche: l’abbassamento della buca dell’orchestra, il divieto di replicare pezzi, la sostituzione del vecchio sipario con un velario dalle aperture laterali. Fra le novità in programma figurarono Salomé di Richard Strauss (1906; la prova generale aperta fu programmata per la vigilia della prima italiana ufficiale, diretta dall’autore a Torino), Luisa di Gustave Charpentier, Pelleas e Melisanda di Claude Debussy (1908) e in prima assoluta Gloria di Francesco Cilea (1907). Nel maggio del 1908 il suo rifiuto di includere in un concerto musiche di Gaetano Coronaro, scomparso il mese prima, portò a un nuovo scontro con la Scala. La rottura divenne inevitabile e d’altra parte il Metropolitan di New York aveva già manifestato l’intenzione di scritturarlo. Il 16 novembre 1908 debuttò con Aida nel teatro statunitense, dove in sette anni di collaborazione presentò in prima assoluta La fanciulla del West di Puccini (1910), Madame Sans-Gêne di Giordano (1915) e in prima nazionale Le villi di Puccini (1908), La Wally di Catalani (1909), Germania di Franchetti, Armida di Christoph Willibald Gluck (1910), Ariane et Barbe-bleu di Paul Dukas (1911), Le donne curiose di Ermanno Wolf-Ferrari (1912), Boris Godunov di Modest Musorgskij (1913), L’amore dei tre re di Italo Montemezzi e L’amore medico di Wolf-Ferrari (1914).
Fra le parentesi lontano dagli Stati Uniti sono da ricordare: nel 1911 a Roma la prima italiana della Fanciulla del West e cinque concerti a Torino per l’Esposizione internazionale, nei quali incluse La mer di Debussy, che già aveva diretto due anni prima al conservatorio di Milano; nel 1912 il ritorno per quattro mesi a Buenos Aires; nel 1913 le celebrazioni del centenario verdiano alla Scala e a Busseto.
Nel 1914 Toscanini ebbe un aspro scontro con Puccini a proposito dell’intervento italiano a fianco della Triplice intesa. Durante la guerra diresse per beneficenza una stagione al Dal Verme, ma anche bande per le truppe al fronte, come il 31 agosto 1916 durante la battaglia dell’Isonzo, il che gli valse una medaglia d’argento al valor civile. Suscitò però polemiche la scelta d’includere autori tedeschi nei concerti correnti. A Roma nel 1916, mentre dirigeva Wagner, fu interrotto dal pubblico e abbandonò infuriato il podio: per quattro anni non tornò all’Augusteo, rinunciando anche al concerto nel quale avrebbe dovuto dirigere la prima delle Fontane di Roma di Ottorino Respighi.
Finita la guerra, per le elezioni del 1919, accettò la candidatura fra i Fasci italiani di combattimento per il collegio di Milano. La lista ottenne pochi voti, e Toscanini pose fine al proprio intervento in politica per dedicarsi alla riorganizzazione della Scala. Contribuì alla modifica dei criteri di gestione che la liberava dal vincolo di comproprietà dei palchettisti, rifondò l’orchestra e fra l’ottobre del 1920 e il giugno del 1921 la condusse in tournée in Italia e in Nord America, dove registrò i suoi primi dischi. Significativo gesto politico fu il concerto del 21 novembre 1920 nella Fiume occupata dai legionari di Gabriele D’Annunzio. Il 26 dicembre 1921 diresse Falstaff per la riapertura della Scala, avviando uno dei periodi più gloriosi nella storia del teatro, che ormai gli lasciava piena responsabilità su ogni aspetto dell’attività artistica. Alla cura nella restituzione del repertorio affiancò la consueta attenzione nei confronti delle novità con le prime di Dèbora e Jaéle di Ildebrando Pizzetti (1922), Nerone di Boito, completato sotto la sua supervisione da Smareglia e Vincenzo Tommasini (1924), La cena delle beffe di Giordano (1924), I cavalieri di Ekebù di Riccardo Zandonai (1925), Turandot di Puccini completata da Franco Alfano (1926), Fra Gherardo di Pizzetti (1928) e Il re di Giordano (1929).
Nel 1926 diresse tutte le sinfonie di Ludwig van Beethoven e nella stagione seguente Fidelio, poi il 26 dicembre 1928 riprese i Mastri cantori nel trentennale del suo primo incarico stabile alla Scala. Una recita di Aida del maggio del 1929, alla vigilia della tournée a Vienna e Berlino con i complessi della Scala, fu l’ultima opera da lui diretta a Milano. A Vienna portò Falstaff e Lucia di Lammermoor, poi riprese a Berlino con Rigoletto, Il trovatore, Manon Lescaut e Aida. Dal 1926 affiancò alla direzione della Scala una collaborazione con la Philharmonic Symphony di New York, divenuta poi stabile fra il 1928 e il 1936. Nel marzo del 1930 ricevette la laurea honoris causa dalla Georgetown University e in aprile accompagnò l’orchestra in tournée in Europa. In estate diresse Tannhäuser e Tristan und Isolde a Bayreuth, primo direttore non tedesco scritturato dal festival della città bavarese dedicato a Wagner. Riprese quindi l’attività a New York e in novembre debuttò con la Philadelphia Orchestra.
Il 14 maggio 1931 a Bologna per un concerto in ricordo di Martucci, essendosi rifiutato di dirigere in apertura gli inni ufficiali, all’ingresso del Comunale fu insultato e schiaffeggiato da un gruppo di fascisti: annullato il concerto, decise che non avrebbe più diretto in Italia. Nell’estate del 1931 fu di nuovo a Bayreuth con Tannhäuser e Parsifal, ma rifiutò di tornarvi nel 1933, sebbene l’invito fosse caldeggiato personalmente da Adolf Hitler, che aveva ignorato il telegramma di protesta inviatogli da Toscanini insieme a un gruppo di musicisti contro la messa al bando degli artisti ebrei dalle orchestre tedesche. Nel 1932 a New York collaborò per la prima volta con il pianista Vladimir Horowitz, che l’anno dopo sposò sua figlia Wanda. Fra il 1933 e il 1936 fu a Parigi, Bruxelles, Budapest, Praga, Stoccolma e Copenaghen e nel novembre del 1933 a Vienna per i suoi primi concerti con i Wiener Philharmoniker, poi nuovamente diretti nel 1934 a Salisburgo. Fra il 1935 e il 1939 diresse più volte la BBC Symphony a Londra e il 20 dicembre 1936 a Tel Aviv tenne il primo concerto della Palestine Orchestra fondata da Bronisław Huberman, tornando poi a dirigerla nel 1938. Fino al 1937 fu a Salisburgo con memorabili esecuzioni di Falstaff, Fidelio, Die Meistersinger e Die Zauberflöte, ma dopo l’Anschluss decise che non sarebbe più tornato in Austria. Il 25 agosto 1938 a Tribschen diresse il concerto destinato a segnare la nascita del Festival di Lucerna, che già l’estate successiva lo invitò per sette concerti.
Dimessosi dalla New York Philharmonic, nel 1937 accettò l’invito della National Broadcasting Company (NBC) a formare un’orchestra con la quale tenere concerti diffusi via radio su tutto il territorio nazionale. Con la NBC Orchestra realizzò molte registrazioni, fra le quali le opere complete Fidelio (1944), La bohème e La traviata (1946), Otello (1947), Aida (1949), Falstaff (1950), Un ballo in maschera (1954), e le riprese televisive di dieci concerti tra il 1948 e il 1952. Nell’estate del 1940 condusse l’orchestra in Sud America, nel 1941 diresse per la prima volta la Chicago Symphony e nell’aprile del 1942 l’ultimo suo ciclo beethoveniano con la New York Philharmonic. Divenuto un’icona dell’antifascismo, durante la seconda guerra mondiale si impegnò strenuamente nella propaganda contro l’Asse: il 19 luglio 1942 diresse la prima americana della Sinfonia n. 7 di Dmitrij Šostakovič come simbolo della resistenza contro l’aggressione tedesca e nel 1943 partecipò a un cortometraggio che celebrava il ruolo degli antifascisti italoamericani, includendovi un proprio arrangiamento dell’Inno delle nazioni di Verdi.
Alla fine della guerra tornò in Italia e l’11 maggio 1946 inaugurò la Scala restaurata con un concerto dedicato a Rossini, Verdi, Puccini e Boito. Il 5 dicembre 1949 fu nominato senatore a vita per alti meriti artistici, ma rinunciò alla carica. Diresse ancora più volte a Milano, fra l’altro nel 1948 una serata commemorativa di Boito, nel 1950 il Requiem di Verdi e nel 1952 il suo ultimo concerto scaligero con un programma wagneriano. Dopo tredici anni di assenza, tornò a Londra nel 1952 per un’integrale delle sinfonie di Johannes Brahms con la Philharmonia Orchestra; per il resto, a parte i periodi di riposo estivo in Italia, la sua vita proseguì negli Stati Uniti. Il 25 marzo 1954 rassegnò le dimissioni dalla NBC e il 4 aprile diresse l’ultimo concerto alla Carnegie Hall con musiche di Wagner: dopo aver avuto un vuoto di memoria riuscì comunque a portarlo in fondo, ma decise di ritirarsi definitivamente. Trascorse gli ultimi anni attendendo alla revisione delle proprie registrazioni.
Morì la mattina del 16 gennaio 1957 nella sua casa di Riverdale, in seguito a una trombosi cerebrale. Il 18 febbraio fu sepolto nel cimitero Monumentale di Milano.
Toscanini ha incarnato come nessun altro nella sua epoca l’immagine del moderno direttore d’orchestra. In sessantotto anni di carriera fu strenuo moralizzatore dei costumi esecutivi del melodramma, primo interprete di molte opere contemporanee, instancabile divulgatore del repertorio sinfonico e di Wagner in Italia, infine, durante il periodo statunitense, protagonista di un progetto artistico rivolto alle masse attraverso la radio e il disco. Dal primo ascolto nel 1879 dell’ouverture del Tannhäuser all’ultimo concerto del 1954, la sua vita artistica si dipanò sotto il segno di Wagner. Il suo stesso atteggiamento nei confronti della musica può essere ricondotto alla concezione wagneriana dell’arte più che a quella di Verdi, della quale pure resta interprete di riferimento. A questa, oltre ai rapporti diretti con il compositore, lo legarono le ragioni native e l’ambiente culturale, ma la natura totalizzante e l’ansia di assolutezza che contraddistinsero la sua personalità furono essenzialmente ispirate dall’ammirazione per Wagner. La celebrata oggettività di fronte alle partiture eseguite, il ferreo controllo dell’orchestra, l’inflessibile precisione e l’incalzante energia ritmica costituirono solo gli aspetti esteriori di una prepotente personalità interpretativa, peraltro non da tutti apprezzata (si ricordi il velenoso saggio di Theodor W. Adorno del 1958, Die Meisterschaft des Maestro, trad. it. nelle sue Immagini dialettiche: scritti musicali 1955-1965, a cura di G. Borio, Torino 2004, pp. 39-53). Di certo, nel coniugare rigore e passione seppe rappresentare un modello insostituibile per le generazioni successive.”
(Giuseppe Rossi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96, 2019, in www.treccani.it)
16 gennaio1957 muore Arturo Toscanini, violoncellista e direttore d’orchestra italiano (nato nel 1867)
- Ascoltare la direzione di Arturo Toscanini:
Dmitri Shostakovich (1906-1975) Sinfonia No.7 in Do Maggiore, Op.60 "Leningrado" (1941). Registrazione della prima esecuzione assoluta americana diretta da Arturo Toscanini il 19 Luglio 1942.
I. Allegretto
II. Moderato (poco allegretto)
III. Adagio
IV. Allegro non troppo.
NBC Symphony Orchestra Direttore: Arturo Toscanini. (NBC Studio 8 H, NYC. July, 19, 1942).
Un brano musicale al giorno
- Sylvia, balletto in due atti su musica di Léo Delibes
“Sylvia (originariamente Sylvia ou La Nymphe de Diane) è un balletto in due o tre atti con musiche di Léo Delibes. La prima assoluta ebbe luogo il 14 giugno 1876, con le coreografie di Louis Mérante. Gli interpreti furono: Rita Sangalli (Sylvia), Louis Mérante (Aminta), Marco Magri (Orione), Marie Sanlaville (Eros), Louse Marquet (Diana). Degna di nota è la componente mitologica arcadica del soggetto.
Le origini del balletto risiedono nel poema Aminta di Torquato Tasso del 1573, che descrive la trama alla base delle musiche di Delibes. Jules Barbier e Baron de Reinach adattarono il balletto per la compagnia dell'Opéra di Parigi. L'arrangiamento con il piano fu composto intorno al 1876 e la suite dell'orchestra fu ultimata nel 1880.
Quando Sylvia esordì il 14 giugno, 1876 al Opéra Garnier, il balletto passò inosservato per più di sette produzioni: non avvenne il successo auspicato. Nel 1946 avviene la centocinquantesima recita al Palais Garnier e nel 1952, il coreografo Sir Frederick Ashton allestì nuovamente una versione del balletto: il successo arrivò.”
( In wikipedia.org)
Nel 1997 John Neumeier crea per l’Opéra di Parigi Sylvia, balletto in due atti su musica di Léo Delibes e con la scenografia e i costumi del pittore greco Yannis Kokkos. Al debutto gli interpreti principali sono Monique Loudières (Sylvia), Elisabeth Platel (Diana), Manuel Legris (Aminta), Nicolas Le Riche (Amor/Orion) e José Martinez (Endymion). Pur mantenendo i personaggi originali, Neumeier sviluppa una nuova drammaturgia ambientata ai nostri giorni e ispirata alla personalità della Loudières. Questa versione, attraverso la concentrazione dell'azione sulle situazioni emotive e l'essenzialità della scenografia caratterizzata dall'alternanza di colori secondo i vari spazi scenici, prende le distanze dal balletto originale. Nel filmato, girato all’Opéra Bastille di Parigi nel 2005, gli interpreti principali sono: Aurélie Dupont (Sylvia), Marie-Agnès Gillot (Diana), Manuel Legris (Aminta), Nicolas Le Riche (Amor/Orion) e José Martinez (Endymion).
“Clément Philibert Léo Delibes (St. Germain-du-Val, 21 febbraio 1836 - Parigi, 16 gennaio 1891) compositore francese.
Delibes nacque nel 1836, figlio di un postino e di una musicista, ma anche nipote di un cantante lirico. Fu cresciuto dalla madre e dallo zio perché il padre morì molto presto. Nel 1871, all'età di 35 anni, il compositore sposò Léontine Estelle Denain. Delibes morì vent'anni dopo nel 1891 e fu sepolto nel cimitero di Montmartre a Parigi.
A cominciare dal 1847, Delibes studiò composizione al Conservatorio di Parigi come allievo di Adolphe Adam, l'autore del celeberrimo balletto Giselle. Un anno dopo iniziò a studiare canto, ma si dimostrò molto più capace come organista che come cantante.
Ebbe degli incarichi come accompagnatore per le prove e maestro del coro al Théâtre Lyrique, secondo maestro del coro all'Opéra di Parigi (1864) e organista nella chiesa di Saint-Pierre-de-Chaillot tra il 1865 e il 1871.
La prima delle sue tante operette (ne scrisse circa una ogni anno) fu Deux sous le charbon, scritta nel 1856 per le Folies-Nouvelles con Hervé come tenore.
Delibes arrivò alla vera fama nel 1870 con il successo del balletto Coppélia per il quale compose la musica. Il titolo si riferisce ad una bambola meccanica e prende spunto dal racconto fantastico L'uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann. Delibes scrisse la musica per altri balletti quali Sylvia (1876) e La Source (1866), che scrisse con Léon Minkus.
Delibes compose anche varie opere liriche, l'ultima (completa) delle quali, la sontuosa e orientaleggiante Lakmé (1883), contiene, tra i vari numeri accattivanti, il famoso "pezzo forte" rappresentato dalla scena della protagonista, nota come Légende du Paria o Aria delle Campanelle, e il Duetto dei Fiori, una barcarola. A quel tempo le sue opere liriche impressionarono Čajkovskij al punto tale che egli considerava Delibes molto più capace di Brahms.
Nel 1867 Delibes compose Divertissement e Le Jardin Animé per un revival del balletto di Joseph Mazilier/Adolphe Adam dal titolo Le Corsaire. Scrisse una messa, una cantata su Algeri e compose operette e musiche di scena per il teatro, come le danze e arie per la pièce di Victor Hugo Le roi s'amuse (lo stesso dramma utilizzato anche da Verdi per il suo Rigoletto).
Nel 1925 avvenne la prima assoluta del balletto Soir de fête su musiche di Delibes al Palais Garnier di Parigi dove nel 1931 arriva alla centesima recita.”
(In wikipedia.org)
16 gennaio 1891 muore Léo Delibes, pianista e compositore francese (nato nel 1836).
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
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Ugo Brusaporco
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