“L’amico del popolo”, 6 febbraio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

BEN HUR: A TALE OF THE CHRIST (Usa, 1925), regia di Fred Niblo. Basato sull’omonimo romanzo del General Lew Wallace. Adattamento: June Mathis. Sceneggiatura: Carey Wilson. Continuity: Bess Meredyth, Carey Wilson. Titoli: H. H. Caldwell, Katharine Hilliker. Fotografia: Clyde DeVinna, Rene Guissart, Percy Hilburn, Karl Struss. Montaggio: Lloyd Nosler. Con: Ramon Novarro (Judah Ben-Hur), Francis X. Bushman (Messala), May McAvoy (Esther), Betty Bronson (Mary), Claire McDowell (Miriam, Princess of Hur), Kathleen Key (Tirzah), Carmel Myers (Iras), Frank Currier (Arrius).

A Gerusalemme, nel periodo della Roma imperiale, Ben Hur, di stirpe giudea, diventa amico del centurione Messala. I due diventano rivali quando Messala si dimostra ostile ai Giudei. Dopo che una tegola caduta dalla casa di Ben Hur uccide un generale, Messala, per compiacere l'imperatore, fa arrestare tutta la famiglia. Condannato alle galere, Ben Hur incontra Gesù che lo conforta. Avendo salvato la vita ad Arrio, comandante di una galera, il giudeo è poi adottato da questi e diviene un famoso conduttore di bighe. In una competizione contro Messala, soddisfa la sua sete di vendetta battendolo. A Gerusalemme, dove Cristo è crocifisso, Ben Hur ritrova la madre e la sorella colpite dalla lebbra e apprende il messaggio di salvezza di Gesù, dell’uomo che l’ha tradito, l’amico d’infanzia Messala. La vicenda si svolge in parallelo con la vita del Cristo.

BEN HUR: A TALE OF THE CHRIST (Usa, 1925), regia di Fred Niblo

“La travagliata lavorazione era cominciata nell’ottobre del 1923, in Nord Africa e in Italia, sotto la direzione di Charles Brabin, con protagonista George Walsh, fratello minore di Raoul, che era del tutto inadatto per la parte. Irving Thalberg, dopo aver assunto il ruolo di direttore della produzione Metro Goldwyn Mayer, interruppe immediatamente il film ormai fuori controllo, cestinò le migliaia di metri di pellicola che erano già stati girati e rimpiazzò Brabin con il più esperto Fred Niblo e Walsh con l’astro nascente dello studio Ramon Novarro. Invece di tagliare il budget evitando così ulteriori perdite, Thalberg decise di investire altro denaro nel film per massimizzare il suo richiamo commerciale. Ampliò la portata del progetto e firmò un contratto con la Technicolor. Lo studio era stato tra i primi sostenitori del sistema Technicolor e lo impiegava sempre più spesso per conferire prestigio alle sue produzioni maggiori.
Nell’agosto del 1924, una troupe di quattro operatori della Technicolor partì per l’Italia, dove rimase per sei mesi. Questi portarono con sé quattro delle sette cineprese Technicolor esistenti e un grosso quantitativo di negativo pancromatico di particolare sensibilità, i cui recipienti di latta dovettero essere tenuti al fresco e trasportati via nave nei contenitori per il gelato. Era questa una delle prime produzioni a grosso budget dell’epoca a usare il Technicolor e le riprese all’estero, così lontano dal laboratorio della società, comportavano nuove sfide tecniche e logistiche. Il colore doveva magnificare le scene religiose e di massa del film, scene che per la gran parte dovevano essere girate dalla seconda unità, sotto la direzione di Christy Cabanne e di Alfred Raboch. Per far fronte alle previste richieste di questa super produzione, furono creati quattro negativi in bianco e nero per la distribuzione nazionale e internazionale e per certe scene furono anche fatte due copie a colori. Ciò significava posizionare sei cineprese una accanto all’altra per le scene in campo lungo, o una serie di riprese ripetute per le scene più intime. Preparare le riprese richiedeva pertanto un sacco di tempo e questo non era il solo problema che cast e tecnici dovettero affrontare. Nonostante lo splendore della luce solare italiana, per le scene a colori fu necessario un supplemento di luci. Il negativo “era molto lento”, come ricordava il provetto operatore Karl Struss, “e richiedeva moltissima luce artificiale. Anche negli esterni con la luce artificiale usavamo dei grandi riflettori di stagnola oltre ai normali riflettori d’argento. Gli attori si scottavano sul serio”. Girare in Technicolor a migliaia di miglia di distanza dalla sede provocò ulteriori ritardi. I giornalieri a colori potevano essere stampati solo nei laboratori della Technicolor di Boston e occorrevano dei mesi prima che ritornassero dagli Stati Uniti.
Nel gennaio del 1925, la produzione non ancora completata venne trasferita nello studio californiano della MGM. Una grande battaglia navale di galere era già stata filmata sulla costa livornese e l’imponente set del Circo Massimo allestito a Roma presso lo studio Cines era in fase di completamento. Ma fu deciso che non valeva la pena aspettare la fine dei rigori dell’inverno, anche perché i danni provocati alle scenografie dai forti venti si rivelarono troppo dispendiosi da riparare. Pertanto, il costoso set della scena clou del film, la corsa delle bighe, fu abbandonato e ricostruito ex novo a Culver City. Una buona parte del materiale in Technicolor girato in Italia finì anch’essa al macero, anche se furono salvate dalla distruzione la processione della domenica delle palme attraverso la porta di Giaffa, la sontuosa parata per le strade di Roma e un certo numero di interludi religiosi. Ferdinand Pinney Earle, il celebre realizzatore di mascherini mobili e di trucchi fotografici, fu chiamato nello studio per collaborare con Christy Cabanne alla realizzazione di molte delle scene religiose a colori, tra cui la nascita di Cristo, l’Ultima Cena e la Crocifissione.
Poiché un obbligo contrattuale impediva alla MGM di mostrare per intero la figura del Cristo sullo schermo, la sua presenza era abilmente suggerita attraverso l’accuratezza della composizione e l’occultamento.
Dopo quasi due anni di lavorazione, Ben Hur approdò finalmente sullo schermo nel dicembre 1925. Si trattava del film più dispendioso realizzato fino ad allora, essendo costato alla MGM quasi 4 milioni di dollari. Il grande sforzo produttivo emergeva soprattutto nelle due imponenti scene di massa, nelle migliaia di comparse e nelle nove sequenze a colori, per un totale di circa 1029 piedi (circa 314 metri), inserite in tutti i 12 rulli del film. La sua distribuzione come road show (in sale selezionate e a un prezzo speciale) fu organizzata da J. J. McCarthy, e fu un tale successo da reggere il cartellone a Broadway per un anno prima di iniziare il suo tour nel resto degli Stati Uniti.
Ben-Hur fu sicuramente una grossa commissione per la Technicolor, ivi inclusa la stampa per sei anni consecutivi di circa un milione e mezzo di piedi di pellicola a colori. Per via degli esorbitanti costi di produzione, nondimeno, il film non pareggiò i conti della MGM fino alla sua riedizione con musica ed effetti sonori del 1931. Detratti i costi di produzione e distribuzione, il guadagno finale del film per lo studio fu di 81.000 dollari."

(James Layton, Catalogo delle Giornate del Cinema Muto, 2014)

BEN HUR: A TALE OF THE CHRIST (Usa, 1925), regia di Fred Niblo

“Il colpo d’occhio conseguente all’entrata nell’arena, la grandiosità e l’imponenza della stessa sono l’introduzione ideale per la sequenza più attesa e celebrata del film e della successiva versione a colori del 1959, la corsa delle quadrighe. Ridley Scott ha usato la stessa tecnica di presentazione per l’entrata dei combattenti nel film epico di inizio millennio Il gladiatore (Gladiator). Anche la versione con Charlton Heston venne girata in parte in Italia, a Cinecittà, e le distese della Palestina visibili oltre l’arena furono create dell’artista di matte painting Matthew Yuricich.

...il panorama stava cambiando a causa dell’avvento del suono e il divertimento non era più di casa nel regno di Sennett, i cui ritmi e tempi male si adeguavano alle necessità tecniche della nuova invenzione. L’avvio del cinema sonoro confinò la lavorazione all’interno dei teatri di posa, con le cineprese il più delle volte fisse o segregate all’interno di armadi di legno con una parete di vetro ironicamente battezzati ‘ice boxes’ (scatole del ghiaccio) in quanto privi di ventilazione. Le riprese ed le trasferte in esterni andarono a ridursi drasticamente, così come si perse la componente pionieristica ed avventurosa che tanta attrattiva aveva esercitato su interpreti e cineasti.
A questo si aggiunse la crisi economica del 1929, che incise pesantemente su destini e carriere. Gli operatori itineranti - che viaggiavano filmando luoghi esotici e scenari suggestivi - dovettero adeguarsi alle nuove logiche produttive...

Nel primo anno di uscita Ben Hur chiuse con una perdita di quasi settecentomila dollari, dovuta agli costi di produzione, ma recuperò ed andò in positivo con le successive riedizioni (nel 1931 uscì con un commento musicale sincronizzato). Il pubblico continuò ad entusiasmarsi ed a apprezzare l’imponenza della messa in scena. La pellicola divenne negli anni una delle più remunerative dello studio, fino a quando non venne oscurata dalla versione del 1959, forte di schermo panoramico, Technicolor e suono stereofonico. Ma il film di Fred Niblo era stato girato senza un modello di riferimento, un precedente a cui rapportarsi, e dunque appare ancora più ammirevole ciò che riuscirono a conseguire i realizzatori di allora: come il protagonista, uscirono dall’arena da vincitori.”

(Federico Magni in www.cinefiliaritrovata.it, Cineteca di Bologna)

BEN HUR: A TALE OF THE CHRIST (Usa, 1925), regia di Fred Niblo

“Il Ben Hur del 1925 è la più costosa produzione cinematografica realizzata fino allora. Già la storia della sua realizzazione potrebbe essere soggetto di un film per le enormi difficoltà di tutti i generi che si dovettero affrontare. A partire dal cambio di casa produttrice, dalla Goldwyn Pictures alla Metro Goldwyn-Mayer, avvenuto in corsa, a riprese già avviate. Il film è tratto dall’omonima opera letteraria di Lew Wallace del 1880, che aveva avuto una precedente versione cinematografica e che conoscerà grande fortuna facendo incetta di Oscar nel 1957 e decreterà la fortuna internazionale di Cinecittà come la Hollywood sul Tevere.
Le prime scene girate nell’ottobre del 1923 furono in Nord Africa e in Italia sotto la direzione di Charles Brabin e con protagonista George Walsh, fratello minore del noto regista Raoul, che però si rivelarono ben presto inadatti a controllare la titanica impresa. Furono pertanto sostituiti dall’esperto Fred Niblo, il regista delle star (Valentino e Greta Garbo sopra tutti) e da Ramon Novarro, astro nascente di Hollywood. Le difficoltà principali erano tuttavia legate all’utilizzazione del sistema del Technicolor, che costituiva una sfida tecnica e logistica del tutto nuova poiché richiedeva l’uso di molte cineprese e il trasporto per lo sviluppo del materiale girato nei laboratori americani. Per le scene a colori in esterni non era sufficiente la luce solare e si doveva ricorrere a potenti fari per cui gli attori non potevano stare troppo a lungo in campo, pena gravi scottature. Nel gennaio 1925 si decise perciò di portare armi e bagagli negli studi californiani, salvando solo parte del materiale, soprattutto quello di carattere religioso, la sontuosa parata per le strade di Roma e al Circo Massimo e la battaglia navale di galere nel mare di Livorno. C’è un aneddoto che racconta che il realismo della lotta sia dovuto al fatto che le comparse utilizzate fossero state selezionate tra fascisti e comunisti (il partito era nato proprio a Livorno) che non ebbero pertanto troppi scrupoli a darsele di santa ragione. Ben Hur uscì sullo schermo nel dicembre del 1925 con grande successo che non riuscì tuttavia a pareggiare i conti fino alla riedizione con musica ed effetti sonori del 1931. A conti fatti il guadagno per la Major fu di soli 81.000 dollari”.

(In: “Giornate Del Cinema Muto. Rivive L'epopea Di Ben Hur”)

Il film "BEN HUR: A TALE OF THE CHRIST":

Altre immagini: www.youtube.com

6 febbraio 1899 nasce Ramon Novarro, attore, cantante e regista messicano-americano (morto nel 1968).

BEN HUR: A TALE OF THE CHRIST (Usa, 1925), regia di Fred Niblo

 

Una poesia al giorno

In morte del fratello Giovanni, di Ugo Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Turnham Green, 10 settembre 1827)

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quïete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.

Ugo Foscolo, poeta e autore italiano (1778 - 1827)

“Questo famosissimo sonetto tratta temi molto cari al poeta: innanzitutto, quello dell’esilio, unito a quello del tormento interiore per la scomparsa tragica dell’amato fratello Giovanni, suicidatosi a vent’anni per debiti di gioco, davanti alla madre, qui rappresentata come anziana e sola. Si tratta di tematiche tipicamente romantiche. Il tema dell’esilio va inteso non solo come condizione reale del poeta, ma come una condizione più generale di sradicamento e precarietà. In opposizione a questo, troviamo il motivo della tomba, che si ricollega all’immagine del nucleo familiare e soprattutto della madre. Il ricongiungimento con la madre e la terra natale è l’unico punto fermo nella condizione di esule, ma è impossibile, pertanto l’unica alternativa praticabile resta la morte che consente quel ricongiungimento con gli affetti familiari che in vita sembrava negato per sempre. La morte, dunque, se è fonte di lacrime per i propri cari, permette un legame con la vita: la restituzione delle ossa consente l’illusione della sopravvivenza, del ritorno tra le braccia della madre, quindi troviamo qui anticipato quel forte legame, punto cardine Dei sepolcri, tra tomba, terra natale e figura materna. È, infatti, proprio la madre che, pur colpita da tante sciagure, tenta pietosamente di ricomporre l’unità della famiglia accanto a un simbolo di morte, il sepolcro”.
(In ugofoscolo.weebly.com/i-sonetti.html)

6 febbraio 1778 nasce Ugo Foscolo, poeta e autore italiano (morto nel 1827).

 

Un fatto al giorno

6 febbraio 1958: disastro aereo di Monaco di Baviera. Il volo 609 della British European Airways si schiantò al suo terzo tentativo di decollo da una pista ricoperta di neve mista a fango all'aeroporto di Monaco-Riem, nella Germania Ovest. A bordo dell'aereo c'era la squadra di calcio del Manchester United, soprannominata i Busby Babes, insieme ad alcuni sostenitori e giornalisti: morirono 23 dei 44 passeggeri.

Il volo charter, destinato all'aeroporto di Manchester, era gestito dalla British European Airways (BEA) utilizzando un velivolo Airspeed Ambassador, precisamente con matricola G-ALZU, intitolato a William Cecil, 1º barone di Burghley. La Coppa dei Campioni fu disputata per la prima volta nel 1955, ma nessuna squadra inglese prese parte al torneo a causa delle regole imposte dalla Football League.
Il Manchester United partecipò alla Coppa dei Campioni 1956-1957 giungendo alle semifinali, dove venne sconfitto dai futuri campioni del Real Madrid; era quindi una delle formazioni favorite per l'edizione successiva del 1957-1958.
La squadra era conosciuta con nome di Busby Babes per via dell'allenatore Matt Busby e dell'età media dei giocatori, davvero molto giovane.
Il club aveva noleggiato un aereo per fare ritorno dalla partita di Coppa dei Campioni contro la squadra jugoslava della Stella Rossa di Belgrado, terminata con un pareggio per 3-3 (con questo risultato il Manchester United si era qualificato alle semifinali, avendo vinto la gara di andata per 2-1). Il decollo da Belgrado fu ritardato di un'ora perché il giocatore del Manchester United Johnny Berry aveva perso il suo passaporto. Poi l'aereo fece una fermata programmata a Monaco per rifornirsi di carburante. Mancava il "trainer" della squadra, di fatto il vice di Busby, Jimmy Murphy, casualmente assente in quanto impegnato come selezionatore della nazionale gallese nello spareggio per le qualificazioni al campionato mondiale di calcio 1958”.

(Wikipedia)

Immagini:

 

Una frase al giorno

“Fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell'infanzia”.

(François Truffaut, regista e critico cinematografico francese, nato a Parigi il 6 febbraio 1932 e morto a Neuilly-sur-Seine, Parigi, il 21 ottobre 1984)

François Truffaut, regista e critico cinematografico francese (1932 - 1984)

Immagini:

6 febbraio 1932 nasce François Truffaut, Attore, regista, produttore e sceneggiatore francese (morto nel 1984)

 

Un brano musicale al giorno

María Teresa Vera, Lágrimas Negras

María Teresa Vera, cantante, chitarrista e

Letra de Lágrimas Negras

Aunque tu me has hechado en el abandono
aunque tu has muerto todas mis ilusiones
Y en vez de maldecirte con gusto en cono
en mis sueños te colmo
en mis sueños te colmo de bendiciones

Sufro la inmesa pena de tu extravio
siento el dolor profundo de tu partida
Y lloro sin que sepas que el llanto mio
Tiene lagrimas negras
Tiene lagrimas negras como mi vida

Tu me quieres dejar yo no quiero sufrir
contigo me voy mi santa aunque me cueste morir
Ay tu me quieres dejar yo no quiero sufrir
contigo me voy mi santa aunque me cueste morir

Un jardinero de amor siembra una flor y se va
otro viene y la cultiva de cual de los dos sera
Ay tu me quieres dejar yo no quiero sufrir
contigo me voy mi santa aunque me cueste morir

Amada prenda querida no puedo vivir sin verte
porque mi fin es quererte y amarte toda la vida
Ay tu me quieres dejar yo no quiero sufrir
contigo me voy mi santa aunque me cueste morir

Yo te lo digo mi amor te lo repito otra vez
contigo me voy mi santa porque contigo morire
Ay tu me quieres dejar yo no quiero sufrir
contigo me voy mi santa aunque me cueste morir

Tu me quieres dejar yo no quiero sufrir
contigo me voy mi santa aunque me cueste morir
Yo te lo digo mi amor que contigo morire
contigo me voy mi santa te lo repito otra vez
Ay tu me quieres dejar yo no quiero sufrir
contigo me voy mi santa aunque me cueste morir

6 febbraio 1895 nasce María Teresa Vera, cantante, chitarrista e "trovadora" cubana (morta nel 1965)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k