“L’amico del popolo”, 25 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

TO METEORO VIMA TOU PELARGOU - LES PAS SUSPENDU DE LA CIGOGNE (Il passo sospeso della cicogna, Francia/Italia/Grecia/Svizzera, 1991) scritto e diretto da Theodoros Angelopoulos. Sceneggiatura: Theo Angelopoulos, Tonino Guerra, Petros Markaris, Thanassis Valtinos. Fotografia: Giorgos Arvanitis, Andreas Sinanos. Montaggio: Yannis Tsitsopoulos. Colonna sonora: Eleni Karaindrou. Con: Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau, Gregory Patrikareas, Ilias Logothetis, Dora Hrisikou, Vasilis Bouyiouklakis.

Un giornalista televisivo si fa incuriosire dalla storia di un importante politico greco che aveva deciso di scomparire nel nulla. Vent'anni dopo i fatti crede di averlo individuato in un paese di frontiera e la ricerca lo spinge a indagare nel proprio animo mentre l'identità dell'uomo sembra essere sempre meno accertabile. Angelopoulus e Tonino Guerra hanno costruito un film sui luoghi "altri" in una terra che fa parte più della geografia dell'animo che di quella della terra. La lavorazione del film ha dovuto superare numerosi ostacoli, ivi compresa una scomunica.

(Mymovies.it)

“Ne Il passo sospeso della cicogna di Theo Anghelopoulos c'è un solo primo piano, che la camera cattura quasi in finale scivolando da un campo lungo a un altro. Anghelopoulos viene dai formalissimi anni Sessanta del cinema europeo. È in quegli anni che, per dir così, facendo il critico cinematografico, studiò da regista, per debuttare nel 1970 con quel folgorante Ricostruzione di un delitto che segnò la nascita internazionale del cinema greco. Godard? Antonioni? Di suo, Anghelopoulos, nello stile nato in quegli anni, ci ha messo un'emozione che si esprimeva in dediche alla filosofia della memoria e alla sofferenza, al doloroso rovescio esistenziale della violenza politica”.

(Enzo Siciliano)

“Qualche volta è meglio tacere per ascoltare la musica che c'è dietro il rumore della pioggia". Sono le parole di un discorso pronunciato da un ministro al Parlamento, prima di ritirarsi, o meglio, nascondersi, tra i monti della Macedonia, ai confini con la Grecia. Una specie di Cincinnato, interpretato da Marcello Mastroianni, che per Theo Anghelopoulos era già stato l'apicultore ne "Il volo" nel 1986. Trenta anni dopo, un giornalista (Gregory Karr) è sulle tracce dello scomparso, affiancato dalla donna che è stata compagna dell'ex politico (nel film Jeanne Moreau). L'essenza del lavoro di Anghelopoulos, oltre le implicazioni politico-sociali che contraddistinguono tutta la sua produzione, è la riscoperta della forza dei sentimenti che i due protagonisti credevano spenti, e che invece si riaccendono. Pur con i dovuti limiti imposti dal tempo trascorso, la sciatteria degli abiti dismessi del vecchio contadino Mastroianni e le rughe sul volto ancora bellissimo della Moreau. Teatro della vicenda, i confini albanesi, bulgari e della ex Jugoslavia, nelle fredde montagne della Madeconia, per di più durante il cuore dell'inverno.

Mastroianni e la Moreau si sono ritrovati anch'essi dopo trent'anni, sul set quasi proibitivo per il gelo di Florina e Siderokastro, sulle rive del fiume Strimanos. Non avevano più recitato insieme dal 1961, quando fecerp coppia nell'indimenticabile "La notte" di Michelangelo Antonioni. E come per i personaggi del film, tra loro si sono riaccesi i ricordi della complicità, l'intimità e l'amicizia profonda che li aveva coinvolti durante le riprese del film del capolavoro di Antonioni.

A Anghelopoulos l'idea del film è nata per caso, mentre si trovava in compagnia di un militare che lo aveva accompagnato ad un ponte vicino alla Bulgaria e confinante con la Turchia. All'estremità opposta del ponte, una sentinella turca vigilava con l'arma pronta a fare fuoco. Per terra, erano disegnate tre linee distanti trenta centimetri una dall'altra: linea blu, territorio greco - linea bianca: terra di nessuno - linea rossa: territorio turco. Il militare superò la prima linea e si fermò sulla seconda, con il piede sospeso. "Se continuo," disse, "o mi ritrovo all'estero o mi ritrovo morto".
Anghelopoulos, coerente con la sua filosofia cinematografica e il suo credo socio-politico, ha quindi creato un film "sulla comunicazione, sulle frontiere che la impediscono", "le frontiere linguistiche, culturali, le barriere frapposte dalle religioni e dall'intolleranza".
Ai suoi nobili propositi, trovò una durissima opposizione da parte di Augustinos Kandiotis, allora vescovo ortodosso locale, che non vedeva di buon occhio Anghelopoulos perché uomo di sinistra, e la presenza di Mastroianni e Moreau, considerati peccatori a causa dei loro rispettivi divorzi.
Anghelopoulos fu scomunicato a vita, la qual cosa gli procurò una forte depressione, mentre Mastroianni, Moreau e tutta la troupe furono esclusi per quattro anni da tutti i sacramenti celebrati nella diocesi di Kandiotis. Le riprese del film subirono continue interruzioni, e Anghelopoulos dovette rinunciare a lavorare in presa diretta, a causa del continuo battere a morto delle campane e del vociare del popolo che si era fatto coinvolgere dal vescovo. Il film fu terminato solo quando intervenne la polizia a proteggere la troupe e ad allontanare la gente. Rimasero sui muri scritte infamanti, la più pittoresca e esplicita fu "Anghediabulus".

Theo Anghelopoulos uscì provato da quella esperienza in Macedonia, terra da lei amata e prescelta per precedenti suoi film tra i migliori della sua carriera, da "Viaggio a Citera" (1984) a "Il volo" (1986) e al bellissimo "Paesaggio nella nebbia" (1988).

"Il passo sospeso della cicogna" si avvale, oltre alla superlativa presenza di Mastroianni, della collaborazione alla sceneggiatura dello scrittore Tonino Guerra, che Anghelopoulos aveva già sperimentato in "Paesaggio nella nebbia".

(FilmTv)

“Vedere Il passo sospeso della cicogna oggi, è come riappropriarsi di un'immagine proveniente da un territorio lontano storicamente e confuso idealmente. Se nello sviluppo della trilogia degli anni Settanta (I giorni del '36, La recita, I cacciatori) il regista si concentra sulla Storia «degli ultimi quarant'anni», nei film successivi la piccola storia agisce in rapporto con la Grande Storia (già ne I cacciatori) mettendo in discussione la concezione del decorso storico non più concepito attraverso la forma classica del divenire ma come un arresto, una sospensione, un eterno presente bloccato dall'immobilità borghese.
Il passo sospeso della cicogna è un film dove non succede nulla, nulla rimane attivo, il tempo della narrazione sembra più lungo di quello reale, tutte le azioni vengono compiute con grande fatica; Angelopoulos costruisce e mostra l'impossibilità di una rivoluzione in Grecia (sono quelli che partono a cantare la rivoluzione) e un vuoto politico insanabile in cui è lo stesso Stato ad arrestare la propria Storia per entrare in quell'immobilità diffusa che caratterizza l'Europa dal crollo del muro di Berlino del 1989. Angelopoulos non vuole raccontare la Grecia delle locandine turistiche ma si dirige verso l'estremo nord, ai limiti con l'Albania, nei paesi spezzati da una frontiera visibile, una riga sul terreno che oltrepassata può sancire la morte. «Se faccio un passo sono altrove... oppure sono morto» dice il Colonnello all'inizio del film. La Grecia di Angelopoulos non è il paese del sole, ma la provincia povera, secca e dura, lontana dai templi ma anche dai palazzi del potere, dove la Storia non si fa ma solamente si subisce. Il regista parla di un secolo che sta arrivando alla fine - «vi immaginereste mai se oggi fosse il 31 Dicembre 1999?» si chiede il politico interpretato da Marcello Mastroianni, che si è allontanato dalla famiglia e dalla vita pubblica per vivere letteralmente ai margini - e la sua insistenza sul concetto di frontiera lo porta a rassegnarsi di fronte all'arresto di un percorso storico caratterizzato da un divenire cronologico verticale - che porterebbe, secondo un'interpretazione marxista, a un inevitabile ricambio della classe dominante. Di conseguenza, cristallizzando e parcellizzando i confini, a trionfare sarà una concezione borghese della Storia “orizzontale” in quanto può caratterizzarsi solamente attraverso una delimitazione spaziale. Paradigmatica in questo senso la sequenza del matrimonio celebrato sul fiume, che nel momento in cui unisce, sancisce anche una definitiva separazione: il rito stesso non ha più valore, perché è inscritto anch'esso nell'immobilità politica, sociale, storica e anche intima di un Paese che non accetta altre razze e altre culture, preparandosi di lì a poco alla violenza delle guerre balcaniche negli anni Novanta”.

(Mariella Lazzarin, 16/03/2011, in www.spietati.it)

 

TO METEORO VIMA TOU PELARGOU - LES PAS SUSPENDU DE LA CIGOGNE (Il passo sospeso cicogna, Francia/Italia/Grecia/Svizzera, 1991) scritto e diretto da Theodoros Angelopoulos

 

Una poesia al giorno

Mary Morison, di Robert Burns (Alloway, 25 gennaio 1759 - Dumfries, 21 luglio 1796. È stato un poeta e compositore scozzese, il più noto fra quanti scrissero versi in lingua scots”).

O Mary, affacciati alla finestra:
è l’ora desiderata, è l’ora stabilita!
Fa ch’io veda quei sorrisi e quegli sguardi
che rendon povero il tesoro dell’avaro:
come felicemente sopporterei la polvere,
costretto a faticare da un giorno all’altro,
se potessi assicurarmi questa ricca ricompensa:
l’amabile Mary Morison.
Ieri sera, quando al suono della tremolante corda
le danze attraversavano la sala illuminata,
a te è volato il mio pensiero:
lì io sedevo, ma non sentivo niente, niente vedevo.
Sebbene una fosse graziosa, un’altra bella
e l’altra la più bella di tutto il paese,
io sospiravo e dicevo in mezzo a loro:
“Voi non siete Mary Morison “.
O Mary, puoi tu distruggere la pace
di chi morirebbe volentieri per te?
Puoi tu spezzare quel cuore,
la cui sola colpa è quella d’amarti?
Se non vuoi rendere amore per amore,
almeno mostrami un po’ di pietà!
Non può essere un pensiero scortese
il pensiero di Mary Morison.

O Mary, at thy window be,
It is the wish’d, the trysted hour!
Those smiles and glances let me see,
That makes the miser’s treasure poor:
How blythely wad I bide the stoure,
A weary slave frae sun to sun,
Could I the rich reward secure,
The lovely Mary Morison.
Yestreen when to the trembling string
The dance gaed thro’ the lighted ha’
To thee my fancy took its wing,
I sat, but neither heard nor saw:
Tho’ this was fair, and that was braw,
And yon the toast of a’ the town,
I sigh’d, and said amang them a’,
“Ye are na Mary Morison.”
O Mary, canst thou wreck his peace,
Wha for thy sake wad gladly die?
Or canst thou break that heart of his,
Whase only faut is loving thee?
If love for love thou wilt na gie
At least be pity to me shown:
A thought ungentle canna be
The thought o’ Mary Morison.

Robert Burns (Alloway, 25 gennaio 1759 - Dumfries, 21 luglio 1796)

 

Un fatto al giorno

25 gennaio 1981: condanna a morte di Jiang Qing, la vedova di Mao Zedong.

“Jiang Qing, donna politica cinese (Zhucheng, Shandong, 1914 - Pechino 1991), il cui vero nome era Li Jin, fu attrice teatrale e cinematografica col nome d'arte di Lan Ping. Nel 1937 entrò nel Partito comunista cinese e nel 1939 sposò Mao Zedong. Dopo aver svolto alcuni incarichi in campo culturale, si impegnò dal 1963 nel movimento per la riforma della letteratura e del teatro cinese, assumendo un ruolo di primo piano durante la rivoluzione culturale (1965-69). Vicepresidente del Gruppo centrale della rivoluzione culturale, membro dal 1969 dell'Ufficio politico del Partito comunista cinese (PCC), fu negli anni Settanta tra i principali esponenti dell'ala radicale del partito. La svolta politica avviata subito dopo la morte di Mao (settembre 1976) portò al suo arresto (ottobre) ed espulsione dal PCC (1977); accusata, insieme ad altri tre esponenti della sinistra (la cosiddetta banda dei quattro), di aver commesso gravi crimini durante la rivoluzione culturale, fu processata (novembre 1980 - gennaio 1981) e condannata a morte, ma nel gennaio 1983 la pena fu commutata in ergastolo. Nel giugno 1991 le autorità cinesi annunciarono che J. si era tolta la vita il mese prima nella sua abitazione di Pechino, dove era detenuta dal 1984 per motivi di salute”.

(In www.treccani.it)

Jiang Qing

SUICIDA LA VEDOVA DI MAO

PECHINO. Jiang Qing, la vedova del presidente Mao Tse Tung, è morta suicida. L'anima della banda dei quattro, come Pechino la bollò arrestandola un mese dopo la scomparsa del Grande timoniere, è stata trovata senza vita il 14 maggio scorso nella sua villa nei pressi della capitale. La notizia, anticipata dal settimanale americano Time, è stata confermata ieri dall'agenzia Xinhua (Nuova Cina) che però non ha dato altre informazioni sulla causa del decesso.
La vedova di Mao non era più agli arresti domiciliari e dal maggio del 1984 veniva sottoposta a cure mediche. Qualche anno fa una rivista cinese rivelò che la donna era affetta da cancro alla gola, ma altre fonti smentirono la notizia sostenendo che soffriva soltanto di malattie derivanti dall'età. Nel brevissimo dispaccio della Xinhua, Jiang non viene identificata come la vedova di Mao, ma come la principale imputata del caso della cricca controrivoluzionaria di Lin Biao e Jiang Qing. L'agenzia non ha fornito particolari neppure sulla malattia da cui era affetta o sui motivi del suicidio. Secondo Time, che citava non meglio precisate fonti di Pechino, la donna si è impiccata.
Nata nel 1914 in una povera famiglia di una delle regioni più sottosviluppate della Cina, lo Shandong, Jiang Qing entrò giovanissima nel mondo dello spettacolo. NON era molto brava, dicono i registi che la conobbero negli anni 30, quando recitava a Shanghai, ma aveva una grande personalità ed era bella. Legata agli ambienti di sinistra della Shanghai in fermento di quegli anni, la giovane ebbe molti amanti, fra cui colui che dominerà di lì a poco i servizi segreti della Cina, il temuto Kang Sheng, deceduto nel 1975. Fu lui a presentarla a Mao a Yenan, dove la ragazza giunse ben determinata a conquistare il grande leader rivoluzionario. Ci riuscì dopo breve tempo e, contro il parere di molti compagni, Mao Tse Tung divorziò dalla seconda moglie, He Zichen, per sposare la graziosa ex attrice, che ad ogni suo discorso si metteva in prima fila. Per alcuni anni dopo la fondazione della Repubblica popolare, nel 1949, Jiang Qing - questo era il nome che le diede Mao - rimase in secondo piano. Debole di salute si recò più volte in Unione Sovietica per farsi curare. Secondo una biografia, scritta dall'infermiera di Mao a Yenan, Zhu Zhongli, i rapporti fra lei e Mao si incrinarono molto presto. Ciò nonostante, con lo scoppio della Rivoluzione culturale nel 1966, Jiang Qing divenne una figura di primo piano. Si occupò all'inizio solo del settore culturale, in particolare della riforma dell'Opera di Pechino, che venne aggiornata con nuovi temi rivoluzionari.

Il processo in televisione
A poco a poco il suo potere crebbe, grazie all'aiuto del fedele Kang Sheng, fino alla morte di Mao nel settembre del 1976. Un mese dopo, Jiang Qing fu arrestata insieme agli altri tre componenti della cosiddetta banda dei quattro, i teorici Zhang Chun Qiao e Yao Wenyuan e l'ex operaio di Shanghai, Wang Hongwen. Nel 1981, tornato al potere Deng Xiaoping, Jiang Qing venne condannata alla pena capitale in uno spettacolare processo che, trasmesso dalle televisioni di tutto il mondo, costituì la sua ultima apparizione pubblica. Due anni dopo, la condanna a morte fu commutata in ergastolo. Jiang Qing, a quanto ha scritto ieri l'agenzia Nuova Cina, era uscita di prigione nel 1984. La sua sorte era stata fatta oggetto negli ultimi anni di diverse speculazioni e le autorità cinesi non avevano più indicato se la vedova di Mao si trovava in prigione o in una residenza sorvegliata. Pechino ha comunque atteso tre settimane prima di annunciare il suo decesso. E' possibile che le autorità abbiano voluto evitare che la morte della donna potesse fornire un pretesto per manifestazioni in occasione della ricorrenza dei fatti di piazza Tienanmen. Ma il secondo anniversario della rivolta è trascorso ieri nella più completa tranquillità. A parte alcuni focolai di protesta e qualche gesto simbolico niente di più hanno potuto fare gli studenti la scorsa notte a Pechino, per commemorare le vittime della sanguinosa repressione del movimento democratico compiuta tra il 3 e il 4 giugno dai militari. Come era prevedibile, il regime comunista non si è fatto cogliere impreparato e per prevenire manifestazioni spontanee aveva predisposto severe misure di sicurezza. Poche decine di fiori bianchi di carta sono stati lasciati cadere sui marciapiedi ieri mattina e ai passanti non è sfuggito il loro significato simbolico (il bianco è il colore del lutto in Cina). Proprio ieri il partito si era fatto vanto dell'aver spazzato la corruzione all' interno delle sue file e di aver rafforzato i legami di sangue e di carne con le masse. Ben visibile il massiccio spiegamento di forze dell'ordine oltre ad agenti in borghese dislocati in tutta la capitale, mentre poliziotti del servizio di sicurezza sono stati concentrati soprattutto in due zone della città: a piazza Tienanmen e intorno alla città universitaria, distante una decina di chilometri, dove lunedì sera si erano verificati incidenti di scarso rilievo: lancio di bottiglie contro la polizia oltre il muro di cinta dell'ateneo.

La grande sala del popolo
Per ordine delle autorità nel pomeriggio di ieri i due terzi della piazza sono stati chiusi e l'angolo occidentale è stato adibito a parcheggio per le macchine di coloro che hanno preso parte a una riunione nella grande sala del popolo, mentre squadre di agenti hanno continuato a marciare avanti e indietro nella zona chiusa. Sarebbe stato quindi impensabile organizzare una qualsiasi forma di protesta senza essere immediatamente arrestati. Nel corso della notte reparti paramilitari hanno fatto sgomberare la piazza che è stata poi riaperta in tempo per la cerimonia dell'alzabandiera, poco prima dell'alba. Intorno a mezzogiorno migliaia di turisti cinesi e alcuni stranieri sono tornati ad affollarla, ignari del fatto che tutta la zona pullulava di agenti in borghese e di essere ripresi dalle telecamere a circuito chiuso. All'università di Pechino e in altri college gli studenti sono rimasti svegli fino a tardi, molti seduti fuori dai dormitori per vedere se qualcuno avrebbe osato dare vita a una qualche azione di protesta, ma dopo mezzanotte sono tornati a dormire”.

(Articolo de La Repubblica del 5 giugno 1991)

Jiang Qing

 

Una frase al giorno

“Il popolo, e solo il popolo, è la forza motrice che crea la storia del mondo”.

(Mao Zedong o Mao Tse-tung,毛澤東, 毛泽东, Máo Zédōng, pronuncia Mao Tsê-tung; Shaoshan, 26 dicembre 1893 - Pechino, 9 settembre 1976. Rivoluzionario e uomo di stato cinese).

 

Un brano musicale al giorno

Viktor Ullmann - The Emperor of Atlantis

Solisti:

  • Iwona Hossa
  • Tove Dahlberg
  • Edgaras Montvidas
  • Gerard Finley

Viktor Ullmann

Sorpreso dall’occupazione nazista della Cecoslovacchia nel 1939, tre anni più tardi Viktor Ullmann venne deportato a Theresienstadt (oggi Terezín). Nel campo di concentramento, nonostante tutto, riuscì a comporre e a organizzare concerti, ma le prove di Der Kaiser von Atlantis oder Der Tod dankt ab (L’imperatore di Atlantis o l’abdicazione della morte), iniziate in condizioni disperate nel settembre 1944, a causa delle deportazioni ad Auschwitz di alcuni musicisti partecipanti e delle evidenti allusioni alla situazione politica contenutevi, non giunsero a buon fine, sicché l’opera venne rappresentata solo postuma, a distanza di trentun’anni dalla morte dell’autore, scomparso anch’egli ad Auschwitz nell’ottobre 1944.


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k