“L’amico del popolo”, 20 settembre 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

YAABA (Nonna, Svizzera/Burkina Faso/Francia, 1989), scritto e diretto da Idrissa Ouedraogo. Fotografia: Matthias Kälin. Montaggio: Loredana Cristelli. Musica: Francis Bebey. Con Roukietou Barry, Fatimata Sanga, Noufou Ouedraogo.

Bila, sveglio ragazzetto di un villaggio del Burkina Faso, prova simpatia e affetto per Sana, un'anziana donna che vive sola, relegata ai margini della comunità dagli abitanti, che la ritengono strega. L'animo di Bila, ancor libero da pregiudizi e paure, avverte infatti la pretestuosità della "patente" di strega, affibbiata dai compaesani all'innocua donna e la difende dalle accuse infondate di maleficio, provandone la falsità. Punito severamente a causa del suo coraggioso dissenso, Bila non cessa di proteggere l'infelice donna: ruba per lei del cibo, le tiene compagnia, ne ascolta le storie, la chiama affettuosamente "yaaba" (nonna), l'aiuta a ricostruire la povera capanna, incendiata per scaramanzia dai superstiziosi paesani, e riesce a comunicare anche alla piccola amica Nopoko la propria simpatia per Sana. Mentre la vita del villaggio trascorre fra pettegolezzi, liti, amori e tradimenti, subito palesi a motivo della primitività dei protagonisti, che ancora ignorano le "maschere" in uso presso i "civili", capita che proprio la piccola Nopoko, ferita dal coltello arrugginito di alcuni monelli, diventi preda del tetano. Il fatto viene subito attribuito dai paesani a Sana, come maleficio, con la conseguenza di un acuirsi di persecuzione ed emarginazione nei suoi confronti. Ma quando Nopoko rischia di morire, Sana, insistentemente supplicata da Bila, riesce a trovare, presso un guaritore, una mistura che salverà la bambina, consentendo alla vecchia yaaba di chiudere in serenità e dignità i suoi pur miseri giorni.

“Pur ambientato in un villaggio contadino africano, il film evita la rappresentazione bucolica di un posto incontaminato dai problemi dell'Occidente, con paesaggi esotici e un punto di vista "turistico". Il bambino e la bambina protagonisti si caratterizzano per il loro sguardo diretto sul mondo e sulle persone e sembrano invitare lo spettatore a essere altrettanto franco e risoluto nell'andare oltre le ipocrisie dell'età adulta. L'amicizia tra Nopoko e Bila si fonda così su una grande sincerità e sul piacere di fare molte cose insieme, dalle più semplici a quelle più profonde, come accade nelle discussioni sull'atteggiamento tenuto dagli adulti verso la "yaaba" Sana. Tra i due non mancano momenti di dissidio, che vengono però superati con chiarimenti reciproci, senza tracce di rancore. Appare centrale per loro l'esperienza del gioco, in cui il piacere della ludicità si accompagna sempre all'intensità dell'impegno e alla serietà con cui si devono rispettare le regole. Viceversa, gli adulti fanno altri "giochi", in cui domina la dissimulazione: tradimenti amorosi, rituali para-religiosi del falso stregone o atteggiamenti canzonatori verso chi è considerato buffo a causa di una sofferenza, come nel caso dell'ubriaco. Il villaggio degli adulti appare così caratterizzato da atteggiamenti di pregiudizio e superficialità che tendono a produrre discriminazione e emarginazione, come accade verso Sana, ingiustamente accusata di influenze negative e di poteri malvagi. In realtà nessuno, se non i due bambini, si perita di verificare la fondatezza di tali accuse, ma tutti preferiscono utilizzarle come scorciatoia sociale e psicologica per farsi una ragione delle difficoltà che affliggono il villaggio: il gruppo, nonostante le differenze tra i singoli, si cementa trovando un capro espiatorio più debole e isolato, su cui scaricare frustrazioni e inquietudini. In questa riflessione, il film appare universale e non riducibile solo al villaggio africano, che diventa l'emblema di un microcosmo riproducibile, pur con i debiti aggiustamenti, in molte altre situazioni molto vicine a noi. Ouedraogo evita però ogni manicheismo: non esistono adulti cattivi e bambini buoni, non ancora corrotti. Se Bila e Nopoko si pongono in modo critico e consapevole nelle varie relazioni intergenerazionali con gli adulti - ora ascoltati, ora temuti, non capiti o presi in giro -, il gruppetto di coetanei che li aggredisce e ferisce Nopoko è assimilabile a una qualsiasi banda di bulletti, che scimmiottano gli atteggiamenti violenti degli adulti e la prepotenza del gruppo per sentirsi più forti di chi dimostra maggiore personalità e difende idee non condivise da tutti. Proprio l'incidente occorso a Nopoko che rischia di morire, rivaluta la saggezza dell'anziana Sana che senza molte parole sa come operare e, soprattutto, supera i conflitti pregressi e non si rivale contro il villaggio che l'ha discriminata a lungo. L'incidente è anche la prova chiave per Bila, che dimostra la propria autonomia dal gruppo, interpellando Sana nonostante il divieto dei genitori. In questo senso, la complicità e l'intesa tra l'anziana e il bambino diventano il suggello del circuito necessario per la continuazione della vita, in senso generale, oltre al caso specifico di quella di Nopoko: la bambina salvata, il bambino che diventa più consapevole di sé, più adulto, e l'anziana che può morire serena, riabilitata dal gruppo e consapevole di aver trasmesso il suo sapere alle nuove generazioni”.

(Michele Marangi, Aiace, Torino)

“Siamo nel Burkina Faso. La vecchia Sana (Fatimala Sanga) è costretta a vivere in una capanna fuori dal villaggio: è invisa agli dei poiché non ha avuto figli; la sua dimestichezza con i segreti delle piante e degli animali è strana come il suo atteggiamento altero e spregiudicato: deve essere una strega che se la fa con gli spiriti maledetti; ogni incidente e disgrazia succede per colpa sua”. Un giorno Sana s'intromette nel gioco a nascondino nei cespugli tra Bila (Noufou Ouedrago), un ragazzino di dodici anni, e la sua amichetta Nopoko (Roukietou Baruy). Bila simpatizza subito con l'anziana vagabonda e la chiama yaaba (nonna). ”Mai nessuno mi ha chiamata nonna”, sussurra commossa lei, e nasce tra la vecchia e il bambino un'amicizia trepida e intensa. Bila sfida lo scherno dei compagni e la meraviglia della gente; sua madre lo appoggia, e si reca sempre più spesso a trovare la sua yaaba in compagnia di Nopoko. Questa spola tra la "scomunicata" e il villaggio ha qualche effetto: adesso si parla con meno timore superstizioso di Sana, c'è chi la difende dall'accusa di aver incendiato il granaio. Il momento critico si ha quando Nopoko è morente per un’infezione tetanica; Sana offre una prodigiosa pozione di erbe. Alcuni notabili preferiscono vedere la fanciulla morire che fidarsi della strega; stanno per averla vinta quando, per fortuna, l'amore infonde a Bila la forza di convincere i genitori della sua amica a rischiare. Così Nopoko è salva e Sana riammessa nella convivenza civile mentre il padre di Bila le costruisce l'ultima dimora.

Scheda tecnica
Yaaba (premio Fipresci, Cannes 1989) è il secondo film a soggetto di Idrissa Ouedraogo, quarantacinquenne regista burkinabe, che appartiene come Souleyrriane Cissé (Yeelen) alla nuova generazione di cineasti africani di formazione europea, ma finalmente determinati a guardare l'Africa con occhio integralmente africano, proiettandola sullo schermo in un linguaggio originale e maturo. Il film ha un andamento contemplativo, riflesso delle modulazioni espressive del racconto orale tradizionale- La narrazione talora si fa esile e lenta e minaccia, per la nostra sensibilità occidentale, di arenarsi in tempi morti. L'incantesimo visivo e eccezionale: paesaggi, volti, oggetti si accendono in immagini essenziali, incastonate in inquadrature di un rigore compositivo semplice e incisivo (la fotografia è di Matihias Kalin). Cosa non frequente nel cinema africano che conosciamo, l'interpretazione è di qualità, soprattutto i personaggi della yaaba e di Bila sono resi con una lievità e una giustezza emotiva impressionanti; è difficile dimenticare la figura slanciata dell'anziana donna condannata all'ostracismo, che si muove calma e dignitosa sullo sfondo degli spazi di un'Africa immobile. Il film scorre su una linea narrativa in cui la seduzione della metafora e del mito si equilibra con il realismo preciso della vita quotidiana in un piccolo villaggio africano: Ouedraego ha alle spalle un'attività di autore di documentari.

Approfondimento
Scene di una gara di corsa tra Bila e Nopoko aprono e chiudono "Yaaba" sottolineandone l'articolarsi sotto il segno dello spazio: lo spazio, affettuoso e regolamentato, del villaggio e quello esterno, aperto e proiettato sulla savana. Nel primo si inscena la commedia sociale con i suoi aspetti umoristici (la donna che si rifiuta al coniuge, l'ubriacone deriso è il vero saggio), drammatici (i pregiudizi contro la strega rischiano di costare la vita a Nopoko), quotidiani (i pettegolezzi, gli affetti i rituali della normalità). Lo spazio fuori dal villaggio è il terreno della trasgressione; là Koudi, la moglie dell'ubriacone, dà appuntamento all'amante; i bambini giocano in libertà; è il teatro della rissa in cui Nopoko si becca la coltellata fatale e, soprattutto, è il regno della vecchia Sana, la reietta. E là essa inizia Bila e Nopoko a 'vedere': si affaccia facendo la spia sul nascondiglio di Bila, rivela il suo bisogno di affetto, spiega ai bimbi la misteriosa savana, li introduce nella sua capanna. Lo sguardo dilaga: gli amanti si ritrovano di nascosto ma tutti vedono, un faccione osserva, divertito, i litigi coniugali. Gli Spazi gradualmente si interpenetrano. La frattura tra il villaggio e il fuori, tra l’infrazione dei divieti, il gioco e la normalità regolamentata e abolita e la guarigione di Nopoko preannuncia la riammissione di Sana nella comunità”.

  • Il film online: Yaaba, 1989 (Burkina Faso)

YAABA (Nonna, Svizzera/Burkina Faso/Francia, 1989), scritto e diretto da Idrissa Ouedraogo

 

Una poesia al giorno

Après la guerre, di Wole Soyinka (il nigeriano Wole Soyinka, nato nel 1934, poeta e scrittore per il teatro, primo Nobel africano per la letteratura nel 1986, è una delle figure più importanti della letteratura contemporanea in Africa)

Non coprite le cicatrici
nella rapida distilleria del sangue
ho sentito filtrare
l’odore familiare dei narcotici,
non coprite le cicatrici

il tubero comune della carne, quando
è pestato a fondo nella terra si arma contro
la morte, e con nuove bardature assalta il sole
ma affinché non si riveli un guscio vuolo
e affinché le nuove vite non affondino
le radici nel vuoto della finzione
non gonfiate la pelle crepata della terra
per smaltare le fessure del tamburo

non vi coprite nell’escara
non mutate il dolore nel lamento
di un impostore balbettante
la faccia una maschera di veli dipinti
il fiato seccato dalla bile
cuore di pezza e ghigno di teschio
per ingannare i rigori
dell’esorcismo.

La vernice si crepa. Lasciate
che il midollo del legno batta solo
per il nuovo nato
che segue la veglia.

 

Un fatto al giorno

20 settembre 1378: inizio nella Chiesa dello Scisma d'Occidente e designazione dell'antipapa Clemente VII. Nel 1377, per ordine del cardinale Roberto da Ginevra, la popolazione ribelle della città di Cesena, circa 4.000 persone, viene sterminata. Per questa ragione il cardinale verrà nominato "il macellaio/boia di Cesena". Diventerà poi l'Antipapa Clemente VII. Con Scisma d'Occidente o Grande Scisma si intende la crisi dell'autorità papale che per quasi quarant'anni, lacerò la Chiesa occidentale sulla scia dello scontro fra papi e antipapi per il controllo del soglio pontificio.

 

Una frase al giorno

“Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero”.

(Aristotele, filosofo greco antico, 384/3-322 a.C.)

 

Un brano al giorno

Wu Yingyin, “Heartbroken Red”, 1948, 断肠红-吳鶯音 

Wu Yingyin, nome d'arte di Wu Jianqiu (吳健秋) (cinese tradizionale: 吳鶯音; cinese semplificato: 吴莺音; pinyin: Wú Yīng Yīn; Shanghai, 1922-Los Angeles, 17 dicembre 2009), è stata una cantante cinese attiva soprattutto durante gli anni '40, nei quali diventò una delle Sette Grandi Star del Canto.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k