“L’amico del popolo”, 26 giugno 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

CHARLES MORT OU VIF (Svizzera, 1969), scritto e diretto da Alain Tanner. Fotografia: Renato Berta. Montaggio: Sylva Bachmann. Musica: Jacques Olivier. Con: Jean-Pierre Moriaud, Marcel Robert, Francis Reusser, Andre' Schmidt, Walter Schocli, François Simon, Martine Simon, Maya Simon, Antoine Bordier, Janine Christoffe, Marie Claire Dufour, Jo Excoffier, Michele Martel, Pierre Verdan, Jean-Luc Bideau.

Charles Dé è proprietario di una fabbrica di orologi in Svizzera, ereditata dagli avi e diretta insieme col figlio. Nel corso di una intervista concessa a un radiocronista, Charles spiega come sia rimasto titolare della ditta molto giovane e senza vocazione professionale; come abbia cercato di condurre l'azienda con spirito di famiglia tra l'indifferenza dei dipendenti e l'ostilità del figlio, affarista per la pelle; come abbia risentito gli strali lanciatigli dalla figlia Marianne, universitaria in filologia classica, contestatrice. La crisi interiore del signor Dé, latente da molti anni, intensificata dall'intervista, esplode subito dopo quando, fermo in località solitaria a causa di un guasto della macchina, si sistema in un albergo firmando anonimamente Schwartz. Mentre il giornale-radio diffonde la notizia della scomparsa dell'orologiaio, questi fa casuale conoscenza di una stravagante coppia: Paul e Adeline, due giovani che convivono quasi da barboni. Buttata in un burrone la macchina, Dé segue i due e ne accetta l'ospitalità che contraccambia dando loro del denaro, e svolgendo mansioni domestiche. Viene raggiunto ogni tanto dalla figlia Marianne. Il figlio di Dé, sospettando che la sorella sia al corrente del rifugio paterno, incarica un investigatore privato a seguirla per scoprirne il nascondiglio. Difatti, dopo giorni nei quali i volontari barboni hanno ampiamente discusso sulla condizione umana e sociale, il signor Dé viene raggiunto da un'autoambulanza. Su richiesta del figlio Charles, Dé viene ricoverato nella clinica Fliknam per cure mentali.

“Charles Dé, ricco industriale di orologi, decide di piantare tutto: fa nuove amicizie, ritrova la figlia rivoluzionaria, ma finisce alcolizzato e viene chiuso in una clinica psichiatrica. Tanner, per il suo esordio, si ispira a una storia vera e rappresenta una Svizzera grigia e disperata, allora controcorrente. Costruito come una specie di “poema contestatario, corrosivo ma con molta tenerezza e malinconia quasi fino alla disperazione”, il film traccia senza nessuna condiscendenza il bilancio di un sessantenne che è poi quello di un Paese, lacerato tra il desiderio di ricominciare da zero e la realtà mediocre e grigia”.

(Cineclub del Mendrisiotto)

“Realizzato con un basso costo produttivo - 120 mila franchi - Charles, mort ou vif ottenne un buon successo di critica a Cannes e a Locarno, dove vinse il primo premio. Fu, inoltre, il film che portò sulla scena internazionale la cinematografia svizzera. Ispirato a un caso veramente accaduto racconta la tristezza e il dolore di un uomo come tanti, un padre medio-alto borghese delle ultime generazioni. Calato in una Svizzera grigia e sbiadita, vista con realismo è un dramma esistenziale, ben reso nell'indagine psicologica dal protagonista François Simon, proiettato verso una realtà intensa e inconsueta, secondo quella che è diventata la tendenza generale del cinema elvetico. Comunica allo spettatore un senso di disperata atonia, di nevrosi inespressa e inesprimibile. Primo lungometraggio di Tanner, regista della televisione della Svizzera romanda e animatore del 'Groupe 5' a Ginevra, fu una rivelazione inattesa: la rivelazione, soprattutto, di un talento cinematografico assai duttile, capace di osservazione e di critica corrosiva, specialmente nei confronti delle realtà che l'ipocrisia sociale e il conformismo tendono a nascondere”.

(Circolo del Cinema di Bellinzona)

“Storia di una rottura. Un industriale ginevrino, al culmine della carriera, pianta tutto e tutti, e rompe con il "sistema". Con 120.000 franchi (60.000 dalla Televisione romanda - il costo di una serata teatrale in TV - il resto con debiti vari da recuperare con la sempre problematica distribuzione nelle sale), Alain Tanner firma il primo film svizzero maturo, sensibile e significativo, E, come hanno detto in Francia, il primo vero film sulla contestazione.
Il valore del film è il valore di questa contestazione. Tanner ha evitato la presa di posizione concitata, risaputa. Lo slogan mandato a memoria, meccanico e imbecille. Il suo CHARLES MORT OU VIF girato in sedici millimetri, ma privo, anche nello stile, degli eccessi figurativi che quasi tutti i sedici millimetri comportano (mobilità inutile della macchina "a spalla", zoomate, ecc.) è una meditazione sorprendentemente matura sulla condizione dell'uomo e sulla Svizzera di oggi. Il risultato finale è un film che non è soltanto, come capita di solito in questi casi, un manifesto. Ma è, in definitiva, poesia. Tanner dimostra con questa opera di sapere affrontare i problemi dell'enunciazione cinematografica in modo oltremodo equilibrato e sensibile: basta osservare come sia riuscito ad inserire nella narrazione le "massime" declamate dal pittore. Con estrema naturalezza, quasi con humour: con una efficacia che non mi sembra per nulla inferiore alle celebrate didascalie introdotte anni fa da Godard nei suoi film. Tutto il personaggio del pittore-contestatore è trattato con rara intelligenza, con umanità: con il suo bagaglio di meriti e di difetti, di atti di coraggio e di meschinità: di quelle contraddizioni che lo reinseriscono in quella borghesia dalla quale egli vorrebbe fuggire. Il film vive allora in perfetta simbiosi - ed è questo certamente uno dei segreti del suo innegabile fascino - con il personaggio, riuscitissimo nella sua introspezione, interpretato dal figlio di Michel Simon, François. Un segno di straordinaria carica emotiva, in un film splendidamente misurato. Visto il soggetto, considerato il contesto del nostro cinema, un evento miracoloso”.

(Charles mort ou vif - Filmselezione - Il cinema visto da Fabio Fumagalli)

CHARLES MORT OU VIF (Svizzera, 1969), scritto e diretto da Alain Tanner

 

Una poesia al giorno

Dove non c’è luogo, di Mariella Mehr.

Dove non c’è luogo
si nutre la parola della montagna non rimossa.
Disperata frase per frase,
la mia Babilonia.
Solo la ferita da aculeo tace.

Se ci siano nuovi luoghi
chiedo, amico, e se
verrà una nuova primavera;
le ore non consumate
il mazzo di rose sprofondato
nel suo risveglio.

All’ultima tempesta di neve, amico,
prendimi il ramo di vischio, e
un’ultima presa di inverno
spargimela sulla fronte.

Poi, amico, chiedere
alla montagna aperta
il mio sangue vagabondo.

Che mi possa
scusare
ancora prima dell’alba.

Mariella Mehr

Mariella Mehr nacque a Zurigo nel 1947. Di etnia Jenisch, ha subito persecuzioni in nome del programma eugenetico promosso dal governo svizzero nei confronti dei figli appartenenti a famiglie nomadi. Da bambina piccolissima fu sottratta alla madre e assegnata in periodi diversi a varie famiglie e a tre istituzioni educative. Lo stesso accadde quando fu lei a diciotto anni ad avere un figlio, che le fu tolto. La rabbia contro le istituzioni sviluppò in lei uno spirito ribelle che la condusse a subire quattro ricoveri in ospedali psichiatrici e quasi due anni di carcere femminile. Dal 1975, come giornalista, ha scritto molti articoli di denuncia. Negli ultimi vent’anni ha vissuto prevalentemente in Toscana. Ha pubblicato diversi romanzi e quattro libri di poesia”.

(Tre poesie di Mariella Mehr, da “Ognuno incatenato alla sua ora”)

 

Un fatto al giorno

Il 26 giugno 1967 moriva a 44 anni don Lorenzo Milani. “Don Lorenzo Milani, nome completo Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti (Firenze, 27 maggio 1923 - Firenze, 26 giugno 1967), è stato un presbitero, insegnante, scrittore ed educatore italiano. Considerato una figura di riferimento per il cattolicesimo socialmente attivo per il suo impegno civile nell’istruzione dei poveri, Don Milani fece proseliti in alcune persone, all’epoca ragazzi, che si impegnarono nei sindacati o in politica in nome di una società più giusta Nel dicembre del 1954, a causa di screzi con la Curia di Firenze e in seguito alla pubblicazione del suo libro Esperienze pastorali, venne mandato a Barbiana, minuscola e sperduta frazione di montagna nel comune di Vicchio, in Mugello, dove iniziò il primo tentativo di scuola a tempo pieno, espressamente rivolto alle classi popolari e dove, tra le altre cose, sperimentò il metodo della scrittura collettiva. La sua scuola era alloggiata in un paio di stanze della canonica annessa alla piccola chiesa di Barbiana, un paese con un nucleo di poche case intorno alla chiesa e molti casolari sparsi sulle pendici del Monte Giovi: con il bel tempo si faceva scuola all’aperto sotto il pergolato. La scuola di Barbiana era un vero e proprio collettivo dove si lavorava tutti insieme e la regola principale era che chi sapeva di più aiutava e sosteneva chi sapeva di meno, 365 giorni all’anno.
Opera fondamentale della scuola di Barbiana è “Lettera a una professoressa” (maggio 1967), in cui i ragazzi della scuola (insieme a Don Milani) denunciavano il sistema scolastico e il metodo didattico che favoriva l’istruzione delle classi più ricche (i cosiddetti “Pierini”), lasciando la piaga dell’analfabetismo in gran parte del paese. La Lettera a una professoressa fu scritta negli anni della malattia di don Milani. Pubblicata dopo la sua morte è diventata uno dei moniti del movimento studentesco del ’68”.

Molto interessanti i video:

  1. Rai Teche www.teche.rai.it
  2. www.rai.it
  3. Lettera a una professoressa www.youtube.com
  4. Lorenzino Milani 1/3 www.youtube.com

 

Una frase al giorno

“In quanto alla loro vita di giovani di domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo di amare la legge è di obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando non sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.

(da “Lettera ai giudici”, Don Lorenzo Milani)

 

Un brano al giorno

Natalie Dessay, "Se pietà", da “Giulio Cesare”, opera lirica in tre atti di Georg Friedrich Händel su libretto in lingua italiana di Nicola Francesco Haym. Prima rappresentazione il 20 febbraio del 1724 a Londra. Emmanuelle Haïm dirige Le Concert d'Astrée. 

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k