L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
TOUS LES MATINS DU MONDE (Tutte le mattine del mondo, Francia, 1991), regia di Alain Corneau, tratto dall'omonimo romanzo di Pascal Quignard, adattato per il cinema dall'autore stesso insieme al regista. Fotografia: Yves Angelo. Montaggio: Marie-Josèphe Yoyotte. Musiche: Jordi Savall. Con: Gérard Depardieu, Guillaume Depardieu, Yves Gasc, Violaine Lacroix, Yves Lambrecht, Jean-Pierre Marielle, Jean-Marie Poirier, Carole Richert, Michel Bouquet, Myriam Boyer, Anne Brochet, Caroline Sihol, Nadège Teron, Jean-Claude Dreyfus.
Ormai anziano, Marin Marais, compositore al servizio del re Luigi XIV, ripercorre con la memoria il suo itinerario umano ed artistico, legato alla figura del suo maestro, il signore di Sainte Colombe, originale figura di musicista austero e schivo, appassionato dall'amore per la sua arte, che egli vuole tener lontana dal fasto della corte e dalle false lusinghe della mondanità. Morta la moglie, ricusate le profferte reali di suonare a corte e fattosi costruire un capanno, dove ha delle misteriose apparizioni della consorte, vi si chiude per ore dedicandosi allo studio della viola da gamba, al quale inizia le due figlie, Madeleine e Toinette, L'arrivo del giovane Marin sconvolge Madeleine che se ne innamora a prima vista, mentre l'austero genitore lo tratta con crudezza. E' Madeleine a perorare la causa del giovane invitandolo ad eseguire una propria composizione: inizia così uno strano rapporto con la famiglia Sainte Colombe. Il signore di Sainte Colombe non gli lesina giudizi negativi e spietati, ma cerca di farlo addentare in una tecnica musicale che superi la manualità da prestigiatore cui il giovane è naturalmente portato; Madeleine d'altro canto gli si concede, fino a restarne incinta. Poi Marais va a corte, chiamato dal re, e Madeleine, dopo un aborto spontaneo, si ammala e deperisce di giorno in giorno. Sentendosi ormai allo stremo, la giovane chiede al padre di suonare il pezzo composto per lei da Marin, ed egli fa chiamare il musicista, che in un drammatico, rievocativo incontro, le suona il brano "la reveuse". Partito Marin, la ragazza si uccide ed il signore di Sainte Colombe si chiude sempre più nel suo dolore. Ma Marais vuole avere in eredità le celebri suite del maestro, e va a trovarlo. Dopo un ultimo, intenso colloquio sull'essenza della musica, l'artista decide di donare all'allievo il libro delle sue composizioni, e suona con lui il brano dedicato alla cara moglie, "les larmes". Infine chiede a Martin di suonargli proprio "la reveuse", il brano che ha trasportato il compositore, ormai anziano, sull'onda dei ricordi.
"'Una prosa del poco, una prosa delle parole puntute' ha definito Laurence Giavarini sui 'Cahiers du Cinéma' lo stile dello scarno e suggestivo romanzo. Per rendere tale qualità sullo schermo ci sarebbe voluto un Sainte Colombe del cinema, lo Straub di 'Cronique d'Anna Magdalena Bach'. Ma il regista Corneau, più simile a Marais, aveva la legittima aspirazione di fare spettacolo con un occhio al trionfo di 'Amadeus'. Ne è uscito un film in equilibrio periclitante tra rigore e orecchiabilità, tra riflessione razionale e sentimentalismo. Attacca Gérard Depardieu, Marais ormai vecchio, con un monologo di sei minuti in primissimo piano, poi è il suo prestante figliolo Guillaume a impersonarlo giovane; di contro c'è un Jean Pierre Marielle scolpito nel legno, corrucciato, altezzoso, e in mezzo soffre e si dispera Anne Brochet, forse la migliore del cast, nella parte della figlia sfortunata e suicida. Apprezziamo il gusto di riproporre uno strumento come la viola da gamba, praticamente scomparso dalla metà del '700, considerato il più vicino alla voce umana. Eppure la musica scritta, e non descritta, nel romanzo intriga più della musica dal vivo; e il fantasma concreto e visibile di Madame Sainte Colombe è meno credibile, lieve e misterioso di quello che scivola via sulla pagina."
(Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 5 Marzo 1992)
“Dopo il bel Notturno indiano (dal romanzo-trappola del nostro Tabucchi, incentrato sui temi del doppio e della ricerca dell'altro-che-è-in-sé), Corneau ci prende gusto con le atmosfere del cinema d'autore, travasando negli scenari abbastanza inediti della Francia alla seconda metà del Seicento l'antica passione per la musica barocca e gli umori di un pessimismo solidamente coltivato anche negli anni del noir (Polite Pvhon 357, La minaccia, Il fascino del delitto e Codice d'onore; tre dei quali, non a caso, con quel campione di tristezza virile che sapeva essere Yves Montand). Tema in apparenza, di Tutte le mattine del mondo sembra essere la perfezione musicale (e il gusto e la maestria con cui Jordi Savall orchestra musicalmente il film, recuperando le partiture autentiche dell'epoca, non farebbero che confermare l'assunto). Ma il prezzo che Sainte Colombe va pagando per giungere a quella perfezione compresa e fatta propria da Marin Marais solo in tarda età, dopo essersi lasciato sedurre dalle tentazioni mondane, è altissimo: diciamo il completo isolamento e distacco dal mondo. Per cui il tema della perfezione musicale finisce per rovesciarsi nel suo esatto contrario: l'assoluta imperfezione umana. "Signore, voi potrete fare della musica ma non sarete mai musicista" tuona Sainte Colombe nei riguardi del pur dotato Marais il giorno del provino, quando quest'ultimo bussa alla porta del maestro per apprendere la sua arte, umile allievo. Ma che dire di un musicista la cui unica "passione" è costituita dalle fugaci e fantomatiche apparizioni di uno spettro, il fantasma sia pure benigno della bella moglie scomparsa da tempo? Il giansenismo, fede del rigore etico ad oltranza in una società già bellamente protesa verso i fasti frivoli del Settecento (fasti che pure non impediranno a quest'ultimo secolo di fondare la modernità sotto qualsivoglia profilo: scientifico, politico, filosofico ecc.), è certamente soltanto la superficie ideologica dell'isolamento di Sainte Colombe. Le sue pulsioni, d'altra parte, sono così mortifere da ottundere persino ciò che in altri (nelle figlie, ad esempio) è puro istinto, una voglia di vivere che non ha bisogno certo di ulteriori giustificazioni odi ragioni specifiche. Eppure, è esattamente nel freddo e abbandonato capanno dove Sainte Colombe ama rifugiarsi, solitario più che mai, con l'unica compagnia della spettrale consorte, che egli compone i suoi capolavori, a cominciare da quel "Fombeau des Regrets" che è insieme programma, dichiarazione di intenti e di risultanze. C'è forse nell'arte una bellezza che ha a che fare soltanto con la morte? L'interrogativo non è di oggi e vanta tanti di quei precedenti illustri da far impallidire, se possibile, persino il già pallido Sainte Colombe. Che ha comunque ragione quando mette in guardia il giovane allievo circa la precarietà del suo proprio talento. Quest'ultimo, infatti, gli potrà consentire di intrattenere il re e la sua corte, di far crepare d'invidia i colleghi altrettanto ambiziosi ma meno dotati, di aver successo, far fortuna e vivere l'agiatezza. Ma non gli eviterà quel senso di perenne insoddisfazione, diciamo pure di frustrazione, che coglie l'artista quando costui avverte i limiti invalicabili della propria opera. Sul piano dei risvolti sentimentali, poi, l'insensibilità del giovane Marin nei riguardi di Madeleine, dopo averla lusingata e sedotta, non è certo meno colpevole dell’ardita di Sainte Colombe, l’uno all’altro incapaci di amare con simmetrica indifferenza. La forma di Tutte le mattine del mondo è quella del luogo flash-back. Non può non ricordare, dunque l'Amadeus di Forman, parimenti giocato sulle memorie con cui un anziano musicista. Ricorda l'esistenza di un altro musicista. Ma fra Marais e Salieri da un lato, Sainte Colombe e Mozart dall'altro, le analogie finiscono dove cominciano. E ciò vale anche per il film di Corneau rispetto a quello di Forman. La spettacolarità di Tutte le mattine del inondo non è certo narrativa, frutto di particolari accadimenti o di trovate più o meno estemporanee, e d'altra parte Sainte Colombe e lo stesso Marais non offrono certo l'inventario esistenziale a forti tinte offerto dal buon Mozart. Qui tutto è interiorizzato nello sguardo ora minaccioso, ora assente di Jean-Pierre Marielle (che è lo spigoloso Sainte Colombe), in quello dapprima esuberante (Guilaume Depardieu) e poi smarrito (Gérard Depardieu) di Marin Marais, mentre gli occhi della brava Anne Brochet (Madeleine) non possono far altro che rimproverare la cecità degli uomini (il padre e poi l'amante). In Francia, pluripremiato ai Césars, il film è inaspettatamente finito fra i campioni di incasso. Qui da noi si sta facendo vedere, pur senza strabiliare. Un buon film medio d'autore, ammesso che le due categorie del film d'autore - inconciliabili un tempo-possono convivere. Noi crediamo di sì, almeno presso registi come Alain Corneau, già capace in passato di altre conciliazioni: la rivisitazione del noir in contesti filmici non meramente di genere”.
(Roberto Ellero, segno cinema n. 55, maggio-giugno 1992)
"Nonostante le apparenze e i manifesti, non è Depardieu il protagonista di 'Tutti i mattini del mondo', ma Jean-Pierre Marielle che, con tragica intensità e asciutta autorevolezza, impersona il taciturno e iroso signore di Sainte Colombe. Morta la giovane moglie, si rinchiude nella sua casa, nel suo dolore, nella sua musica. Nemmeno gli inviti, gli ordini del re che lo vuole a corte, lo smuovono. La musica che suona sulla sua viola a gamba - 'Le tombeau des regrets' - è così bella che risveglia i morti, alla lettera. Nel romanzo, attraverso la parola scritta, le apparizioni della moglie defunta hanno un incanto misterioso e struggente. Corneau ha rischiato assai nel metterle in immagini: che ci sia riuscito senza danni, anche se con minore felicità espressiva, torna a onore di un talento, di una misura. Con un'invenzione di sceneggiatura la storia di Sainte Colombe è raccontata in flash-back da Depardieu che, all'inizio e all'epilogo, fa Marais vecchio imparruccato, gravato dagli anni e dagli onori. Marais giovane - che, riluttante e ruvido, Sainte Colombe accetta come allievo per intercessione della figlia grande - è interpretato da suo figlio Guillaume. Nessuno dei tre personaggi principali - Sainte-Colombe, sua figlia Madeleine, Marin Marais - è particolarmente piacevole e simpatico, Corneau non ha fatto nulla per piacere. Il suo film ha la bellezza metafisica della natura morta di Lubin Baugin ('Le dessert de gaufrettes') che si vede nella casa di Sainte Colombe e che ora sta al Louvre."
(Morando Morandini, 'Il Giorno', 6 Marzo 1992)
"E un cinema, se vogliamo, per happy few, ma in questo momento di orge televisive e di macchinoni hollywoodiani indirizzati soltanto a reazioni epidermiche, è una splendida dimostrazione di quello che ancora si può fare con l'arte del film, specie se si opera sull'immagine. Nei panni di Marin Marais c'è Gérard Depardieu, prima bolso, segnato, appesantito dal successo, poi ferito e reso trasparente dalla crisi che lo riscatta. Saint-Colombe è Jean-Pierre Marielle, il segnale più scoperto nel suo rigore e nei suoi abiti da lutto e fuori moda, della citazione di Dreyer. La figlia che morirà per amore è Anne Brochet, una figurina dolente e squisita; a Marin Marais giovane dà volto lo stesso figlio di Depardieu, Guillaume. Non so però se diventerà come il padre."
(Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 29 Febbraio 1992)
“Tutte le mattine del mondo semplicemente incanta: è pacato, profondo, curato. Ha immagini bellissime e la sua colonna sonora, curata da Jordi Savall, è da sola un motivo sufficiente per consigliarne la visione. Qual è il fine della musica? La dolcezza, risponde una voce fuori campo all'inizio dello splendido Tutte le mattine del mondo. Su questa parola, dolcezza, la voce affaticata di Marin Marais ne fa scivolare un'altra. L'ombra, dice con disperata esitazione, datemi l'ombra. La macchina da presa è catturata dal suo viso, dai vecchi occhi che non sanno se decidersi a piangere, da quel che vi resta di un'antica gioia del corpo (bravissimo, Gérard Depardieu)”
(Roberto Escobar Il Sole-24 Ore)
- Il film Tous les matins du monde (1991): www.youtube.com
Una poesia al giorno
Canto alla Luna da “Giulieta e Romeo” (poemetto, 1905), di Berto Barbarani (pseudonimo di Roberto Tiberio Barbarani, Verona, 3 dicembre 1872 - Verona, 27 gennaio 1945; è stato un poeta italiano e un importante poeta dialettale veronese)
O Lùna tonda, che nel çièl te gìri
sentinèla del mondo e de l'amor,
e bàsi e piànti insième te respìri
da i to balconi pièni de slusor,
che te inçércola tuta a gìri, a gìri;
lùna, a quàrti o a metà, secondo ségna
la mòda stràmba che se ùsa in çiél,
dopo che in çiél, come el lunàrio inségna,
i te sassìna a colpi de penèl,
e nàso e òci e boca i te disségna;
lùna de i monti, ciàro de i paési,
spècio de i làghi e de le vàle fonde,
stéla dei copi, dove i gàti intési
se sfìda a rugolàr zo da le gronde
par le gatìne de tùti i paési;
lùna de quéi che a sòrte o par natùra
dòrme in mèso à le stràde o su la pàia,
questurìna dei làdri a nòte scùra,
ràbia dei càni che te guàrda e sbàia,
risorsa del pitor che te impitùra;
lùna, imprésteme a mi tùto el to lùme,
la to camìsa biànca, el to slusor,
parché vèsta du osèi de le so piùme,
du colombìni che se fa a l'amor...
e perméteme a mi che fàssa lùme!
Un fatto al giorno
18 novembre 1978: suicidio di massa di Jonestown. A Jonestown (Guyana), Jim Jones guida il Tempio del popolo ad un suicidio di massa; muoiono 913 persone, tra cui 276 bambini.
La Stampa su questo folle evento ha pubblicato il 18/11/2008: “Il 18 novembre 1978, esattamente trent’anni fa, 912 persone, seguaci della congregazione religiosa del «Tempio del Popolo», si suicidarono in massa nella loro comune di Jonestown, nella giungla della Guyana, bevendo un cocktail al cianuro, secondo gli ordini del loro capo, il reverendo Jim Jones.
Jones non era uno dei soliti squilibrati emarginati dalla società che si rifugia nella religione: Jones era un uomo stimato, che propugnava una sorta di socialismo apostolico e fu anche assessore all’edilizia del comune di San Francisco sotto il sindaco democratico George Moscone. Addirittura la moglie del presidente Carter, Rosalynn, fu colpita dalla bontà di quest’uomo e intratteneva con Jones regolare corrispondenza epistolare. Il vicepresidente Mondale, in una lettera al «caro Jim», si dichiarava «riconoscente per il lavoro del Tempio del Popolo nella difesa della libertà di stampa, nella lotta contro la droga e nella direzione di un istituto per bambini handicappati».
Nonostante le lusinghiere opinioni di molti personaggi importanti, però, Jones, verso la metà degli anni Settanta, cominciò a dare segni di squilibrio: si credeva la reincarnazione di Cristo e Lenin insieme, diceva di essere in grado di compiere miracoli e le prime voci di molestie sessuali nei confronti di alcuni adepti cominciarono a diffondersi.
Messo sotto accusa da più parti e sentendosi braccato, Jones prese segretamente accordi con il governo della Guyana per ottenere alcuni lotti del terreno nella giungla: così, nell’estate del 1977, più di mille persone si trasferirono nella nuova «terra promessa» e diedero vita a Jonestown, la comune della setta del Tempio del Popolo.
Ben presto, però, iniziarono primi problemi: i familiari dei seguaci della setta cominciarono a rivolgersi alla polizia per far tornare a casa i loro congiunti, mentre indagini giudiziarie scoprirono frodi fiscali e addirittura torture e sequestri di persona all’interno della congregazione. In seguito alle varie indagini, nel 1978, il deputato californiano Leo Ryan si recò in visita a Jonestown insieme a un gruppo di giornalisti per verificare cosa accadesse realmente nella comunità: il politico, però, venne ucciso da un seguace della setta su ordine di Jones, insieme ad altre quattro persone, durante una sparatoria mentre cercavano di ripartire dall’aeroporto con alcuni adepti che erano stati costretti a partire per la Guyana.
Fu a questo punto che qualcosa si ruppe: il reverendo Jones, convinto che la Chiesa, il governo e la Cia volessero distruggerli, salì sull’altare e ordinò ai fedeli «il supremo sacrificio per la religione e il comunismo» e per «difendersi dall’imminente invasione delle forze del Male». Centinaia di persone bevvero un cocktail al cianuro, facendo la fila davanti a un enorme bidone pieno di cianuro. Jones aspettò che tutti esalassero il loro ultimo respiro e si sparò un colpo di pistola alla tempia: attorno a lui rimasero i cadaveri di 911 persone, il più grande suicidio di massa nella storia.
Immagini:
- Jonestown, il più grande suicidio di massa... del giornalismo mondiale: www.youtube.com
- Jonestown, il più grande suicidio di massa della storia: www.youtube.com
Una frase al giorno
18 novembre 1926, George Bernard Shaw rifiuta di accettare il premio in denaro del suo Premio Nobel, dicendo: "Posso perdonare Alfred Nobel per aver inventato la dinamite, ma solo un demone con sembianze umane può aver inventato il Premio Nobel."
- PYGMALION (USA, 1938): Pigmalione è un film del 1938, prodotto da Gabriel Pascal e diretto da Anthony Asquith e Leslie Howard, tratto dalla omonima commedia di George Bernard Shaw, che contribuì personalmente alla sceneggiatura.
Un brano al giorno
Sainte-Colombe, La Conférence. Jordi Savall - Wieland Kuijken: www.youtube.com
“Monsieur de Sainte-Colombe (1640 circa - 1700 circa) è stato un gambista e compositore francese della seconda metà del XVII secolo, attivo forse nella zona dell'Île de France, del quale non sono noti né il nome di battesimo, né le date di nascita e morte.
Sono scarsissimi anche i cenni biografici di cui disponiamo, dovuti ad una manciata di riferimenti sparsi in fonti e documenti contemporanei: è probabile che l'attività di concertista di Sainte-Colombe si sia svolta a livello poco più che familiare (forse rifiutando anche un invito del re di Francia ad esibirsi a corte) e che egli non abbia mai dato alle stampe le proprie composizioni.
Ciononostante, tra i contemporanei Sainte-Colombe fu considerato, oltre che uno straordinario compositore, il più grande esecutore di musica per viola da gamba, strumento allora particolarmente in voga nelle corti europee; tra l'altro si ritiene che egli stesso abbia contribuito al perfezionamento tecnico dello strumento, estendendone le possibilità espressive con modifiche dell'incordatura (inserimento della settima corda di tonalità grave)”.
(Wikipedia)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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