“L’amico del popolo”, 22 ottobre 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

FAUST - EINE DEUTSCHE VOLKSSAGE (1926), regia di Friedrich Wilhelm Murnau. Sceneggiatura: Hans Kyser, Gerhart Hauptmann, da Johann Wolfgang von Goethe. Con: Gösta Ekman (Faust), Emil Jannings (Mefisto), Camilla Horn (Gretchen), Frieda Richard (la madre di Gretchen), Wilhelm Dieterle (Valentin), Yvette Guilbert (Marthe Schwerdtlein), Eric Barclay (il duca di Parma), Hanna Ralph (la duchessa di Parma), Werner Fütterer (l’arcangelo), Hans Brausewetter, Lothar Muthel, Hans Rameau, Hertha von Walther, Emmy Wida.

Mefistofele scommette con l'Arcangelo Gabriele che riuscirà a corrompere il Dottor Faust e a conquistare il dominio sulla Terra; per ottenere il suo scopo diffonde la peste sulla Terra e convince Faust a stringere un patto: in cambio della sua anima il dottore riuscirà a guarire le persone dalla malattia, egli inoltre tornerà giovane e otterrà l'amore della bella Margherita. Ma è proprio grazie all'amore sofferto per lei, arrivando ad accettare di dividere il rogo con la sua amata, che Faust riuscirà a svincolarsi dal patto con il diavolo.

“L’inizio del film è straordinario. Dopo un colloquio tra Dio Padre e Mefistofele (Jannings), il demonio va a tentare Faust (Gösta Ekman) e lo trasporta in volo sul proprio mantello attraverso l’Europa fino in casa della duchessa di Parma. La macchina da presa di Carl Hofmann svolazza al disopra dei plastici con splendido movimento da opera lirica (la duchessa dà una festa nello stile del music-hall tedesco del 1925). Il successivo idillio con Margherita fa pensare alle cartoline postali o alle fotografie artistiche 1910: la donna dalle lunghe trecce è insipida, e Faust effeminato.”

(Georges Sadoul)

“Se Goethe fosse vivo, sono sicuro che questo film gli piacerebbe, e gli piacerebbero soprattutto cose di questo tipo (il plastico del volo sulle Alpi), le uniche capaci di ricordargli la sua opera”.

(F. W. Murnau)

Faust è da considerarsi opera personale di F. W. Murnau, che ne modificò più volte la sceneggiatura fino a giungere alla definizione della propria visione del mito del vecchio alchimista. È la sua opera più curata dal punto di vista plastico, quella in cui più evidente risulta la convinzione del regista della possibilità di trasformare il cinema in un’arte dotata di leggi proprie. Ma di questo film circolavano copie provenienti da negativi tra loro assai diversi, realizzati a partire da riprese parallele. Era necessario ricostruire il montaggio originariamente voluto da Murnau, ignorando le modifiche introdotte dall’Ufa all’epoca della distribuzione della pellicola, avvicinandosi nello stesso tempo alla qualità fotografica di tale originale.

IL RESTAURO DEL FILM
Il dato più interessante di questo restauro risiede probabilmente in un suo aspetto che, in un certo senso, lo ha reso una novità assoluta: esso è riuscito a richiamare l’attenzione sul problema delle doppie versioni nel cinema muto, fatto apparentemente fin troppo conosciuto, ma al quale non si era mai riservato l’interesse che meritava.
Il restauro di Faust ci ha portato a scoprire che, per quanto logico possa sembrare, tale pratica non nacque agli inizi del sonoro perché ancora non esisteva o non era diffuso il sottotitolaggio o il doppiaggio. Essa venne allora semplicemente recuperata poiché già era abituale nel cinema muto, per quanto possa sembrare assurdo, dato che gli intertitoli potevano essere tradotti e sostituiti.
Studiando i diversi materiali di Faust conservati in tutto il mondo ho potuto verificare l’esistenza di almeno sette differenti negativi del film! Essi erano chiaramente destinati ai grandi mercati cinematografici, gli stessi che, soltanto tre o quattro anni più tardi, avrebbero obbligato i produttori a realizzare diverse versioni sonore di un film.
Il restauro è stato realizzato duplicando il negativo americano di Berlino, modificandone il montaggio seguendo quello della copia danese, sostituendo le scene contenenti testi inglesi con i corrispondenti tedeschi tratti dalla copia danese e dal lavander di Wiesbaden, integrando le scene eliminate negli USA da Murnau e tutte quelle deteriorate nel negativo americano con altre tratte a volte dalla copia danese, a volte dal controtipo Turner, abbastanza completo ma la cui qualità fotografica lascia piuttosto a desiderare. Il lavoro è stato completato dalla sostituzione degli intertitoli americani con quelli originali tedeschi che quasi sempre occupavano lo stesso posto.

LA MUSICA
“Quando Murnau partì per Hollywood il 22 giugno 1926, egli considerava la sua opera terminata. Aveva compilato una lista di musiche di accompagnamento insieme a Ernö Rapée (che di lì a poco avrebbe a sua volta lasciato l’Ufa per Hollywood), comprendente temi dell’opera di Gounod. Il 25 agosto il film venne presentato a Berlino con questo accompagnamento, che alcuni critici di prestigio, come Hans Feld, non approvarono sostenendo che un film del genere avrebbe meritato musiche originali. Il produttore dell’Ufa, Hans Neumann, ritirò l’accompagnamento di Rapée e incaricò della composizione di una partitura originale dapprima Giuseppe Becce, che finì col rinunciarvi, poi Werner Richard Heymann che utilizzò temi originali insieme ad altri di repertorio nel suo accompagnamento che venne eseguito all’uscita del film a Berlino.
Poiché l’accompagnamento di Heymann, che prevedeva cori e un grande numero di strumenti, non poteva essere eseguito in piccole sale, Paul A. Hensel preparò una lista di musiche (48 brani) facilmente eseguibili da piccole orchestre. La compilazione di Hensel, molto ben accolta dalla critica, è l’unica a cui si è potuto accedere integralmente, grazie alla sua pubblicazione sul n. 283 (26 novembre) del “Licht-Bild-Bühne”. La musica di accompagnamento di Paul A. Hensel è stata sincronizzata secondo un’orchestrazione originale da Berndt Heller, con la collaborazione dei musicisti spagnoli Armando e Carlos Pérez Mántaras, completando i piccoli frammenti che Hensel aveva lasciato incompiuti nella sua compilazione, come il saluto di Mefisto al suo apparire (Hensel annotava: utilizzare una figura umoristica di flauto a ogni saluto di Mefisto), o il crescendo agitato del finale della prima scena tra il diavolo e l’arcangelo (Hensel annotava soltanto: gran crescendo agitato).

(Luciano Berriatúa, Cinegrafie, VI, n. 9, 1996)

FAUST - EINE DEUTSCHE VOLKSSAGE (1926), regia di Friedrich Wilhelm Murnau

 

Una poesia al giorno

Dedica, dal Faust di Johann Wolfgang Goethe. Traduzione di Andrea Casalegno.

Vi avvicinate ancora, ondeggianti figure
apparse in gioventù allo sguardo offuscato.
Tenterò questa volta di non farvi svanire?
Sento ancora il mio cuore incline a quegli errori?
Voi m'incalzate! E sia, vi lascerò salire
accanto a me dal velo di nebbia e di vapori;
aleggia intorno a voi un alito incantato
che al mio petto dà un fremito di nuova gioventù.

Voi recate le immagini di giorni spensierati,
ed affiorano ombre che mi furono care;
simili ad un'antica, quasi svanita saga
ritornano con voi gli amici e i primi amori;
si rinnova il dolore, il pianto ripercorre
il corso labirintico di una vita errabonda,
e nomina i magnanimi prima di me scomparsi,
frodati dalla sorte di belle ore felici.

Non potranno ascoltare i canti che verranno
le anime alle quali i miei primi cantai;
la ressa degli amici si è dileguata, ormai,
l'eco prima dei canti è, purtroppo, svanita.
La mia canzone suona ad una folla ignota,
che perfino se applaude fa tremare il mio cuore,
e chi allora ascoltava lieto la mia canzone
erra, se vive ancora, disperso per il mondo.

Ed una nostalgia da tempo sconosciuta
mi prende di quel grave, calmo regno di spiriti,
si libra adesso in indistinti suoni
sussurrando il mio canto, simile all'arpa eolia,
un brivido mi afferra, lacrima segue lacrima,
si sente molle e tenero questo cuore severo;
quel che adesso possiedo lo vedo da lontano,
e quello che svanì diventa reale e vero.

Zueignung

Ihr naht euch wieder, schwankende Gestalten,
Die früh sich einst dem trüben Blick gezeigt.
Versuch ich wohl, euch diesmal festzuhalten?
Fühl ich mein Herz noch jenem Wahn geneigt?
Ihr drängt euch zu! nun gut, so mögt ihr walten,
Wie ihr aus Dunst und Nebel um mich steigt;
Mein Busen fühlt sich jugendlich erschüttert
Vom Zauberhauch, der euren Zug umwittert.
Ihr bringt mit euch die Bilder froher Tage,
Und manche liebe Schatten steigen auf;
Gleich einer alten, halbverklungnen Sage
Kommt erste Lieb und Freundschaft mit herauf;
Der Schmerz wird neu, es wiederholt die Klage
Des Lebens labyrinthisch irren Lauf,
Und nennt die Guten, die, um schöne Stunden
Vom Glück getäuscht, vor mir hinweggeschwunden.
Sie hören nicht die folgenden Gesänge,
Die Seelen, denen ich die ersten sang;
Zerstoben ist das freundliche Gedränge,
Verklungen, ach! der erste Widerklang.
Mein Lied ertönt der unbekannten Menge,
Ihr Beifall selbst macht meinem Herzen bang,
Und was sich sonst an meinem Lied erfreuet,
Wenn es noch lebt, irrt in der Welt zerstreuet.
Und mich ergreift ein längst entwöhntes Sehnen
Nach jenem stillen, ernsten Geisterreich,
Es schwebet nun in unbestimmten Tönen
Mein lispelnd Lied, der Äolsharfe gleich,
Ein Schauer faßt mich, Träne folgt den Tränen,
Das strenge Herz, es fühlt sich mild und weich;
Was ich besitze, seh ich wie im Weiten,
Und was verschwand, wird mir zu Wirklichkeiten.

 

Un fatto al giorno

22 ottobre 1883: Metropolitan Opera House di New York inaugura con una performance del Faust di Gounod. Christine Nilsson interpreta Marguerite e Franco Novara Méphistophélès. “Metropolitan opera house Teatro d'opera di New York, inaugurato nel 1883 e diventato il principale teatro musicale degli Stati Uniti. Chiuso nel 1966, è stato sostituito, nello stesso anno, da un nuovo edificio nel Lincoln Center, il complesso che comprende anche il New York State Theatre e la Philharmonic Hall”.

22 ottobre 1883: Franco Novara interpreta Méphistophélès

L’opera: FAUST, dramma lirico in cinque atti di Charles Gounod su un libretto in lingua francese di Jules Barbier e Michel Carré tratto dal lavoro teatrale Faust e Marguerite di Michel Carré, a sua volta tratto dal Faust di Johann Wolfgang von Goethe. Faust: Alfredo Kraus. Mefistófeles: Nicolai Ghiaurov. Margerite: Mirella Freni. Valentin: Robert Wilbert. Director: George Prêtre. Chicago, 1980.

22 ottobre 1883: Christine Nilsson interpreta Marguerite

 

Una frase al giorno

“Compagni - gridava, e i suoi lineamenti tirati, i suoi gesti disperati esprimevano una sincera angoscia - quelli che sono al potere reclamano da noi sacrificio su sacrificio, ma quelli che posseggono tutto sono lasciati tranquilli”.

(Da “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”, di John Reed, giornalista e militante comunista statunitense, Portland, 22 ottobre 1887 - Mosca, 17 ottobre 1920)

 

Un brano al giorno

“Eine Faust-Sinfonie in drei Charakterbildern”, “La Sinfonia del Faust", 1857, Franz Liszt: www.youtube.com

Chicago Symphony Orchestra e Coro. Tenore: S. Jerusalem. Direttore: Sir Georg Solti.

Franz Liszt

"La Faust-Symphonie", che debutta a Weimar nel 1857, in occasione dell'inaugurazione del monumento in bronzo dedicato a Goethe e a Schiller, ritratti uno accanto all'altro, in piedi, lo sguardo fisso in avanti. Era tenace, allora, la fiducia nel futuro. Lo stesso Liszt ne è il primo direttore. La vastissima Sinfonia si divide in quattro movimenti. I primi tre il compositore li definisce Charakterbilder. Ritratti psicologici, dedicati alla trinità inseparabile del romanzo di Goethe; nell'ordine: lui-lei-l'Altro. Faust, Margherita, Mefistofele (e che Altro, indubbiamente ingombrante e più interessato a lui che a lei). Questo il progetto originario, sul quale, durante i tre anni che separano la conclusione del lavoro di scrittura dalla prima esecuzione, si innesta la decisione di aggiungere, come pannello conclusivo, un Chorus mysticus.

Franz Liszt, compositore, pianista, direttore d'orchestra e organista ungherese, nasce in Austria il 22 ottobre 1811, e muore il Germania il 31 luglio 1886.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k