“L’amico del popolo”, 23 giugno 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

PAU Y SU HERMANO (Pau i el seu germà, Spagna, Francia, 2001) di Marc Recha. Sceneggiatura: Joaquín Jordà, Marc Recha. Fotografia: Hélène Louvart. Montaggio: Ernest Blasi. Musica: Xavier Turull, Aitor Millán Fernández, Geronacion, El Gitano, Fred Vilmar, Toni Xuclà. Con: David Selvas - Pau, Nathalie Boutefeu - Marta, Marieta Orozco - Sara, Luis Hostalot - Emili, Alicia Orozco - Mercè, Juan Márquez - Toni, David Recha - Alex, Joan Guzmán - Pere, María Tort - Teresina.

Durante una visita alla madre, Pau riceve una telefonata: Alex, il fratello scomparso da molto tempo, si è suicidato. Insieme alla madre, Pau decide di partire alla volta di un piccolo villaggio sui Pirenei dove il fratello ha vissuto prima di togliersi la vita. Durante il doloroso viaggio, madre e figlio riscoprono parte di loro stessi.

“Un film strano. Un po' ti entra dentro, più spesso rimane fuori alla finestra, a guardare lo spettatore. Con una trama volutamente sfumata, nebulosa, a volte inafferrabile. Pau ha perduto il fratello Alex, che si è suicidato. Non lo vedeva da tempo: Alex si era infatti "ritirato" in un paese in mezzo ai Pirenei. Quando Pau viene a saperlo, decide di andare a scoprire quei luoghi insieme alla madre. Un modo per conoscere il fratello perduto: amici, amori, natura, silenzi, lontananze. C'è infatti tutto, di Alex, là in mezzo ai monti. Pau e madre vivono delle storie d'amore come modo di entrare in simbiosi col mondo che Alex aveva fortemente voluto. Il film di questo giovanissimo regista catalano (30 anni) si gioca tutto sulle immagini, sui movimenti e sui silenzi. Eppure sa di materia grezza non finalizzata, non compiuta, rimasta ancora nella penna dello sceneggiatore e nello stomaco del regista Marc Recha. Che però rivela una personalità, un potenziale tutto da sviluppare ed approfondire”.

(Marco Lombardi)

“In Pau i el seu germà (Pau e suo fratello) del catalano Marc Recha, un giovane uomo viene informato che suo fratello è morto. Va a riconoscerne il corpo all'obitorio, si accorge di sapere nulla di lui: manca di notizie, ignora cosa facesse a Barcellona, perché avesse abbandonato il lontano villaggio nei Pirenei dove abitava. Insieme con la madre, parte per quel villaggio, indaga, fruga, fa domande, incontra gli amici e le ragazze frequentati dal fratello: ma al ritorno deve confessare di conoscere meglio non il fratello perduto, ma se stesso”.

(Lietta Tornabuoni, La Stampa)

“Il catalano Marc Recha (Pau i el seu germà, Dies d'Agost) è uno di quelli che da qualche anno fa sentire il suo nome in alcuni festival. Un cinema differente, il suo, che spesso diventa documentario, onirico, come a volte ultrarealistico. Ed è proprio qui che ci s’incaglia in uno dei mali del cinema. O meglio, dell’arte in generale. Le nuove tendenze sono costose, difficili, le idee fresche risultano indigeste. E in definitiva o ci si auto-convince e ci si decide ad imbarcarsi in un’altra sperimentazione, o al cinema europeo non rimarrà che ripetere le formule già ben collaudate per accontentare gli spettatori. Registi come Marc Recha, che grazie a sovvenzioni pubbliche hanno potuto farsi conoscere e ritagliarsi uno spazio all’interno del cinema europeo, non hanno il successo di pubblico che spetterebbe loro. Molti produttori e molti spettatori preferiscono il solito cinema. Ma così non si crea spazio per quell’aria fresca di cui il cinema europeo ha così tanto bisogno”.

(CaféBabel.com)

"Ha fatto scattare un'inevitabile associazione con 'La stanza del figlio', il film di Marc Recha soprattutto in una scena (anche se non con la stessa commozione) le immagini di Nanni Moretti (...). Il trentenne Recha ha girato un film sobrio, realistico, fotografato in luce naturale, raccontando una storia di rinascite attraverso una morte".

(Roberto Nepoti, la Repubblica, 11 maggio 2001)

"Recha registra i suoni del mondo, dalla città al vento dei monti, inquadrando nubi ed escavatrici, cercando di comporre nella 'durata' dell'immagine una suite audiovisiva dell'assenza, in verità fin troppo marcata e troppo poco supportata dalla sceneggiatura".

(Silvio Danese, Il giorno, 11 maggio 2001)

“Regista, sceneggiatore. Nasce a Hospitalet de Llobregat, un sobborgo popolare di Barcellona, e sviluppa la passione per il cinema sin dall'adolescenza, quando riceve in regalo la sua prima cinepresa, una Super8 con la quale realizza i suoi primi cortometraggi. Sempre da autodidatta, nel 1988 gira il primo corto in 35 mm "El darrer instant", ambientato nel suo quartiere e selezionato a partecipare alla BJCEM (Biennale dei giovani artisti dell'Europa e del Mediterraneo). A 19 anni, ha la possibilità di andare a studiare cinema a Parigi grazie a una sovvenzione concessa dalla Generalitat della Catalogna e due anni più tardi, appena ventunenne, dirige il suo primo lungometraggio "El Cielo Sube", suo unico film in lingua castigliana, con cui riceve il plauso di pubblico e critica in patria oltre ad avere visibilità nel circuito dei festival internazionali, con la partecipazione a Locarno e a Venezia. Nei suoi film successivi utilizza la lingua catalana scegliendo volutamente di non doppiare gli attori per essere più in sintonia con lo stile realistico che lo contraddistingue già dagli esordi. I suoi riferimenti cinematografici sono i maggiori esponenti del realismo, a cominciare dai grandi maestri italiani come Rossellini, e quelli della cinematografia francese come Godard e Bresson, personalità che saranno di riferimento per tutto il suo cinema successivo. Proprio a conferma della sua autorialità, il regista è anche lo sceneggiatore unico di tutte le sue opere. Nel 1998 dirige "L'arbre de les cireres" (1998), prediligendo le ambientazioni in zone rurali e tranquille. Con questo film, molto apprezzato all'estero, ottiene la definitiva consacrazione e riceve una nomination per il Pardo d'Oro al Festival di Locarno del 1998. Nella stessa occasione gli viene assegnato anche il premio FIPRESCI. Con il successivo "Pau i el seu germà" (2001) riesce a far entrare per la prima volta nella storia del Festival di Cannes un film in catalano nella selezione ufficiale in concorso per la Palma d'oro. Nel 2006, dirige il film "Dies d'agost" - per il quale riceve la nomination per il Pardo d'Oro al Festival di Locarno - in cui appare anche in veste di attore, con il ruolo di Marc, accanto a suo fratello David. Nel 2009 realizza il malinconico "Petit indi" e l'anno successivo viene chiamato a far parte della giuria della sezione Cinéfondation del 63mo Festival di Cannes”.

(Cinematografo.it)

PAU Y SU HERMANO (Pau i el seu germà, Spagna, Francia, 2001) di Marc Recha

 

Una poesia al giorno

Sola, di Gabriel Alejo Jacovkis (www.youtube.com)

Cierra los ojos
y en la sombra de su interior callado
sus pasos caminan la exquisita soledad.
Y vive esa otra vida,
suave,
sin amantes que traicionan,
sin pozos de pasión abrupta
sin rencores añejados en cubas oxidadas,
sin resacas agrias,
sin sed ni sequía.
Habrá en su boca una sonrisa
cuando el café con su perfume oscuro
complete el despertar en la cocina.
Y ella estará sola
leyendo el libro mudo.

 

Un fatto al giorno

23 giugno 1972: nello Studio Ovale della Casa Bianca fu intercettata una conversazione tra Richard Nixon e il Capo di Staff della Casa Bianca, H. R. Haldeman, che discutevano su come ostacolare le indagini grazie all'aiuto della stessa CIA, che avrebbe "fatto credere" all'FBI che il caso riguardava la sicurezza nazionale e, dunque, l'intelligence. “Il 23 giugno del 1972, nello Studio Ovale della Casa Bianca fu intercettata una conversazione tra Nixon e il Capo di Staff della Casa Bianca, H. R. Haldeman, che discutevano su come ostacolare le indagini grazie all’aiuto della stessa Cia. La pubblicazione, nell’agosto 1974, del nastro noto come “la pistola fumante” (smoking gun) portò con sé la prospettiva di un sicuro atto d’accusa: il Congresso fu convocato per votare l’impeachment, ma prima che potesse destituirlo e metterlo in stato d’accusa, Nixon si dimise. Ad ottobre 1972, l’FBI decretò la responsabilità del partito repubblicano: l’intrusione nella sede del Watergate venne considerata parte di un’ampia operazione di spionaggio e sabotaggio ai danni dei democratici per facilitare la rielezione di Nixon. Ma nessun collegamento diretto col presidente venne dimostrato”.

(Corriere della Sera, 9 agosto 2016)

Si vedano in proposito:


Una frase al giorno

“La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un'insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un'altra”

(Mao Tse-tung, noto anche come Mao Zedong, 1893-1976, politico cinese)

La statua di Mao Zedong è situata a Orange Isle, Changsha, capitale della provincia di Hunan, in Cina

 

Un brano al giorno

Barbara, L'Aigle Noir

THE BLACK EAGLE
One day or maybe one night
Near a lake, I fell asleep
When suddenly, it seemed to pierce the sky
And bolting from the blue appeared a black eagle.

Slowly, spreading its wings
Slowly, I could see it twirling
Near me rustling its wings
As if it fell from the sky it came and settled

Its eyes had the color of ruby
And its wings had the color of the night
And on its sparkling forehead
The crowned bird wore a blue diamond

It touched my cheek with its beak
And it slipped its neck into my hand
And then, I recognized it
Popping up from the past, I remembered

Oh tell me, bird, take me away
Let's go back to our old land
Life before in my childish dreams
To pick up, shivering, some stars, some stars

Like before in my childish dreams
Life before on a white cloud
Like before lighting up the sun
And be a rainmaker and do marvels

The black eagle, rustlings its wings,
Flew off to go back to the sky.

(Four feathers with the color of the night
One teardrop or maybe a ruby
I was cold, there was nothing left of me
The bird left me alone with my sorrow)

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k