“L’amico del popolo”, 27 agosto 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

ON THE BEACH (L'ultima spiaggia, USA, 1959), regia di Stanley Kramer. Sceneggiatura: John Paxton. Fotografia: Giuseppe Rotunno, Daniel L. Fapp. Montaggio: Frederic Knudtson. Musica: Ernest Gold, Marie Cowan. Con: Gregory Peck, Ava Gardner, Fred Astaire, Anthony Perkins, Donna Anderson, John Tate, Ken Wayne, Guy Doleman, Richard Meikle, John Meillon, Lou Vernon, Kevin Brennan, Basil Buller-Murphy, Paddy Moran, Harp McGuire, Lola Brooks, Joe McCormick, Grant Taylor.

Tratto dall'omonimo romanzo distopico e fantapolitico-postapocalittico del 1957 dello scrittore anglo-australiano Nevil Shute, la narrazione è incentrata sulle vicende che si svolgono negli ultimi mesi dell'esistenza della vita sulla Terra prima della sua fine annunciata.
Nel 1964, alla fine della terza guerra mondiale, il mondo civile è completamente distrutto. E' scampata alla rovina totale, una piccola porzione dell'emisfero australe, dove ancora esistono degli esseri viventi. Anche questi ultimi reduci presto subiranno l'onda devastatrice delle sostanze radioattive che impregnano l'atmosfera, ma per il momento la gente finge di illudersi di avere ancora una via di scampo. Il sommergibile Sawfish, comandato da Dwight Towers, che si è salvato perché in immersione al momento dell'esplosione atomica, viene mandato alla ricerca di segnali positivi per l'umanità. L'uomo accetta la sua missione benché abbia perso ogni speranza dopo la morte della sua famiglia. Lo scienziato che parte con lui si accerta che in nessun angolo della terra potrà mai più esistere vita umana. Le speranze sono del tutto sfumate e gli uomini fanno i conti con la propria esistenza. Towers rinuncerà all'amore della disillusa Moira, Peter sceglierà la morte insieme alla sua famiglia, la piazza di Melbourne, deserta, chiude il film.

“Al termine della terza guerra mondiale, l'emisfero settentrionale è un mondo completamente distrutto dalle esplosioni nucleari. Anche il resto della Terra è destinato a subire l'ondata devastatrice delle radiazioni, ma, per il momento, in Australia la gente si illude o finge di illudersi di avere ancora una via di scampo. Un sottomarino americano, il Sawfish, comandato da Dwight Lionel Towers, sfuggito al disastro perché in immersione al momento dell'esplosione atomica, fa rotta verso le coste australiane per valutare le possibilità di sopravvivenza. Le speranze sono destinate a sfumare e gli uomini, consapevoli dell'approssimarsi della fine, fanno un bilancio della propria esistenza misurandosi con il significato della vita. In questo contesto si articola la struggente storia d'amore tra il comandante Towers e la disillusa Moira Davidson. Il film, per molti versi toccante, si chiude con la desolante immagine delle piazze di Melbourne prive di vita mentre il ritmo della celebre canzone "Waltzing Mathilda", che per gli australiani è quasi un secondo inno nazionale, accompagna il silenzioso ed insignificante sventolio di una bandiera. Al momento della sua uscita L'ultima spiaggia suscitò più di una polemica al punto, perfino, di essere tacciato di sovversivismo dagli ambienti più conservatori. Rivista oggi, la pellicola conserva intatto il messaggio pacifista e si conferma come opera coraggiosa, nello stile migliore di Stanley Kramer”.

(MYmovies.it)

“Fratelli, siete ancora in tempo”: si va fuori dal cinema con questo ammonimento leggermente umoristico, leggermente sacrilego. È un equivoco, come tutto il film, e non si sa bene come pigliarlo. Il regista Stanley Kramer si era trovato di fronte a un messaggio e a un soggetto formidabili: descrivere la fine del mondo nel 1964, in seguito a una guerra atomica e, in virtù di tale descrizione, contribuire alla distensione. È vero che il viaggio di Krusciov in America ha decongestionato la guerra fredda e ha reso dunque questo film leggermente stantio, come se fosse rimasto un po' più del necessario nella ghiacciaia ad aspettare il consumatore.

(Pier Paolo Pasolini)

“Quali che fossero i suoi meriti in qualità di “producer”, è ormai evidente che, come regista, Stanley Kramer è, tutt’al più, un discreto produttore. Qui, oltre a sfruttare il successo di un romanzo, traducendo in termini spettacolari le angosciose prospettive di Nevil Shute, Kramer ha approfittato dell’inquietudine in cui versano i cittadini di tutto il mondo, o almeno i più coscienti, per il giustificato terrore di una terza guerra mondiale e di una conseguente distruzione totale dell’umanità. La vicenda del, film, com’è noto, si svolge in Australia, l’unico continente non ancora cancellato dalla faccia della terra, ma già irrevocabilmente condannato dalla ricaduta radioattiva”.

(Guido Fink, Cinema Nuovo)

“Notevole ed encomiabile è lo sforzo di Kramer, che è anche produttore del film, di realizzare, in piena guerra fredda, un'opera dura e asciutta sulla possibili conseguenze di un conflitto nucleare quando l'opinione pubblica non era pregiudizialmente contraria all'idea. Un cast superbo completa il tutto”.

(FilmTV)

L’ultima spiaggia è uno di quei film che in tanti hanno dimenticato ma che rimane una pietra miliare del cinema e in particolare del cinema post apocalittico, adattamento cinematografico del libro “On the beach” di Nevil Shute (purtroppo inedito in Italia), ci permette di vivere insieme agli ultimi sopravvissuti del genere umano rifugiatosi in Australia in attesa della fine, che arriverà inesorabile legata ai venti oceanici che portano con sé le polveri radioattive. La sensazione che si vive in tutto il film è quel senso di inevitabilità alla sorte e persino i tentativi di sfuggirle sia logici che illogici ricordano gli ultimi spasmi di una creatura morente; questo porta inevitabilmente lo spettatore a immedesimarsi in modo assoluto con i protagonisti e con le loro vite: la coppia che ha da poco avuto una bambina, il comandante che ha perso la sua famiglia in America ma ne parla come se fosse tuttora presente, la donna che ha buttato la sua vita salvo rendersi conto solo ora della sua condizione e lo scienziato che viva un angoscia perenne sapendo esattamente quello a cui andrà incontro. Ma, oltre ai protagonisti, ci sono nel racconto dei personaggi minori che però danno il senso di quello che accade. Tanto per citare una scena: i due signori anziani al circolo nautico che si chiedono come faranno a consumare centinaia di litri di porto in così poco tempo. Dietro la macchina da presa c’è uno dei più geniali registi/sceneggiatori di Hollywood: Stanley Kramer (E l’uomo creò Satana, Vincitori e vinti e decine di altri titoli), tra gli attori abbiamo un incredibile Gregory Peck, una splendida Ava Gardner, un malinconico Fred Astaire e infine un triste e giovane Anthony Perkins. Capolavoro assoluto della cinematografia, che senza sensazionalismi affronta una paura tutt’ora presente ma dimenticata per le generazioni under 30.”

ON THE BEACH (L'ultima spiaggia, USA, 1959), regia di Stanley Kramer

 

Una poesia al giorno

Requiem for “Bird” Parker, musician. Di Gregory Corso

this prophecy came by mail: / in the last murder of birds / a nowhere bird shall remain /
and it shall not wail / and the nowhere bird shall be a slow bird / a long long bird /
somewhere there is a room / in a room / in which an old horn / lies in a corner / like a
handful of rice / wondering about BIRD /
first voice / hey, man, BIRD is dead / they got his horn locked up somewhere / put his
horn in a corner somewhere / like where’s the horn, man, where? /
second voice / screw the horn / like where’s BIRD? /
third voice / gone / BIRD was goner than sound / broke the barrier with a horn’s coo /
BIRD was higher than moon / BIRD hovered on a roof top, too / like a weirdy monk he
drooped / horn in hand, high above all / lookin’ down on them people / with half-shut
weirdy eyes / saying to himself; “yeah, yeah” / like nothin’ meant nothin’ at all /
fourth voice / in early nightdrunk / solo in his pent house stand / BIRD held a black
flower in his black hand / he blew his horn to the sky / made the sky fantastic! and
midway / the man-tired use of things / BIRD piped a varied ephemera / a strained
rhythmical rat / like the stars didn’t know what to do / then came a nowhere bird /
third voice / yeah, a nowhere bird – – / while BIRD was blowin’ / another bird came / an
unreal bird / a nowhere bird with big draggy wings / BIRD paid it no mind; just kept on
blowin’ / and the cornball bird came on comin’ /
first voice / right, like that’s what I heard / the draggy bird landed in front of BIRD /
looked BIRD straight in the eye / BIRD said: “cool it” / and kept on blowin’ /
second voice / seems like BIRD put the square bird down /
first voice / only for a while, man / the nowhere bird began to foam from the mouth /
making all kinds of discords / “man, like make it somewhere else,” BIRD implored / but
the nowhere bird paced back and forth / like an old miser with a nowhere scheme /
third voice / yeah, by that time BIRD realized the fake / had come to goof / BIRD was
about to split, when all of a sudden / the nowhere bird sunk its beady head / into the
barrel of BIRD’s horn / bugged‚ BIRD blew a long crazy note /
first voice / it was his last‚ man‚ his last / the draggy bird ran death into BIRD’s throat /
and the whole building rumbled / when BIRD let go his horn / and the sky got blacker...
blacker / and the nowhere bird wrapped its muddy wings round BIRD
fourth voice / BIRD is dead / BIRD is dead
first and second and third voices / yeah, yeah
fourth voice / wail for BIRD / for BIRD is dead
first and second and third voices / yeah, yeah

Requiem per “Bird” Parker, musicista

la profezia arrivò per posta: / dopo lo sterminio finale degli uccelli / resterà un uccello balordo / che non saprà gridare / e l’uccello balordo sarà un uccello lento / lungo lungo / da qualche parte c’è un locale / in un locale / dove un vecchio contralto / gettato in un angolo / come un pugno di riso / si chiede che fine ha fatto BIRD / voce prima / hai sentito, amico? BIRD è morto / e hanno messo il suo sax sotto chiave / in un angolo, chissà dove / dico dove sarà quel sax, dove cazzo è? / voce seconda / al diavolo il sassofono / dov’è BIRD, piuttosto? / voce terza / andato / BIRD era già andato oltre / il muro del suono, con il tubare del sax / era più alto della luna / BIRD si sporgeva dal tetto / piegato come un monaco stralunato / strumento in mano, guardava / la gente dall’alto in basso / con i suoi strani occhi socchiusi / borbottando tra sé: «già, già» / come se niente avesse un minimo di significato / voce quarta / la sbronza serale già avviata / solo nella sua gabbia dorata all’ultimo piano / BIRD, un fiore nero nella nera mano / suonava per il cielo / facendolo felice! e nel bel mezzo / del logorato uso delle cose / BIRD, pifferaio, dava fiato a una farfalla screziata / a un topo ritmico e irritato / come se le stelle non sapessero il fatto loro / ma in quel momento è arrivato un uccello balordo / voce terza / già, un uccello del cazzo – – / BIRD stava cantando / e un altro uccello è apparso dal nulla / un uccello fasullo / un uccello balordo, con le ali che strisciavano per terra / BIRD non gli dava retta, continuò a suonare / ma l’altro, il cafone, non mollava / voce prima / sì, anche a me hanno raccontato / che quell’uccellaccio lento si è posato / proprio di fronte a BIRD e si è messo a fissarlo / BIRD gli ha detto: «piantala» / e ha continuato a suonare / voce seconda / bravo BIRD! / ha dato una bella lezione a quell’uccello noioso / voce prima / ma non è bastata, amico / all’uccello balordo è venuta la bava al becco / riempiva la stanza di cacofonia / «amico, non puoi farlo altrove?» BIRD implorò / ma l’uccellaccio andava su e giù / come un vecchio spilorcio che medita un tiro mancino / voce terza / già, a quel punto BIRD aveva capito che l’impostore / era lì per rompere / BIRD stava per andarsene, quando a un tratto / l’uccello balordo ha ficcato la testolina dura / nella campana del sax / seccato, BIRD ha emesso una nota lunga, esasperata / voce prima / era la sua ultima nota, amico, l’ultima / quell’uccello noioso è riuscito a ficcargli la morte in gola / e tutto il palazzo si è messo a tremare / quando BIRD ha lasciato cadere il suo sax / e il cielo è diventato scuro, sempre più scuro / e l’uccello balordo ha preso BIRD tra le ali infangate / l’ha trascinato giù / giù fino in fondo. voce quarta / BIRD è morto / BIRD è morto voci prima e seconda e terza / già, già voce quarta / piangete per BIRD / perché BIRD è morto voci prima e seconda e terza / già, già”.

(Traduzione di Steve Piccolo)

 

Un fatto al giorno

27 agosto 1883: quattro violentissime esplosioni vulcaniche distruggono l'isola di Krakatoa: muoiono 36.000 persone. Nel maggio del 1883 cominciò l'eruzione del vulcano Krakatoa (in indonesiano Krakatau), che culminò il 27 agosto di quell'anno con la distruzione completa dello stesso con quella che viene ricordata come la maggiore esplosione mai avvenuta nella storia dell'umanità.

“I luoghi: Giava e Sumatra, le due isole principali dell’Indonesia, sono separate da un braccio di mare, lo Stretto della Sonda, che in pratica mette in comunicazione il Mar di Giava con l’Oceano Indiano. Lo Stretto non è di facile navigazione causa fondali poco profondi, secche, forti correnti ed oggi anche numerose piattaforme petrolifere. Da un punto di vista geologico l’area è tra le più “turbolente” del pianeta: passa di qui infatti il celebre “anello di fuoco” (“ring of fire” in inglese), la cintura che avvolge l’intero Oceano Pacifico ed in corrispondenza della quale, causa gli scontri tra le placche tettoniche, si sviluppano grandi terremoti e violente eruzioni. Nell’Oceano Indiano, al largo dell’Indonesia, la cosiddetta “fossa di Giava” (“Giava Trench”) rappresenta il punto focale di questo “anello” e corrisponde grosso modo alla zona in cui la placca “indo-australiana” va in subduzione al di sotto della placca eurasiatica”.

 

Una frase al giorno

“Il codismo è la manifestazione di inerzia e lentezza. I nostri compagni non devono credere che se qualcosa non è per loro comprensibile, non sia comprensibile per le masse. Spesse volte accade che le masse ci superino ed esigano con insistenza che il movimento avanzi, mentre i nostri compagni sono incapaci di guidarle”.

(24 aprile 1945, Mao Tse-tung, noto anche come Mao Zedong, 1893-1976, politico cinese)

 

Un brano al giorno

"Inner City Blues (Make Me Wanna Holler)", 1971, spesso abbreviato a "Inner City Blues", è una canzone di Marvin Gaye.

Rockets, moon shots
Spend it on the have nots
Money, we make it
Fore we see it you take it
Oh, make you wanna holler
The way they do my life
Make me wanna holler
The way they do my life
This ain't livin'
This ain't livin'
No, no baby, this ain't livin'
No, no, no
Inflation no chance
To increase finance
Bills pile up sky high
Send that boy off to die
Make me wanna holler
The way they do my life
Make me wanna holler
The way they do my life
Hang ups, let downs
Bad breaks, set backs
Natural fact is
I can't pay my taxes
Oh, make me wanna holler
And throw...

Traduzione di Giampiero Giangrandi in Canzoni contro la guerra - Inner City Blues (Make Me Wanna Holler)

Blues Dei Bassifondi (Mi Viene Voglia Di Gridare)

Missili, lanci sulla luna
[quei soldi] spendili su chi non ha niente.
Denaro, noi lo produciamo
prima di vederlo, voi ve lo prendete
oh, ti viene voglia di gridare.
il modo in cui manovrano la mia vita
mi viene voglia di gridare
il modo in cui manovrano la mia vita
questo non è vivere, questo non è vivere
no, no ragazza, questo non è vivere
no, no, no
Inflazione, nessuna possibilità
di aumentare il reddito
la pila dei conti è arrivata al cielo
Spedisci quel ragazzo lontano a morire
mi viene voglia di gridare
il modo in cui manovrano la mia vita
mi viene voglia di gridare
il modo in cui manovrano la mia vita
Sospensioni, delusioni
crolli, riassestamenti [economici]
è conseguenza naturale
non riesco a pagare le mie tasse
oh, mi viene voglia di gridare
e alzare entrambe le mani
sì, mi viene voglia di gridare
e alzare entrambe le mani
Crimine in aumento
forze dell'ordine col grilletto facile
panico dilagante
Dio solo sa dove finiremo
oh, mi viene voglia di gridare
loro non capiscono

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k