L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
ABSCHIED VON GESTERN (La ragazza senza storia, Germania Federale, 1966), scritto e diretto da Alexander Kluge, dal suo racconto: “Anita G.". Fotografia: Edgar Reitz, Thomas Mauch. Montaggio: Beate Mainka-Jellinghaus. Con: Alexandra Kluge, Hans Korte, Edith Kuntze-Pellogio, Palma Falck, Ado Riegler, Josef Kreindl, Käthe Ebner, Peter Staimmer, Hans Brammer, Günter Mack, Eva Maria Meineke, Alfred Edel.
La giovane Anita, una ragazza ebrea, lascia la città il Brandeburgo, nella Repubblica Democratica Tedesca, per raggiungere la Germania Occidentale. Con sé ha una sola valigia e tanta speranza. Dopo essere stata arrestata per un piccolo furto, Anita tenta inutilmente di inserirsi nella società accettando qualsiasi tipo di lavoro. Per dare una svolta alla sua vita, si iscrive all'università e lì conosce un giovane assistente che cerca di aiutarla. Quando però rimane incinta e viene abbandonata dal suo amante, il consigliere ministeriale Pichota, Anita finisce di nuovo in prigione. A quel punto, amareggiata, deciderà di collaborare con la polizia per racccogliere prove contro Pichota.
“Peripezie di una ventenne ebrea tedesca che passa dalla Germania socialista dell’Est a quella capitalista dell’Ovest tra furtarelli veri o presunti, lavori precari, deludenti incontri col mondo della cultura. Opera prima di Alexander Kluge che la trasse da un proprio racconto (Anita G. nella raccolta Lebensläufe, 1962), aprì la strada al Nuovo Cinema Tedesco degli anni ’70, meritandosi un Leone d’Argento a Venezia. Esplicitamente influenzato dalla Nouvelle Vague, specialmente da Godard, è nella sua lucida amarezza un rapporto critico sulla società tedesca, esposto in modi narrativi e stilistici di tipo sperimentale col ricorso a materiali d’archivio. La storia privata di Anita G. diventa così una sonda e uno specchio della storia collettiva della Germania occidentale degli anni ’60”.
(Morandini)
Scrive Giovanni Grazzini: “...è un film con più di un difetto, da addebitare alla concitazione dell’esordio dell’autore, ma fresco, e vivo anche nelle magagne. È come la sua protagonista che simbolizza la generazione dei giovani, affamata di sicurezza ma sempre delusa dal mondo in cui vive; e che per essere assolta dalla propria rivolta accampa il disordine del consorzio sociale. Argomento sempre un poco capzioso, e che annebbia la tesi ideologica del film, un garbuglio di marxismo e storicismo concluso con la dostoievschiana chiamata in correo: “tutti sono colpevoli di tutto”, sì che la piccola Anita, ladruncola e bugiardella, dovrebbe meritare, alle solite, il ciglio pietoso. Tanto più che Kluge, per precostituirle un alibi, le dà sangue ebreo, le fa conoscere gli sconforti della Germania orientale e di genitori incomprensivi, e poi la fa scappare in Occidente caricandola di un destino d’esilio e di fuga di marca assai letteraria... ormai lo scarto fra coscienza e realtà è incolmabile, perché certi valori (libertà, gioco e speranza) si scontrano ineluttabilmente contro strutture sociali, politiche e psicologiche, le stesse oggi di ieri, le quali costringono alla menzogna i derelitti che non riescono a integrarvisi. E ciò non ci coglie di sorpresa”.
Junger Deutscher Film
Corrente del cinema tedesco. Ha una data di nascita ufficiale: nel 1962, al Festival dei cortometraggi di Oberhausen, un gruppo di 26 giovani registi firmò un manifesto che proclamava la morte del vecchio e la nascita del nuovo cinema tedesco. Il manifesto di Oberhausen denunciava la situazione di immobilismo dell'industria cinematografica nella Germania federale e auspicava la nascita di un cinema nuovo nelle idee e nel linguaggio, nonché libero da vincoli commerciali. Con questo episodio ebbe inizio l'ascesa di una nuova generazione di cineasti. Non si trattò, tuttavia, di un itinerario lineare. Anzitutto, i nuovi registi non costituirono mai - nonostante le indubbie capacità di gestire collettivamente le fasi della lotta per il rinnovamento - un movimento omogeneo in senso progettuale o estetico. Come avviene quasi di regola per ogni corrente, la riconoscibilità di una fisionomia collettiva si basò su un certo numero di bersagli polemici (il cinema commerciale, i generi codificati), tematici (emarginazione, perdita dell'identità, impossibilità dell'integrazione sociale) ed espressivi in comune.
La prima fu una fase essenzialmente di rottura, con accentuata attenzione all'avanguardia e alla sperimentazione linguistica. Nel contempo, i giovani registi rivendicavano il valore politico del cinema e il suo contatto con la realtà sociale. Decisi a ripartire da una tabula rasa, guardavano tuttavia all'esperienza della nouvelle vague, unendo nei loro film ricerca formale e soggettivismo, manierismo, talora spontaneismo. Nei primi anni fu rilevante il ruolo di Jean-Marie Straub, con le sue sperimentazioni inedite sul mezzo cinematografico. Importante anche il contributo di molti registi, spesso provenienti dal cortometraggio, che oggi sono scarsamente attivi o ignoti al pubblico: Peter Schamoni o Edgar Reitz (uno dei portavoce, assieme a Kluge, del manifesto di Oberhausen), per esempio. L'influenza della contemporanea corrente francese fu superata da Alexander Kluge con un lungometraggio dal titolo programmatico 'Congedo dal passato': Abschied von gestern (La ragazza senza storia, 1965-66). Se infatti la lezione linguistica di Godard è ancora presente, il regista tedesco si mostra più interessato alla 'qualità' delle cose che non alla loro struttura. Il film riassume in sé un altro avvenimento importante. Vincendo il Leone d'argento a Venezia, infatti, apriva la via al riconoscimento internazionale della giovane cinematografia tedesca. In seguito, assieme a Reitz, Kluge fonda a Ulm (nei pressi di Monaco) un Istituto di formazione cinematografica dove una intera generazione di registi fa il suo apprendistato. Si profila una tendenza d'autore (contestata dalla berlinese Accademia per il film e la televisione, centro del cinema militante di base) che diventerà più accentuata col passare del tempo...”
(Circolo del cinema di Bellinzona)
- Per vedere Abschied von gestern (Anita G.) online: www.youtube.com
Una poesia al giorno
La neve di oggi, Der Schnee von heute, di Durs Grünbein (nasce a Dresda nel 1962 e vive a Roma dal 2013). Traduzione di Anna Maria Carpi, Einaudi 2005.
Destatevi, Monsieur. Tutta notte che nevica.
Fin dove arriva l’occhio è bianca la pianura,
è tutta un cono bianco. Sono gli alberi
che il grande arrangiatore con invernale mano ha ingentilito.
Voi apprezzate, dicono, lui e il suo umore ludico
che incappuccia le torri, che gelidi piumini
adagia sopra i tetti. Flanella di cristallo,
una liscia imbottita sopra i campi,
finché la neve è alta e il mondo un incantesimo –
pagine di un in-folio su cui lui solo scrive.
Guardate, si fa giorno. Un intatto mattino. Geometrie.
Algida come all’alba del creato, e severa
di forme è ora la terra, calcolabile, e accedi
a quel che lei sarebbe senza devastazioni,
guerre fra staterelli, diluvi e agricoltura.
Placato ogni pensiero, un invito a studiare.
Infranto l’anatema, anche il diktat del tempo
con la neve è sospeso. Sotto nuove dune
nei colli si è insinuata un’equazione. Il paesaggio
si è girato sul dorso, come in sogno.
Destatevi, Monsieur. Non è un letto di piume
Pari al prodigio fuori, o solo in piccolo.
A portata di mano e dello sguardo,
in scala uno a mille, si prende la regione
dove state incastrato come un bruco d’inverno.
Su, fuori da quel bozzolo! Buttate le coperte,
che fanno pieghe come monti e valli,
fra sentieri per oche, e il ginocchio è un colle...
Vi offuscano il mattino, acciecano la notte
non stelle ma un astuccio, molle di dentro, per cervelli stanchi.
Neve davanti a casa. Bianca magnificenza.
Portate in posizione lo strumento finissimo del corpo.
Trattenete il respiro per un po’. Regolatelo,
per fare il punto è meglio di un sestante –
strumento per vedere con le lenti. Lo notate?
L’attrezzo che ci orienta nello spazio
è anch’esso un corpo e sottostà ad Euclide.
Fatto di proteine ma pur simile al vetro –
Non lo spezza risucchio di gravità terrestre,
vulnerabile cosa, segue però le leggi della rifrazione.
Non ridete, Monsieur. Voi come tanti fisici
Conoscete, scommetto, i due stupendi globi.
Nelle meluzze avete messo il bisturi,
in rami e nervature dell’albume, simili alle radici
degli alberi là fuori, sotto la neve fresca.
Più d’ogni sciocco anatomo sapete cos’è l’iride
e la pupilla, maestro metafisico.
Sul ghiaccio fragile s’avventurò il filosofo –
Non l’oculista. Irta domanda: e vedere cos’è?
Que sais-je? Forse la neve aiuta- a capire cos’è la percezione.
La neve astrae. Come se avesse fatto alla ragione il letto
e addormentato tutte quelle strade
su cui il pensiero prima si smarriva.
Lavagna ripulita è il paesaggio,
inclinata di 90 gradi. Nella luce d’inverno ecco risplende
la camera purissima, la lucida. Per il foro arriva
il raggio della vista all’orizzonte e torna senz’ intralcio,
non a zigzag, soltanto prospettive.
Tavolo da disegno spolverato dal gelo – un terreno ideale
Per il Discours, Monsieur. Allez! Avanti il metodo.
Ora alzatevi dunque. Il sole non vi aspetta.
Uscite dal groviglio dei lenzuoli prima che lo splendore
si squagli e sporco offuschi, come fa sempre, l’occhio.
La neve fresca vale quanto i grossi diamanti
Per cui si fanno guerre, si scambiano province.
La neve è un gioielliere. Dove cade modella.
Qua e là arrotonda, traduce in belle curve
Per cui l’agile fisica trova a volo le formule.
Monsieur, cosa vi sfugge se state a perder tempo.
Per voi, per voi tutta la notte ha nevicato
Un fatto al giorno
20 luglio 1866, Terza guerra d'indipendenza italiana: la flotta guidata dall'ammiraglio austriaco Wilhelm von Tegetthoff affonda il Re d'Italia e il Palestro nella battaglia di Lissa.
Augusto Tretti avrebbe voluto girare un film comico-drammatico sulla Battaglia di Lissa, ma gli fu impedito perché la Battaglia di Lissa è ancora un episodio vergognoso per la Storia d’Italia.
Si vedano:
- www.lastoriasiamonoi.rai.it
- www.youtube.com
- Per chi sa il tedesco: Admiral Wilhelm von Tegetthoff
Sempre il 20 luglio però nel 555, Verona, dopo due anni di resistenza, cadeva sotto il dominio dell'impero bizantino
Una frase al giorno
“Esiste una particolare Provvidenza divina nei confronti dei matti, dei bambini, degli ubriachi e degli Stati Uniti d'America”.
(Otto Eduard Leopold von Bismarck, 1815 - 1898, politico tedesco)
Un brano al giorno
- Anne Sofie von Otter, Claudio Monteverdi, "Sì dolce è 'l tormento"
- Da mettere a confronto con: Cecilia Bartoli, Claudio Monteverdi, "Sì dolce è 'l tormento"
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org
UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.
È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.
Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.
“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”
(Wikipedia)
“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”
(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)
“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.
(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)
“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”
(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)
“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)
“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.
(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)
Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/
Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0
https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs
https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4
https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk
Una poesia al giorno
Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?
Nell'amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.
Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.
Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l'anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?
Nous serons
N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants
Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,
Nous serons fiers parfois et toujours indulgents
N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie
Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,
Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.
Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,
Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,
Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.
Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible
Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,
S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.
Unis par le plus fort et le plus cher lien,
Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,
Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.
Sans nous préoccuper de ce que nous destine
Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,
Et la main dans la main, avec l'âme enfantine
De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?
Un fatto al giorno
17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.
(da Focus)
Una frase al giorno
“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”
(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)
Un brano al giorno
Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k