“L’amico del popolo”, 22 giugno 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

EXILS (Esili, Francia- Giappone, 2004), scritto e diretto da Tony Gatlif, presentato in concorso al 57° Festival di Cannes e vincitore del premio per la miglior regia. Fotografia: Céline Bozon. Montaggio: Monique Dartonne. Musica: Tony Gatlif, Delphine Mantoulet. Con: Romain Duris, Lubna Azabal, Leila Makhlouf, Habib Cheik, Gacem Zouhir, Hassan Nabat.

Zano e la sua compagna Naima hanno un progetto, quello di un viaggio attraverso Francia e Spagna, fino a raggiungere l'Algeria, per conoscere il luogo che i loro antenati hanno dovuto abbandonare. Un road movie attraverso la Andalusia e la sensualità e il ritmo del flamenco. Un viaggio di musica e libertà che servirà ai due ragazzi a trovare il coraggio di attraversare il Mediterraneo e compiere - finalmente all'inverso - il viaggio della diaspora fino all'Algeria.

“Probabile che il più incredulo, durante la ridda schizofrenica della cerimonia di premiazione all’ultimo festival di Cannes, sia stato proprio Tony Gatlif. Il premio per la miglior regia al film Exils stabilisce un repentino e tardivo riconoscimento, oltre a suonare come un avvilente buffetto terzomondista, a un regista oramai giunto alla soglia del trentennale di carriera (Gatlif ha iniziato il suo percorso da metteur en scene nel 1975 con La tête en ruines). Difficile quindi non evidenziare che Exils è la summa e il concentrato delle peripezie artistiche e professionali di un signore che fa del movimento frenetico e dissennato della macchina da presa una cifra stilistica peculiare. Stabilendo poi una matrice filosofica quasi invariabile nel tempo, quella di una sorta di fuoco sacro che anima i protagonisti, Gatlif su di essa costruisce ogni più curiosa variante narrativa. In questo caso tocca a Zano e Naima compiere un viaggio attraverso la Francia, la Spagna e il Marocco, per tornare sulle tracce dei loro avi algerini. Un percorso a ritroso che evita la dimensione politica e si concentra su quella geografica e, infine, spirituale. Un sovrapporsi e incrociarsi di corpi e di anime che sfocia in un’osmosi recitativa, musicale e linguistica, che dovrebbe portarci su un terreno di sensuale, autentico e sofferto meticciato di razze e culture. Peccato però che in tutto il cinema di Gatlif, e più che mai in Exils, la volontaria trascuratezza dei dialoghi, le sfasate e balbettanti dimensioni emotive dei due affascinanti protagonisti (Romain Duris e quella Lubna Azabal già vista in Loin di Téchiné), allontanino tutte le sacrosante velleità autoriali racchiuse nello script dalla loro realizzazione effettiva. E poi pensare che una soggettiva tremolante e stordente di una zanzara possa essere una divertente e intelligente variante tecnica, fa perlomeno sorgere un sottile velo di imbarazzo e qualche dubbio sulle reali capacità e intenzioni del regista franco-algerino”.

(Davide Turrini)

"È un bellissimo viaggio quello della coppia del film 'Exils' di Tony Gatlif, Romain Duris e Lubna Azabal, lui francese di famiglia pied noir e lei araba trapiantata in Europa. (...) Ai critici il film sembra piacere poco, ma sbagliano: perché a parte talune esuberanze, Gatlif sa come si gira all'aria aperta, con curiosità inesausta e il cuore in mano. A Tony Gatlif ci sono voluti 30 anni e 19 titoli in filmografia per vedersi riconoscere a Cannes il premio della migliore regìa. Algerino di nascita, riparato in Francia dodicenne nel '60, in 'Exils' Tony racconta il viaggio di Romain Duris e Lubna Azabal alla volta di Algeri."

(Tullio Kezich, Corriere della Sera, 20 maggio 2004)

“Barbarico e nomade come i suoi personaggi, Exils si muove su un registro deliberatamente mitico e anche il rapporto con la musica non è mediato da nessuna consapevolezza, ma è immediato e viscerale. (...) Viaggio geografico, viaggio interiore, viaggio musicale, 'Exils' li segue da Parigi alla Spagna, dalla Siviglia ad Algeri, e dalla techno al flamenco, dai ritmi gitani alla travolgente danza sufi che manderà Naima in trance facendole finalmente ritrovare la parte dimenticata di sé. Magari qua e là Tony Gatlif sfiora l'enfasi, qualche scena è troppo detta, in altre invece prevale lo sguardo documentario (Algeri devastata dal terremoto, la danza collettiva finale). La grazia di Gadjo Dilo o il tono antropologico di Latcho Drom erano senz'altro più convincenti. Ma 'Exils' sa essere sporco, duro, lacerato e lacerante come il viaggio che racconta. Prendere o lasciare."

(Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 21 maggio 2004)

"Finalmente in concorso un'opera sulla musica e sul corpo al Festival: 'Exils' ('Esili') del regista algerino e zingaro Tony Gatlif, autore di un notevole 'Vengo', presentato alla Mostra di Venezia tre anni fa. Il suo è un racconto allo specchio, perché non sono i personaggi del film che lasciano l'Algeria, come lui aveva fatto negli anni Sessanta; sono maghrebini nati in Francia a recarsi nella terra degli avi. Un'avventura alla ricerca di loro stessi, che diverrà un viatico per la bella Nail e il suo eccentrico innamorato Zeno. Dalla Francia, attraverso l'Andalusia, fino ad Algeri, i due si rigenerano nella musica e nelle multiformi posture dei corpi."

(Maurizio Cabona, Il Giornale, 20 maggio 2004)

"Un road-movie sull'identità colorato e sensuale, al confine tra documentario (qual era il film forse più bello di Tony, 'Latcho drom'), e cinema narrativo, col fascino del vagabondaggio e della scoperta. Quel che c'è di debole, invece, riguarda la trama esile e la stringatezza dei dialoghi, cose rispetto alle quali l'autore preferisce lasciar errare il proprio sguardo benevolo su corpi e paesaggi; peccato che la ricerca dell'essenziale posi anche su cose la cui rappresentazione su uno schermo rischia di risultare, alla fine, troppo elusiva."

(Roberto Nepoti, la Repubblica, 26 novembre 2004)”

 

Una poesia al giorno

L'oro degli zingari, di Paul Polansky. Traduzione: Valentina Confido

--Casa della poesia
dopo che l’UNHCR* ha smesso
di mandarci aiuti
le donne hanno venduto l’oro
per sfamare le famiglie
era triste vedere mia madre
dare l’oro in cambio di cibo
sapendo che i suoi ricordi più belli
erano legati a quando mio padre, suo padre
i suoi fratelli e gli zii
le hanno dato
orecchini d’oro
bracciali d’oro
collane d’oro
anelli d’oro
per dimostrare il loro amore
due settimane dopo
di nuovo affamati
e niente più oro
da vendere
solo foto
di giorni più felici
non possiamo vendere
le foto

(*) UNHCR: United Nations High Commissioner for Refugees, è l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

 

Un fatto al giorno

22 giugno 1941: la Germania nazista invade l'Unione Sovietica nell'operazione Barbarossa.

“Il 23 agosto 1939 Germania nazista e Urss (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) hanno sottoscritto un trattato di non aggressione, noto come "patto Ribbentrop-Molotov", dal nome dei rispettivi ministri degli Esteri. Ciò, tuttavia, non ha impedito a Hitler di continuare a ritenere l'Urss il principale nemico politico e territoriale - per quanto riguarda lo "spazio vitale" tedesco - della Germania nazista. L'invasione dell'Unione Sovietica viene preparata dall'estate del 1940 e diventa realtà alla fine di quell'anno: il 18 dicembre 1940, infatti, il führer dirama la direttiva n. 21 per l'attuazione dell' “operazione Barbarossa”, che effettivamente prenderà il via il 22 giugno 1941.
Al di là dell'impiego della Wehrmacht, le forze armate regolari, il comando tedesco predispone l'impiego di speciali unità operative, le Einsatzgruppen, già utilizzate in Polonia e composte da SS e personale di polizia, incaricate di occuparsi della "liquidazione", perlopiù tramite esecuzioni sommarie, di ebrei, zingari e oppositori politici presenti nei territori orientali e catturati. Si stima che le vittime ebree delle Einsatzgruppen nel territorio sovietico siano pari a 2.200.000 persone (L. Beccaria Rolfi, B. Maida, Il futuro spezzato. I nazisti contro i bambini, Firenze, Giuntina, 2000, p. 42). A cadere sono uomini, donne, vecchi e bambini, ai quali vanno aggiunti decine di migliaia di cittadini sovietici non ebrei. L'invasione tedesca, che coglie di sorpresa i sovietici, è inizialmente molto rapida. L'attacco si muove lungo tre direttrici: a nord verso Leningrado, al centro in direzione di Mosca e a sud verso le regioni agricole e petrolifere di Ucraina e Caucaso. Il 10 luglio 1941 gli italiani intervengono al fianco dei tedeschi, prima con il CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) e poi, dal luglio dell'anno successivo, con l'ARMIR (Armata Italiana in Russia). Quando, il 22 giugno 1941, radio Mosca annuncia l'inizio delle ostilità, l'aviazione di stanza nelle regioni occidentali del paese è già praticamente distrutta. Il 3 luglio Stalin parla alla radio appellandosi ai popoli dell'Unione Sovietica: in un discorso intensamente patriottico: il leader sovietico suggella così l'impegno di Mosca nella coalizione internazionale antifascista. A settembre i tedeschi prendono Kiev, assediano Leningrado e giungono alle porte di Mosca. Nei territori occupati la brutalità e la ferocia dei nazisti non conoscono limiti. I commissari politici dell'Armata Rossa vengono passati per le armi, così come molti prigionieri di guerra; chi sopravvive, invece, è inviato nei lager, dove riceve un trattamento non dissimile da quello riservato agli ebrei. L'obiettivo tedesco è quello di liquidare rapidamente l'Urss, per sfruttarne le risorse e per concentrare poi tutta la propria capacità bellica contro la Gran Bretagna. Tuttavia, la strenua resistenza dell'Armata Rossa vanificherà questo progetto. Nei primi giorni del dicembre 1941, la riconquista di Rostov sul Don, nella Russia meridionale, segna il primo successo dei sovietici, nonché il fallimento della strategia tedesca della guerra lampo: l'Armata Rossa consegue infatti alcuni obiettivi, tra i quali l'allontanamento del nemico dalla capitale, il ristabilimento dei collegamenti con Leningrado, il blocco dell'accesso al Caucaso. Il nuovo obiettivo tedesco è ora Stalingrado, città simbolo della Russia sovietica nonché via d'accesso alle risorse petrolifere, concentrate quasi interamente nella regione caucasica. La resistenza della città, assediata per mesi, impedisce lo sfondamento tedesco, e impegna alcune delle migliori armate del Reich. La vittoria sovietica a Stalingrado si rivelerà l'inizio della catastrofe per l'Asse, insieme alla sconfitta di El Alamein in Africa”.

(Anpi.it)

Canzone del 22 giugno

Il ventidue di Giugno,
Esattamente alle 4 del mattino
Kiev fu bombardata, ci hanno avvisato
Che la guerra era iniziata.
La guerra era iniziata all'alba
Per poter uccidere più persone.
I genitori dormivano, i loro bambini dormivano
Quando iniziarono a bombardare Kiev.
I nemici erano un'enorme valanga,
E non vi erano forze per bloccarli;
Come entrarono nelle terre della nativa Ucraina
Iniziarono a uccidere gente.
Tutto il popolo ucraino sorse
Per la cara madrepatria Ucraina.
Tutti gli uomini andarono in battaglia,
Bruciando la loro casa e lo stabilimento.
Missili e bombe vennero esplose,
Carri armati strepitarono la loro corazza,
I Falconi Rossi volarono nel cielo,
E corsero a Ovest come frecce.
Venne il gelido inverno
I nemici erano vicinissimi a Mosca,
Spararono i cannoni, ed esplosero le bombe
Riducendo i Tedeschi in pezzi.
La battaglia per la capitale era finita
I Tedeschi vennero messi in fuga,
Abbandonarono carri armati, abbandonarono bombe,
Si lasciarono dietro migliaia di soldati.
Ricordatevi, Hans e Fritz
Presto verrà l'ora
Che vi striglieremo la nuca pidocchiosa,
E vi ricorderete di noi.

 

Una frase al giorno

“La differenza tra il rivoluzionario e il terrorista risiede nella ragione per cui combatte. Per chi sta da una causa giusta e combatte per la libertà e la liberazione della sua terra dagli invasori, i coloni e colonialisti, non può essere chiamato terrorista, altrimenti gli americani nella loro lotta per la liberazione dai colonialisti britannici sarebbero stati terroristi; la resistenza europea contro il nazismo sarebbe stato terrorismo, la lotta dei popoli asiatici, africani e latino-americani sarebbe terrorismo, e molti di voi che sono in questa Assemblea sono stati considerati terroristi”.

(Muhammad Abd al-Rahman ar-Rauf al-Qudwah al-Husayni, Yasser Arafat, 1929-2004, politico palestinese, premio Nobel per la pace)

 

Un brano al giorno

Tous les garcons et les filles, Francoise Hardy

(In italiano: www.youtube.com)

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

 

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

 

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

 

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

 

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

 

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

 

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

 

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

 

Nous serons

 

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

 

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

 

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

 

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

 

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

 

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

 

Un fatto al giorno

 

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k