“L’amico del popolo”, 23 maggio 2018

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

THE THIEF OF BAGDAD (Il ladro di Bagdad, Usa 1924), regia di Raoul Walsh. Sceneggiatura: Lotta Woods, Douglas Fairbanks. Fotografia: Arthur Edeson. Montaggio: William F. Nolan. Con: Douglas Fairbanks (Ahmed, il ladro di Bagdad), Snitz Edwards (il suo complice), Charles Belcher (il santo), Julanne Johnston (la principessa), Anna May Wong (la schiava mongola), Winter-Blossom (lo schiavo con il liuto), Brandon Hurst (il califfo), Tote Du Crow (l'indovino), [Kamiyama] Sojin (il principe mongolo), K. Nambu (il suo consigliere), Sadakichi Hartmann (il suo mago di corte), Noble Johnson (il principe indiano), Mathilde Comont (il principe persiano), Etta Lee, David Sharpe, Charles Stevens, Sam Baker, Jess Weldon, Scotty Mattraw, Charles Sylvester, Jesse Lasky Jr.

THE THIEF OF BAGDAD (Il ladro di Bagdad, Usa 1924), regia di Raoul Walsh

“Ahmed è un ladro spericolato che vive grazie agli abili furti che compie a Bagdad, sua città natale. Un giorno ruba una corda magica, in grado di far scalare a chi la possiede muri di grandissime altezze e la usa per intrufolarsi nel Palazzo del Califfo, per rubare qualche oggetto di grande valore. Così una notte, aiutato da un suo caro amico e complice, Ahmed entra nel Palazzo, dove però s'imbatte nella principessa, di cui s'innamora a prima vista. Il giorno dopo tre principi, pretendenti della principessa, fanno il loro ingresso nella città. Si tratta del Principe delle Indie, uomo ricco ma dall'aspetto arcigno, del Principe della Persia, uomo nobile ma obeso, e del Principe dei Mongoli, uomo potente ma freddo. Nessuno sospetta che quest'ultimo abbia una spia nel Palazzo di Bagdad, né tanto meno che egli, se rifiutato dalla principessa, abbia intenzione d'impossessarsi con la forza della città.
Vedendo l'arrivo dei tre principi, Ahmed decide di travestirsi da tale, ottenendo tramite dei furti alcuni oggetti che lo aiuteranno nella sua recita, in modo da entrare di nuovo in contatto con la principessa. Egli è così innamorato da essere disposto a rapire la ragazza per stare con lei. La principessa rimane colpita dall'arrivo di Ahmed, innamorandosene e scegliendolo tra i pretendenti come marito. Ma la spia mongola rivela la vera identità di Ahmed, costringendolo a fuggire, e la principessa, disposta ad aspettarlo per amore, decide di prendere tempo, lanciando una sfida ai principi pretendenti: sposerà infatti chi, dopo sei lune, tornerà a Bagdad con il tesoro più raro. Ahmed viene a sapere da un sacerdote l'esistenza di un mistico cofanetto e decide di partire per trovarlo, mentre Khan, principe mongolo, nel lasso di tempo dato dalla principessa, fa introdurre di nascosto alcuni suoi uomini per espugnare al momento opportuno la città di Bagdad.
Comincia la caccia ai tesori e dopo sei lune i principi si incontrano poco lontano da Bagdad: il principe delle Indie ha trovato una sfera di cristallo capace di rivelare ciò che accade in ogni parte del mondo, il principe della Persia ha trovato un tappeto volante, mentre il Principe dei Mongoli ha trovato una mela capace di far resuscitare i morti o guarire ogni sorta di malattia o danno. Quest'ultimo decide allora di ordinare alla sua spia di avvelenare la principessa, in modo da resuscitarla con la mela e in questo modo di avere la sua riconoscenza e quindi un vantaggio per essere scelto come suo marito.
Intanto Ahmed ha trovato, dopo un lungo e pericoloso viaggio fra mostri e altre insidie, due incredibili tesori: un mantello dell'invisibilità e un cofanetto capace di far avverare ogni desiderio espresso. Decide allora di tornare a Bagdad, dove nel frattempo Khan ha eseguito il suo piano: infatti riesce a guarire la principessa, che però scopre tramite la sfera di cristallo l'imminente arrivo di Ahmed, e decide allora di prendere ancora tempo. Ma Khan, stanco di attendere, dà l'ordine ai suoi uomini all'interno della città di attaccare e prendere la città: Bagdad è ora in mano ai Mongoli.
Ahmed, venuto a sapere degli ultimi avvenimenti da un messaggero scappato dalla città, decide di liberare Bagdad dai Mongoli: egli, davanti alle porte della città crea con la magia del cofanetto un enorme esercito di 100.000 uomini, che portano i Mongoli alla fuga. Poi s'intrufola nuovamente nel Palazzo, questa volta con l'aiuto del mantello dell'invisibilità. Khan è ormai accerchiato dai nemici e sta per fuggire con la principessa sul tappeto volante, ma Ahmed lo ferma, sconfiggendolo e salvando l'amata. Liberata Bagdad, Ahmed e la principessa volano insieme sul tappeto volante per festeggiare la loro unione”.

(Wikipedia)

THE THIEF OF BAGDAD (Il ladro di Bagdad, Usa 1924), regia di Raoul Walsh

The Thief of Bagdad rappresentò il progetto produttivo più ambizioso e avventuroso di Douglas Fairbanks, massima star maschile della Hollywood tra gli anni Dieci e Venti, attore trascorso dai ruoli di giovane americano intraprendente a quelli di spericolato ed esotico protagonista di spettacolari film in costume. Come per altri grandi cineasti suoi contemporanei (Charlie Chaplin, Buster Keaton e Harold Lloyd), la personalità di Fairbanks costituiva la vera anima ed energia creativa di tutti i film che interpretava, anche se diretti da un altro regista (in questo caso un regista straordinario come Raoul Walsh, che Fairbanks aveva conosciuto quando entrambi lavoravano per Griffith). L'orientalismo era di moda in quegli anni: Kismet, opera teatrale di Edward Knoblock risalente al 1911, più volte messa in scena (e riportata poi a nuova vita da Vincente Minnelli nel musical del 1955 Kismet - Uno straniero tra gli angeli), costituì la prima fonte d'ispirazione per The Thief of Bagdad. Per il suo film Fairbanks realizzò il più grande set mai costruito a Hollywood, oltre due chilometri quadrati ideati e arredati dal giovane ma già brillante talento di William Cameron Menzies. Ispirandosi alle illustrazioni di Aubrey Beardsley, Bernard Rackham ed Edmund Dulac, Menzies puntava a uno stile che possedesse la libertà e la fantasia di uno schizzo a matita: gli edifici dai colori chiari, ricchi di torri svettanti, scale a chiocciola, misteriose arcate ed elaborate decorazioni assumono un aspetto di eterea leggerezza riflettendosi su basi nere e lucide ‒ soluzione spesso ripresa nelle scenografie dei musical anni Trenta. I costumi firmati dal futuro regista Mitchell Leisen erano ispirati alle creazioni di Léon Bakst per i Balletti Russi di Djagilev, che alcuni anni prima avevano fatto impazzire Hollywood in occasione di una delle ultime tournée di Nižinskij. I Balletti Russi influenzarono chiaramente anche la recitazione di Fairbanks, sempre caratterizzata dalla compresenza di grazia e forza atletica: qui l'attore sviluppa un nuovo stile, fatto di movimenti molto più simili a quelli della danza che alle convenzioni mimiche del cinema coevo. Le sue prodezze atletiche (reggersi sulle mani per liberarsi le tasche dei guadagni illeciti, o balzare da uno all'altro di una fila di orci giganteschi) si inseriscono splendidamente all'interno di un impeccabile impianto coreografico. Elementi magici quali il Cavallo Alato e il tappeto volante erano ispirati da Der müde Tod (Destino o Il signore delle tenebre, Fritz Lang 1921), di cui Fairbanks aveva acquistato i diritti: la loro magia artigianale sprigiona ancora oggi un incanto più potente di tanti effetti speciali realizzati grazie alle tecnologie digitali.

The Thief of Bagdad resta uno dei più raffinati e innovativi film mai realizzati. Contando sulle dimensioni dello schermo cinematografico e sulla cristallina fotografia di Arthur Edeson, Fairbanks e Walsh fanno ampio uso di spettacolari campi lunghi, inquadrando l'immenso set in modo che la figura di Fairbanks risulti miniaturizzata. La sensibilità sperimentale di Fairbanks si estese anche alla scelta degli attori: il film lanciò la carriera di star della sedicenne cinoamericana Anna May Wong, mentre per il ruolo del pingue principe persiano Fairbanks scelse coraggiosamente un'attrice di origine francese, Mathilde Comont, e per quello del mago di corte mongolo l'eccentrico scrittore Sadakichi Hartmann. In linea con l'ambizioso progetto, per la prima del film Fairbanks commissionò un accompagnamento musicale per orchestra all'illustre compositore americano Mortimer Wilson”.

(David Robinson - Enciclopedia del Cinema, 2004)

Il 23 maggio 1883 nasce Douglas Fairbanks, attore, regista, produttore e sceneggiatore americano (morto nel 1939)

Il 23 maggio 1883 nasce Douglas Fairbanks, attore, regista, produttore e sceneggiatore americano (morto nel 1939)

 

Una poesia al giorno

A un lilas, tratta da “Poésies choisies” di François Coppée.

Je vois fleurir, assis a ma fenetre,
l’humble lilas de mon petit jardin,
et son subtil arome qui penetre
vient jusqu’à moi dan le vent du matin.
Mais je suis plein d’une colère injuste,
car ma maitresse a cessé de m’aimer,
et je reproche à l’innocent arbuste
d’épanouir ses fleurs et d’embaumer.
Tout enivré de soleil et de brise,
ce favori radieux du printemps,
pourquoi fait-il à mon coeur qui se brise
monter ainsi ses perfums insultants?
Ne sait-il pas que j’ai cueilli pour elle
les seuls rameaux dont il soit éclairci?
Est-ce pour lui choese si naturelle
qu’en plein avril elle me laisse ainsi?
-Mais non, j’ai tort, car j’aime ma souffrance.
A nos amours jadis tu te melas;
au jardin vert, couleur de l’espérance,
fleuris longtemps, frele et charmant lilas!
Les doux matins qu’embaume ton haleine,
les clairs matins du printemps sont si courts!
Laisse-moi croire, encore une seimane,
Qu’on ne m’a pas délaissé pour toujours.
Et si, malgré me espoirs pleins d’alarmes,
je ne dois plus avoir la volupté
de reposer mes yeux brulés de larmes
sur la fraicheur de sa robe d’été;
Si je ne dois plus revoir l’infidèle,
j’y penserai, tant que tu voudras bien,
devant ces fleurs qui me virent près d’elle,
dans ce parfum qui rappelle le sien.

A un lillà

Seduto alla finestra vedo fiorire
l’umile lillà del mio piccolo giardino,
e il suo sottile aroma che penetra
giunge a me col vento del mattino
Ma sono pieno di una collera ingiusta
perché la mia donna ha smesso di amarmi
e io rimprovero all’innocente arbusto
i suoi fiori schiusi e l’olezzo.
Tutto ubriaco di sole e di brezza, perché
questo raggiante favorito della primavera
fa salire al mio cuore che si spezza
i suoi effluvi così oltraggiosi?
Non sa che ho colto per lei
i soli rami più soleggiati?
è per lui cosa tanto naturale
che in pieno aprile lei mi lasci così?
-Ma no, ho torto, perché amo la mia sofferenza.
Ai nostri amori ti immischiasti un tempo;
nel giardino verde, colore della speranza,
fiorisci a lungo fragile e seducente lillà!
Le dolci mattine che la tua essenza pervade,
le chiare mattine di primavera son così brevi!
Lasciami credere, ancora per una settimana,
che non mi ha abbandonato per sempre.
E se, malgrado le mie speranze vane,
non devo più avere il piacere
di rimettere i miei occhi arsi di lacrime
sulla freschezza della sua veste estiva;
Se non devo più rivedere l’infedele,
la penserò, finché lo vorrai,
davanti a questi fiori che mi avvicinano a lei,
con questo profumo che ricorda il suo.

François Édouard Joachim Coppée (Parigi, 26 gennaio 1842 - Parigi, 23 maggio 1908)

François Édouard Joachim Coppée (Parigi, 26 gennaio 1842 - Parigi, 23 maggio 1908) è stato un poeta, drammaturgo e scrittore francese. François Coppée fu un poeta sentimentale che scrisse di Parigi e dei suoi sobborghi e descrisse il mondo degli umili che li popolava. Intimista, poetava dei primi incontri amorosi («Septembre, au ciel léger»), della indistinta nostalgia di un'esistenza diversa («Je suis un pâle enfant du vieux Paris») o della bellezza del crepuscolo («Le crépuscule est triste et doux»). La stessa vena lirica si riscontrò anche nel teatro e nei romanzi. Ebbe un grande successo popolare prima di cadere nell'oblio.

 

Un fatto al giorno

23 gennaio 1498: Girolamo Savonarola è bruciato sul rogo a Firenze, in Italia.

Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola (Ferrara, 21 settembre 1452 - Firenze, 23 maggio 1498) è stato un religioso, politico e predicatore italiano. Appartenente all'ordine dei frati domenicani O.P., profetizzò sciagure per Firenze e per l'Italia propugnando un modello teocratico per la Repubblica fiorentina instauratasi dopo la cacciata dei Medici. Nel 1497 apparentemente fu scomunicato da papa Alessandro VI, l'anno dopo fu impiccato e bruciato sul rogo come «eretico, scismatico e per aver predicato cose nuove», e le sue opere furono inserite nel 1559 nell'Indice dei libri proibiti. Gli scritti di Savonarola sono stati riabilitati dalla Chiesa nei secoli seguenti fino a essere presi in considerazione in importanti trattati di teologia. Ora è servo di Dio. La causa della sua beatificazione è stata avviata il 30 maggio 1997 dall'arcidiocesi di Firenze”.

(Wikipedia)

Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola (Ferrara, 21 settembre 1452 - Firenze, 23 maggio 1498)

“Brucia l’eretico. Brucia il tiranno. Brucia il ribelle. Brucia il padrone. Brucia l’oppressore. Brucia il santo.
Brucia l’odio negli occhi della folla, mentre brucia il corpo di Girolamo Savonarola: il rivoluzionario, il moralizzatore, il profeta dei piagnoni.
Brucia la sconfitta, mentre le fiamme divorano la carne magra e pallida e la veste candida come la coscienza.
È il 23 maggio 1498 e Girolamo ha già visto quelle facce, quell’espressione: è stato in quella stessa piazza, appena un anno prima, attorno a un altro falò, per un altro delirio di passione, violenza e catarsi.
Sono le stesse facce che avevano raccolto il suo appello a liberarsi da specchi, cosmetici, vestiti di lusso, arpe, cetre, chitarre, cornamuse, flauti, e anche gli altri oggetti del peccato come dadi, profumi, parrucche, carte da gioco, libri immorali, manoscritti con canzoni profane, opere d’arte pagane o lascive.
Il grande falò delle vanità, il 7 febbraio 1497, aveva segnato il culmine del suo potere: Girolamo era diventato il padrone assoluto di Firenze e il moralizzatore della Chiesa Cattolica.
In città dettava lui le leggi al governo democratico della Repubblica e con i Medici erano state cacciate da Firenze le taverne e le prostitute. La patria del vizio era diventata una terra santa dove si sperimentava una nuova forma di democrazia, morale e popolare; dove non erano più le regole del tiranno a dettare legge ma quelle di Dio. O per meglio dire, del suo portavoce in tonaca bianca e mantella nera.
Una nuova democrazia, libera della corruzione dei potenti ma assoggettata a un padre padrone che non inseguiva i propri interessi personali, ma decideva per il bene della comunità e operava secondo giustizia. Il problema era che lui e solo lui decideva cosa è bene e cosa è giusto. E in città non erano tutti suoi ammiratori; anzi, più passava il tempo e più Girolamo si faceva nemici. Nel consiglio della Repubblica i Bianchi (repubblicani) e i Bigi (sostenitori dei Medici) si erano alleati con gli Arrabbiati, nemici giurati del frate, e avevano messo in minoranza il suo partito, detto dei “Piagnoni”, bocciando le proposte di legge per proibire le vesti scollate e le acconciature troppo elaborate ...”

(Articolo completo in www.festivaldelmedioevo.it)

Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola (Ferrara, 21 settembre 1452 - Firenze, 23 maggio 1498)

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Una frase al giorno

“I nemici in mezzo a noi più pericolosi della verità e della libertà, i nemici sono la maggioranza compatta. Sì, la dannata, compatta, liberale maggioranza – è lei il peggior nemico!”

(Henrik Ibsen, Skien, 20 marzo 1828 - Oslo, 23 maggio 1906)

Henrik Ibsen (Skien, 20 marzo 1828 - Oslo, 23 maggio 1906)

Henrik Ibsen è stato un drammaturgo, poeta e regista teatrale norvegese. È considerato il padre della drammaturgia moderna, per aver portato nel teatro la dimensione più intima della borghesia ottocentesca, mettendone a nudo le contraddizioni e il profondo maschilismo”

 

Un brano musicale al giorno

Andrea Luca Luchesi (1741-1801), Piano Concerto in Fa maggiore

00:00 I. Allegro moderato
04:17 II. Andante
11:22 III. Presto

Piano: Roberto Plano. Orchestra Ferruccio Busoni / Massimo Belli

Andrea Luca Lucchesi (Motta di Livenza, 23 maggio 1741 - Bonn, 21 marzo 1801)

Andrea Luca Lucchesi, conosciuto anche come Luchesi o Luckesi (Motta di Livenza, 23 maggio 1741 - Bonn, 21 marzo 1801), è stato un compositore e organista italiano, esponente del Classicismo.

 


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k