“L’amico del popolo”, 2 ottobre 2019

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno III. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

THE COCOANUTS (Le noci di cocco, USA, 1929), regia di Robert Florey, Joseph Santley. Prodotto da: Monta Bell, Walter Wanger. Scritto da: George S. Kaufman, Morrie Ryskind. Musica: Irving Berlin, Victor Herbert, Frank Tours, Georges Bizet. Fotografia: George J. Folsey, J. Roy Hunt. Montaggio: Barney Rogan. Cast: Groucho Marx (Mr. Hammer). Harpo Marx (Harpo). Chico Marx (Chico). Zeppo Marx (Jamison). Mary Eaton (Polly Potter). Oscar Shaw (Robert 'Bob' Adams). Margaret Dumont (Mrs. Potter). Kay Francis (Penelope). Cyril Ring (Harvey Yates). Basil Ruysdael (Detective Hennessey).

All'epoca del boom economico sviluppatosi in Florida negli anni venti, Mr. Hammer è il proprietario del gigantesco Hotel Cocoanuts, un albergo di 600 stanze in cui la maggior parte degli ospiti non paga l'affitto, tanto che Hammer è costretto a far lavorare gratis i propri impiegati poiché non è in grado di pagare gli stipendi.
Per scongiurare la crisi finanziaria, Mr. Hammer tenta di salvare la propria posizione corteggiando Mrs. Potter, una facoltosa vedova che è anche una tra i pochi ospiti dell'albergo a pagare i conti.
Nel frattempo, Mrs. Potter tenta di combinare il fidanzamento di sua figlia Polly con Harvey Yates, un altro ospite dell'albergo che lei ritiene degno di stima. Ma Yates è in realtà un truffatore che sta progettando di rubare una preziosissima collana di diamanti di proprietà di Mrs. Potter. Il furto riesce e Yates nasconde il bottino all'interno dell'area di terreno che sta per essere battuta all'asta nei pressi dell'albergo.
A sua volta, Polly è innamorata del giovane architetto Bob Shaw, che lavora come impiegato all'hotel ma sogna di diventare ricco e famoso e di poter sposare Polly. Nel tentativo di realizzare i suoi sogni, Shaw compra dei terreni all'asta, ma la proprietà che acquista è proprio quella dove la collana di diamanti è stata nascosta da Yates. Quando Harpo scopre la collana rubata all'interno della proprietà appena acquistata da Shaw, questi viene creduto colpevole di furto, ma la sua innocenza viene dimostrata alla festa di fidanzamento di Yates e di Polly.
Alla fine, Mrs. Potter annuncia che il matrimonio tra Shaw e Polly sarà celebrato e tutti gli ospiti dell'albergo festeggiano insieme.

THE COCOANUTS (Le noci di cocco, USA, 1929), regia di Robert Florey

Canzoni:

  • "Florida by the Sea" (strumentale con breve voce di coro durante il montaggio iniziale)
  • "When My Dreams Come True" (tema musicale, Mary Eaton e Oscar Shaw in vari modi, diverse riprese)
  • "The Bell-Hops" (strumentale, numero di danza)
  • "Monkey Doodle Doo" (voce di Mary Eaton e numero di danza)
  • "Ballet Music" (strumentale, numero di danza)
  • "Tale of the Shirt" (voce di Basil Ruysdael, parole messe in musica dalla Carmen di Georges Bizet)
  • "Tango Melody" (voce inclusa nella produzione teatrale, usata nel film solo come musica di sottofondo)
  • "Gypsy Love Song" (di Victor Herbert, piano solo di Chico Marx)

Diverse canzoni della rappresentazione teatrale sono state omesse dal film: "Lucky Boy", cantato dal coro per congratularsi con Bob per il suo fidanzamento con Polly e "A Little Bungalow", un duetto d'amore cantato da Bob e Polly che è stato sostituito da "Quando I miei sogni diventano realtà "nel film.
Irving Berlin ha scritto due canzoni dal titolo "Monkey Doodle Doo". Il primo fu pubblicato nel 1913, il secondo introdotto nella produzione teatrale del 1925 e presentato nel film. Sono canzoni molto diverse.
Sebbene la leggenda sostenga che Berlin abbia scritto la canzone "Sempre" per The Cocoanuts, non ha mai voluto includere la canzone, scrivendola invece come regalo per la sua fidanzata.”

(In en.wikipedia.org)

“Groucho" Marx (2 ottobre 1890 - 19 agosto 1977) fu un comico, scrittore, palcoscenico, film, radio e star televisivo americano. Un maestro di spirito arguto, è ampiamente considerato uno dei più grandi comici d'America.
Ha realizzato 13 lungometraggi con i suoi fratelli Marx Brothers, di cui era il terzo nato. Ha anche avuto una carriera da solista di successo, in particolare come conduttore del programma radiofonico e televisivo You Bet Your Life. Il suo aspetto distintivo, ripreso dai suoi giorni a Vaudeville, comprendeva stranezze come una postura curva esagerata, occhiali, sigaro, baffi e sopracciglia folte e unte di grasso. Queste esagerate caratteristiche portarono alla creazione di uno dei travestimenti più riconoscibili e onnipresenti della novità, noti come occhiali Groucho: una maschera monopezzo composta da occhiali cerchiati di corno, un grande naso di plastica, sopracciglia folte e baffi.”

(In en.wikipedia.org)

THE COCOANUTS (Le noci di cocco, USA, 1929), regia di Robert Florey

“Ce ne dimentichiamo. Sempre. Citiamo a piene mani Einstein, Schopenhauer, qualcuno La Rochefoucauld. Wilde e d’Annunzio, esteti o estetisti che li si voglia, imperano sulle bocche ed i meme di chiunque, e così Woody Allen; i più elitari ripescano Karl Kraus, e via elencando. Eppure di lui, uno dei più grandi aforisti di tutti i tempi, tendiamo a dimenticarci (ma citiamo Charlie Chaplin, che faceva ridere molto meno): stiamo parlando, ovviamente, di Groucho Marx.
Uno dei talenti comici a cui il mondo della commedia, dell’humour e dell’arguzia, nonché del nonsense (ben prima del Teatro dell’Assurdo) deve di più, nacque a New York il 2 ottobre del 1890 e morì esattamente quarant’anni or sono, il 19 agosto del 1977 a Los Angeles: Julius Henry Marx, aka Groucho Marx. Groucho che vuol dire, grossomodo, brontolone o musone, il che può suonare strano se pensiamo che il suo personaggio aveva sempre un mezzo sorriso sardonico attorno al quasi immancabile sigaro e che comunque gli occhi gli ridevano sempre, mezzi ironici con due gocce di stupore, forse per l’incontenibilità della sua stessa verve.
Ci fa tanta, tanta tristezza parlare di Groucho Marx ed è inevitabile quando si racconta di uno di quei personaggi la cui memoria pare avviata incontrovertibilmente sul Viale del Tramonto: parlarne è parlare di polvere di stelle, ogni gesto in memoria, compreso questo, è come una fragola mangiata sull’orlo del precipizio. Anche l’hommage più favoloso che si possa concepire, l’uso dell’immagine di Groucho (Marx) come spalla di Dylan Dog.
Ma è destinato tutto a sparire: nell’epoca della massima possibilità di conservazione della cultura, Groucho Marx non ha futuro, troppo acuto, poco patinato, per nulla malleabile. Come un vero comico.”

(In www.artspecialday.com )

“Quando, il 19 agosto 1977, Groucho Marx lasciava questa vita, la sua scomparsa passò un po’ sotto silenzio, messa in secondo piano da quella improvvisa di Elvis Presley, morto solo tre giorni prima (ieri ricorreva anche il quarantennale del re del rock). Julius Henry Marx, questo il suo vero nome (il nome d’arte derivava dal suo essere considerato un grouchy, un brontolone), era nato a New York nel 1890, terzo di sei figli (il primo morì a pochi mesi dalla nascita), in una famiglia di immigrati ebrei tedeschi. Occhiali, nasone, sigaro e baffi neri: la sua inconfondibile icona divenne quasi una maschera novecentesca, simbolo di ironia e irriverenza nei confronti dei potenti. Ognuno dei fratelli Marx aveva costruito un personaggio riconoscibile fin dal nome d’arte. Chico era il bullo immigrato dall’accento italiano; Harpo era quello silenzioso e un po’ ritardato; con loro si esibirono per brevi periodi anche gli altri fratelli, che si fecero chiamare Gummo e Zeppo.

Senza dubbio, però, chi primeggiava era Groucho, il leader indiscusso, gran parlatore e affabulatore demenziale. Indimenticabili i loro film, tra i quali Animal Crackers, La guerra lampo dei Fratelli Marx, Una notte all’opera, Un giorno alle corse, Una notte a Casablanca, Una notte sui tetti.
Dal ’50 Groucho passa armi e bagagli prima alla radio e quindi alla televisione. I baffetti con gli occhialoni di Groucho dominarono anche l’era pionieristica dei quiz televisivi americani: You bet your life ('Scommetti la tua vita') che lui conduceva è stato uno dei più grandi successi televisivi di sempre. Scomparsi nel ’61 Chico, nel ’64 Harpo, nell’aprile ’77 Gummo, Groucho era rimasto il depositario più autorevole di un’allegria strepitosa e il testimone di una popolarità che non aveva conosciuto eclissi. Woody Allen, che ha sempre ammesso di esserne l’erede, ha riempito di citazione dei fratelli Marx i suoi stessi film. Non tutti sanno però che Groucho è noto al pubblico anche grazie alla sua attività di scrittore, di cui vanno ricordate almeno l’autobiografia Groucho e io (1959) e Le lettere di Groucho Marx (1967), entrambe pubblicate in Italia da Adelphi negli anni ’90. La sua vena surreale ha influenzato addirittura il teatro dell’assurdo di Eugène Ionesco, che dichiarò di aver tratto ispirazione dai rovesciamenti delle convenzioni tipiche di Groucho Marx.

Tra le sue amicizie intellettuali va ricordata quella tra lui e il premio Nobel Thomas S. Eliot. Quando l’attore e il poeta entrarono in contatto, Groucho si trovò a scrivere in questi termini all’autore di capolavori come La terra desolata e Quattro quartetti: «Caro T.S., la sua fotografia è arrivata in ottimo stato e spero che questa lettera la trovi nelle stesse condizioni. Non credevo che lei fosse così bello. Se non le hanno ancora offerto il ruolo di protagonista in qualche film sexy, ciò è da attribuire solo alla stupidità dei responsabili del casting». Eliot dal canto suo aveva già risposto: «Caro Groucho Marx, il suo ritratto è arrivato, con mia grande gioia, e presto figurerà, debitamente incorniciato, sulla mia parete accanto ad altri amici famosi quali W.B. Yeats e Paul Valery». In seguito, i due si incontreranno in Gran Bretagna. «Durante la settimana precedente - annota Groucho nel suo diario - avevo letto Assassinio nella cattedrale due volte, La terra desolata tre volte, e casomai si dovesse arrivare a un punto morto nella conversazione, avevo dato una rispolverata a Re Lear». Eliot però, ammetterà l’attore dopo la cena, «sembrava più propenso a parlare di Animal Crackers e Una notte all’opera. E ha pure citato una battuta, una delle mie, che avevo dimenticato da un pezzo». Groucho, colpito dalla personalità e spiritualità dello scrittore, arrivò a chiamarlo Tom, in segno di amicizia e affinità. Alla notizia della morte annotò, commosso: «Era una cara persona, il miglior epitaffio che un uomo possa avere».”

(Luciano Lanna, giovedì 17 agosto 2017 in: www.avvenire.it)

THE COCOANUTS (Le noci di cocco, USA, 1929), regia di Robert Florey

 

Una poesia al giorno

Molti popoli accorreranno, di Naim Araidi

Molti popoli accorreranno
e io sarò in mezzo a loro
un uomo che porta agli uomini
la poesia.
E hanno preparato le loro spade
aratri
e hanno portato solo le loro falci
a volte salmi
e io sarò fra loro
un uomo che porta agli uomini
la poesia.
I nemici diventano amici
come il cavallo del buon cavaliere
i soldati uccisi in guerra
loro sono martiri,
e quelli che vivono in pace
vivono grazie a quelle morti
Ma i poeti nella vita e nella morte restano
poeti,
e io sarò fra loro
un uomo che porta agli uomini
la poesia.

Il violino non ha affatto l’ardore
lontano dalle mani dell’uomo,
e quando in estate si scalda la pietra
possiede l’anima e forse anche il sangue.
L’uomo sbaglia
s’infuria e si agita e insulta
ma
passata la tempesta dimentica
e chiede scusa per qualsiasi cosa.
E suona una nuova melodia
e io sono in quel suono
un uomo che porta agli uomini
la poesia.

Gerusalemme dall’alto è al di sopra
Gerusalemme in basso è sopra la terra.
Prendi l’unica che hai amato
io prenderò la mia
incontriamoci a metà strada
tra cielo e terra
e molti popoli accorreranno
e io sarò fra loro
un uomo che porta agli uomini
la poesia.

Naim Araidi (Maghar, 2 aprile 1950 - 2 ottobre 2015), poeta, insegnante e diplomatico israeliano 

Naim Araidi (Maghar, 2 aprile 1950 - 2 ottobre 2015), poeta, insegnante e diplomatico israeliano, appartenente alla minoranza religiosa dei Drusi.
Giovanissimo si è trasferito ad Haifa per completare la sua istruzione, fino ad insegnare nella stessa Università, in quella di Bar-Ilan, al Gordon College of Education e all’Università Araba per l’Educazione in Israele.
Come giornalista ha presentato programmi settimanali su Channel 2, sia per bambini che notiziari.
Ha fondato la rivista Al-Aswar. Nel 1994 ha ideato e fondato il Nissan (“Primavera”) Festival durante la seconda Intifada con l’intenzione di stabilire un canale di comunicazione fra le diverse religioni che popolano il Medio Oriente. Poeti di tutto il mondo si incontrano a Maghar con poeti e giornalisti arabi e israeliani.
Ha vinto diversi premi internazionali, ricevuto due lauree honoris causa, scritto libri per bambini, poesie e opere scientifiche in ebraico e in arabo, molto è stato tradotto in altre lingue.”

(In caponnetto-poesiaperta.blogspot.com)

 

Un fatto al giorno

2 ottobre 1968: Il presidente messicano Ordaz ordina ai soldati di reprimere una manifestazione di studenti, dieci giorni prima dell'inizio delle Olimpiadi.

Il massacro di Tlatelolco avvenne il 2 ottobre 1968 nella Piazza delle tre culture a Tlatelolco, Città del Messico. Non si conosce il numero esatto delle vittime. Nonostante le cifre fornite da fonti governative riportino una stima di non oltre 40 o 50 morti (al momento della strage il governo parlò di 34 morti) le stime più attendibili indicano oltre 300 vittime, tutte tra i manifestanti. Il massacro avvenne dieci giorni prima dell'inizio dei Giochi della XIX Olimpiade che si svolsero a Città del Messico dal 12 ottobre al 27 ottobre 1968.
29 anni dopo il massacro, nell'ottobre 1997, il congresso messicano formò un comitato per investigare sul massacro di Tlatelolco. Il comitato raccolse vari testimoni e attivisti politici dell'epoca, incluso l'ex presidente Luis Echeverría, che all'epoca era Segretario del Governo. Echeverria ammise che gli studenti erano disarmati e che l'attacco militare fu pianificato precedentemente per distruggere il movimento studentesco.

(Articolo completo in it.wikipedia.org)

Il massacro di Tlatelolco avvenne il 2 ottobre 1968 nella Piazza delle tre culture a Tlatelolco, Città del Messico

“Mancavano pochi giorni all'inaugurazione dei Giochi olimpici del 1968 e nel Paese si scatenò un'intensa manifestazione studentesca. Gli echi degli eventi verificatisi in Francia cominciarono a risuonare nelle aule universitarie a partire da maggio. Il movimento nato all'Università autonoma nazionale del Messico (UNAM) si diffuse in tutto il Paese.
Quel giorno il governo di Gustavo Díaz Ordaz adottò contro i manifestanti misure repressive che portarono alla morte di 30-40 persone secondo le stime ufficiali. 50 anni dopo la Commissione esecutiva per il controllo delle vittime (CEAV) presso il Ministero messicano degli Interni ha riconosciuto che il massacro fu un crimine dello Stato. Le testimonianze riguardo all'accaduto del 2 ottobre rievocano caos e mancanza di organizzazione sebbene l'operazione delle forze armate avrebbe dovuto essere "coordinata". Le testimonianze confermano che l'esercito non cominciò a sparare sulla folla, ma rispose a un attacco armato del gruppo Olimpia che agiva in incognito. Questo gruppo, ancora oggi sconosciuto, sparò sulla piazza dai palazzi circostanti.

(Leggi tutto in: it.sputniknews.com)

Il massacro di Tlatelolco avvenne il 2 ottobre 1968 nella Piazza delle tre culture a Tlatelolco, Città del Messico

“Olimpiadi, 50 anni da Messico ‘68. La strage degli studenti prima del via.

È passato mezzo secolo dalla terribile repressione della piazza delle Tre Culture: la fine dell’innocenza delle Olimpiadi. Moltissimi morti, il cui numero non fu mai ufficializzato, la Fallaci tra i feriti. E stava per andare in scena la più grande protesta della storia olimpica con il guanto nero alzato sul podio dei 200 metri, una denuncia antirazzista in mondovisione. Esattamente due settimane dopo la strage di Tlatelolco. Cinquant’anni fa le Olimpiadi persero per sempre la loro innocenza. Il 2 ottobre del 1968 finirono prigioniere dell’immensa tragedia di un Paese. Il Messico, che avrebbe ospitato i Giochi dieci giorni dopo, represse ferocemente i coetanei di quei giovani che stavano arrivando per occupare primi, secondi e ultimi posti: gli studenti. A metà pomeriggio, l’ora in cui il cielo del DF - le due lettere che stanno per Distrito Federal, il modo con cui a Città del Messico chiamano la loro città - si imbroncia, il battaglione Olympia, criminale usurpazione di un nome che ha sempre almeno ambito a un mondo senza violenza, scatenò l’inferno. Ma erano tutt’altro che gladiatori i granaderos del presidente Diaz Ordaz. Una luce verde, “sparata’ da un elicottero diede il segnale. Il Villaggio Olimpico si trovava 24 chilometri più in là. Però alcuni atleti, come il nostro Eddy Ottoz, qualche giorno dopo medaglia di bronzo nei 110 ostacoli, riuscirono a entrare diventando testimoni oculari della tragedia. Come Oriana Fallaci, la giornalista-scrittrice che raccontò il suo ferimento da un letto di ospedale sulle colonne dell’ “Europeo”, rivolgendosi così agli studenti: “Fate bene a sentirvi grandi adesso - perché se vivo farò sapere a tutto il mondo che cosa ha fatto la polizia messicana”.

(Leggi tutto in: www.gazzetta.it)

Il massacro di Tlatelolco avvenne il 2 ottobre 1968 nella Piazza delle tre culture a Tlatelolco, Città del Messico

Oriana Fallaci, ferita mercoledì 2 ottobre a Città del Messico, durante i gravissimi incidenti di piazza delle Tre Culture, ci ha fatto giungere il suo racconto della stanza dell’ospedale in cui era ricoverata. Lo stato in cui si trovava, dopo le ferite e l’operazione subita, le ha impedito di mettersi alla macchina da scrivere. Essa ha però voluto ugualmente farci avere la propria testimonianza sui fatti di cui è stata anche protagonista: ha inciso su nastri tutto il racconto. La registrazione che è giunta da Città del Messico dura due ore e mezzo, con le inevitabili ripetizioni, gli indugi, e le interruzioni di una testimonianza resa a viva voce da una persona ancora sotto choc del rischio mortale che ha corso. Oriana Fallaci ci ha inviato i nastri raccomandandoci di usare la sua narrazione per ricavarne un servizio su ciò che era accaduto il 2 ottobre in Messico. Noi, dopo aver ascoltato queste bobine, abbiamo deciso di trascrivere esattamente ciò che vi è detto, senza cambiare niente. Nessun servizio avrebbe potuto essere più vivo, più drammatico di questo racconto fatto con la sua voce viva. Ogni tanto il discorso è interrotto da qualche lamento, da medici e infermieri che entrano ad escono dalla stanza, da pause di stanchezza della nostra collega. Il servizio di Oriana Fallaci che pubblichiamo è più di un racconto: è un eccezionale documento giornalistico.”

(Leggi tutto in: www.oriana-fallaci.com)

 

Gli attivisti mettono in scena un memoriale d'arte sulla piazza Zocalo di Città del Messico per commemorare il massacro di Tlatelolco del 1968, durante il quale le truppe messicane hanno aperto il fuoco su studenti manifestanti, uccidendone centinaia pochi giorni prima che Città del Messico ospitasse le Olimpiadi del 1968.

 

Una frase al giorno

“I am not happy that I am sick. I am not happy that I have AIDS. But if that is helping others, I can at least know that my own misfortune has had some positive worth.” (Non sono felice di essere malato. Non sono contento di avere l'AIDS. Ma se questo aiuta gli altri, posso almeno sapere che la mia sventura ha avuto un valore positivo)

(Rock Hudson, attore statunitense, nome d'arte di Roy Harold Scherer Jr, in seguito Roy Harold Fitzgerald. Winnetka, 17 novembre 1925 - Beverly Hills, 2 ottobre 1985)

“Dal fisico prestante, Rock Hudson dimostrò di possedere più che un naturale sex-appeal, rivelandosi attore dalle notevoli doti drammatiche. È spesso ricordato per essere stato il primo personaggio famoso a morire per aver contratto l'AIDS, evento che spinse l'opinione pubblica ad acquisire una maggiore presa di coscienza nei confronti della malattia.”

(Wikipedia)

Rock Hudson, attore statunitense, nome d'arte di Roy Harold Scherer Jr, in seguito Roy Harold Fitzgerald. Winnetka, 17 novembre 1925 - Beverly Hills, 2 ottobre 1985

  • Un film: Seminole (1953), Rock Hudson Western Movie

Seminole è un film western Technicolor americano del 1953, diretto da Budd Boetticher e interpretato da Rock Hudson, Anthony Quinn, Barbara Hale e Richard Carlson. Gran parte del film è stato girato nel Parco nazionale delle Everglades, in Florida. Il film raffigura la Seconda Guerra Seminole (1835-1842).

A Fort King, in Florida, nel 1835, il tenente Lance Caldwell è accusato dell'omicidio di una sentinella. Dinanzi alla corte marziale, egli racconta la storia della fragile pace tra i coloni e i nativi indiani Seminole, e di come la pace fosse stata minacciata dal comandante del forte, il maggiore Harlan Degan, il quale voleva sterminare i nativi. Nel tentativo di stabilire una pace più duratura con il gruppo dei Seminole, Revere Muldoon, un amore giovanile di Caldwell, si incontra con il capo Seminole Osceola, un meticcio nato con il nome di John, di cui è innamorata, il quale è figlio di un'indiana ed è un amico d'infanzia del tenente Caldwell. Nel rispetto nei confronti di Caldwell e in nome della loro antica amicizia, Osceola arriva al forte recando una bandiera di tregua, ma viene incarcerato dal maggiore Degan. Osceola muore nella cella e Caldwell viene accusato del suo omicidio e incarcerato a sua volta. Alla fine la verità viene a galla e gli indiani Seminole salvano Caldwell facendolo uscire di prigione.

Rock Hudson, attore statunitense, nome d'arte di Roy Harold Scherer Jr, in seguito Roy Harold Fitzgerald. Winnetka, 17 novembre 1925 - Beverly Hills, 2 ottobre 1985

 

Un brano musicale al giorno

Jacqueline du Pré suona Kol nidrei Op. 47 Adagio su melodie ebraiche per violoncello con orchestra e arpa, di Max Bruch

  • Jacqueline du Pré (violoncello)
  • Gerald Moore (piano)

Max Bruch (Colonia, 6 gennaio 1838 - Friedenau, 2 ottobre 1920 è stato un compositore, insegnante e direttore d'orchestra romantico tedesco che ha scritto oltre 200 opere, tra cui tre concerti per violino, il primo dei quali è diventato un punto fermo del repertorio per violino.

Bruch non ebbe una vita artistica serena e tranquilla e, nonostante abbia occupato posti importanti nella vita musicale tedesca (fu direttore di società corali a Berlino, dove nella locale Accademia tenne la cattedra di composizione dal 1891 al 1911), non riuscì ad imporsi saldamente nell'ambiente culturale, della Germania del suo tempo. Per giunta, egli aspirò a diventare un compositore d'opera di successo con Scherz, List und Rache (1858), Loreley (1863) ed Hermione (1872), ma il suo sogno non potè realizzarsi nel momento storico in cui dominava il Wort-Ton-Drama wagneriano e ideali estetici avveniristici entusiasmavano i giovani che si dedicavano alla musica. Si può dire che il nome di Bruch sia famoso ancora oggi soltanto per il Concerto in sol minore per violino e orchestra, anche se la produzione di questo autore, solitario e deluso, si estese in tutti i campi, specie in quello corale e cameristico.
L'Adagio per violoncello con orchestra e arpa Kol Nidrei, che è poi un Adagio ma non troppo, fu scritto da Bruch nel 1881 su melodie ebraiche e dedicato a Robert Hausmann. Esso è diviso in due sezioni, una in re minore e l'altra in re maggiore. L'alternanza di modalità minore-maggiore offre all'ascoltatore due diversi climi sonori. La prima sezione poggia su un tema del violoncello espressivamente malinconico e dai contorni di tristezza nostalgica; la seconda sezione, in cui interviene l'arpa a mo’ di accompagnamento (l'arpeggiato è a sostegno armonico degli archi), vede il violoncello intonare una larga frase cantabile, variata da eleganti passaggi in semicrome. Le ultime misure si richiamano al clima iniziale, concludendo il pezzo sulle armonie di archi, arpa e corni.»

(Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia, Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 26 novembre 1988. In: www.flaminioonline.it)


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k