“L’amico del popolo”, 26 gennaio 2018

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Anno II. La rubrica ospita il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LAS AVENTURAS DE ROBINSON CRUSOE (Le Avventure di Robinson Crusoe, Messico, 1954) di Luis Buñuel. Da Daniel Defoe dal romanzo Robinson Crusoe. Sceneggiatura: Hugo Butler, Luis Buñuel. Fotografia Alex Phillips. Montaggio Carlos Savage, Alberto Valenzuela. Musiche Anthony Collins. Con: Dan O'Herlihy, Jaime Fernandez, Felipe de Alba, Chel Lopez, José Chávez, Emilio Garibay.

La nave su cui viaggia il giovane inglese Robinson Crusoe fa naufragio contro uno scoglio e lui, unico superstite, si salva a nuoto su un'isola sconosciuta. Robinson, grazie a ciò che ha potuto recuperare dal relitto e alla compagnia di un cane e una gatta scampati come lui al naufragio, riesce a conservare abitudini civili e impara a vivere dignitosamente, per molti anni, pur cadendo talvolta in preda a visioni. Con orrore, dopo anni, scopre che l'isola è frequentata da una tribù di antropofagi che periodicamente vi approdano con le loro canoe per compiere sacrifici umani e cibarsi delle vittime. Stando all'erta, un giorno vede arrivare i selvaggi con due prigionieri e, mentre uno viene legato, l'altro tenta la fuga. Robinson decide di intervenire e, dopo aver ucciso gli inseguitori, ottiene la sottomissione dell'indigeno che chiamerà Venerdì. In seguito, dopo aver insegnato a Venerdì ad esprimersi nella sua lingua ed aver avuto prova della sua lealtà, gli insegna anche a sparare e i due diventano compagni di caccia. Quando i cannibali tornano sull'isola, Robinson e Venerdì si preparano ad attaccarli con tutte le armi disponibili, ma in quel mentre sopraggiungono delle scialuppe con uomini bianchi armati di fucile che ben presto hanno ragione dei selvaggi. I nuovi arrivati sono una banda di ammutinati venuti per abbandonare sull'isola il capitano della loro nave insieme al fedele nostromo e per far provvista di acqua dolce. Robinson riesce a liberare i prigionieri e, con uno stratagemma, a circondare e disarmare gli ammutinati, ottenendo per sé e per Venerdì di essere portati in Inghilterra.

“Trasposizione del romanzo di Daniel Defoe pubblicato nel 1719, Le avventure di Robinson Crusoe è il primo film in lingua inglese diretto da Buñuel. Il regista spagnolo, come al suo solito, imprime all'opera uno sguardo personale e a tratti molto intimista. Nonostante nasca come una pellicola commerciale, con il passare dei minuti lo spettatore percepisce il pregevole intento di indagare le complessità della sopravvivenza dal punto di vista mentale piuttosto che da quello, semplicemente, fisico. Il Crusoe di O'Herlihy è, proprio grazie a questa interessante scelta, in continua lotta non con la natura, ma con se stesso. Inoltre, nemmeno qui, Buñuel rinuncia ai suoi soliti stilemi surrealisti, comprendendo una curiosa scena di sogno e alcuni scambi di battute tra i personaggi. Infelice, però, la scelta di far interpretare Venerdì a un attore di origine ispanica (stravolto da un make-up che lo rendesse più “scuro”). Il film venne presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 1954, mentre Dan O'Herlihy grazie a questo ruolo strappò una candidatura all'Oscar come miglior attore protagonista”.

(In www.longtake.it)

LAS AVENTURAS DE ROBINSON CRUSOE (Le Avventure di Robinson Crusoe, Messico, 1954) di Luis Buñuel

 

Una poesia al giorno

Ballata i' voi che tu ritrovi Amore, di Dante Alighieri (Rime della Vita Nuova)

Ballata i’ voi che tu ritrovi Amore,
e con lui vade a madonna davante,
sì che la scusa mia, la qual tu cante,
ragioni poi con lei lo mio segnore.
Tu vai, ballata, sì cortesemente,

che sanza compagnia
dovresti avere in tutte parti ardire,
ma se tu vuoli andar sicuramente,
retrova l’Amor pria,
ché forse non è bon sanza lui gire;

però che quella che ti dee audire,
sì com’io credo, è ver di me adirata:
se tu di lui non fosse accompagnata,
leggeramente ti faria disnore.
Con dolce sono, quando se’ con lui,

comincia este parole,
appresso che averai chesta pietate:
"Madonna, quelli che mi manda a vui,
quando vi piaccia, vole,
sed elli ha scusa, che la m’intendiate.

Amore è qui, che per vostra bieltate
lo face, come vol, vista cangiare:
dunque perché li fece altra guardare
pensatel voi, da che non mutò ’l core".
Dille: "Madonna, lo suo core è stato

con sì fermata fede,
che ’n voi servir l’ha ’mpronto onne pensero:
tosto fu vostro, e mai non s’è smagato".
Sed ella non ti crede,
dì che domandi Amor, che sa lo vero:

ed a la fine falle umil preghero,
lo perdonare se le fosse a noia,
che mi comandi per messo ch’eo moia,
e vedrassi ubidir ben servidore.
E dì a colui ch’è d’ogni pietà chiave,

avante che sdonnei,
che le saprà contar mia ragion bona:
"Per grazia de la mia nota soave
reman tu qui con lei,
e del tuo servo ciò che vuoi ragiona;

e s’ella per tuo prego li perdona,
fa che li annunzi un bel sembiante pace".
Gentil ballata mia, quando ti piace,
movi in quel punto che tu n’aggie onore.

 

Un fatto al giorno

26 gennaio 1939: guerra civile spagnola, le truppe leali a Francisco Franco, aiutate da milizie italiane, conquistarono la città di Barcellona.
Dopo aver occupato tutta la Catalogna, il 27 febbraio i governi di Regno Unito e Francia furono costretti a riconoscere il regime franchista. Il conflitto, che ebbe inizio nel luglio del 1936, è conosciuto come Guerra Civile Spagnola o semplicemente come Guerra di Spagna, e vide contrapporsi i nazionalisti anti-marxisti e i Republicanos. Il generale Francisco Franco, di idee filofasciste, era appoggiato apertamente dal III Reich della Germania Nazista e dall’Italia fascista. La guerra civile spagnola fu seguita in tutto il mondo come la prima importante contesa militare tra le forze di sinistra e le sempre più potenti e armate forze della destra fascista. Non si conosce esattamente il numero delle vittime che provocò, che è stimato dalle 500.000 a 1 milione di persone uccise da una guerra che segnò per decenni la società spagnola. Molti artisti e intellettuali furono uccisi, come Federico Garcia Lorca, e gran parte della Generazione Spagnola del ’27 fu costretta all’esilio. L’economia spagnola riuscì a recuperare i danni del conflitto solo dopo decenni e le ripercussioni politiche andarono ben oltre i confini della nazione. La Guerra Civile Spagnola, che vide salire al potere il dittatore Francisco Franco, fu l’anticamera e l’oscuro presagio della Seconda Guerra Mondiale.”

(Video in www.eraoggi.com)

“La repubblica reagisce con prontezza, sostenuta, dal settembre del 1936, dalle Brigate Internazionali, composte, su iniziativa dell'Internazionale comunista, da volontari che accorrono da tutta l'Europa e da vari paesi del mondo. Questi volontari, nel novembre 1936, respingono l'offensiva dei franchisti a Madrid. Pur con difficoltà, la Repubblica resiste per quasi due anni, ma nel marzo 1938 una grande offensiva delle truppe franchiste fa perdere terreno ai difensori e, di fatto, spezza in due il territorio repubblicano. I militari conquistano città dopo città e il 26 gennaio 1939 prendono Barcellona, centro nevralgico della resistenza. Il 28 marzo, dopo che Francia e Inghilterra ne hanno già riconosciuto il governo, Franco entra a Madrid e annuncia la resa dell'esercito repubblicano. Nominato “Generalissimo di tutte le forze armate e capo del governo dello stato spagnolo” a guerra ancora in corso, Francisco Franco associa immediatamente alla strategia bellica una studiata campagna propagandistica incentrata, sulla scorta del modello fascista, sul culto della personalità e, dato il sostegno del clero, sulla “santità” del proprio compito. Il partito della Falange, d'ispirazione fascista, è scelto come strumento adatto a colmare il vuoto ideologico del colpo di stato franchista”.

(Articolo completo in www.anpi.it)

Morire a Madrid, di Frederic Rossif

 

Una frase al giorno

“In questo paese [l'Italia, nel 1836] il viaggio è estremamente penoso: birri e dogane sono insopportabili, il dialetto milanese orribile, gli italiani degenerati, gli austriaci ridicoli, la frutta cattiva, i locandieri ladri, i passaporti cari, le garitte lombarde orribilmente gialle e nere, le insegne papali sporche, i soldati napoletani sudici, quelli del papa miserabili, la musica sgradevole, i teatri noiosi, gli abati ciarlieri, i carabinieri lesti a sparire quando li si cerca, il manzo raro, il sanguinaccio onnipresente, il vino acido abbondante, le pulci in così gran quantità dappertutto”.

(Eugène Viollet-le-Duc, Parigi, 27 gennaio 1814 - Losanna, 17 settembre 1879), architetto francese, progettò la Cattedrale di Losanna.

Eugène Viollet-le-Duc

Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc è stato un architetto francese, conosciuto soprattutto per i suoi restauri degli edifici medioevali, in particolare quello della cattedrale di Notre-Dame. Fu una figura centrale tanto nell'architettura neogotica in Francia, quanto nel pubblico dibattito sulla "autenticità" in architettura, che infine trascese tutti i revival, permeando lo spirito emergente del Modernismo.

(Wikipedia)

"Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (1814-1879), enciclopedico architetto, storico dell’arte, formidabile disegnatore, archeologo e restauratore, scrittore di talento, acquarellista e molte altre cose ancora, in meno di quaranta anni, dal 1835 al 1870, fu il testardo e geniale protagonista di una gigantesca operazione di restauro di cattedrali, palazzi, castelli e città. Ridisegnò il passato. E lo fece a modo suo, attraverso uno studio maniacale delle fonti storiche. Creò uno stile gotico, nazionale, figlio dello spirito del tempo, quando la Francia cercava solide fondamenta di una nuova identità nazionale. Distrusse e ricostruì. Catalogò, senza sosta. Aggiunse e rimodellò. Trasformò, fin quasi a stravolgere. Spesso, alla ricerca della “forma perfetta”, arrivò a reinventare gli edifici di sana pianta. L’esito dei suoi restauri divise i contemporanei. E ancora oggi fa discutere. In ogni caso, Viollet-le-Duc ebbe un merito incontestabile: riuscì a salvare dall’oblio e dalla decadenza un immenso patrimonio di bellezza. Quel suo sogno di pietra, con tutto il suo straordinario bagaglio di torri e chimere, ponti levatoi, pitture policrome e mazze piombate, guglie, decorazioni, “gargoyles”, mostri, mura, favolosi uccelli e altri ibridi animali, ha ripopolato quei monumenti. E adesso abita, in modo stabile, anche nel nostro immaginario collettivo. Un Medioevo immaginato è un Medioevo falso e insieme meraviglioso che ormai sembra più vero di quello reale. Lo riscopriamo a Parigi, nella cattedrale di Notre-Dame, nella grande basilica di Saint-Denis oppure all’interno della celeberrima Sainte-Chapelle. Riemerge, imponente, dentro e fuori le cattedrali, di Vézelay, Amiens, Chartres, Poissy, Évreux, Amboise e Clermont-Ferrand. Riappare a Laon e nella basilica di Saint-Sernin di Tolosa, fascinosa tappa del cammino che porta i pellegrini a Santiago di Compostela. Stupisce, con tutta la sua forza evocativa, i turisti che in Linguadoca affollano la cittadella medievale di Carcassonne o che percorrono i centri storici di intere città: Chartres, Narbonne, Tolosa, Reims e Amiens, fino al piccolo municipio pirenaico di Saint-Antonin-Noble-Val. Possiamo ammirarlo ancora nella chilometrica cinta muraria fortificata di Avignone e in alcuni straordinari castelli: a Pierrefonds, la dimora imperiale di Napoleone III interamente ricostruita nella Francia settentrionale, nel gioiello bordolese di Roquetaillade, a Coucy in Piccardia, e nel cuore dei Paesi baschi, davanti all’immagine dello Chateaux d’Abbadie".

(Articolo completo in: www.festivaldelmedioevo.it)

 

Un brano musicale al giorno

Jacqueline du Pré, Concerto per violoncello in Mi minore, Op. 85 Adagio. Moderato. Di Edward Elgar, con la Philadelphia Orchestra, diretta da Daniel Barenboim (marito di Jacqueline du Pré).

Jacqueline du Pré e Daniel Barenboim

26 gennaio 1945 nasce Jacqueline du Pré, violoncellista inglese (morta nel 1987 di sclerosi multipla, a soli 42 anni)

Jacqueline du Pré


Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k