“L’amico del popolo”, 2 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

THE MARK OF ZORRO (Il segno di Zorro, Usa, 1920), regia di Fred Niblo. Sceneggiatura di Douglas Fairbanks e Eugene Miller da Johnston McCulley (basato sulla storia di: "The Curse of Capistrano" pubblicato in "All-Story Weekly"). Fotografia: William C. McGann, Harris Thorpe. Montaggio: William Nolan. Musica originale della prima: Mortimer Wilson. Con: Douglas Fairbanks, Marguerite De La Motte, Noah Beery, Charles Hill Mailes, Claire McDowell, Robert McKim, George Periolat, Walt Whitman, Sidney De Gray, Tote Du Crow, Charles Stevens, Milton Berle.

“Don Diego Vega è un damerino, figlio di don Alejandro, ricco ranchero nella vecchia California spagnola del 1800. I latifondisti tengono in condizione di semi schiavitù i peones e Diego, per cercare di difenderli, si traveste e, mascherato, si presenta come il vendicatore dei poveri nelle vesti di Zorro, un Robin Hood spagnoleggiante. Atletico e ironico, Zorro diventa il campione del popolo contro l'arroganza del governatore e del capitano Juan Ramon, distribuendo le sue "Zeta" a colpi di spada contro l'oppressore. Innamorato della bella Lolita Pulido, Diego deve fare i conti con un altro corteggiatore, il capitano Ramon, e anche con un rivale inusitato: lui stesso nelle vesti di Zorro”.

(Wikipedia)

THE MARK OF ZORRO (Il segno di Zorro, Usa, 1920), regia di Fred Niblo

“Quando nel 1920 gli spettatori andavano a vedere a The Mark of Zorro sapevano che sarebbe stato uno spasso. Non sapevano però che il film avrebbe dato il via a una valanga di pellicole in costume, rivoluzionando la carriera del protagonista che, fino ad allora, aveva recitato solo in commedie in abiti moderni. Quando si gettò nella temeraria impresa di girare un film in costume, Douglas Fairbanks era giunto a un punto culminante della sua personale parabola umana. Il divorzio e il secondo matrimonio con Mary Pickford, anziché rovinare le carriere di entrambi (come la coppia temeva), aveva addirittura aumentato la sua popolarità. Su suggerimento della novella sposa, durante la loro trionfale luna di miele in Europa Fairbanks acquistò i diritti di “The Curse of Capistrano”, racconto apparso a puntate su una rivista pulp. Fiumi d’inchiostro sono stati versati sul passaggio di Douglas dai ruoli “in giacca e cravatta” ai film di cappa e spada degli anni Venti. Gli studiosi sostengono unanimi che l’atmosfera psicologica del dopoguerra esigeva nuove forme di evasione, e ricordano il modesto ma significativo revival del cinema in costume testimoniato dal successo che arrise a due film tedeschi: Madame DuBarry e Anna Boleyn. Siamo però di fronte a un corto circuito logico: DuBarry fu distribuito negli Stati Uniti solo nel dicembre 1920, mentre Boleyn approdò in America appena nell’aprile 1921. E in Doug il ragionamento cedeva il passo all’intuizione. Egli seguiva regolarmente i suoi istinti viscerali e - fortunatamente per la sua reputazione e il suo conto in banca - il suo istinto si sarebbe dimostrato, per tutto il decennio successivo, un’attendibile spia della vox populi. Gli studiosi ci spiegano perché la sua fu la decisione giusta al momento giusto; ma non ci dicono come tale decisione sia maturata.

Certo, già da un po’ Fairbanks sapeva che un cambiamento si imponeva. Nel 1915, quando uscì The Lamb, per conquistare pubblico e critica bastava un semplice salto da un tetto poco spiovente e un paio di scazzottate. Nelle opere successive egli aveva articolato e perfezionato livello e qualità delle acrobazie. Il valore produttivo dei suoi film si era decuplicato e ora sui protagonisti si abbattevano inondazioni e valanghe. Ma ciò che prima incantava adesso non era più sufficiente. L’attore se ne era reso conto leggendo le recensioni di Arizona (1918). La sua personalità, lamentavano i critici, non bastava a compensare la mancanza di una sceneggiatura valida. Fairbanks non si accontentava di essere una personalità, voleva essere un attore; e il ruolo che, più di ogni altro, sognava di interpretare era il D’Artagnan dei Tre moschettieri. Ma un lavoro in costume - e per di più tratto da un celebre titolo - sarebbe stato dispendioso (se realizzato adeguatamente) e rischioso. Egli quindi fece un cauto passo intermedio. “Ero un po’ timoroso e non me la sentivo di affrontare I tre moschettieri, così tastai il terreno con un altro film in costume, Il segno di Zorro”, scrisse due anni dopo. Zorro era ambientato nella California meridionale, dove allestire i set non sarebbe stato più costoso rispetto all’ultimo film interpretato da Fairbanks per la Paramount-Artcraft, The Knickerbocker Buckaroo (1919). La scommessa si rivelò vincente. Zorro risultò perfetto da ogni punto di vista. L’impeccabile miscela di umorismo e audaci, eroiche avventure rimane il parametro che altri film d’azione cercano di eguagliare. La cruciale scena culminante dell’inseguimento era l’epitome della serie di fughe fairbanksiane da confuse torme di poliziotti e figura ancor oggi nelle antologie cinematografiche.
Nella psiche americana Zorro sarebbe sopravvissuto ai suoi creatori. Non che l’idea di un eroe dalla doppia identità nascesse con lui: la Primula Rossa risale infatti al volgere del secolo. Ma il piccolo Robert Kahn (poi Bob Kane) non aveva mai visto la Primula a teatro né aveva letto il libro. Tuttavia, come tutti i bambini, andava al cinema e adorava Douglas Fairbanks. Fu Zorro - con il suo nascondiglio sotterraneo, la doppia identità, l’eroe mascherato - a ispirargli la creazione di Batman.

(Tracey Goessel nel Catalogo delle Giornate del Cinema Muto, 2015)

“Undicesimo film distribuito dalla United Artists, The Mark of Zorro riscosse al botteghino un successo incredibile. L’incarnazione fairbanksiana avrebbe garantito al personaggio pulp di Johnston McCulley una lunga vita sullo schermo, così lunga che non sembra avere l’eguale nel cinema. Nei 95 anni successivi, Zorro (che significa “volpe”) è riapparso in oltre 40 film di diverse lingue con interpreti che vanno da Tyrone Power a Alain Delon (recentemente si è parlato di un progetto con Gael García Bernal), oltre che in innumerevoli adattamenti per altri media. Per i suoi primi spettatori The Mark of Zorro era ancora un soggetto di tipo storico: a 38 anni dalla morte, Juan Bautista Alvarado, il governatore messicano della California che nel film è il “cattivo”, era ancora vivo nella memoria; ma come eroe super-romantico, Zorro è sopravvissuto alla storia”.

(Ibidem)

Il 2 febbraio 1883 nasce Johnston McCulley, autore e sceneggiatore americano, creatore di Zorro (morto nel 1958)

THE MARK OF ZORRO (Il segno di Zorro, Usa, 1920), regia di Fred Niblo

 

Una poesia al giorno

Un uomo è uscito di casa, di Daniil Ivanovič Juvačëv

Un uomo è uscito di casa
Con un bastone e un tascapane
E per un lungo viaggio
E per un lungo viaggio
E’ partito, solo come un cane.

Andava sempre dritto e avanti
E sempre avanti lui guardava.
Non dormiva, non beveva,
Non beveva, non dormiva.
Non dormiva, non beveva, non mangiava.

Poi una buona volta all’alba,
E’ entrato in un gran bosco folto
E da quel momento
E da quel momento
E da quel momento si è dissolto.

Ma se per qualche caso strano
Vi succedesse di vederlo
Allora presto ditelo
Allora presto ditelo
Abbiam bisogno di saperlo.

Daniil Ivanovič Juvačëv (San Pietroburgo, 30 dicembre 1905 - Leningrado, 2 febbraio 1942)

Pubblicata nel 1937 sulla rivista per bambini Ciz, questa poesia fu l’inizio della rovina di Charms. Le autorità vi videro un accenno alle persone che numerose sparivano, a causa della repressione staliniana, che uscivano di casa e non tornavano, che venivano prelevate di notte. A partire da quegli anni il compositore russo Dmitri Shostakovich dormì sempre vestito e con una valigetta sotto il letto, per farsi pronto nel caso in cui fossero venuti a prenderlo per portarlo nel Gulag. Sia da questi episodi, sia dai ricordi di chi lo ha conosciuto, Charms emerge come un uomo bizzarro ed ingenuo, ingegnoso ma, prima ancora che coraggioso e concentrato sulla propria opera, incredibilmente all’oscuro del contesto, incredibilmente indifferente alle condizioni in cui si trova. Non sembra che Charms abbia calcolato il prevedibile rischio di pubblicare questa poesia e che abbia deciso di affrontarlo: sembra, dai suoi diari, che non lo abbia proprio immaginato, e che quando, a seguito di questa poesia, gli fu vietato di pubblicare anche sulle riviste per bambini, abbia continuato a chiedersi il perché. E’ un altro esempio dell’atarassia di Charms riscontrabile anche analizzando le sue prose.

(Paolo Nori, Daniil Charms Archives)

Daniil Ivanovič Juvačëv (San Pietroburgo, 30 dicembre 1905 - Leningrado, 2 febbraio 1942) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo sovietico surrealista, conosciuto con lo pseudonimo di Daniil Charms (o Kharms a seconda delle traslitterazioni dal russo Хармс.

 

Un fatto al giorno

Il 2 febbraio 1585 viene battezzato Hamnet Shakespeare, l'unico figlio maschio di William Shakespeare e di sua moglie Anne Hathaway (sepolto l'11 agosto 1596).

La famiglia di William Shakespeare

Morì a undici anni per cause sconosciute. Esistono numerose speculazioni sulla possibile relazione tra Hamnet e la tragedia Amleto; altre teorie postulano connessioni tra la morte di Hamnet e la scrittura del Re Giovanni, Romeo e Giulietta, Giulio Cesare e della Dodicesima Notte. Queste teorie che mettevano in relazione Hamnet con i lavori di suo padre iniziarono a essere popolari all'inizio del XVIII secolo e continuarono a essere sviluppate fino agli anni trenta del Novecento, quando furono accantonate con l'arrivo di movimenti letterari antibiografici come il modernismo e il New Criticism. Più recentemente, con la perdita di consenso del New Criticism, sono riemerse le teorie che mettono in relazione Hamnet con i lavori di suo padre. Poco si conosce della breve vita del piccolo Shakespeare, il quale sarebbe stato l'unico a portare avanti il cognome del padre se fosse sopravvissuto. Hamnet e la sua sorella gemella Judith nacquero a Stratford-upon-Avon e furono battezzati il 2 febbraio 1585 nella chiesa della Holy Trinity. I due gemelli furono verosimilmente chiamati così in onore di due amici dei loro genitori: Hamnet Sadler, un panettiere, e sua moglie, Judith. Undici anni più tardi Hamnet Sadler sottoscrisse come testimone il testamento di Shakespeare, ciò ci testimonia che la loro amicizia era ancora salda. Quando Hamnet Shakespeare raggiunse i quattro anni, suo padre lavorava già a Londra come drammaturgo. Park Honan ritiene che Hamnet abbia frequentato e completato la scuola primaria prima della sua morte. Fu sepolto a Stratford l'11 agosto 1596. A quel tempo in Inghilterra circa un terzo di tutti i bambini moriva prima dei dieci anni, pertanto la sua morte non fu inusuale per l'epoca. Le congetture sull'influenza di Hamnet nei lavori del padre non sono limitate all'Amleto. Richard Wheeler sostiene che la morte di Hamnet influenzò la Dodicesima Notte, la quale è centrata su una ragazza che ritiene morto il suo fratello gemello. Wheeler inoltre avanza l'idea che le donne che si travestono da uomini nel Mercante di Venezia, Come vi piace e la Dodicesima Notte sono una rappresentazione della speranza di rivedere Hamnet nella sua sorella gemella Judith. Bill Bryson afferma che il monologo di Costanza nel terzo atto del Re Giovanni (scritto intorno al 1595) è stato ispirato dalla morte di Hamnet; nel discorso Costanza lamenta la perdita del proprio figlio. È possibile, tuttavia, che Hamnet fosse ancora in vita quando il Re Giovanni fu scritto.

Ci sono teorie che coinvolgono Hamnet riguardo a molti altri lavori di Shakespeare. Ad esempio: una scena del Giulio Cesare in cui Cesare adotta Marco Antonio come sostituzione di suo figlio morto; l'intera tragedia di Romeo e Giulietta come tragica riflessione sulla perdita del proprio figlio; il sentirsi colpevole della perdita del proprio figlio da parte di Alonso nella Tempesta.

Anche il sonetto 37 può essere stato scritto in risposta alla morte di Hamnet. Shakespeare rivolgendosi al fair youth:

«As a decrepit father takes delight
To see his active child do deeds of youth
So I, made lame by fortune's dearest spight
Take all my comfort of thy worth and truth;»

«Come un padre decrepito prende diletto
vedendo il suo attivo figlio fare atti di giovinezza,
così io, storpiato dal durissimo dispetto della Fortuna,
traggo ogni mio conforto dal tuo valore e onore;»

(William Shakespeare, sonetto 37)

Si tratterebbe comunque di un'allusione molto vaga.

L'afflizione potrebbe avere eco anche in uno dei passaggi più dolorosi che Shakespeare abbia mai scritto, alla fine del Re Lear quando il monarca riconosce che sua figlia è morta:

«No, no, no life!
Why should a dog, a horse, a rat, have life,
And thou no breath at all? Thou'lt come no more,
Never, never, never, never, never!»

«No, no, niente vita!
Perché un cane, un cavallo, un topo hanno vita
e tu nemmeno un respiro? Tu non tornerai più,
Mai, mai, mai, mai, mai più!»

(Wikipedia)

 

Una frase al giorno

“La paternità, nel senso dell'atto cosciente di mettere al mondo, è sconosciuta all'uomo”.

(James Joyce, dall’Ulisse)

Il 2 febbraio 1922 Ulysses di James Joyce è pubblicato.

Tratto da una serie intitolata "The Modern World: Ten Great Writers", questo documentario giocoso introduce l'opera più famosa di James Joyce "Ulisse". Include fantastici adattamenti al film tratti dai romanzi. Include anche brani tratti da un libro scritto dall'amico di Joyce, l'artista Frank Budgen, dal titolo "James Joyce e la realizzazione di Ulisse". Tra gli intervistati c'è l'autore Anthony Burgess.

 

Un brano musicale al giorno

Joan Sutherland canta Leo Fall, Die Geschiedene Frau, "Kind du kannst tanzen"

Leo Fall (Olomouc, 2 febbraio 1873 - Vienna, 16 settembre 1925) è stato un compositore austriaco di operette.
L’operetta Die geschiedene Frau ha la prima assoluta con successo il 23 dicembre 1908 al Carltheater di Vienna con Richard Waldemar e Hubert Marischka; viene rappresentata come La divorziata al Teatro Lirico di Milano il 16 agosto 1909, nel Regno Unito nel 1910 come The Girl in the Train al Vaudeville Theatre di Londra nella versione di Adrian Ross arrivando a 340 recite, il 22 marzo 1911 al Teatro Reinach di Parma e come La Divorcée nel 1947 al Grand Théâtre di Ginevra;

Joan Sutherland

Joan Sutherland (Sydney, 7 novembre 1926 - Les Avants, 10 ottobre 2010) è stata un soprano australiano. Suprema virtuosa, è stata una delle più grandi protagoniste dell'opera nel Novecento. Pochi cantanti lirici hanno avuto una carriera prestigiosa e lunga (oltre quarant'anni) come la sua. Dotata di una voce di bellissimo timbro, di notevole volume e assai estesa (dal fa naturale sotto il rigo al fa diesis sovracuto), con sopracuti limpidi e penetranti, è stata capace di agilità perfette quanto spericolate. Attrice intelligente e misurata, nel genere tragico come nel comico, ha dato un contributo fondamentale al recupero della tecnica e della prassi esecutiva belcantistica (particolarmente nella sua accezione primo-ottocentesca), sviluppando in modo più specialistico e portando ai massimi esiti la "rivoluzione" stilistico-interpretativa avviata da Maria Callas. Molte delle sue interpretazioni, in buona parte consegnate ufficialmente al disco, sono considerate di riferimento. Per i melomani è La stupenda, Koloraturwunder e The Incomparable. Luciano Pavarotti la definì "The Voice of the Century".

(Wikipedia)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k