“L’amico del popolo”, 26 giugno 2017

L'amico del popolo
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L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

CHARLES MORT OU VIF (Svizzera, 1969), scritto e diretto da Alain Tanner. Fotografia: Renato Berta. Montaggio: Sylva Bachmann. Musica: Jacques Olivier. Con: Jean-Pierre Moriaud, Marcel Robert, Francis Reusser, Andre' Schmidt, Walter Schocli, François Simon, Martine Simon, Maya Simon, Antoine Bordier, Janine Christoffe, Marie Claire Dufour, Jo Excoffier, Michele Martel, Pierre Verdan, Jean-Luc Bideau.

Charles Dé è proprietario di una fabbrica di orologi in Svizzera, ereditata dagli avi e diretta insieme col figlio. Nel corso di una intervista concessa a un radiocronista, Charles spiega come sia rimasto titolare della ditta molto giovane e senza vocazione professionale; come abbia cercato di condurre l'azienda con spirito di famiglia tra l'indifferenza dei dipendenti e l'ostilità del figlio, affarista per la pelle; come abbia risentito gli strali lanciatigli dalla figlia Marianne, universitaria in filologia classica, contestatrice. La crisi interiore del signor Dé, latente da molti anni, intensificata dall'intervista, esplode subito dopo quando, fermo in località solitaria a causa di un guasto della macchina, si sistema in un albergo firmando anonimamente Schwartz. Mentre il giornale-radio diffonde la notizia della scomparsa dell'orologiaio, questi fa casuale conoscenza di una stravagante coppia: Paul e Adeline, due giovani che convivono quasi da barboni. Buttata in un burrone la macchina, Dé segue i due e ne accetta l'ospitalità che contraccambia dando loro del denaro, e svolgendo mansioni domestiche. Viene raggiunto ogni tanto dalla figlia Marianne. Il figlio di Dé, sospettando che la sorella sia al corrente del rifugio paterno, incarica un investigatore privato a seguirla per scoprirne il nascondiglio. Difatti, dopo giorni nei quali i volontari barboni hanno ampiamente discusso sulla condizione umana e sociale, il signor Dé viene raggiunto da un'autoambulanza. Su richiesta del figlio Charles, Dé viene ricoverato nella clinica Fliknam per cure mentali.

“Charles Dé, ricco industriale di orologi, decide di piantare tutto: fa nuove amicizie, ritrova la figlia rivoluzionaria, ma finisce alcolizzato e viene chiuso in una clinica psichiatrica. Tanner, per il suo esordio, si ispira a una storia vera e rappresenta una Svizzera grigia e disperata, allora controcorrente. Costruito come una specie di “poema contestatario, corrosivo ma con molta tenerezza e malinconia quasi fino alla disperazione”, il film traccia senza nessuna condiscendenza il bilancio di un sessantenne che è poi quello di un Paese, lacerato tra il desiderio di ricominciare da zero e la realtà mediocre e grigia”.

(Cineclub del Mendrisiotto)

“Realizzato con un basso costo produttivo - 120 mila franchi - Charles, mort ou vif ottenne un buon successo di critica a Cannes e a Locarno, dove vinse il primo premio. Fu, inoltre, il film che portò sulla scena internazionale la cinematografia svizzera. Ispirato a un caso veramente accaduto racconta la tristezza e il dolore di un uomo come tanti, un padre medio-alto borghese delle ultime generazioni. Calato in una Svizzera grigia e sbiadita, vista con realismo è un dramma esistenziale, ben reso nell'indagine psicologica dal protagonista François Simon, proiettato verso una realtà intensa e inconsueta, secondo quella che è diventata la tendenza generale del cinema elvetico. Comunica allo spettatore un senso di disperata atonia, di nevrosi inespressa e inesprimibile. Primo lungometraggio di Tanner, regista della televisione della Svizzera romanda e animatore del 'Groupe 5' a Ginevra, fu una rivelazione inattesa: la rivelazione, soprattutto, di un talento cinematografico assai duttile, capace di osservazione e di critica corrosiva, specialmente nei confronti delle realtà che l'ipocrisia sociale e il conformismo tendono a nascondere”.

(Circolo del Cinema di Bellinzona)

“Storia di una rottura. Un industriale ginevrino, al culmine della carriera, pianta tutto e tutti, e rompe con il "sistema". Con 120.000 franchi (60.000 dalla Televisione romanda - il costo di una serata teatrale in TV - il resto con debiti vari da recuperare con la sempre problematica distribuzione nelle sale), Alain Tanner firma il primo film svizzero maturo, sensibile e significativo, E, come hanno detto in Francia, il primo vero film sulla contestazione.
Il valore del film è il valore di questa contestazione. Tanner ha evitato la presa di posizione concitata, risaputa. Lo slogan mandato a memoria, meccanico e imbecille. Il suo CHARLES MORT OU VIF girato in sedici millimetri, ma privo, anche nello stile, degli eccessi figurativi che quasi tutti i sedici millimetri comportano (mobilità inutile della macchina "a spalla", zoomate, ecc.) è una meditazione sorprendentemente matura sulla condizione dell'uomo e sulla Svizzera di oggi. Il risultato finale è un film che non è soltanto, come capita di solito in questi casi, un manifesto. Ma è, in definitiva, poesia. Tanner dimostra con questa opera di sapere affrontare i problemi dell'enunciazione cinematografica in modo oltremodo equilibrato e sensibile: basta osservare come sia riuscito ad inserire nella narrazione le "massime" declamate dal pittore. Con estrema naturalezza, quasi con humour: con una efficacia che non mi sembra per nulla inferiore alle celebrate didascalie introdotte anni fa da Godard nei suoi film. Tutto il personaggio del pittore-contestatore è trattato con rara intelligenza, con umanità: con il suo bagaglio di meriti e di difetti, di atti di coraggio e di meschinità: di quelle contraddizioni che lo reinseriscono in quella borghesia dalla quale egli vorrebbe fuggire. Il film vive allora in perfetta simbiosi - ed è questo certamente uno dei segreti del suo innegabile fascino - con il personaggio, riuscitissimo nella sua introspezione, interpretato dal figlio di Michel Simon, François. Un segno di straordinaria carica emotiva, in un film splendidamente misurato. Visto il soggetto, considerato il contesto del nostro cinema, un evento miracoloso”.

(Charles mort ou vif - Filmselezione - Il cinema visto da Fabio Fumagalli)

 

Una poesia al giorno

Dove non c’è luogo, di Mariella Mehr.

Dove non c’è luogo
si nutre la parola della montagna non rimossa.
Disperata frase per frase,
la mia Babilonia.
Solo la ferita da aculeo tace.

Se ci siano nuovi luoghi
chiedo, amico, e se
verrà una nuova primavera;
le ore non consumate
il mazzo di rose sprofondato
nel suo risveglio.

All’ultima tempesta di neve, amico,
prendimi il ramo di vischio, e
un’ultima presa di inverno
spargimela sulla fronte.

Poi, amico, chiedere
alla montagna aperta
il mio sangue vagabondo.

Che mi possa
scusare
ancora prima dell’alba.

Mariella Mehr

Mariella Mehr nacque a Zurigo nel 1947. Di etnia Jenisch, ha subito persecuzioni in nome del programma eugenetico promosso dal governo svizzero nei confronti dei figli appartenenti a famiglie nomadi. Da bambina piccolissima fu sottratta alla madre e assegnata in periodi diversi a varie famiglie e a tre istituzioni educative. Lo stesso accadde quando fu lei a diciotto anni ad avere un figlio, che le fu tolto. La rabbia contro le istituzioni sviluppò in lei uno spirito ribelle che la condusse a subire quattro ricoveri in ospedali psichiatrici e quasi due anni di carcere femminile. Dal 1975, come giornalista, ha scritto molti articoli di denuncia. Negli ultimi vent’anni ha vissuto prevalentemente in Toscana. Ha pubblicato diversi romanzi e quattro libri di poesia”.

(Tre poesie di Mariella Mehr, da “Ognuno incatenato alla sua ora”)

 

Un fatto al giorno

Il 26 giugno 1967 moriva a 44 anni don Lorenzo Milani. “Don Lorenzo Milani, nome completo Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti (Firenze, 27 maggio 1923 - Firenze, 26 giugno 1967), è stato un presbitero, insegnante, scrittore ed educatore italiano. Considerato una figura di riferimento per il cattolicesimo socialmente attivo per il suo impegno civile nell’istruzione dei poveri, Don Milani fece proseliti in alcune persone, all’epoca ragazzi, che si impegnarono nei sindacati o in politica in nome di una società più giusta Nel dicembre del 1954, a causa di screzi con la Curia di Firenze e in seguito alla pubblicazione del suo libro Esperienze pastorali, venne mandato a Barbiana, minuscola e sperduta frazione di montagna nel comune di Vicchio, in Mugello, dove iniziò il primo tentativo di scuola a tempo pieno, espressamente rivolto alle classi popolari e dove, tra le altre cose, sperimentò il metodo della scrittura collettiva. La sua scuola era alloggiata in un paio di stanze della canonica annessa alla piccola chiesa di Barbiana, un paese con un nucleo di poche case intorno alla chiesa e molti casolari sparsi sulle pendici del Monte Giovi: con il bel tempo si faceva scuola all’aperto sotto il pergolato. La scuola di Barbiana era un vero e proprio collettivo dove si lavorava tutti insieme e la regola principale era che chi sapeva di più aiutava e sosteneva chi sapeva di meno, 365 giorni all’anno.
Opera fondamentale della scuola di Barbiana è “Lettera a una professoressa” (maggio 1967), in cui i ragazzi della scuola (insieme a Don Milani) denunciavano il sistema scolastico e il metodo didattico che favoriva l’istruzione delle classi più ricche (i cosiddetti “Pierini”), lasciando la piaga dell’analfabetismo in gran parte del paese. La Lettera a una professoressa fu scritta negli anni della malattia di don Milani. Pubblicata dopo la sua morte è diventata uno dei moniti del movimento studentesco del ’68”.

Molto interessanti i video:

  1. Rai Teche www.teche.rai.it
  2. www.rai.it
  3. Lettera a una professoressa www.youtube.com
  4. Lorenzino Milani 1/3 www.youtube.com

 

Una frase al giorno

“In quanto alla loro vita di giovani di domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo di amare la legge è di obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando non sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.

(da “Lettera ai giudici”, Don Lorenzo Milani)

 

Un brano al giorno

Natalie Dessay, "Se pietà", da “Giulio Cesare”, opera lirica in tre atti di Georg Friedrich Händel su libretto in lingua italiana di Nicola Francesco Haym. Prima rappresentazione il 20 febbraio del 1724 a Londra. Emmanuelle Haïm dirige Le Concert d'Astrée. 

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

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web www.brusaporco.org