“L’amico del popolo”, 24 marzo 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

METROPOLIS (Germania, 1925-27), regia di Fritz Lang. Sceneggiatura: Thea von Harbou. Fotografia: Karl Freund, Günther Rittau. Scenograf ia: Erich Kettelhut, Otto Hunte, Karl Vollbrecht. Musica: Gottfried Huppertz. Costumi: Aenne Willkomm. Con: Brigitte Helm (Maria), Alfred Abel (Joh Fredersen), Gustav Fröhlich (Freder), Rudolf Klein-Rogge (Rotwang), Heinrich George (Grot), Fritz Rasp (lo smilzo), Theodor Loos (Josaphat), Erwin Biswanger (Georgy), Olaf Storm (Jan), Hans Leo Reich (Marinus), Heinrich Gotho (maestro di cerimonie).

“Alla sua uscita, nella primavera del 1927, Metropolis aggredisce e sconcerta il pubblico dell’epoca. Si trasformerà in un film d’impatto inesauribile sull’intera storia del cinema, capostipite della fantascienza, capace di nutrire ogni nuova visione ‘assolutamente moderna’, fino a Brazil, a Blade Runner, ad Avatar. Fantasia distopica su un mondo verticalmente diviso, l’avveniristica città dell’intelletto e del potere e il sottosuolo della forza lavoro, Metropolis è un capolavoro laddove trascende il proprio mai risolto messaggio sociale (rivoluzione o conciliazione?): nella prodigiosa intuizione con cui osserva una città vera, New York, e la ricostruisce come grandiosa icona d’ogni futuro oltreumano. Straordinari effetti speciali, movimenti di masse in rivolta, trecento giorni di riprese, trentaseimila comparse, cinquecento grattacieli di settanta piani, e al centro di tutto l’ambigua Maria, vergine e androide: “Uno dei film più stupefacenti del cinema espressionista tedesco, uno dei rari film muti in grado di rappresentare ancora qualcosa per il grande pubblico di oggi.”

(Jacques Lourcelles, Cineteca di Bologna)

“Dramma di fantascienza che la tradizione vuole ispirato a Fritz Lang da una visione dei grattacieli di New York. Il regista spiegò che il suo maggiore interesse era rivolto al conflitto fra magia e tecnologia moderna. In Metropolis furono sperimentati effetti speciali all'epoca sconosciuti che permettevano di combinare modellini e scenografie a grandezza naturale. Girato in 18 mesi con la partecipazione di 30.000 comparse, dopo la prima proiezione fu abbreviato di oltre 1.000 metri. L'espressionismo celebrava qui, in una allucinazione fatta d'imponenza geometrica, di macchine e di movimenti smisurati, uno dei suoi ultimi trionfi cinematografici. E se tutto questo può considerarsi un delirio, è il delirio di un regista, di un artista moderno travolto dal mito dell'onnipotenza”.

(Ferdinando Di Giammatteo, Dizionario dei film)

“Massimo sforzo produttivo dell'industria cinematografica tedesca, Metropolis affronta un nodo storico essenziale, gli effetti disumani dell'industrializzazione, proponendo una ricomposizione simbolica del conflitto tra tecnologia e lavoro, tra padroni e operai. Ma soprattutto si tratta di una grande esperienza di messa in scena, che punta a sviluppare e a valorizzare tutte le potenzialità tecniche, formali ed emozionali del cinema. Fritz Lang realizza uno spazio complesso e spettacolare che garantisce una sorta di monumentalizzazione degli scenari, delle situazioni e degli eventi. Le scenografie non solo disegnano la metropoli del futuro, con riferimenti a New York e all'architettura utopica del futurismo e dell'espressionismo, ma costituiscono a volte sintesi di particolare suggestione con l'architettura e l'arte europea, da Bruegel al Jugendstil, dall'arte meccanomorfa al Bauhaus. Lo spazio di Lang, realizzato anche grazie a una tecnica di effetti speciali inventata da Schüfftan, costituisce una figurazione intensiva della modernità e delle sue contraddizioni. Il regista delinea il mondo delle macchine con una forza espressiva nuova e, al tempo stesso, sviluppa le potenzialità comunicative e formali della messa in scena cinematografica, lavorando sulla composizione visiva e sui ritmi. Le configurazioni visive puntano a costruire strutture geometriche, in cui la varietà degli elementi è ricondotta a un principio formale. Dove è possibile, inoltre, Lang tende a ricondurre gli spazi e le inquadrature a una struttura simmetrica. La distribuzione degli operai, in particolare, assume configurazioni che riflettono il modo d'essere dei lavoratori e la loro funzione sociale e politica. All'inizio essi sono disposti a rettangolo e procedono con grande lentezza, attestando così la durezza del lavoro cui sono costretti; durante la rivolta si dispongono in maniera caotica e magmatica, per sottolineare la mancanza di finalità costruttive della ribellione; infine, mentre si apprestano ad un accordo con l'industriale, si sistemano ordinatamente a cuneo, come una struttura geometrica definita e operante, capace di svolgere un ruolo sociale attivo e produttivo. Sono questi modelli di forte figurazione del visibile che distaccano nettamente Lang dall'espressionismo e sottolineano la sua intenzione di inscrivere le idee nella composizione visiva. Tali scelte registiche riflettono non solo un'affermazione della centralità della messa in scena come processo figurativo forte, ma anche una volontà di stile e un'idea di forma filmica estremamente rigorose. Come hanno detto variamente critici e cineasti legati alla Nouvelle vague, da Truffaut a Rivette, Lang rappresenta l'idea stessa di regia al massimo grado.
Al contrario la struttura narrativa e l'orizzonte immaginario del film sono stati spesso criticati in quanto semplicistici. Ma se l'assunto ideologico appare approssimativo e superficiale, altri elementi invece attivano un percorso semantico complesso e una serie di interrelazioni latenti molteplici, che aprono alla ricchezza delle significazioni. L'assunto ideologico del film, di impianto cristiano-conservatore, è invero attraversato da una serie di riferimenti che rinviano all'orizzonte della mitologia, della magia e dell'esoterismo, costituendo un tessuto simbolico di indubbia complessità.
La storia di Metropolis è anche l'avventura di una distruzione e di un importante restauro. La prima versione del film, infatti, venne ritirata dall'UFA e sostituita con una accorciata di circa 900 metri (poi ulteriormente ridotta), mentre le copie del film sparivano durante le catastrofi storiche della Germania. Il lavoro di restauro del Münchner Filmmuseum, sotto la guida di Enno Patalas, ha consentito la ricostruzione di una copia di circa 3.200 metri, che ha reintegrato molte delle procedure compositive più complesse elaborate da Lang”.

(Paolo Bertetto in Enciclopedia Italiana)

“Metropolis, la megalopoli del futuro, è divisa in due parti. Nella città di sopra vivono i ricchi che godono di tutti gli agi. In quella inferiore gli operai, sfruttati come schiavi. Maria, che si occupa dei bambini di questi ultimi, li conduce un giorno a vedere un giardino della città di sopra. Qui incontra per la prima volta Freder, figlio del padrone assoluto di Metropolis, Frederer. Turbato dalla sua bellezza il giovane la va a cercare e scopre la dura vita degli operai. Maria mette tutte le sue forze nel tentativo di realizzare una mediazione tra quelle che definisce "le braccia e il cervello" ma lo scienziato Rotwang la rapisce e dona le sue sembianze a un robot che istigherà gli operai alla ribellione.
Capolavoro del cinema in assoluto e di quello di fantascienza in particolare Metropolis va collocato nella complessità socio-culturale del periodo in cui venne realizzato. La sceneggiatura è di Thea von Harbou, moglie di Lang, e già questo costituisce un elemento di riflessione perché la scrittrice pochi anni dopo avrebbe aderito al Partito nazista mentre il regista, ebreo per parte di madre, lasciò la Germania per raggiungere gli Stati Uniti. Sta in questo ibrido d'origine una delle possibili cause del fatto che Metropolis venisse, ad esempio, pesantemente criticato da un regista come Buñuel e apprezzato invece da Hitler, che vedeva nello sviluppo della trama e, in particolare nel finale, un sostanziale sostegno alla sua ideologia.
Al di là delle diverse letture coeve, il film costituisce una pietra miliare non tanto per la vicenda narrata, che ha molti debiti con il teatro (in particolare con quello di Ernst Toller e di Erwin Piscator) e non manca di elementi retorici, quanto per la visionarietà dal punto di vista scenografico. Lang si avvalse della collaborazione di ben tre scenografi (Kettelhut, Hunte e Vollbrecht) ed è grazie alla continua riflessione sull'immagine che la città avrebbe dovuto avere che il film superò qualsiasi aspettativa. Come doveva presentarsi una metropoli in cui dominavano l'oppressione e lo sfruttamento? Quanto il riferimento biblico (e brugheliano) alla Torre di Babele doveva divenire significativo? Come far percepire il trionfo delle macchine come un Moloch assetato di sacrifici umani? Sono tutte domande a cui la visionarietà di Lang e dei suoi collaboratori offre una risposta con un'opera che subì innumerevoli mutilazioni nel corso degli anni ma che ora gode di un restauro filologicamente accuratissimo.”

(Giancarlo Zappoli)

 

Una poesia al giorno

La città assente, di Santiago Mutis Durán (La ciudad ausente, tradotta da Camila Hofman)

Questa mia città
è la soglia dei presagi
È stata abbandonata da re e mendicanti
e portata al silenzio
di un'immensa scacchiera
dove l'immobilità del tempo
e la solitudine possono vedersi
illuminati dall'atmosfera di un giorno
nella cui quiete inizia l'eternità

Nessuno abita questa città insonne tranne me
che ho percorso le sue strade precise e assolate
le sue piazze aperte ai suoni dell'orizzonte
le sue ombre diurne di intensa geometria
Ogni cosa in questa città mi invita a partire
o tutto si è fermato nel momento della mia partenza

A volte penso che ancora
non è nato nessuno
e che questa è la verità
città abitata da luminose lontananze
il bollente vuoto di un pensiero:
Il tempo è un altro luogo

Devo allontanarmi. La città proibita
bisogna cercarla
allontanandosi da lei
cercarla là dove non c'è

 

Un fatto al giorno

Il 24 marzo 1944 è il giorno del sacrificio del parroco di Braccano, don Enrico Pocognoni, della “battaglia di Valdiola” e di quello che la memoria popolare ricorda come “eccidio del ponte di Chigiano”. Questa piccola frazione di San Severino fu al centro della lotta che si accese quel giorno tra le forze nazifasciste e i partigiani. Eppure, differentemente da Valdiola, la località non fu data alle fiamme. Luigi Verdolini, originario di Passo di Treia, che spesso saliva in montagna per accompagnare i profughi evasi dal campo di concentramento o per fornire informazioni, riconduce la salvezza di Chigiano al coraggio di un semplice contadino. Ricorda infatti che quel giorno, mentre i tedeschi stavano ultimando il piazzamento delle mine per far saltare in aria il paese, il contadino chiese di parlare in tedesco al comandante e lo persuase ad annullare gli ordini impartiti spiegandogli che lì c’era solo brava gente che non aveva alcuna colpa (Anpi San Severino 1993). Tuttavia quel giorno si verificò un altro episodio tragico: cinque partigiani del gruppo “Porcarella”, guidato da Agostino Pirotti, furono catturati e uccisi. Si trattava di quattro giovani originari di Osimo: Francesco Stacchiotti (22 anni), Piero Graciotti (22 anni), Lelio Castellani (20 anni), Umberto Lavagnoli (21 anni) e Giuseppe Paci (21 anni), nativo di Petilia Policastro (Crotone). Gli uomini, spinti a forza con il calcio delle armi e riempiti di farina nella bocca, furono “posti contro il parapetto del ponte... colpiti alle gambe dalle raffiche di mitra, poi così feriti dolorosamente ad uno ad uno gettati dal ponte alto una decina di metri sul ghiaioso letto del Musone ma, constatato che non erano ancora finiti, laggiù lapidati e brutalmente sfregiati...” (Piangatelli 1985, p.101). Il partigiano russo Josip Dimitrov venne costretto ad assistere alla violenza, per poi essere anch’egli fucilato, nei pressi di Corsciano, altra frazione di San Severino.

 

Una frase al giorno

“Andreotti, Fanfani, Rumor e almeno una dozzina di altri potenti democristiani, dovrebbero essere trascinati sul banco degli imputati. E quivi accusati di una quantità sterminata di reati: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, collaborazione con la Cia, uso illegale di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di colpirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell'Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani, responsabilità dell'esplosione "selvaggia" della cultura di massa e dei mass-media, corresponsabilità della stupidità delittuosa della televisione. Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro paese. È chiaro infatti che la rispettabilità di alcuni democristiani (Moro, Zaccagnini) o la moralità dei comunisti non servono a nulla”.

(Pier Paolo Pasolini)

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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