“L’amico del popolo”, 26 agosto 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

LA BELLE VERTE (Il pianeta verde, Francia, 1996) scritto, diretto, musicato e interpretato da Coline Serreau. Fotografia: Robert Alazraki. Montaggio: Catherine Renault. Con: Vincent Lindon, Philippine Leroy-Beaulieu, James Thiérrée, Samuel Tasinaje, Patrick Timsit, Catherine Samie, Yolande Moreau, Francis Perrin, Marion Cotillard, Paul Crauchet, Didier Flamand, Claire Keim

Sul Pianeta verde vivono esseri umani talmente evoluti ed avanzati da aver completamente eliminato l'uso degli oggetti, in modo da concentrare saggezza, forza ed energia nello sviluppo del corpo e della mente. Una volta l'anno gli abitanti fanno il giro degli altri pianeti ma nessuno vuole recarsi sulla Terra considerata troppo arretrata. Finalmente si offre Mila, donna matura vedova con due figli, che sospetta di essere frutto dell'unione del padre con una terrestre. Mila, che vive in un contesto ecologico avanzato, arriva nel traffico di Parigi all'ora di punta e subisce un forte shock. L'adattamento è arduo, dal cibo ai comportamenti al modo di esprimersi, e Mila cerca di risolvere le situazioni difficili facendo ricorso all'influsso della sua mente. Molti rimangono coinvolti, per cui vediamo politici che dicono la verità, calciatori che ballano il valzer nello stadio, barboni e poliziotti che seminano un orto. A questo punto Mila fa arrivare sulla Terra anche i figli più grandi che si innamorano di due ragazze con cui la madre era entrata in contatto e le convincono a seguirli sul Pianeta Verde, dove inizia per tutti una nuova vita.

"Fanta-puttanata o fiaba d'autore? Non sai proprio che cosa pensare di fronte al Pianeta verde (da non confondere con quello 'azzurro' di Piavoli), ottavo film di Coline Serreau, già regista di commedie sopraffine come Tre uomini e una culla e La crisi. Stavolta anche in veste d'attrice nei panni della protagonista, la cineasta e drammaturga francese si cimenta con la fantascienza, seppure in una chiave moderatamente burlona, un po' da viaggio nel tempo. Solo che all'opposto di quanto succedeva nei Visitatori, gli 'stranieri' caduti sulla Terra vengono adesso da un remoto futuro vagamente new age. (...) Fa sul serio Coline Serreau, un po' troppo. E se ha ragione nel prendere di mira gli abominevoli costumi sociali e alimentari di noi terrestri, si vorrebbe che un briciolo di ironia fosse applicata anche all'utopia del Pianeta verde (dove tutti sono soavi, fanno gli acrobati e ascoltano 'Il silenzio'). Boh! Pare che a Parigi il gesto della testa con il quale Mila provoca la 'sconnessione' dei nemici sia diventato molto di moda e certo il film sfodera delle trovatine divertenti, come quel paludato concerto di musica classica scosso dall'irrompere del contagioso ritmo di Roll Over Beethoven. Ma francamente Coline Serreau, mediocre attrice e spiritosa regista, ha fatto di meglio in passato."

(Michele Anselmi, 'L'Unità', 4 maggio 1997 - l’articolo aiuta a capire perché un giornale come L’Unità è fallito)

"Curioso film questo di Coline Serreau, che ribalta in chiave fantaecologica la trovata dei Visitatori (e di tutti i viaggi nel tempo) per prendere di mira nevrosi e ipocrisie dei nostri anni. Lo spunto sarà esile, quel Pianeta Verde dove sono tutti belli e sorridenti (oltre che bianchi) sa un po' di spot, e non mancano tirate ovvie quando Mila si ritrova, affascinata e orripilata insieme, fra i parigini ulcerosi di fine Millennio (anche quel neonato non aveva bisogno di essere figlio di uno stupratore serbo per essere più 'attuale'). Però la Serreau sa sfruttare con estro il potere conferito al suo personaggio di 'disconnettere' i terrestri fuorviati restituendoli alla loro natura profonda. E bisogna essere davvero molto esigenti, oppure afflitti da un Super Io ipertrofico, per non ridere di fronte al concerto di musica classica che degenera in jam session country-rock, o alla partita di calcio che si trasforma in una poco virile pantomima. Inoltre, se il Medioevo 'dolce' e purgato dalla barbarie che regna sul Pianeta Verde aveva tutti i numeri per essere stucchevole, la gioia puramente fisica che irrompe in sottofinale attraverso i salti e le acrobazie dei suoi abitanti, è una idea forte proprio perché semplice, diretta, sfacciata. Anche il kitsch può essere un'ottima arma. Perché vergognarsi di usarlo?"

(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 12 maggio 1997)

“Immaginate un pianeta in cui gli abitanti vivono in armonia tra di loro e con la natura. Immaginate un pianeta in cui non esiste la moneta e l’alimentazione si basa esclusivamente sull’agricoltura. Immaginate un pianeta in cui non esistono automobili, traffico ed inquinamento, un pianeta in cui tutti hanno accesso diretto e paritario alle risorse naturali e non le sprecano né le sfruttano. Vi sembra pura utopia? Forse. Sicuramente l’idea della regista Coline Serreau è stata quella di provocare e stimolare una riflessione sul cambiamento (possibile) della nostra civiltà attraverso il film uscito nel 1996 con il titolo italiano ‘Il pianeta verde’, in cui riveste anche il ruolo di protagonista nei panni di Mila. Dopo l’assemblea che si svolge ogni inizio d’anno, Mila si propone volontaria per il viaggio verso la Terra, necessario a sondare lo stato del processo evolutivo dei terrestri. Giunta da un pianeta idilliaco e sconosciuto ai terrestri, Mila atterra nella capitale francese per imbattersi in un ambiente caratterizzato da cemento, traffico, inquinamento, vetrine per l’“esposizione dei cadaveri” (leggi macellerie), ostilità e scontrosità della gente che incontra. Grazie ai suoi poteri di ‘disconnessione’ Mila riuscirà a modificare il modo di percepire la realtà e di comportarsi sedimentato ormai nei terrestri. La chiave ironica con cui la regista affronta le tematiche importanti del film, tra cui quelle legate allo sviluppo sostenibile, consente di decostruire il significato che diamo ormai per assodato ed incontestabile alle situazioni quotidiane. In modo volutamente marcato viene messo in luce il contrasto tra la serenità interiore degli abitanti del pianeta verde e la difficoltà di vivere in armonia mostrata dai terrestri, quasi monadi in un mondo che ha smarrito il senso della semplicità e dei valori autentici. L’ironia intelligente che attraversa questa pellicola non può che essere di stimolo per una riflessione sullo stato delle cose e sui cambiamenti necessari che potremmo iniziare ad apportare nel nostro piccolo per dare vita ad un nostro Pianeta Verde. Il pianeta verde, un film per riflettere sulla nostra civiltà”.

(Tuttogreen)

Il Pianeta verde, cioè come realizzare un fantascientifico in chiave di commedia di costume o il contrario: firmato e interpretato da Colme Serreau, la regista-drammaturga francese assurta nell’85 al successo internazionale con Tre uomini e una culla. Ben lontano dal somigliare ai mondi ipertecnologizzati prefigurati nei film futuristici americani, il pianeta del titolo si presenta con l’aspetto arcadico di una immensa e fertile campagna: i cui abitanti respirando aria fina e mangiando vegetariano vivono fino a 250 anni in fraterna comunanza di beni e in perfetta armonia spiritual-sessuale”.

(Alessandra Levantesi, La Stampa)

La scelta del film di oggi è nata dalla notizia che comunica come il governo brasiliano abbia ceduto alle imprese che cercano oro e altri minerali preziosi una parte della Foresta Amazzonica grande come la Danimarca, segnando la fine di un prezioso equilibrio ecologico e di tante tribù primitive che vi vivono. W l’inquinamento in nome del trionfante liberismo.

LA BELLE VERTE (Il pianeta verde, Francia, 1996) scritto, diretto, musicato e interpretato da Coline Serreau

 

Una poesia al giorno

Nel mio paese, di Andrea Zanzotto (da "Dietro il paesaggio")

Leggeri ormai sono i sogni,
da tutti amato
con essi io sto nel mio paese,
mi sento goloso di zucchero;
al di là della piazza e della salvia rossa
si ripara la pioggia
si sciolgono i rumori
ed il ridevole cordoglio
per cui temesti con tanta fantasia
questo errore del giorno
e il suo nero d'innocuo serpente

Del mio ritorno scintillano i vetri
ed i pomi di casa mia,
le colline sono per prime
al traguardo madido dei cieli,
tutta l'acqua d'oro è nel secchio
tutta la sabbia nel cortile
e fanno rime con le colline

Di porta in porta si grida all'amore
nella dolce devastazione
e il sole limpido sta chino
su un'altra pagina del vento.

 

Un fatto al giorno

26 agosto 1978: un Conclave brevissimo elesse il patriarca di Venezia, Albino Luciani, come Papa Giovanni Paolo I. Il suo pontificato durò solo 33 giorni, ma fu ricco di innovazioni. Il passaggio dal "noi" all' "io", l'abolizione della sedia gestatoria, l'umiltà di parlare di sé, il chiamare accanto bambini durante l'udienza generale: c'è molto Giovanni Paolo I nei gesti e nelle parole di papa Francesco.

Albino Luciani, Papa Giovanni Paolo I

Una frase al giorno

“Tutti ricordiamo le grandi parole del papa Paolo VI: «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido di angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello» [Populorum progressio, 3]. A questo punto alla carità si aggiunge la giustizia, perché - dice ancora Paolo VI - «la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario» [ibidem, 23]. Di conseguenza «ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile» [ibidem, 53]. Alla luce di queste forti espressioni si vede quanto - individui e popoli - siamo ancora distanti dall'amare gli altri «come noi stessi», che è comando di Gesù”.

(Giovanni Paolo I, dall'Udienza generale del 27 settembre 1978)

Film:

 

Un brano al giorno

Mozart, Piano trio K 564 - Kogan / Rostropovich / Gilels Moscow, 1952. I movimento Allegro II Andante 4:49, III Allegretto 11:55. Composto a Vienna e datato 27 ottobre 1788.

“Il Trio in sol maggiore è articolato in tre tempi caratterizzati da una freschezza inventiva e da una abilità nell'arte della variazione, specie nel secondo movimento. Il primo tema dell'Allegro iniziale viene esposto dal pianoforte e sorretto da un disegno melodico degli archi. Ecco quindi un tema più leggero e festoso, affidato al violino con un ritornello del pianoforte e poi ripreso dal primo strumento. A questo punto si snoda lo sviluppo del discorso musicale, condotto elegantemente dal violino su un accompagnamento di biscrome del pianoforte. C'è molta varietà nel gioco armonico, con il passaggio dalla tonalità di mi maggiore al do maggiore, secondo un procedimento spesso utilizzato da Mozart; al pianoforte e al violino si aggiunge con molta evidenza, nelle battute finali del movimento, la voce del violoncello.

L'Andante è un tema variato, punteggiato da una straordinaria purezza e nobiltà di espressione, che si richiama allo stesso Andante della Sonata per pianoforte e violino K 547. Le variazioni sono sei: la prima è indicata dal violino su una imitazione del violoncello e con l'accompagnamento del pianoforte; la seconda è esposta dal violoncello, su ornamenti del violino e con accordi di accompagnamento del pianoforte; nella terza variazione il violino espone un tema cantabile, mentre il violoncello sottolinea le ultime cadenze; la quarta variazione contiene un magnifico dialogo tra il pianoforte e i due archi; la quinta variazione appartiene al pianoforte e la sesta è un tema molto arabescato, realizzato dal violino, su accompagnamento del violoncello e del pianoforte. La sensazione che si ricava dall'ascolto di questo Andante è di una delicata e incantevole atmosfera poetica.

L'Allegretto finale in 6/8 comincia con un ritmo di siciliana del pianoforte, cui risponde il violino, sostenuto dal violoncello. Si crea quindi una piacevole tessitura di armonie con un ritorno al tema, che viene ripreso dal violino su accompagnamento del pianoforte e con l'intervento del violoncello. Il tema del rondò si allarga e si intensifica e coinvolge tutti e tre gli strumenti in una inarrestabile cascata di invenzioni armoniche, realizzata con brillantezza e vivacità di colori contrastanti. Il Trio K 564 sembra rispettare le regole di un discorso musicale accessibile a tutti e senza particolari tensioni e tormenti che pure esistono nell'arte mozartiana”.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k