“L’amico del popolo”, 18 maggio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LOOKING FOR MR. GOODBAR (In cerca di Mr. Goodbar, Usa, 1977), scritto e diretto da Richard Brooks, liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Judith Rossner. Fotografia: William A. Fraker. Montaggio: George Grenville. Musica: Artie Kane. Con: Diane Keaton - Theresa Dunn, Tuesday Weld - Katherine, William Atherton - James, Richard Kiley - Mr. Dunn, Richard Gere - Tony, Alan Feinstein - Martin, Tom Berenger - Gary, Priscilla Pointer - Mrs. Dunn, Laurie Prange - Brigid, Carole Mallory - Marvella, Joel Fabiani - Barney, Richard Bright - George

LOOKING FOR MR. GOODBAR (In cerca di Mr. Goodbar, Usa, 1977), scritto e diretto da Richard Brooks

San Francisco, Anni Settanta. Theresa Dunn, giovane insegnante impegnata nell’avviamento di fanciulli affetti da sordità, cresciuta in una famiglia di salda e intransigente educazione cattolica, conduce una vita sentimentale ricca di tribolazioni. Dopo una delusione bruciante decide di non mettersi più in gioco, preferendo lanciarsi nella ricerca spasmodica di amori transitori e adescamenti di una notte. Ma il sottobosco dei “singles bar” nasconde insidie ancor più pericolose dei cuori infranti... Trasposizione del celebre bestseller del 1975 firmato dalla scrittrice Judith Rossner e ispirato a un fatto di cronaca realmente avvenuto nella città di New York, In cerca di Mr. Goodbar portò sullo schermo una Diane Keaton ben lontana dalla caratterizzazione poi premiata con l’Oscar di “Io e Annie”. Il film del veterano Richard Brooks si propone come tragedia contemporanea a tutti gli effetti, ritratto di una figura femminile contesa fra autorità e pulsione, super io e principio di piacere, e non scade mai, almeno volontariamente, nella tentazione dell’ammonimento. Keaton, da par suo, legge la modernità e la non gradevolezza del personaggio con una certa intelligenza, riuscendo nonostante tutto a tessere un forte legame empatico con lo spettatore. E’ il primo film importante di Richard Gere, e uno dei titoli-chiave della filmografia del riflusso mid-Seventies. Nel cast Tom Berenger, William Atherton, Richard Kiley, LeVar Burton. La colonna sonora include brani di Commodores, Carol Connors, Thelma Houston, O’Jays, Diana Ross, Boz Scaggs, Donna Summer, Bill Withers. Ambientato a San Francisco ma girato “on location” nel quartiere di Rush Street (Chicago) e a Los Angeles. Tratto dal romanzo “In cerca di Mr. Goodbar” di Judith Rossner. Scritto da Richard Brooks.

(da: www.rai.it)

Theresa Dunn (Keaton) è istitutrice in una scuola per sordomuti. Ferita dal fallimento di una relazione sentimentale e afflitta da una lieve deformazione fisica, è alla ricerca di qualcosa che neppure lei conosce. Frequentando locali notturni per single, incontra James (Atherton), giovane assistente sociale, ma finisce per legarsi a Tony (Gere), attratta dalla sua virilità aggressiva. Diane Keaton passa da Woody Allen alle atmosfere malinconiche e cupe di questo film, nel quale prendono corpo i fantasmi e le insicurezze dell'America degli anni '70. Gere è qui al suo primo ruolo importante. Brooks dirige senza patetismi o moralismi, con l'occhio del narratore urbano di gran classe.

Questo film è un racconto che continua. Un vecchio maestro del cinema come Richard Brooks guarda il mondo che cambia. E ne ricava una profonda paura, un terribile disagio. La gente gli appare irriconoscibile, perduta, immersa in orizzonti che non fanno vedere nulla. Gli sembra che i suoi contemporanei siano in cerca di molte ragioni per vivere, e che si sforzino di trovarle laddove esiste la distruzione degli altri, o il proprio annientamento.

(Walter Veltroni)

18 maggio 1912 nasce Richard Brooks, regista, produttore e sceneggiatore americano (nato nel 1992)

Richard Gere in LOOKING FOR MR. GOODBAR (In cerca di Mr. Goodbar, Usa, 1977), scritto e diretto da Richard Brooks

 

Una poesia al giorno

Muri di caravanserragli (frammenti), di Faruk Nafiz Çamlıbel

Nitrirono i morelli, schioccò il cuoio di frusta,
Per un momento, fermo, esitò il carro,
Poi sotto si riscosse il ferro alle balestre
E i caravanserragli mi scorsero davanti...
Andavo, e mi pungeva il senso del distacco,
Dal Grande Alpeggio al cuore d’Anatolia.
Tale nel primo amore la prima lontananza,
L’anima in fiamme intiepidiva l’aria,
Il cielo d’ocra, ocra la terra, ocra le piante nude...
E dietro s’incatena il Tauro alto,
Falde dinnanzi che un lungo inverno ha stinte,
E gemiti di ruote dentro i vortici (...)
Un giorno triste, a ritrovare il sonno, di buonora,
Vagano inquieti gli occhi miei sulle pareti,
La vista avvampa a qualche rosso rigo:
Stille di sangue sono, non quattro versi di una strofa,
Fisso quei tratti strani da vicino
E incontro su quel muro un mio sodale:
Son da dieci anni via da casa,
Dal focolare e dal grembo d’amica,
Mai colsi un fiore all’orto dell’amore,
Sbattuto da un confine a una frontiera (...)

18 maggio 1898 nasce Faruk Nafiz Çamlıbel, poeta, autore e drammaturgo turco (morto nel 1973).

 

Un fatto al giorno

18 maggio 1965: la spia israeliana Eli Cohen viene impiccata a Damasco, in Siria.

Eli Cohen (Alessandria d'Egitto, 26 dicembre 1924 - Damasco, 18 maggio 1965) è stato un agente segreto israeliano

Eli Cohen (Alessandria d'Egitto, 26 dicembre 1924 - Damasco, 18 maggio 1965) è stato un agente segreto israeliano. Cohen, figlio di ebrei siriani originari di Aleppo, influenzato dal clima nazionalista ed antisemita che percorreva l'Egitto si unì ad organizzazioni sioniste clandestine. Nel 1951 il Mossad creò in Egitto un'organizzazione di ebrei egiziani. Agente del Mossad, scoperto e impiccato sulla pubblica piazza, Eli Cohen siede nel Pantheon degli eroi d’Israele e della Guerra dei sei giorni.
“Mirage con la stella di Davide arrivarono dal mare, bassi sull’acqua. Ripresero quota in vista della costa, scavalcarono le alture del Golan e piombarono sugli aeroporti siriani. In pochi minuti fecero a pezzi 60 Mig, devastarono impianti e depositi di carburante. La seconda ondata puntò proprio sul Golan. I piloti dei Phantom presero d’infilata le colline, si allinearono con file di alberi di eucalipto e razzi e bombe demolirono impianti radar, postazioni di artiglieria, bunker. In quelle ore, stessa sorte era toccata alle aviazioni di Egitto, Giordania e Iraq: 452 aerei distrutti. La sera del 5 giugno 1967 l’aviazione da combattimento araba non esisteva più.
Israele aveva scatenato quella che sarebbe passata alla storia come la “Guerra dei sei giorni”, un capolavoro dello Shin Bet, lo spionaggio militare.
Un capolavoro che aveva preso le mosse fin dal 1956, dalla crisi del Canale di Suez. Undici anni a spiare le intenzioni, la preparazione militare, gli intrecci politici, le alleanze degli Stati arabi che circondano Israele, per prevenire ogni tentativo di distruggere il sogno realizzato di Theodor Herzl e di generazioni di ebrei fin dal tempo dei romani: il focolare.
«Per meglio mimetizzare le postazioni si potrebbero piantare degli eucalipti». Era una giornata di vento sulle alture del Golan.
Il suggerimento veniva da Kamel Amin Tsa’abet, alto esponente del regime, viceministro della Difesa siriana, amico intimo del Presidente Amin Hafiz e di molti generali siriani, in visita sulle alture che dividono Siria e Israele. Qualche anno dopo quegli alberi avrebbero consentito ai piloti dell’aviazione israeliana di traguardare e bombardare le posizioni siriane. Del resto, nessuno poteva immaginare che Kamel Amin Tsa’abet, uomo del partito Baath, musulmano devoto, speaker delle trasmissioni di propaganda diffuse da Radio Damasco, si chiamasse in realtà Eli ben Shaul Cohen, agente del Mossad.
La sua avventura era cominciata nel 1954, all’indomani della sfortunata “Operazione Shoshanna”: una serie di attentati dinamitardi a Il Cairo ed Alessandria. Un’azione di provocazione, organizzata da Tel Aviv, finita con l’arresto di alcuni ebrei residenti in Egitto. Fra loro anche Eli Cohen, classe 1924, rampollo di una famiglia israelita originaria di Aleppo, in Siria, emigrata in Egitto. Le prove a suo carico però sono troppo deboli ed Eli Cohen è rilasciato. Espulso dall’Egitto, dopo la “Guerra di Suez”, arriva a Tel Aviv e cerca un contatto con il Mossad. L’Istituto non vuole però avere a che fare con un personaggio coinvolto nell’Operazione Soshanna e lascia cadere il rapporto. Lo cerca qualche anno dopo, quando Eli Cohen è sposato e ha un buon impiego. Lui non vuole più saperne di fare la spia, ma quando il Mossad chiama non si può dire di no, con le buone o con le cattive.
Cohen, nel giro di qualche settimana, si ritrova senza lavoro e senza un soldo e le braccia del Mossad sono pronte ad accoglierlo.
L’Istituto lo addestra, gli fa studiare il Corano e il Diritto siriano, gli spiega che il suo obiettivo è Damasco, dove però arriverà dopo un lungo giro; crea per lui una “leggenda”, cioè una copertura, credibile e sostenibile: Kamel Amin Tsa’abet, perseguitato politico costretto a lasciare la Siria per emigrare in Argentina.
Il grande Paese sudamericano sarebbe stato il trampolino di lancio per Damasco. A Buenos Aires l’agente israeliano entra in contatto con esuli nazisti che lo presentano all’addetto militare presso l’ambasciata siriana, membro del partito Baath. Quando il “signor Kamel” decide che è tempo di tornare in “patria”, parte accompagnato da calorose e lusinghiere raccomandazioni per le autorità di Damasco. Dopo un altro soggiorno in Israele, alla fine del 1960 parte per l’Italia e il giorno di Capodanno s’imbarca a Genova su una nave diretta in Siria. Si stabilisce a Damasco e, grazie alle credenziali argentine, frequenta personalità del Governo, gerarchie militari, soprattutto i membri del partito Baath. Da quel momento dalla capitale parte, in direzione di Tel Aviv, un flusso di informazioni preziosissime sulla politica interna siriana, sulla preparazione militare, sulla situazione economica.
L’8 marzo 1963 a Damasco prendono il potere gli amici di Eli Cohen: Salah ed-Din el-Bittar e l’amico di Buenos Aires, Generale El-Hafiz.
Cohen partecipa a riunioni di altissimo livello, sa stare al suo posto, gli amici apprezzano la sua discrezione, i suoi suggerimenti. Il Presidente lo vuole al suo fianco e Cohen sale la scala gerarchica, fino ad assumere il ruolo di “numero tre” del regime siriano. L’agente israeliano entra così a contatto diretto con il “sancta sanctorum” dei segreti siriani che regolarmente vengono “letti” dal Mossad nei modi più disparati, ma solitamente con trasmissioni radio criptate. Molte di queste informazioni, ancora oggi, sono “top secret”. Si ritiene che, oltre al dispositivo di Damasco sulle alture del Golan, Cohen abbia trasmesso a Tel Aviv lo stato di preparazione e gli schemi operativi delle brigate corazzate e i codici di comunicazione dei piloti dell’aviazione militare siriana.
Tutto fila a meraviglia, fino all’inverno del 1964. In una foto pubblicata da un giornale siriano che parla della visita alle alture del Golan di due ministri, in compagnia di Tsa’abet, gli agenti del Servizio segreto egiziano riconoscono l’ebreo sospettato per le bombe del 1954 e rilasciato per mancanza di prove. Nello stesso tempo, l’Idarat al-Mukhabarat al-Amma (Direttorato Generale dell’Intelligence) di Damasco scopre che una radio trasmittente opera dalla capitale. Le trasmissioni sono intercettate, ma sono criptate e non leggibili; inoltre sono così brevi che non è possibile trovare la trasmittente e arrestare l’agente straniero che la usa.
Nel momento del bisogno, gli amici sono sempre pronti a dare una mano e così Mosca invia in Siria una squadra di “bonificatori”. Il 24 gennaio del 1965 viene individuato l’edificio dal quale partono le trasmissioni e gli agenti del Servizio di sicurezza siriano fanno irruzione nell’abitazione dell’ “intoccabile” Tsa’abet, appartenente alla Nomenklatura del partito e del Governo.
Eli Cohen in quel momento sta trasmettendo un messaggio diretto al Mossad, non si rende conto subito di essere perduto, incredulo che un’irruzione sia avvenuta proprio nel suo appartamento. Appena diffusa la notizia, rompendo la prassi del silenzio, Tel Aviv ammette pubblicamente che Tsa’abet è in realtà il suo agente Eli Cohen. Attraverso contatti informali e segreti propone uno scambio con agenti arabi catturati in Israele.
Ma lo smacco subìto è troppo cocente, scuote la base stessa del regime. Damasco non ha alternative: la punizione sarà esemplare. Per Eli Cohen l’accusa è di alto tradimento, il processo è veloce e la conclusione scontata: condanna a morte. Gli appelli di alcuni Governi occidentali e perfino del Papa rimangono inascoltati. Il 18 maggio 1965, illuminato dai riflettori, filmato dalle telecamere e dalle cineprese, Eli ben Shaul Cohen sale sul patibolo eretto nella Piazza dei Martiri di Damasco.
Due anni dopo, utilizzando le informazioni di Cohen l’armata israeliana inchioda e semidistrugge le truppe di Damasco. È quantomeno singolare che in due anni la Siria non abbia cambiato i piani militari e la relativa organizzazione. Evidentemente, la penetrazione era stata così profonda da rendere impossibile percepirne tutta la portata e procedere a un rapido cambiamento dell’intero dispositivo.
Eli Cohen è entrato nella leggenda ed è un eroe nella memoria e nei cuori di tutti gli israeliani. La città di Bat Yam, dove risiedeva la sua famiglia, gli ha dedicato una piazza. Il Direttore del Mossad dirà di Cohen: «Era un puro idealista, aspirava sempre a qualcosa di più, andava sempre più in là degli altri». Mai il capo di un Servizio segreto aveva esaltato così un suo agente caduto sul campo.
Forse, fu proprio quell’andare “sempre più in là degli altri”, unito a un eccesso di sicurezza, che gli derivava dalla posizione di vertice raggiunta, che portò Eli Cohen al patibolo, facendolo entrare nella leggenda dello spionaggio.”

(Alain Charbonnier *pubblicato sulla rivista Gnosis, 2/2009. In: www.mosaico-cem.it)

Eli Cohen

Immagini:

 

Una frase al giorno

“Da un mese sono strettamente vegetariano. L'effetto morale di questo stile di vita, con il suo volontario assoggettamento del corpo e la conseguente emancipazione dai bisogni materiali, è immenso. Puoi giudicare tu stesso quanto ne sia profondamente convinto se ti dico che mi aspetto da esso niente meno che la rigenerazione dell'umanità”.

(Gustav Mahler, nato a Kaliště nell'impero austriaco, oggi nella Repubblica Ceca, il 7 luglio 1860 e morto a Vienna il 18 maggio 1911, fu un compositore, direttore d'orchestra e pianista austriaco, autore di dieci sinfonie e di diversi cicli di lieder).

Gustav Mahler (Kaliště, 7 luglio 1860 - Vienna, 18 maggio 1911)

 

Un brano musicale al giorno

Boris Christoff, Ella giammai m'amò, dal Don Carlo (1884) di Giuseppe Verdi.

Boris Christov (alla nascita Boris Kirilov Christov, in lingua madre Борис Кирилов Христов; Plovdiv, 18 maggio 1914 - Roma, 28 giugno 1993) è stato un basso bulgaro, diffusamente noto in occidente come Boris Christoff.

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k