L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno III. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...
Un film al giorno
WEGE ZU KRAFT UND SCHÖNHEIT (Forza e bellezza, Germania 1925), regia di Nicholas Kaufmann, Wilhelm Prager. Musica: Giuseppe Becce. Fotografia: Eugen Herich, Friedrich Paulmann, Friedrich Weinmann.
Cast: La Jana, Maria Caramonte [= Eva Liebenberg], Hertha von Walther, Kitty Cauer, Hubert Houben, Rudolf Kobs, Luber, Artur Holz, Herrmann Westerhaus, Henry Carr, Helen Wills; Charles William Paddock, Loren Murchison, Arthur Porrit (velocisti); Leni Riefenstahl, membri della Bode-Schule, Laban-Schule, Schule Hellerau für Rhythmus, Musik und Körperbildung, Gymnastik-Schule Bess Mensendiek, Gymnastik-Schule Loheland (culturisti); Lydia Impekoven, Tamara Karsavina, Peter Wladimiroff, Jenny Hasselqvist, Bac Ishii, Konami Ishii, Mary Wigman, Carolina de la Riva (danzatrici).
“Un documentario che ha per tema la bellezza del corpo: può essere considerato come una delle prime avvisaglie dell'ideale ariano propugnato dal nazionalsocialismo. Un inno al corpo perfetto. Attraverso riprese documentaristiche, si illustrano i benefici dello sport, dell'igiene, dell'armonia corporea, della danza, della ginnastica. Pose plastiche di nudi che reinterpretano ciò che l'immaginario ci restituisce degli atleti della cultura classica.
Nell'edizione italiana vennero censurate le scene di nudo più appariscenti e la scena del bagno romano.”
(In it.wikipedia.org)
“La pellicola fa parte del genere del Kulturfilm, documentari della UFA con l’intento di istruire il pubblico. In particolare Wege zu Kraft und Schönheit è il Kulturfilm più importante dell’epoca, ed ebbe per la sua peculiarità grande fama anche all’estero. Propugna il concetto della rigenerazione della razza umana attraverso sequenze reali di atletica, ginnastica, danza, evocando e ricostruendo scene greco-romane di terme e di ginnasio. L’esibizione per la prima volta dei corpi nudi degli atleti incontrò le ire della censura, ma la UFA sostenne che la bellezza fisica suscitava piacere solo estetico. Possiamo considerare Wege zu Kraft und Schönheit il primo film a cui ha partecipato Leni Riefenstahl, anche se in un ruolo minore e nel gruppo delle danzatrici di Mary Wigman, e anche se mai lei ne ha fatto menzione, neanche nelle sue Memoiren.
Ma leggiamo l'opinione di Kracauer su questo film: Pure l’accurata fattura non poteva compensare l’incredibile indifferenza per i problemi umani. Spacciando la ginnastica artistica per un sistema di rigenerazione dll’umanità, Wege zu Kraft und Schönheit distraeva i contemporanei dai mali dell’epoca, cui nessuna ginnastica artistica poteva porre rimedio.”
“Intorno al 1924, la drammatica crisi economica della Germania ridusse temporaneamente la produzione di lungometraggi, incrementando quella di documentari e film educativi (Lehrfilme), che offrivano il vantaggio di una notevole riduzione dei costi. Questi stilizzati Kulturfilme si rivelarono estremamente redditizi per il conglomerato Ufa. Che, facendo di necessità virtù, in un suo opuscolo pubblicitario dell’epoca annunciava pomposamente: “Il mondo è bello: e il suo specchio è il Kulturfilm.” Il Kulturabteilung Ufa era stato fondato nel luglio del 1918, e verso la metà degli anni ’20 aveva iniziato la produzione di documentari a lungometraggio su argomenti vari, quali il vino attraverso i secoli, et cetera. Il suo più grande successo commerciale fu Wege zu Kraft und Schönheit, che venne nuovamente distribuito nel 1926 con un 60% circa di materiale nuovo. Quando il film fu distribuito all’estero vennero fatte ulteriori aggiunte, per assecondare i requisiti e le preferenze delle singole nazioni.
Recensendo la versione americana (The Way to Strength and Beauty) nel 1927, il New York Times informava i propri lettori che il film aveva attivamente contribuito a diffondere “la mania per il nudo e i bagni di sole nei paesi d’oltreoceano”.
Scrive Siegfried Kracauer nel 1947 in Dal Gabinetto del dottor Caligari a Hitler: “Il primo Kulturfilm che colpì il pubblico straniero fu Wege zu Kraft und Schönheit (Forza e bellezza) dell’UFA [diretto da Wilhelm Prager], un lungometraggio documentario distribuito nel 1925 e ripresentato un anno dopo in edizione un po’ modificata. Realizzato con l’appoggio finanziario del Governo tedesco, questo film venne proiettato nelle scuole per il valore educativo che gli si attribuiva. In un manifesto pubblicitario dell’UFA dedicato ai suoi pregi, un panegirista di professione afferma che Wege zu Kraft und Schönheit propugna il concetto della «rigenerazione della razza umana». In realtà il film propugna soltanto la ginnastica artistica e lo sport, ma in compenso lo fa senza risparmio di colpi: non contenta di ritrarre scene reali di atletica, di ginnastica igienica e ritmica, di danza e così via, l’UFA risuscita le terme romane e un antico ginnasio greco pieno di adolescenti che si atteggiano a contemporanei di Pericle. La mascherata era facile in quanto molti atleti si esibivano completamente nudi. Naturalmente questo spettacolo offese i prudes, ma l’UFA sostenne che la perfetta bellezza fisica doveva suscitare piaceri di ordine puramente estetico e il suo idealismo fu compensato dagli ottimi incassi al botteghino. Da un punto di vista estetico la ricostruzione dell’antichità è di cattivo gusto, le scene sportive eccellenti e le bellezze fisiche talmente ammassate le une alle altre che non fanno nessun effetto, né sensuale, né estetico.”
(David Robinson)
- Il film: N. Kaufmann & W. Prager: FORZA E BELLEZZA (1925)
Una poesia al giorno
Symptom Recital, poema di Dorothy Parker
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I do not like my state of mind;
I'm bitter, querulous, unkind.
I hate my legs, I hate my hands,
I do not yearn for lovelier lands.
I dread the dawn's recurrent light;
I hate to go to bed at night.
I snoot at simple, earnest folk.
I cannot take the gentlest joke.
I find no peace in paint or type.
My world is but a lot of tripe.
I'm disillusioned, empty-breasted.
For what I think, I'd be arrested.
I am not sick, I am not well.
My quondam dreams are shot to hell.
My soul is crushed, my spirit sore;
I do not like me any more.
I cavil, quarrel, grumble, grouse.
I ponder on the narrow house.
I shudder at the thought of men....
I'm due to fall in love again.
Sintomi, di Dorothy Parker (traduzione italiana di Silvio Raffo in Rivista Poesia, n. 302, marzo 2015)
Non sopporto il mio stato mentale:
sono scontenta, garrula, asociale.
Odio i miei piedi, odio le mie mani,
non m’interessano lidi lontani.
Temo il mattino, la luce del giorno;
odio, la notte, al letto far ritorno.
Maldico chi agisce onestamente
non tollero lo scherzo più innocente.
Non mi appagano un quadro, una lettura:
per me il mondo è soltanto spazzatura.
Sono cinica, vuota, scombinata.
Non so come non mi abbiano arrestata
per quel che penso. I vecchi sogni andati,
l’anima a pezzi, i sensi torturati.
Non mi è chiaro nemmeno come sto
ma certo non mi piaccio neanche un po’.
E litigo, cavillo, gemendo di paura:
penso alla morte, alla mia sepoltura.
L’idea di un uomo mi lascia sconvolta...
Sto per innamorarmi un’altra volta.
“Giornalista, scrittrice di racconti e poesie, sceneggiatrice. Intellettuale, anticonformista, senza peli sulla lingua, spiritosissima. Dottie, come la chiamano gli amici, è piccola di statura, bruna ma con un incarnato chiaro, molto miope ma restia a portare gli occhiali, sempre ben vestita e profumata, amante di cappelli, cani e scotch.
Nasce Dorothy Rothschild il 22 agosto del 1893 a West End, nel New Jersey, da padre ebreo di origini tedesche, Jacob Henry Rothschild, e madre di origini scozzesi, Eliza Annie Marston. Di cognome fa Rothschild, ma la sua famiglia non ha nulla a che fare con i noti banchieri europei. Nasce comunque tra gli agi, nel cottage di famiglia sulla spiaggia al 732 di Ocean Avenue, la casa delle vacanze, e cresce a New York, sulla Settantaduesima Strada, dove il padre lavora nel settore tessile insieme al fratello Martin. Ha due fratelli e una sorella più grandi e vive un’infanzia tutt’altro che felice, segnata da lutti e rapporti familiari complicati: rimane orfana di madre a soli cinque anni, mal sopporta il padre (lo accusa di essere severo e distante) e soprattutto la matrigna Eleanor Francis Lewis (si rifiuta di chiamarla madre e le si rivolge con un freddo “Mrs Rothschild” o “ehi tu!”), viene espulsa dalla scuola cattolica per aver associato l’Immacolata Concezione alla “combustione spontanea”, abbandona il liceo, perde lo zio paterno nel 1912 nella tragedia del Titanic e nel 1913 perde anche il padre e rimane senza soldi. Per guadagnarsi da vivere suona il piano in una scuola di danza, e nel frattempo scrive versi...
(Leggi l’articolo completo in www.oblique.it)
Immagini:
- Bette Davis does Dorothy Parker reading, and does Vince Edwards
- Remembering the Legacy of Dorothy Parker (Pt. I)
- Prince - Ballad of Dorothy Parker
Un fatto al giorno
22 agosto 1849: primo raid aereo nella storia. L'Austria lancia palloncini senza pilota contro la città di Venezia.
“Nel 1849, le forze austriache che assediarono Venezia lanciarono circa 200 palloni incendiari, ciascuno con una bomba da 24 a 30 libbre che doveva essere sganciata dal pallone con una miccia a tempo sulla città assediata. I palloncini furono lanciati da terra e dalla nave della marina militare austriaca SMS Vulcano che fungeva da porta-palloncini.”
“L'assedio austriaco a Venezia
«[...] Sulle tue pagine scolpisci, o Storia,
l'altrui nequizie e la sua gloria,
e grida ai posteri tre volte infame
chi vuol Venezia morta di fame!
Viva Venezia! L'ira nemica
la sua risuscita virtude antica;
ma il morbo infuria, ma il pan le manca...
Sul ponte sventola bandiera bianca!»
(Arnaldo Fusinato)
Il Piemonte, già provato dalla battaglia di Custoza del 27 luglio, ritirò il suo sostegno dopo l'armistizio Salasco del 9 agosto. L'11 agosto, ad appena quattro giorni dalla nomina, i commissari regi lasciarono Venezia e, nel frattempo, se ne andava la flotta sarda. In questa situazione disperata, Manin assunse la dittatura per quarantotto ore e, il 13 agosto, il potere venne affidato ad un triumvirato formato, oltre che dallo stesso Manin (Questioni civili), da Giovanni Battista Cavedalis (Guerra) e Leone Graziani (Marina).
Un valido aiuto giunse invece dal generale napoletano Guglielmo Pepe, mandato inizialmente dal suo sovrano a combattere al fianco dei piemontesi, che rifiutò di obbedire all'ordine di rientro e si unì ai veneziani con duemila volontari, prendendo il comando dell'esercito che difendeva la città.
Frattanto, nonostante l'eroica resistenza dei volontari, la terraferma era stata rioccupata dall'esercito austriaco. Il 4 maggio 1849 gli austriaci iniziarono le ostilità contro forte Marghera, presidiato da 2.500 uomini al comando del colonnello napoletano Girolamo Ulloa. La difesa fu accanita, ma la notte del 26, d'accordo col governo, Ulloa dovette dare l'ordine di evacuare il forte. Gli austriaci avanzarono allora lungo il ponte della ferrovia ma, trovando anche qui una forte resistenza, iniziarono un pesante bombardamento contro la città stessa. Una prima richiesta di resa da parte del comandante in capo delle forze austriache Radetzky, fu sdegnosamente respinta.
L'episodio del bombardamento di Venezia del 1849 merita una menzione particolare: infatti in quel frangente, accanto all'artiglieria, gli austriaci impiegarono per la prima volta dei palloni aerostatici nel tentativo di portare a termine un bombardamento aereo. L'uso dei palloni per scopi bellici non era del tutto nuovo, poiché fin dal 1794 i francesi avevano costituito una Compagnia aerostieri con palloni ancorati a terra da cavi, con scopi di ricognizione; ma il 2 luglio le mongolfiere austriache furono caricate con bombe incendiarie, collegate a micce a tempo che avrebbero dovuto lasciar cadere l'esplosivo esattamente quando i palloni fossero giunti sopra la città. Tuttavia il vento respinse i palloni, facendoli tornare verso le linee austriache, cosicché il primo tentativo di bombardamento aereo della storia risultò fallimentare.
L'11 luglio 1849 alcuni abitanti di Chioggia tentarono di incendiare la fregata austriaca "I.R. Venere" attaccandola con un brulotto al largo della costa.
Alla lunga, comunque, la situazione della città divenne insostenibile (a complicare le cose si aggiunse anche un'epidemia di colera), e ai primi di agosto lo stesso Manin, vista l'impossibilità di resistere ad oltranza, iniziò a parlare di resa, e offrì anche di farsi da parte se invece si fosse deciso di combattere fino all'ultimo. L'Assemblea confermò la fiducia al Manin, e gli affidò pieni poteri per trattare la resa, che venne firmata il 22 agosto 1849 a villa Papadopoli. Il 27 gli austriaci entravano a Venezia, mentre Manin, Tommaseo, Pepe e molti altri patrioti prendevano la via dell'esilio.”
(Articolo completo in it.wikipedia.org)
“Il primo bombardamento aereo della storia: Venezia 2 luglio 1849.
Il 1° luglio 1849 era caduta anche la Repubblica Romana; Giuseppe Garibaldi con Anita e alcuni patrioti cercarono la fuga verso Venezia, ultimo angolino di resistenza (Anita morì nelle valli di Comacchio, Ciceruacchio fu fucilato dagli austriaci a Porto Tolle). Venezia resisteva, assediata. Gli austriaci bombardavano a cannonate da Marghera, ma con esito modesto.
La mattina del 2 luglio 1849 il primo bombardamento aereo della storia. Nel cielo estivo e senza nuvole, a circa 500 metri di quota, volteggiavano infatti alcune piccole mongolfiere, sotto ciascuna delle quali pendeva una bomba con la miccia accesa. Alcuni ordigni aerei esplosero nel cielo, altri si spensero in laguna con un frizzo della miccia, altri scoppiarono lontani, portati dal vento. Era l’invenzione austriaca del colonnello d’artiglieria Benno Uchatius. Prima Uchatius provò con una mongolfiera classica, con due bombardieri che avrebbero dovuto gettare dal cestello le bombe sulle case. Il vento fu nemico del Radeschi e amico di Venezia.
I primi droni della storia.
Poi il colonnello sperimentò i palloni senza pilota e senza equipaggio. Nacquero così i primi droni della storia. I palloni da bombardamento avevano un involucro di stoffa di 100 metri cubi e un carico ridotto (per motivi di sicurezza) di circa 20 chilogrammi di ordigni. Il 1 luglio 1849, venne tentato un primo lancio, ma il vento si rivoltò contro.
I primi missili antiaerei.
Furono fatti altri lanci e allora tra gli ufficiali della repubblica ancora (per poco) indipendente si fece avanti il maggiore Giuseppe Andervolti, artigliere friulano.
Andervolti modificò un razzo congrève da marina, aggiungendovi una corda con un arpione, per agganciare nel volo i palloni bombardieri.
I primi velivoli da caccia.
Federico Piatti invece immaginò mongolfiere da caccia: palloni aerostatici intercettori.
Il 22 agosto 1849 Venezia si arrese ed entrarono gli austriaci. Per la presa di Venezia, in onore del Radeschi il compositore Johann Strauss compose la Radetsky-Marsch, odiosa marcetta per festeggiare la fucilazione di centinaia di italiani. Il Radeschi avrà come residenza personale la villa reale di Milano, in Via Palestro, dove morirà nel gennaio 1858.”
(Articolo completo di Jacopo Giliberto in: jacopogiliberto.blog.ilsole24ore.com)
Una frase al giorno
“Gli amici stranieri mi chiedono spesso come abbia fatto a sopravvivere a tanti processi, a tante tribolazioni, e io gli rispondo sempre: «Perché sono un ottimista, perché non mi scoraggio mai, e perché so che la politica è un'altalena con cui si va su e giù».
(Deng Xiaoping, 22 agosto 1904, Paifang - 19 febbraio 1997, Pechino. Dall'intervista con Oriana Fallaci, agosto 1980, Intervista con il potere, Bur, 2014)
“LA RIVOLUZIONE DI DENG XIAOPING
Il secolo che ci ha preceduto è stato il secolo delle grandi rivoluzioni: in tutto il mondo si sono succedute incessantemente rivoluzioni di destra e di sinistra, controrivoluzioni, colpi di stato, guerriglie, repressioni sanguinose: i morti si sono contati a milioni, forse a centinaia di milioni. Eppure nessuna di esse ha avuto successo, in realtà sono tutte fallite: è fallito il nazismo, il comunismo, le passionali rivoluzioni sud americane, anche i governi “rivoluzionari” dei paesi ex coloniali non hanno certo realizzate le speranze, perfino Ghandi è stato messo in soffitta.
Ma di tutte le rivoluzioni del ‘900 una sola veramente ha avuto successo e cambierà, nel corso del nostro secolo, il mondo intero: la rivoluzione guidata da Deng Xiaoping fra il 1976 e 1994 in Cina.
Si tratta di una vera rivoluzione perché essa, in una accanita, drammatica lotta durata quasi due decenni, ha capovolto completamente l’assetto economico politico creato da Mao Zedong Con essa la Cina è uscito dal sottosviluppo, ha raggiunto tassi di sviluppo altissimi e costanti che la porteranno a riprendere il posto centrale nel mondo che aveva avuto fino al 1700 contendendo agli Occidentali il primato economico, scientifico e civile che essi hanno ormai da più di due secoli: il mondo ne risulterà cambiato profondamente, anche se non possiamo prevedere in che modo.
Tuttavia di questa rivoluzione pochi in Occidente e in tutto il mondo sono veramente coscienti: tutti conoscono Hitler e Stalin, Mao e Pancho Villa, ai loro tempi, a milioni, morirono per seguirli: ma pochi hanno idea chiara di chi fosse questo cinese di piccola statura che non ha mai nemmeno ricoperto il ruolo formale di “capo” della Cina e che ha cambiato il mondo forse come nessun altro nel ‘900.
Questo lavoro si propone di dare una prima sommaria informazione su Deng Xiaoping e sulla sua rivoluzione.
(Leggi l’articolo completo di Giovanni De Sio Cesari in www.storiologia.it)
Un brano musicale al giorno
Claude Debussy, La Demoiselle élue - Rai Torino (1959)
Nadine Saterereau, Giovanna Fiorini, Orchestra sinfonica e coro della RAI di Torino - Dirige Sergiu Celibidache (30.01.59)
“La damoiselle élue
Poema lirico per soprano, coro femminile e orchestra, L 69
Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
Testo: Dante Gabriele Rossetti tradotto in francese da Gabriel Sarrazin
Organico: soprano, coro femminile, 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, 2 arpe, archi
Composizione: 1887 - 1888
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 8 aprile 1893
Edizione: Librairie de l'Art indépendant, Parigi, 1893 (spartito); Durand, Parigi, 1906 (partitura)
Dedica: Paul Dukas
Strano esempio di "rifrazione" nei diversi campi artistici quello del tema della Blessed damozel prediletto dal pittore e poeta preraffaellita Dante Gabriel Rossetti: dapprima, nel 1847, l'artista inglese lo illustrò in un poemetto di quindici stanze, quindi dalla lirica ricavò un quadro enigmatico, cromaticamente giocato sui neri, i bruni, i terra di Siena opposti al bianco accecante della luce che colpisce la "fanciulla eletta", e ove la sontuosità antiquaria e i tic iconografici tipici dei preraffaelliti concorrono a dare al dipinto un'aura di maestosa, funeraria tristezza. Infine tra il 1887 e il 1888 Claude Debussy mise in musica la poesia di Rossetti nella traduzione francese di Gabriel Sarrazin, creando una sorta di "commento sonoro" di quella visione sospesa tra diafana ieraticità religiosa e nascosto, languido erotismo, disegnando in suoni l'atmosfera sia della poesia che del dipinto, in quello che va considerato come il primo grande esito della particolarissima sinestesia tra suono-colore-parola che da quel momento abitò quasi perennemente le opere vocali del musicista francese. La composizione, scritta come terzo "invio" alla commissione del Prix de Rome, fu poi ritoccata nell'orchestrazione dall'autore nel 1902, mettendo a frutto le conquiste timbriche della contemporanea, straordinaria strumentazione del Pelléas.
Debussy fu certamente attratto nella poesia di Rossetti dalla strana commistione (ampiamente in linea con gli stilemi anti realistici e morbosamente estetizzanti dei preraffaelliti, che non poca influenza ebbero sulla concezione artistica del simbolismo), di elementi trascendenti, di estatica attesa e di desiderio carnale occulto, attraverso i quali si dispiega il commosso anelito all'amore oltre la vita invocato dalla fanciulla per il proprio amato. Debussy affida le stanze descrittive della lirica rossettiana che precedono e seguono il discorso diretto della Damoiselle alternativamente al canto sillabico del coro femminile e alla voce di contralto (o di mezzosoprano) della "narratrice", mentre la lunga perorazione della protagonista della lirica è affidata ad una voce di soprano...”
(Paolo Cecchi, leggi il testo intero tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia, Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 1 dicembre 1996 in: www.flaminioonline.it)
Il testo originale di Rossetti da cui è tratto il testo francese e traduzione in italiano in: www.flaminioonline.it
Achille Claude Debussy (22 agosto 1862 - 25 marzo 1918) fu un compositore francese. A volte è stato considerato il primo compositore impressionista, anche se egli ha respinto con forza il termine. Fu tra i compositori più influenti tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo.»
(Wikipedia)
Ugo Brusaporco
Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.
INFORMAZIONI
Ugo Brusaporco
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UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.
È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.
Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.
“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”
(Wikipedia)
“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”
(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)
“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.
(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)
“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”
(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)
“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)
“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.
(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)
Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/
Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0
https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs
https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4
https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk
Una poesia al giorno
Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?
Nell'amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.
Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.
Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l'anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?
Nous serons
N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants
Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,
Nous serons fiers parfois et toujours indulgents
N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie
Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,
Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.
Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,
Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,
Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.
Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible
Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,
S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.
Unis par le plus fort et le plus cher lien,
Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,
Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.
Sans nous préoccuper de ce que nous destine
Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,
Et la main dans la main, avec l'âme enfantine
De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?
Un fatto al giorno
17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.
(da Focus)
Una frase al giorno
“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”
(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)
Un brano al giorno
Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k