L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno V. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
MANHATTAN MERRY-GO-ROUND (Mischa il fachiro, US, 1937), regia di Charles Reisner. Prodotto da Harry Sauber (produttore associato). Scritto da Frank Hummert (rivista musicale), Harry Sauber (sceneggiatura). Musiche: Alberto Colombo. Fotografia: Jack A. Marta. Montaggio: Ernest J. Nims. Cast: Phil Regan nel ruolo di Jerry Hart. Leo Carrillo come Tony Gordoni. Ann Dvorak nel ruolo di Ann Rogers. Tamara Geva nel ruolo di Madame "Charlie" Charlizzini. James Gleason nel ruolo di Danny The Duck. Ted Lewis e la sua orchestra come se stessi. Cab Calloway e la sua orchestra del Cotton Club come se stessi. Kay Thompson e il suo gruppo come se stessi. Joe DiMaggio come se stesso - il giocatore di baseball. Henry Armetta come Spadoni. Luis Alberni come Martinetti, l'Impresario. Max Terhune nel ruolo di se stesso, Alibi - il Ventriloquo. Smiley Burnette come Frog - Suonatore di fisarmonica. Louis Prima e la sua band come se stessi. Gene Autry nel ruolo di se stesso - la Cowboy Star. Louis Prima, Jack Adair, Dorothy Arnold, Stanley Blystone, Hal Craig, Gennaro Curci, Virginia Dabney, Anna Demetrio, Neal Dodd, Ralph Edwards, Elmer, Sam Finn, Al Herman, Jack Jenney e la sua Orchestra, Selmer Jackson, Kay Thompson. Appaiono anche Eddie Kane, Joe King, The Lathrops, Whitey's Lindy Hoppers, Frankie Marvin, Nellie V. Nichols, Moroni Olsen, Bob Perry, Al Rinker, Rosalean e Seville, Gertrude Short e Thelma Wunder.
Una rivista musicale con un cast stellare che include Cab Calloway e la sua Orchestra, Ted Lewis e la sua Orchestra, Louis Prima e la sua Band, Gene Autry e Joe Di Maggio. Manhattan Merry-Go-Round ha una trama sui gangster che prendono il controllo di una stazione radio. Variety Magazine del giorno ha dichiarato: "Tanto talento e novità sono stati compressi entro i limiti del film che i clienti non osano starnutire per paura di perdere qualcosa".
Manhattan Merry-Go-Round è un film per chi è poco esigente, è un film divertente. La trama non è importante. Sono alcune trovate, le musiche e altri particolari che sono disseminati nel film a renderlo interessante. Ad esempio, c'è Joe Di Maggio che gorgoglia un po' prima di raccontare una storia sulla sua brillante carriera nel baseball. C'è l'esclusiva Kay Thompson in una delle sue rare apparizioni sullo schermo, che presta la sua magia speciale a "I Owe You" e "All Over Nothing at All", e il sempre divertente Cab Calloway. I fan di Ted Lewis lo troveranno in un paio di numeri e il dolce canto della star Phil Regan ci accompagna piacevolmente per tutto il film, insieme alla star dei cowboy Gene Autry. Regan si comporta anche abbastanza bene nelle parti che reggono la trama del film, così come la dolce Ann Dvorak. Tamara Geva ravviva le cose con il suo fare da diva, James Gleason è un gangster interessante e Leo Carrillo fa del suo meglio con il suo personaggio con una sola nota. La regia è un po' incerta a volte, i numeri sono girati in modo statico e la sceneggiatura è davvero leggera, ma è un film piacevole.”
(In www.allmovie.com)
- Il film: Manhattan Merry Go Around - Full Movie | Phil Regan, Leo Carrillo, Ann Dvorak, Tamara Geva
Un’attrice, ballerina:
Tamara Levkievna Geva (nata Ževeržeeva, Жеверже́ева- San Pietroburgo, 17 marzo 1907 - New York, 9 dicembre 1997), attrice, ballerina e coreografa russa con cittadinanza statunitense, maggiormente nota per le sue interpretazioni ne Ein Sommernachtstraum (1925), Voglio essere più amata (1942) e Night Plane from Chungking (1943). Fu la prima moglie di George Balanchine.
Nasce a San Pietroburgo sotto il nome di Tamara Ževeržeeva. Cresce in una grande villa del diciottesimo secolo e studia danza sin da piccola. Frequenta la scuola di danza Kirov a Leningrado, prendendo anche lezioni private. Alla scuola di danza del Balletto Mariinskij conosce George Balanchine e lo sposa nel 1923, a 16 anni. Successivamente, la coppia entra nei Balletti russi di Sergej Djagilev dove Geva non è soddisfatta delle limitate possibilità nella compagnia: decide di unirsi alla compagnia di Nikita Balieff, la Chauve-Souris, che si esibisce a New York nel 1927. Dopo il divorzio con Balanchine, avvenuto nel 1926, sposa gli attori statunitensi Karp Davidoff (nato Garabed Tavitjan; 1897-1982) e John Emery (1905-1964), pur non avendo figli. A Broadway ottiene successo e resta a vivere a New York, recitando sia a teatro sia in alcune pellicole cinematografiche. Nel 1972 pubblica la sua autobiografia, Split Seconds. Muore a 90 anni nella sua casa di Manhattan.”
(In wikipedia.org)
“Tamara Geva nacque a San Pietroburgo, nell'impero russo il 17 marzo 1906 con il cognome Zheverzheeva, a volte scritto Gevergeyeva (russo: Тамара Жевержеева). La madre di Geva era la famosa attrice Tamara Urtahl e suo padre era un appassionato collezionista e appassionato d'arte Levko Gevergeyev (o Gevergeyev).
Suo padre era conosciuto come un libero pensatore. Ha sponsorizzato artisti d'avanguardia russi e i loro progetti attraverso il suo entusiasmo per l'arte. Geva ha descritto sua madre, Tamara Urthal, come una donna bella ma egoista. I suoi genitori non potevano sposarsi fino a quando la loro figlia non aveva sei anni. Da bambina, ha vissuto in un'enorme casa del XIX secolo (la casa di Ivan Zheverzheev in Rubinstein Street, 18) che aveva una vasta collezione di arte, libri e teatro, nonché un teatro in miniatura, tutto organizzato da suo padre e dai suoi anni di collezionando tali manufatti. Suo padre aveva agenti dappertutto che trovavano arte, scritti e manufatti di una varietà di artisti famosi da aggiungere alla sua enorme collezione. Geva ha detto che questa collezione era il bene più prezioso di suo padre. Dopo la fine della rivoluzione russa e la morte di Levko, la sua vasta collezione di ricordi teatrali è stata conservata ed esposta al Museo statale di teatro e musica di San Pietroburgo. Geva è cresciuta nel bel mezzo della rivoluzione bolscevica, dove ha vissuto vere difficoltà nella sua giovinezza.
Tamara ha iniziato la sua formazione di balletto prendendo lezioni private in studi di danza con importanti insegnanti come Evgenia Sokolova e Alexander e Ivan Chekrygin. All'età di 13 anni iniziò a frequentare i corsi di danza alla Mariinsky Theatre School di San Pietroburgo, quando iniziò ad accettare studenti più grandi per i corsi serali subito dopo la rivoluzione. Queste lezioni serali erano separate in base al sesso, quindi l'unica volta che i ragazzi e le ragazze interagivano era durante le lezioni di ballo da sala. Fu qui che conobbe il ballerino e coreografo George Balanchine, che all'epoca era l'insegnante per le lezioni di ballo da sala. Lei e Balanchine si sono avvicinati poco dopo e lui ha iniziato a coreografare pezzi per entrambi. Una delle prime cose che hanno fatto è stata La Nuit su Romance in mi bemolle di Anton Rubenstein. Geva ricorda che il pubblico pensava che fosse "terribilmente erotico".
Durante la rivoluzione Balanchine si trasferì con la famiglia di Geva. Per sbarcare il lunario i due si esibivano in piccoli teatri eseguendo balli coreografati da Balanchine e musiche cantate da Geva, accompagnate da Balanchine. Ha sposato Balanchine nel 1924, quando aveva 17 anni. Poco dopo, la coppia ha lasciato la Russia.
Mentre la coppia era ancora in Russia, Geva e Balanchine iniziarono ad apparire insieme professionalmente in concerti di balletto. Nel 1924, la coppia incontrò Anton Dolin, uno dei ballerini famosi di Sergei Diaghilev. Dolin ha suggerito loro di fare un provino per i Ballet Russes di Diaghilev. Diaghilev è stato subito colpito dalla coppia e li ha assunti sul posto per unirsi ai Ballet Russes. Balanchine e Geva abbandonarono la Russia sovietica e partirono per un tour in Europa con Diaghilev come parte dei Ballets Russes.
Geva fece parte dei Ballet Russes per 2 anni e mezzo dal 1924 al 1927 durante i quali si esibirono in luoghi come Parigi e Monte Carlo. Geva si esibì in Il trionfo di Nettuno con i Ballet Russes nel 1926 dove indossava un costume fatto di piccoli specchietti che pesava 75 libbre. Geva ricordava che Diaghilev aveva sempre un'aria superiore e che spesso guardava gli altri dall'alto in basso, ma poteva anche attivare il suo fascino in qualsiasi momento ne avesse bisogno. Diaghilev ha spesso trattenuto Geva nel corpo di ballo, ma lei ha lasciato la compagnia abbastanza presto per trovare un lavoro più appagante.
Nel 1927, Geva lasciò l'Europa e si recò in America durante un tour con Chauve-Souris di Nikita Balieff. Durante questo periodo, ha introdotto la coreografia di Balanchine a New York City, dove ha ballato tre assoli coreografati per lei da lui. Ha presentato in anteprima questi tre brani intitolati Romanesque, Grotesque Espagnol con musiche di Albeniz e Sarcasms con musiche di Prokofiev al Cosmopolitan Theatre ed è stata chiamata "una star russa". Dopo questo, Geva ha iniziato a esibirsi con le Ziegfeld Follies. Successivamente Geva si spostò verso Broadway dove apparve in numerosi musical degni di nota tra il 1925 e il 1953, tra cui Three's A Crowd (1930), Flying Colors (1932) e Whoopee! (1934). Ha amato danzare a Broadway come interprete, ma ha anche avuto la possibilità di coreografare molti brani in queste produzioni. Ha coreografato la danza "Talkative Toes" per Three's a Crowd e "Two Faced Woman" in Flying Colours.
Nel 1935 Geva si esibì con l'American Ballet, la compagnia di balletto di Balanchine a New York. Si è esibita nella loro prima esibizione dove ha ballato in Errante con musiche di Schubert. In seguito si è immersa nel lavoro cinematografico e teatrale durante il soggiorno in America. Nel 1936, è stata accoppiata con l'attore Ray Bolger in On Your Toes di Rodgers and Hart. In On Your Toes, ha ballato nella drammatica sequenza "Slaughter on Tenth Avenue" e in una parodia coreografata da Balanchine e composta da Dick Rodgers. Il critico del New York Times Brooks Atkinson ha descritto la sua performance come "magnifica", aggiungendo che "può burlesca con l'autorità di un artista in vacanza".
Ha continuato a recitare in produzioni delle opere di Euripide, George Bernard Shaw e Jean-Paul Sartre. Ha recitato in The Trojan Women di Euripide, dove ha interpretato Elena di Troia a New York nel 1941, e nella produzione di Los Angeles di No Exit di Sartre nel 1947.
Nel 1953 Geva ha interpretato il personaggio di Lina Szczepanowska, un'acrobata sarcastica in un revival newyorkese di Misalliance di George Bernard Shaw. Il cast includeva Roddy McDowall e Richard Kiley. Nel 1959, Geva e Haila Stoddard hanno creato Come Play With Me, una commedia musicale con una colonna sonora scritta da Dana Suesse, che aveva avuto una breve corsa off-Broadway. È stata la coreografa principale del film di Ben Hecht Spectre of the Rose (1946), basato sulla leggenda di Nijinsky. La sua ultima performance in assoluto è stata sullo schermo in Frevel (1983).
Geva fu la prima delle quattro mogli di Balanchine, tutte danzatrici. Divorziarono nel 1926, ma rimasero buoni amici e lavorarono costantemente insieme durante entrambe le loro carriere. In seguito Geva sposò Kapa Davidoff (1897-1982). Davidoff era un attore e dirigente di moda che era stato precedentemente sposato con una aviatrice, Lucia Davidova. Finirono per divorziare. Nel 1942 Geva si risposò, questa volta con l'attore americano John Emery, ex marito di Tallulah Bankhead; quell'unione finì con il divorzio nel 1963. Geva non ebbe mai figli.
Tamara Geva è morta il 9 dicembre 1997, all'età di 91 anni, nella sua casa di Manhattan per cause naturali”
(Traduzione di Ugo Brusaporco da wikipedia.org)
Una poesia al giorno
Oimè infelice! Che più temo, o spero?, di Corilla Olimpica (in Rime degli Arcadi, vol. 3, pag. 137)
Oimè infelice! Che più temo, o spero?
Già la condanna di mia trista sorte
Ha di sua man segnato amore: a morte
Tratta mi vuol dal mio duol aspro e fero.
Per far più crudo il mio morir, l'altero
De i passati piacer m'apre le porte,
E me gli addita, e ‘l suon di mie ritorte
Fammi udire, onde il cor fu prigioniero.
Ah! voi più fidi, ma infelici amanti,
Spettatori accorrete al mio periglio,
A ravvisare un ben cangiato in pianti.
E finché regna in voi ragion, consiglio,
Non seguite un piacer di brevi istanti,
Che de l'inganno e de la morte è figlio.
“MORELLI, Maria Maddalena (Corilla Olimpica) nacque a Pistoia il 17 marzo 1727 da Iacopo, eccellente musicista, primo violinista nella cappella dei musici della cattedrale, e da Maria Caterina Buonamici.
Educata nel collegio delle salesiane di Pistoia, nel 1746 si trasferì a Firenze, dove iniziò a esibirsi nelle conversazioni e accademie private improvvisando in poesia e suonando clavicembalo e violino. La principessa Vittoria Rospigliosi-Pallavicini la condusse con sé a Roma e, all’età di circa vent’anni, durante la custodia di Michele Giuseppe Morei, fu ascritta all’Arcadia con il nome di Corilla Olimpica (Roma, Biblioteca dell’Accademia dell’Arcadia, Cataloghi mss., IV, c. 482).
Si trasferì quindi a Napoli nel decennio 1750-1760, sotto la protezione di Faustina Pignatelli, principessa di Colobrano. Nel 1751 dedicò a Pietro Metastasio il capitolo Dalle felici gloriose sponde, invitando il poeta a una gara d’improvvisazione: questi, pur declinando l’invito, diede un lusinghiero giudizio della giovane poetessa in una lettera alla contessa di Sangro (da Vienna, 6 maggio 1751: cfr. Tutte le opere di Metastasio, a cura di B. Brunelli, III, Lettere con indice delle persone…, Milano 1952, p. 636).
Nello stesso anno Morelli fu accolta nell’Accademia degli Agiati di Rovereto col nome, anagrammato, di Madonna Damerilla. Nel 1753 s’impegnò in gare poetiche a distanza con Francesco Maria Zanotti, che le inviò un sonetto sullo studio della geometria al quale rispose con Rotta è la cetra e l’apollinea fronda, e con Giuseppe Passeri (Fileno amabile). Nello stesso anno il capitolo diretto a Metastasio fu inserito nel Saggio di poesie scelte filosofiche ed eroiche (I, Firenze 1753).
Durante il soggiorno napoletano Morelli contrasse matrimonio con un gentiluomo spagnolo, addetto alla segreteria di Guerra, Ferdinando Fernández, dal quale ebbe un figlio, Angiolo. Ma dopo non molto si separò dal marito, che rimase con il figlio, e fece ritorno a Roma presso la famiglia Rospigliosi-Pallavicini, della quale era stata ospite prima del soggiorno napoletano. La nuova permanenza romana, tuttavia, non durò a lungo e per motivi non chiari Morelli lasciò improvvisamente Roma nel 1760. Negli anni successivi viaggiò per l’Italia, dove continuò con successo a esibirsi in improvvisazioni poetiche e, secondo voci correnti, in intrighi amorosi.
A Pisa incontrò anche Giacomo Casanova che ne lasciò un ritratto, ammirato e circospetto, nell’Histoire de ma vie (III, Paris 1993, pp. 755-758). A Siena, dove Pietro Belli, sentendola improvvisare, le dedicò una lunga canzone, Morelli fondò il galante e poetico ordine dei Cavalieri Olimpici, a Parma strinse amicizia con Giuseppe Maria Pagnini e con Carlo Innocenzo Frugoni, che le dedicò un sonetto. Fu quindi a Bologna dove alcuni suoi versi sotto il nome di Madonna Damerilla dell’Accademia degli Agiati furono pubblicati in Per le chiarissime nozze del nobile uomo signor conte Prospero Ferdinando Ranuzzi Cospi […] con Maria Maddalena Grassi (Bologna 1763). Seguì quindi a Venezia un nobile della famiglia Cornaro ma fu poi persuasa a ritornare a Bologna da un avventuriero, Giulio Perilli, che le chiese anche del denaro in prestito, mai restituito. A Bologna compose il canto In lode della sac. m. imp.… Maria Teresa imperatrice regina… coronandosi …l’arciduca Giuseppe (Bologna 1764; 2ª ed., Venezia 1765): il componimento, portato all’imperatrice dal maresciallo Antonio Botta Adorno, venne apprezzato anche da Metastasio (cfr. lettera a Carlo Valenti, da Vienna 22 luglio 1764: in Tutte le opere…, cit., IV, Milano 1954, p. 370) e le valse, l’anno successivo, un invito a Innsbruck presso la Corte imperiale. Morelli si esibì in occasione delle nozze di Pietro Leopoldo con Maria Luisa di Borbone, e poi a Vienna. Durante il viaggio di ritorno incontrò a Bologna il marchese Lorenzo Ginori, con il quale stabilì un legame di affettuosa amicizia che durò per tutta la vita.
Nominata poetessa di corte del Granducato di Toscana, si stabilì a Firenze in una casa di Via della Forca (attualmente Via F. Zannetti), prendendo con sé la sorella Maria Giovanna. Il ministro Pompeo Neri le dedicò il lungo ditirambo Tu se’ il mio grande, e luminoso Apollo, esortandola ad abbandonare la poesia d’occasione per dedicarsi alla poesia civile, ma l’invito rimase, saggiamente, inascoltato: nell’ambito delle sue funzioni ufficiali di poeta di corte compose l’Ode alla fecondità (Firenze 1767) per la nascita della figlia di Maria Luisa e di Pietro Leopoldo di Toscana e, nel 1768, improvvisò il sonetto Se quei, che tanto alla Città Latina per la predica quaresimale del padre Lorenzo Fusconi in S. Croce.
Probabilmente nel 1769, con la nomina a direttore della musica a corte, il compositore livornese Pietro Nardini iniziò una lunga collaborazione con la poetessa, accompagnandola con il violino nelle sue esibizioni. L’unica aria di Morelli con il testo in musica pervenutoci, Sogno, ma te non miro fu raccolta da Karl Ludwig Fernow nel saggio Über die Improvisatoren, nelle sue Römische Studien (I-III, Zürich 1806, II, tav. 2), ma Charles Burney che, a Firenze nel settembre del 1770 frequentò la casa di Morelli, ha lasciato un’importante testimonianza sulle singolari modalità delle sue esecuzioni: «La celebre improvvisatrice Corilla, violinista, allieva di Nardini; suona lo strumento tenendolo in grembo, assomigliando così alla decima Musa come è stata spesso definita. Oltre al suo straordinario talento nell’improvvisare versi su qualsiasi soggetto, è capace di suonare una parte di ripieno sul violino, e canta con grande espressione ed abilità: quasi ogni sera tiene una conversazione assai frequentata da stranieri e da letterati di passaggio a Firenze. Qualche volta, in serate più tranquille, ci trovammo a casa sua soltanto con Nardini ed insieme a lei suonammo dei trii: Nardini nella parte di violino principale, Corilla in quella di secondo violino, ed io li accompagnavo con la viola» (cfr. Ch. Burney, Viaggio musicale in Italia, Torino 1979, p. 224).
A lungo ritenuta non attribuibile a Morelli, per il contenuto assai libero e spregiudicato, fu l’anacreontica Ogni cura in abbandono (1772), uno fra i pochi componimenti a soggetto erotico della poetessa, insieme al ditirambo Delirio amoroso. La fama di Morelli, attraverso Alexej Orlow, che soggiornò a Livorno tra il 1770 e il 1772, per il quale compose alcune terzine, e il barone Friedrich Melchior von Grimm, raggiunse la zarina Caterina II: un’Ode in onore dell’imperatrice russa fu in parte anticipata nelle Novelle letterarie (26 novembre 1773, col. 756).
Sul finire del 1774, accompagnata dal marchese Lorenzo Ginori e da Nardini, Morelli si trasferì a Roma. Il terreno per il rientro romano era stato preparato dall’abate Giacinto Cerutti e dal principe Luigi Gonzaga di Castiglione in accordo con l’abate Gioacchino Pizzi, custode generale dell’Arcadia. Nell’adunanza generale straordinaria dell’Arcadia del 12 gennaio 1775 avvenne l’acclamazione della poetessa e Morelli improvvisò nel Serbatoio il sonetto Dopo tre lustri alfin mi guida Amore. Altri due sonetti di Morelli recitati in Arcadia furono dedicati al dio d’Amore, Passeggia pure baldanzosamente e Ritorna, o Amore, a impiagarmi il petto. Il 9 febbraio successivo Pizzi annunciò l’incoronazione in Arcadia nella successiva adunanza, che avvenne il 16 febbraio. Per l’occasione Morelli improvvisò un sonetto per l’incoronazione di Pio VI, appena eletto al pontificato. La cronaca dell’avvenimento venne tramandata a stampa nell’Adunanza tenuta dagli Arcadi per la coronazione della celebre pastorella Corilla Olimpica, Roma 1775.
Rientrata a Firenze, inviò all’Arcadia in occasione dell’acclamazione di Carlo Emanuele di Piemonte e di Maria Clotilde l’epitalamio L’Ara d’amore (poi in Adunanza tenuta dagli Arcadi il 30 novembre 1775, Roma 1775). Nell’autunno successivo la poetessa ritornò a Roma e fu associata alla nobiltà romana, primo passo per l’incoronazione in Campidoglio, onore già riservato a un altro improvvisatore toscano, Bernardino Perfetti, protetto da Violante Beatrice di Baviera e ch’era stato incoronato nel 1725 sotto il custodiato di Giovanni Mario Crescimbeni.
Fu Pizzi a promuovere l’incoronazione poetica in Campidoglio di Morelli, provocando subito qualche opposizione e la defezione di alcuni arcadi che lasciarono l’Accademia per fondarne un’altra, detta dei Forti. Ottenuto da Pizzi il consenso del Senato, l’approvazione papale arrivò il 10 luglio 1776. Il 14 luglio fu stabilito che Morelli avrebbe risposto improvvisando su dodici temi: storia sacra e religione rivelata, filosofia, morale, fisica, metafisica, poesia eroica, legislazione, eloquenza, mitologia, armonia, belle arti, poesia pastorale. Furono eletti i giudici e stabilite le prove (nelle sere del 2, 9 e 19 agosto), da tenersi in casa del principe Gonzaga. Morelli superò brillantemente l’esame, i dodici esaminatori ne rilasciarono una certificazione e Pizzi riferì l’esito al Senato. La poetessa fu incoronata in Campidoglio il 31 agosto, in tarda serata, per cercare di limitare le proteste del partito contrario. La cerimonia avvenne non senza contestazioni e la polemica coinvolse, insieme con Morelli, Gonzaga, Pizzi, il Senato romano, l’Arcadia e lo stesso Pio VI. Raccolte di composizioni satiriche e libelli infamanti circolarono per tutta Italia. L’abate Roberto Pucci, autore di un dramma satirico sull’incoronazione poetica fu arrestato con il suo complice, processato e condannato a morte, ma poi graziato dopo alcuni mesi di carcere.
Il rientro precipitoso a Firenze dopo l’incoronazione in Campidoglio non fu sufficiente a soffocare lo scandalo, e le polemiche e le satire giunsero presto anche in Toscana. Cerutti e Gonzaga, che avevano spinta la poetessa, dapprima riluttante, ad accettare l’incoronazione capitolina, l’abbandonarono subito, lasciandola da sola ad affrontare critiche e dileggi. Delusa e amareggiata, Morelli compose il sonetto Folle desio di ambizion fallace, mentre il marchese Ginori commissionò a Giovanni Zanobi Weber una medaglia con il ritratto di Corilla e un’allusione all’episodio (alcuni selvaggi, a rappresentare i denigratori di Corilla, scagliano delle frecce che ricadono su loro stessi). Intanto a consolarla da Roma con lettere condite di buon senso e affetto provvedeva l’abate Giovanni Cristofano Amaduzzi, erudito compilatore delle Effemeridi, con il quale Morelli intrattenne un fitto carteggio fino alla morte del religioso, avvenuta nel 1792.
La tempesta cominciò a placarsi solo nell’anno successivo. In seguito alla pubblicazione del Canto per Caterina di Russia, fu invitata a raggiungere la corte imperiale di San Pietroburgo. A lungo fu incerta se accettare il prestigioso invito ma il clima e la salute la convinsero a rimanere a Firenze. Nella Nuova raccolta di opuscoli di Angelo Calogerà fu pubblicato il resoconto dell’incoronazione fatto da Amaduzzi (XXXI, Venezia 1777), ma la promessa pubblicazione celebrativa subiva preoccupanti e inspiegabili ritardi. Solo nel 1779, con la data del 30 giugno, apparvero, stampati a Parma da Giovanni Battista Bodoni, gli Atti della solenne coronazione fatta in Campidoglio della insigne poetessa Corilla Olimpica. Nell’agosto dello stesso anno Zanobi Weber forgiò una nuova medaglia con l’effigie di Corilla. L’affaire poteva dirsi concluso, ma le condizioni di salute della poetessa erano ancora precarie, si aggiunsero rovesci finanziari (confidava ad Amaduzzi il 17 agosto 1779: «i siciliani mi hanno mangiato tutto il capitale che avevo perché feci un vitalizio con uno di questa stirpe di Caino e mi ha canzonato bene») e un furto nella sua casa la privò di gioielli e oggetti di valore. In autunno si recarono a farle visita Ippolito Pindemonte e Giuseppe Maria Pagnini.
Databile forse alla fine del 1779, se può essere messa in connessione con la notizia apparsa nelle gazzette della commissione a Pompeo Batoni di un quadro con lo stesso soggetto per il re del Portogallo, è l’elegia Al core di Gesù. Tra i pochi componimenti religiosi di Morelli, è un capitolo in terza rima dantesca, ispirato alla devozione del Sacro Cuore secondo la visione di Margherita Maria Alacoque, in cui abilmente si mescolano devozione e sensualità. Di ispirazione religiosa sono anche i quattro sonetti pubblicati di lì a poco: Iddio, che impera a l’universo intero; Quando, alma mia, da la prigion dolente; Oimé infelice! Che più temo, o spero?; Santa Religion, dentro il mio core (per cui si rimanda a: Rime degli Arcadi, XIII, Roma 1780, pp. 136-139).
L’11 gennaio 1780 Morelli fu invitata a improvvisare a corte per l’arciduchessa di Milano Maria Beatrice d’Este, moglie di Ferdinando d’Austria. Per commemorare la morte del pittore e arcade Anton Raphael Mengs, Pizzi le chiese alcuni versi da inserire in raccolta: la poetessa dapprima si schermì, poi ne propose alcuni fingendo di non esserne l’autrice, nel timore che il nuovo stile non sarebbe stato apprezzato dall’Accademia. Fu infine solo il sonetto Morte ruotando al Vaticano intorno a essere incluso nella raccolta Per l’adunanza degli Arcadi in morte del cavalier Antonio Raffaele Mengs (Roma 1780). Altri sonetti celebrativi furono composti da Morelli per la scomparsa di Maria Teresa, morta il 29 novembre 1780, e la successione di Giuseppe II (L’astro più bello che splendesse in terra; Tolto di mano alla superba morte). Nel 1782 le fu assegnata una pensione annua di 100 zecchini dall’imperatrice Caterina II e in settembre incontrò la duchessa di Parma Maria Amalia d’Asburgo. L’anno successivo combinò il matrimonio dell’amico Lorenzo Ginori con Francesca Lisci e ne festeggiò le nozze con il sonetto Questa, che t’offro sull’april degli anni. Nell’agosto del 1785 improvvisò per i regnanti Ferdinando IV e Carolina delle Due Sicilie in visita a Firenze e fu invitata alla corte di Napoli, dove trascorse l’inverno. Fece ritorno a Firenze nell’estate dell’anno successivo, dopo aver soggiornato di nuovo a Roma, accolta cordialmente dal cardinale Giuseppe Garampi e dall’ambasciatore Andrea Memmo, ottenendo finalmente un’udienza dal pontefice Pio VI.
Commemorò con un sonetto anche la morte di Federico II di Prussia, nel 1786, cui seguirono, nel 1787, un sonetto per l’onomastico della sovrana Maria Luisa (Dal dolce sonno appena io mi svegliai) e uno per la nascita del figlio di Ginori, poi due sonetti per la vittoria riportata dai Russi sui Turchi nel 1788 (Quella che a Mosca e a Peterburgo impera e L’auguste navi che dal Russo Impero). Per le nozze della nipote Melania con il pittore Antonio Meucci, avvenute il 16 novembre 1789, compose l’epitalamio Favole sono della gente Ascrea; per la morte dell’abate Pizzi, nel 1790, i sonetti Cetra, che fosti già gradito dono e In qual diverso aspetto, in negro ammanto. Per la visita a Pistoia del granduca Ferdinando III e Luisa Amalia di Borbone, nel 1791, improvvisò il sonetto Della Patria mi guida il Genio amato. Nel settembre dello stesso anno morì Ginori e, l’anno successivo, Amaduzzi.
Nel 1793 Morelli invitò la giovane poetessa Teresa Bandettini Landucci (Amarilli Etrusca), nella quale riconobbe una sua degna continuatrice, e improvvisò per lei il sonetto Anglico e picciol dono con il quale accompagnò il dono di un portafoglio inglese. Nel 1794 Bodoni stampò, dedicato Alla nobilissima e valorosissima dama miss Cornelia Knight, il sonetto O dell’alma natura imitatrice, ch’è da ritenersi forse la sua ultima opera.
Colpita da apoplessia nel 1797, visse ancora tre anni. Nel 1798 morì il marito, che era allora colonnello e governatore del presidio di Orbetello. Il 15 giugno 1799 Morelli dettò il testamento. In segno di devozione, e seguendo l’esempio di Bernardino Perfetti, offrì la sua corona poetica alla Madonna dell’Umiltà.
Morì a Firenze l’8 novembre 1800 e fu sepolta nell’oratorio di S. Francesco di Paola. Il generale Sextius-Alexandre- François de Miollis, comandante delle truppe francesi a Firenze, le decretò solenni onoranze da tenersi all’Accademia Fiorentina.
A differenza della maggior parte dei poeti estemporanei, Morelli non volle mai raccogliere i suoi componimenti per le stampe. Fiera del suo talento ma anche rispettosa della peculiarità e dei limiti della sua arte, fu pienamente consapevole dell’impossibilità di preservarne intatto il valore al di fuori dell’esecuzione pubblica, lontano da quell’aura di entusiasmo e di esaltazione reciproca che univa l’improvvisatore ai suoi uditori. Considerata la migliore improvvisatrice del suo tempo, di carattere libero e indipendente, prima e unica donna a essere incoronata in Campidoglio e a diventare poeta di corte, fu presa a modello da generazioni di poetesse, e la sua vita ispirò a Madame de Staël il romanzo Corinne ou l’Italie (Paris 1807).”
(Marco Catucci - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76, 2012, in www.treccani.it)
Un fatto al giorno
17 marzo 1986: Italia, si scopre lo scandalo del vino al metanolo, 23 i morti accertati. “Lo scandalo del vino al metanolo fu una truffa perpetrata mediante adulterazione di vino da tavola con il metanolo che si verificò in Italia nel 1986.
Il fatto accadde il 17 marzo 1986 quando l'ingestione del prodotto adulterato causò l'avvelenamento e l'intossicazione di parecchie decine di persone, per la maggior parte residenti in Lombardia, Piemonte e Liguria cui provocò danni personali gravissimi (cecità, danni neurologici) ed in 23 casi, la morte. Le vittime avevano bevuto vino proveniente e prodotto dalle cantine della ditta Ciravegna di Narzole in provincia di Cuneo, vino a cui i titolari, padre e figlio Ciravegna, avevano aggiunto dosi elevatissime di metanolo per alzare la gradazione alcolica, ignorandone la tossicità per l'organismo. Il metanolo è un prodotto intrinseco della fermentazione dell'uva, e quantità esigue di esso sono quindi considerate normali nella misura compresa tra 0,6 e 0,15 ml su 100 ml di alcol etilico complessivo, ma una dose eccessiva può rivelarsi letale, come nel caso occorso. Dalla metà del dicembre 1985 al marzo 1986 fu infatti impiegata una quantità di metanolo di circa 2 tonnellate e mezzo. Per aumentare la gradazione del vino, il metanolo era un elemento più a buon mercato dello zucchero in quanto, all'epoca, era sgravato dall'imposta di fabbricazione.
Il vino adulterato prodotto dai Ciravegna venne imbottigliato e successivamente commercializzato dalla ditta Vincenzo Odore di Incisa Scapaccino in provincia di Asti. Nel marzo 1986, dopo i primi tre decessi, dalla procura partirono comunicazioni giudiziarie per le ipotesi di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, violazione dell'art. 22, comma 2, lett. d) del D.P.R. 12 febbraio 1965, n.162, e di lì a pochi giorni scattò l'arresto per i titolari Ciravegna. Tra tutte le persone coinvolte, Giovanni Ciravegna (deceduto nel 2013) è stato infatti successivamente identificato come il principale responsabile.
Il ricovero ospedaliero di una donna intossicata, salvatasi, ma rimasta non vedente, permise nel 1986 di scoprire che numerose aziende vinicole vendevano del "vino" prodotto con miscele di liquidi e alcol metilico. In tutto furono una sessantina le aziende coinvolte, secondo le indagini coordinate dalla Procura di Milano, che in capo a cinque settimane fece piena luce sullo scandalo. Questo ebbe pesanti ripercussioni anche sul mercato del vino italiano in generale: solo l'anno prima l'export italiano era cresciuto del 17% in quantità e del 20% in valore; il 1986 si chiuse con una contrazione del 37% degli ettolitri e la perdita di un quarto del valore incassato l'anno prima.
A differenza di altri paesi usuali importatori di vino italiano, in Germania Ovest addirittura la fornitura italiana venne bloccata per settimane alla dogana, in quanto le autorità tedesche non si fidarono dei controlli messi in atto da parte dei laboratori italiani, e dunque affidarono a propri istituti d'analisi le verifiche a campione sugli stock, che peraltro corrisposero al 100% con i risultati dei controlli effettuati in Italia. Le ditte ufficialmente inquisite a seguito dello scandalo furono: Ditta Odore Vincenzo di Incisa Scapaccino (Asti); Ditta Ciravegna Giovanni di Narzole (Cuneo); Ditta Fusco Antonio di Manduria (Taranto); Ditta Giovannini Aldo di Quincinetto (Torino); Ditta Baroncini Angelo di Solarolo (Ravenna); Industrie enologiche Bernardi Primo S.n.c. di Mezzano Inferiore (Parma); Ditta Piancastelli Roberto di Riolo Terme (Ravenna).[10][11] Furono inoltre interessate dalle sofisticazioni tre province della Toscana, Firenze, Pisa e Lucca.
Nel 1992 si concluse il processo di primo grado, presso la prima sezione della Corte d'Assise di Milano, con condanne sino a 16 anni di reclusione. In particolare, Giovanni e Daniele Ciravegna, i due principali imputati, sono stati condannati rispettivamente a 14 e 4 anni di carcere. Giovanni Ciravegna, dopo essere uscito dal carcere nel 2001 sfruttando alcuni cavilli legali, si è dato alla produzione di vino in proprio nella sua casa situata nelle Langhe. A seguito dell'inchiesta, altre bottiglie di vino al metanolo furono rintracciate presso le aziende vinicole di Veronella e Monteforte d'Alpone, in provincia di Verona, e Gambellara, in provincia di Vicenza. Il titolare dell'azienda di Veronella verrà successivamente arrestato.
In merito ai risarcimenti per le vittime del metanolo, attualmente l'associazione Vittime del metanolo si batte per veder riconosciuto il diritto a indennizzi per le famiglie colpite, che ad anni di distanza non sono ancora stati riconosciuti, anche se ci sono state interrogazioni parlamentari e diverse iniziative in merito. Gli imputati, inoltre, ed in particolare i Ciravegna, che avrebbero dovuto pagare pesantissime sanzioni pecuniarie, si sono sempre dichiarati ufficialmente "nullatenenti", escamotage con il quale sono riusciti ad oggi ad evitare il pagamento di qualsiasi somma per i risarcimenti.
A seguito dello scandalo del vino al metanolo ci fu una profonda sensibilizzazione nell'opinione pubblica e segno tangibile di questo rinnovato interesse per la sicurezza alimentare fu la nascita e la diffusione capillare su tutto il territorio italiano dei NAS (Nucleo anti-sofisticazione) dei Carabinieri a controllo e tutela della qualità dei prodotti. Dal 2008 è inoltre in atto una nuova inchiesta da parte della Magistratura, che ha già condotto a nuovi sequestri e alla contestazione del reato di sofisticazione alimentare, e che è culminata in un nuovo maxi sequestro nel maggio 2014.
Tra il 2009 e il 2014 ha destato clamore l'inchiesta in Toscana sulla presunta truffa del Brunello contraffatto che ha investito anche il Chianti DOCG e IGT, in cui sono state indagate quarantadue aziende, e in particolare la magistratura ha apposto i sigilli alle ditte Antinori, Frescobaldi, Banfi e Argiano per consentire le indagini. Nella fattispecie, le Fiamme Gialle avrebbero scoperto diverse vasche in cui sarebbero stati compiuti veri e propri shake di vini, prima dell'imbottigliamento e poi spacciati come Brunello. In particolare, si presume l'utilizzo di Cabernet, Merlot e Syrah per ammorbidire il Brunello. Inoltre, secondo le indagini sarebbero state utilizzate uve e vitigni non permessi dal disciplinare di produzione.
I primi sviluppi in merito all'inchiesta sul Brunello e sul Chianti sono emersi il 10 dicembre 2009, quando la Guardia di Finanza di Siena ha rilasciato un comunicato dove riferisce che a seguito dei minuziosi controlli effettuati "il GIP presso il Tribunale di Siena ha accolto le richieste di sequestro preventivo avanzate per le ipotesi di reato di associazione a delinquere e frode in commercio aggravata". In base al comunicato ufficiale le persone coinvolte sono dunque 17, tra cui enologi e imprenditori vinicoli, e 42 le aziende vinicole interessate presso cui sono state eseguite altrettante perquisizioni e sequestri. Nel maggio 2014 un nuovo scandalo compare all'orizzonte che coinvolge nuovamente il Brunello. Viene infatti eseguito un maxi sequestro di 30.000 bottiglie contenenti vino adulterato, nelle regioni Lazio, Toscana, Umbria e Liguria. Il 3 ottobre 2017, parte il processo a Siena.”
(In wikipedia.org)
“Il 17 marzo del 1986 l'Italia veniva sconvolta da un grande scandalo nazionale del settore agroalimentare. Proveniva dalla pratica di 'dopare' il vino col metanolo, un alcool naturale che, aumentato dolosamente, provoca danni permanenti, portando anche alla morte. Provocò 23 vittime, furono decine le persone con lesioni gravi. Da allora, ricorda oggi la Coldiretti, si è verificata una vera rivoluzione nel mondo del vino che ha conquistato posizioni di leadership a livello mondiale puntando sulla qualità legata al territorio, anziché sulla quantità a basso prezzo. La produzione di vino italiano negli ultimi trent'anni è scesa del 38%, passando da 76,8 a 47,4 milioni di ettolitri che hanno però permesso la conquista del primato mondiale davanti ai cugini francesi mentre l'export è cresciuto quasi sette volte, da 800 milioni a 5,4 miliardi ed il fatturato è passato da 2,5 miliardi di euro a 9,1 miliardi, secondo una analisi Coldiretti/Symbola. Il risultato è anche che il calo della produzione è stato accompagnato da una crescente attenzione alla qualità con il primato dell'Italia in Europa per numero di vini con indicazione geografica (73 Docg, 332 Doc e 118 Igt). Se nel 1986 la quota di vini Doc e Docg era pari al 10% della produzione, oggi è pari al 35%, e se si considerano anche i vini Igt, categoria nata dopo l'86, si arriva al 66%, in altre parole i 2/3 delle bottiglie. Oggi nel mondo - precisa la Coldiretti - 1 bottiglia di vino esportata su 5 è fatta in Italia che si classifica come il maggior esportatore mondiale. 23 morti e decine di avvelenamenti.
Lo scandalo esplose il 17 marzo 1986, quando l'ingestione del prodotto adulterato causò l'avvelenamento e l'intossicazione di parecchie decine di persone, per la maggior parte residenti in Lombardia, Piemonte e Liguria, alle quali provocò danni personali gravissimi (cecità, danni neurologici) e in 23 casi la morte. Le vittime avevano bevuto vino proveniente e prodotto dalle cantine della ditta Ciravegna di Narzole (Cuneo), vino a cui i titolari, padre e figlio Ciravegna, avevano aggiunto dosi elevatissime di metanolo per alzare la gradazione alcolica, ignorandone la tossicità per l'organismo. D'altra parte, il metanolo si ottiene in maniera naturale dalla fermentazione dell'uva, e quantità esigue sono quindi considerate normali nella misura compresa tra 0,6 e 0,15 ml su 100 ml di alcol etilico complessivo, ma una dose eccessiva può rivelarsi letale. Dalla metà di dicembre 1985 al marzo 1986 fu infatti impiegata una quantità di metanolo di circa 2 tonnellate e mezzo. Il metanolo era più a buon mercato dello zucchero in quanto, all'epoca, sgravato dall'imposta di fabbricazione. Il ricovero ospedaliero di una donna intossicata, rimasta non vedente, permise nel 1986 di scoprire che numerose aziende vinicole vendevano del "vino" prodotto con miscele di liquidi e alcol metilico di sintesi. In tutto furono una sessantina le aziende coinvolte, secondo le indagini coordinate dalla Procura di Milano, che in capo a cinque settimane fece piena luce sullo scandalo. La svolta dopo lo scandalo.
Allo scandalo del vino al metanolo si deve una vera svolta nelle attività di controllo con la conquista da parte dell'Italia della leadership nella qualità e nella sicurezza alimentare. Sono oltre centomila i controlli effettuati dalle forze dell'ordine nel 2015 dal campo allo scaffale. In campo, Nas, Nac, Scico-Gdf, e Icqrf, che è stato istituito proprio a seguito dello scandalo del metanolo. Furono, infatti, subito assunti provvedimenti d'urgenza destinati a rendere più efficace l'azione di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari.”
(In www.rainews.it)
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Una frase al giorno
“Credevo di essermi sacrificata sposando un eroe, ma siete solamente un brutale soldato”
(Giuseppina Raimondi, Fino Mornasco, 17 marzo 1841 - Birago, 27 aprile 1918, seconda moglie di Giuseppe Garibaldi)
“Giuseppina Raimondi fu la figlia naturale, riconosciuta ma non legittimata, del marchese Giorgio Raimondi Mantica Odescalchi nonché seconda moglie di Giuseppe Garibaldi, ripudiata al termine della cerimonia nuziale per un presunto tradimento.
Fu battezzata nella chiesa succursale di Socco e non nella plebana di Fino Mornasco, come a celare l'evento, e registrata come "figlia di ignoti".
Crebbe in un ambiente caratterizzato dall'idea mazziniana. Il padre, incorso nei sospetti della polizia austriaca, si rifugiò assieme alla figlia nel Canton Ticino. La fanciulla raggiungeva spesso il comasco con il compito di trasmettere messaggi ai combattenti [di che guerra?] o rifornirli con armi.
La mattina dell’1 giugno 1859, accompagnata in carrozza dal sacerdote don Luigi Giudici, a Robarello apparve «come una visione» a Garibaldi, comunicandogli la difficile situazione in cui versava la città lariana. Fu il primo incontro con il condottiero. Garibaldi se ne innamorò subito, ma la fanciulla non corrispondeva, come lo stesso Generale ammise chiaramente in alcune pagine delle Memorie rimaste inedite e non presenti nella versione barberiana del 1872 né in quelle successive.
Garibaldi, stanco dopo tante avventure, aveva manifestato più volte il desiderio di sposarsi e ritirarsi nella pace domestica. Era un periodo in cui sentiva con particolare urgenza il bisogno di legarsi in matrimonio. Nel maggio 1859 Battistina Ravello aveva dato alla luce a Caprera sua figlia Anita, e il Generale tentò di sposarla per senso del dovere, salvo poi ripiegare verso una donna dalla quale era decisamente più attratto e di cui aveva chiesto la mano l'anno precedente senza aver ancora ricevuto una risposta definitiva: Maria Esperance von Schwartz in arte Elpis Melena.
L'arrivo di Giuseppina cambiò tutto: nonostante il primo rifiuto, le scrisse quell'autunno appassionate lettere d'amore, ricevendo risposte fredde e distaccate. Poco dopo aver conosciuto il Generale, la Raimondi si era infatti legata sentimentalmente a un ufficiale garibaldino, Luigi Caroli (1834-1865), trasferito da poco a Milano. Sembra che questo amore, autentico da entrambe le parti, fosse consumato di nascosto a Fino. Precedentemente, Giuseppina aveva intrattenuto un rapporto anche con suo cugino il maggiore Rovelli, ingelositosi del posto che i due nuovi uomini gli avevano rubato presso la giovane donna. D'improvviso, infatti, nel mese di novembre la Raimondi rispose positivamente a una missiva dell'Eroe dei due mondi, dichiarandosi disposta a sposarlo e cercò d'accelerare la data delle nozze dichiarandosene incinta. Continuò a vedere Caroli, che però la abbandonò poco tempo dopo essere stato messo al corrente dell'imminente matrimonio.
Garibaldi prima delle nozze trascorse un periodo a Fino Mornasco, nella villa dei Raimondi. La celebrazione, inizialmente fissata per i primi di gennaio, fu posposta a causa di una caduta da cavallo di Garibaldi, cui si aggiunse il tifo che colse la promessa sposa. Il matrimonio fu celebrato con rito religioso il 24 gennaio 1860 nell'oratorio domestico dei marchesi Raimondi nella villa di Fino alla presenza, in qualità di testimoni, del neo-eletto governatore di Como Lorenzo Valerio e del conte Giulio Porro Lambertenghi. Alla fine della funzione, lo sposo fu avvicinato da Rovelli, il quale gli consegnò un foglio di cui era, secondo la maggior parte degli storici, anche l'autore. Vi si rivelava come la Raimondi avesse mantenuto relazioni con altri uomini anche nel momento immediatamente precedente le nozze. Interrogata sulla veridicità di quanto scritto, ammise, suscitando l'ira del coniuge, che la ripudiò e non la volle più vedere. Nel 1879 Rovelli affermò di non avere scritto quanto riportato nel famigerato foglio, ma le sue parole sono smentite da quanto Garibaldi confidò in una missiva del 1860 a Francesco Crispi, dove asserì che ad informarlo dei presunti tradimenti era stato proprio il maggiore.
Questa fu la motivazione, presentata dall'avvocato di Garibaldi, il giurista Pasquale Stanislao Mancini, per l'annullamento del matrimonio, avvenuto nel 1880, che permise al generale di unirsi in matrimonio con la terza moglie, Francesca Armosino, con cui aveva avuto i figli Clelia e Manlio che poterono così essere riconosciuti.
Giuseppina, mesi dopo il matrimonio con Garibaldi, concepì un bambino che nacque morto. Non è stato accertato se il figlio fosse del marito, di Caroli o di Rovelli. Con Luigi Caroli, per sottrarsi alla riprovazione generale, ai primi di febbraio fuggì in Svizzera e di qui in Germania; ma all’inizio di agosto, per ragioni sconosciute, Caroli pose fine alla loro relazione e Giuseppina fece ritorno a Lugano. Poche settimane dopo, nella villa paterna di Gironico, Giuseppina partorì un bambino morto. Luigi Caroli, identificato come causa del tradimento patito dal loro eroe, fu presto emarginato dai garibaldini. Tentò quindi di rientrare nelle grazie degli uomini con i quali condivideva dopo tutto i medesimi ideali, ma non riuscì a prendere parte alla spedizione dei Mille né alla battaglia dell'Aspromonte.
Deluso nei suoi sogni d'amore e di gloria, Caroli finì male: dopo aver seguito Francesco Nullo nella spedizione in aiuto della Polonia (1863) venne catturato dai Russi nella battaglia di Krzykawka e, dopo una condanna a morte commutata in dodici anni di lavori forzati, fu spedito in varie località della Siberia, spegnendosi a Kadaja, nei pressi della frontiera mongola (1865). Anche dalla prigionia continuava a scrivere alla sua amata Giuseppina.
Giuseppina, dopo l'annullamento del matrimonio con Garibaldi avvenuto solo vent'anni dopo (sentenza pubblicata il 14 gennaio 1880) si sposò nel 1880 con il celebre patriota e avvocato milanese Lodovico Mancini (suo cognato) dal quale non ebbe figli.”
(In wikipedia.org)
Un brano musicale al giorno
Josef Gabriel Rheinberger, Sonata per violoncello, Op.92
“Joseph Gabriel Rheinberger (Vaduz, 17 marzo 1839 - Monaco di Baviera, 25 novembre 1901) compositore e organista liechtensteinese.
Già a sette anni Rheinberger era organista della chiesa parrocchiale di Vaduz e la sua prima composizione fu eseguita l'anno successivo. Nel 1851 entrò al Conservatorio di Monaco di Baviera, dove più tardi divenne professore di pianoforte e successivamente professore di composizione. Quando il Conservatorio fu sciolto, fu nominato ripetitore al Teatro di Corte, incarico da cui si dimise nel 1867.
Rheinberger sposò la sua ex allieva Franziska von Hoffnaass nel 1867. Andrew de Ternant, in The Musical Times, suggerisce che la moglie abbia avuto una significativa influenza sulla concezione artistica di Rheinberger. Rheinberger era influenzato anche dalla pittura e dalla letteratura (specialmente inglese e tedesca).
Nel 1877 fu promosso al rango di direttore d'orchestra della Corte reale di Baviera, una posizione che gli assegnava la responsabilità della musica nella cappella reale. Successivamente gli fu riconosciuta la laurea honoris causa in filosofia dall'Università Ludwig Maximilian di Monaco.
Rheinberger fu un compositore prolifico. Le sue opere religiose comprendono dodici Messe (uno per doppio coro, tre per quattro voci a cappella, tre per voci femminili e organo, due per voci maschili e una per orchestra), un requiem, e uno Stabat Mater. Le altre opere annoverano parecchie opere, sinfonie, musica da camera e musica corale. Oggi è ricordato quasi esclusivamente per le sue composizioni per organo, elaborate e impegnative, che comprendono 2 concerti, 20 sonate, 22 trii, 12 meditazioni, 24 fughette e 36 pezzi solisti. Le sue sonate furono un tempo salutate come «...indubbiamente il più valido apporto alla musica per organo dai tempi di Mendelssohn. Sono caratterizzate da un felice amalgama di moderno spirito romantico, di contrappunto magistrale e di stile organistico nobilitato» (J. Weston Nicholl).
Quando fu fondato a Monaco l'attuale Conservatorio, Rheinberger fu nominato professore di organo e di composizione, una posizione che ricoprì fino alla morte. Gli fu anche attribuito il titolo di "Regio Professore".”
(In wikipedia.org)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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