“L’amico del popolo”, 26 settembre 2017

L'amico del popolo
Grandezza Carattere

L’amico del popolo”, spazio politico di idee libere, di arte e di spettacolo. Una nuova rubrica ospiterà il giornale quotidiano dell’amico veronese Ugo Brusaporco, destinato a coloro che hanno a cuore la cultura. Un po’ per celia e un po’ per non morir...

Un film al giorno

CARLO GIULIANI, RAGAZZO (Italia, 2002), regia di Francesca Comencini. Soggetto e Sceneggiatura: Francesca Comencini, Luca Bigazzi. Fotografia: Mario Balsamo, Gianfranco Fiore, Massimiliano Franceschini, Paolo Pietrangeli, Pasquale Scimeca, Daniele Segre, Carola Spadoni, Fulvio Wetzl. Montaggio: Linda Taylor. Musica: Ennio Morricone.

“La regista ha visionato circa trecento ore di filmati relativi a quell'ormai storico 20 luglio 2001. Quel pomeriggio a Genova Carlo Giuliani venne ucciso da un carabiniere. Il film rappresenta quella giornata cercando un distacco puramente documentaristico. Tuttavia la tesi emerge con grande chiarezza: le forze dell'ordine ebbero tutte le colpe e i no global (italiani, stranieri, tute nere, tute bianche che fossero) non ne ebbero nessuna. La grande, incomprensibile violenza - a volte occasionale (per paura e per difesa), a volte premeditata, come tutto l'episodio della scuola Diaz - da parte della polizia e dei carabinieri è un dato di fatto. Ma le molte scene di violenza da parte dei manifestanti sono "dimenticate" al contrario delle scene opposte. Il "testimone" che fa da voce narrante e che lega il film è Heidi, la madre di Carlo, lucida e umanissima, ma certamente "teneramente" schierata: i dimostranti erano "teneri cavalieri medievali"; i bastoni erano lasciati dalla polizia perché fossero raccolti dal "nemico"; i manifestanti goliardi benintenzionati omologabili agli eroi della "resistenza", costretti ad essere violenti dalla violenza altrui. Il capo-Casarini era un organizzatore preoccupato soltanto che nessuno si facesse male. E Carlo era pacifico e pacifista a oltranza. L'estintore era lì ai suoi piedi, per farsi raccogliere. È terribile che un ragazzo sia morto, ed è drammatico che una parte di città sia stata distrutta. La pagina è stata nera, per tutti. Un'occasione per mostrare distacco, obiettività, non militanza, non demagogia. Perduta”.

(MYmovies.it)

“Dai filmati realizzati dagli attori del progetto “Un mondo diverso è possibile”, coordinato da Citto Maselli, Francesca Comencini (che si è avvalsa della complicità di Luca Bigazzi) ha estratto un altro mondo ancora. Haidi, la madre di Carlo Giuliani, il ragazzo rimasto ucciso nei tragici scontri di Genova del 20 luglio 2001, ricostruisce con impressionante lucidità l’ultima giornata del figlio. E l’autrice che, assieme a Linda Taylor, ha passato al vaglio trecento ore di materiale, restituisce con appassionato distacco il senso di quella giornata parallelamente al senso e alla follia di una vita spezzata, L’imponente lavoro di ricerca ha donato poi ai familiari e a noi tutti quattro o cinque immagini di Carlo, che (ri)appare come un angelo fantasmatico pochi minuti prima della sua morte, in quel mare di “cinema” ripreso e fatto da ventimila obiettivi puntati sulla Storia”.

(Aldo Fittante, Film TV)

"Una madre racconta la giornata breve di suo figlio, dall'uscita di casa in un mezzogiorno di luglio fino al proiettile del pomeriggio sparato in testa. Un'altra madre ascolta e registra voce, faccia, racconto. In mezzo a loro due scorrono le folle che invasero Genova per essere pietra d'inciampo alla riunione dei signori del mondo, per essere pietra d'angolo di una nuova casa-mondo. Il ragazzo Carlo Giuliani, figlio di Haidi, oggi è cenere. Sua madre non maledice il giorno, l'ora, l'assassino. Parla del suo ragazzo ucciso in piazza e lo rimette in eredità a noi perché quel figlio è nostro e resta in piazza."

(Erri De Luca)

"Auguriamo un immenso successo a tutti i film che escono oggi in Italia, ma potendo scegliere, vorremmo che ci fosse un tutto esaurito al cinema America di Genova, a tutti gli spettacoli: è lì che esce una delle 7 copie di "Carlo Giuliani, ragazzo", il documentario di Francesca Comencini distribuito dalla Mikado. Per la cronaca, le altre 6 sono visibili nelle seguenti sale: l'Anteo di Milano, il Tibur di Roma, l'Astra di Padova, il Modernissimo di Napoli, l'Empire di Torino e l'Azzurro di Ancona. Tra una settimana il film arriverà sicuramente anche a Firenze e a Bologna, in sale ancora da definire. Non ci sono discussioni: Carlo Giuliani, ragazzo è il film italiano più importante della stagione, proprio perché non è "solo" un film. Innanzi tutto, è un documento decisivo anche riguardo alle recenti polemiche sulla morte di Giuliani: basta guardarlo con occhi aperti per rendersi conto di quanto siano ridicole tutte le "perizie" e le illazioni che parlano di pallottole deviate e rimbalzate qua e là (certo le pallottole sono strane: anche quella che uccise Kennedy fece un percorso a zig-zag davvero bizzarro). Ieri la società di produzione Luna Rossa Cinematografica ha risposto in modo netto a quanti hanno parlato, per quanto concerne i materiali sul G8 girati dai registi della fondazione "Cinema del Presente", di filmati "bonificati", ovvero manipolati; la società di Mauro Berardi ha ribadito "il significativo contributo da noi dato all'accertamento di realtà troppo spesso inquinate da notizie infondate e a senso unico". Francesca Comencini, raggiunta telefonicamente, ci ha detto di non voler aggiungere nulla a questa presa di posizione, di per sé limpida: i cineasti del gruppo, almeno in sede legale, parlano collettivamente. Ci pare una posizione giusta. Questo è un lavoro di gruppo nel quale non esistono star. Al tempo stesso, va detto che "Carlo Giuliani, ragazzo" è un'opera fondamentale (e bellissima) proprio perché si allontana dal grande mosaico del G8 descritto da tutti i registi per isolarne una tessera, anzi: "la" tessera, quella fondamentale. Francesca Comencini e Luca Bigazzi, qui direttore della fotografia, hanno conosciuto la mamma di Carlo Giuliani, Haidi, a Porto Alegre e hanno deciso che bisognava darle la parola. Per due motivi, che risaltano fortemente nel film. Il primo: Haidi Giuliani, dopo la morte di Carlo, ha avviato un lavoro paziente, infinito, quasi ossessivo - ma è una madre che ha perso il figlio, ha tutto il diritto di essere "ossessionata" - di ricostruzione della giornata, del percorso del ragazzo all'interno del corteo genovese fino al momento in cui viene assassinato. Il secondo: era giusto che su Carlo si dicessero alcune verità, e che fossero i parenti e gli amici, la mamma in primis, a dirle. "Si è detto che Carlo fosse un punkabestia, un disadattato - dice Haidi -; non lo era, ma anche fosse? È un motivo sufficiente per ammazzare la gente?". Così, per dare a Carlo quel che era di Carlo, Francesca Comencini ha inserito nel film una serie di poesie scritte dal ragazzo, in italiano e in latino (queste ultime, tradotte da Erri De Luca), per comporre di lui un ritratto complesso e variegato; per ribadire che era un ragazzo dolce, volitivo, intelligente, come confermano tutti gli amici che ne parlano con struggente nostalgia in una post-fazione, di circa 15 minuti, che si è aggiunta alla copia del film mostrata a Cannes (ora il film è lungo 75 minuti, una durata da lungometraggio vero). Questa nuova struttura del film, più personale (ma non per questo meno politica), giustifica maggiormente il titolo che per altro è una citazione ben precisa: "Carlo Giuliani, ragazzo" è la scritta che da quel giorno mani ignote hanno scritto sulle targhe stradali di piazza Alimonda, il luogo di Genova, a due passi dalla stazione di Brignole, dove Carlo è caduto. E con ciò ritorniamo al senso politico di questo film, che parte come una dolorosa confessione e si trasforma ben presto in un'indagine con colpi di scena da thriller. È impressionante la lucidità con la quale Haidi Giuliani ricostruisce, ripercorrendo le migliaia di ore girate dalle onnipresenti videocamere, la giornata del figlio; ed è impressionante il "crescendo" del film, nel quale prima si rivive il corteo dei no-global che scendeva verso il centro, e poi pian piano si rintraccia, dentro la folla, la presenza di Carlo. Chiunque, quel giorno a Genova, è stato filmato da qualcuno. Ed ecco dunque Carlo che entra nel corteo, assiste immobile a una carica della polizia, arriva in piazza Alimonda, e a un certo punto solleva quell'estintore (ma a una congrua distanza dalla jeep, si vede benissimo) e viene abbattuto. La sequenza della morte c'è, ed è straziante. Ma forse ancor più terribile è la sequenza successiva in cui la polizia crea un cordone attorno al suo corpo senza nemmeno tentare di soccorrerlo; per non parlare dell'agghiacciante immagine (a onor del vero vista, quel giorno, anche nei tg) in cui un poliziotto accusa un manifestante di aver ucciso lui Carlo, con un sasso. "In Italia non c'è la pena di morte. Ma Carlo è stato condannato a morte, giustiziato, torturato". Sono parole della madre, nel finale del film. Adesso vedremo se qualcuno avrà il coraggio di smentirla".

("Carlo Giuliani, un film deviato da un sasso" di Alberto Crespi. Tratto da L'Unità, 14 Giugno 2002)

"Dopo la grande emozione sollevata a Cannes esce 'Carlo Giuliani, ragazzo', il film con cui Francesca Comencini disegna la figura del giovane ucciso a Genova durante il G8 secondo uno e un solo punto di vista: quello di sua madre, straordinaria per forza e lucidità. Ne esce non solo un toccante ritratto post mortem, ma una ricostruzione assai coerente dei fatti, per quanto parziale. E ciò che si indovina della famiglia Giuliani offre l'immagine di un'Italia civile, coraggiosa, davvero diversa. E orgogliosa di esserlo".

(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 14 giugno 2002)

"E´ un bellissimo lavoro, che suscita consapevolezza, indignazione e riflessione. Anche se è raro andare al cinema per vedere un documentario, vederlo può fra l´altro aiutare a sapere, capire tante cose di quei giorni dei quali tra breve, nell'anniversario dell'uccisione di Carlo Giuliani, per la presentazione delle perizie ufficiali, per il processo, si discuterà di nuovo, bene o male: e spezza il cuore".

(Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 15 giugno 2002)

"Il modo meno idoneo di mettere a fuoco il problema è comunque quello di presentare le cose in bianco e nero, i buoni da una parte e i cattivi dall'altra. Né contribuisce a far chiarezza quel tanto d'involontariamente agiografico che emerge nel film dalle delicate poesie di Carlo e dalle malinconie dell'album di famiglia. Ai tempi della battaglia di Valle Giulia, dove per fortuna non ci scappò il morto, Pasolini scandalizzò le sinistre prendendo la parte dei poliziotti. Non credo che nessun esponente della sinistra oserebbe arrivare a tanto sui fatti di Genova, ma certo non sarebbe inutile che la stessa Comencini o qualcun altro girasse un documentario speculare sul carabiniere che ha sparato, ascoltando le ragioni di un'altra madre. Non serve invece alla verità raccontare da un lato che lo sfortunato dimostrando stava passando di là per caso e, dall'altra, che lo sparo in aria del carabiniere fu deviato con esiti mortali da un calcinaccio in caduta libera".

(Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 15 giugno 2002)

  • Carlo Giuliani, ragazzo”. Parte 1 di 7 poi di seguito su YouTube il resto: www.youtube.com

Carlo Giuliani

 

Una Poesia al giorno

O Cirno, di Teognide

O Cirno, da me poeta sia posto un sigillo
a questi versi; e mai saranno di nascosto rubati,
ed essendovi del buono, nessuno li muterà in peggio.
Ognuno dirà: "Di Teognide il Megarese
son questi versi, famoso presso tutti gli uomini".
Ma a tutti i cittadini certo non posso piacere;
e non deve stupire, o Polipaide: neppure Zeus
piace a tutti quando piove, o quando trattiene la pioggia.
Spinto dall'affetto, ti insegnerò, o Cirno, quelle cose,
che dai buoni ho appreso, ancora ragazzo.
Sii accorto: da opere turpi ed ingiuste
non trarre onori, distinzioni, o ricchezze.
Questo dunque sappi: non devi frequentare gli uomini
cattivi, ma stare sempre con i buoni:
con essi mangia e bevi: siedi con essi,
e cerca di piacere a loro, che hanno grande potenza.
Dai buoni apprenderai precetti buoni; se ai cattivi
ti mescoli, perderai anche il buon senso che hai.
Appreso questo, frequenta i buoni, e potrai un giorno dire
che agli amici io do consigli retti.

(Teognide nacque probabilmente a Megara Nisea, nel Peloponneso, tra il VI secolo a.C. ed il V secolo a.C. da famiglia aristocratica e, in seguito probabilmente a rivolgimenti, ebbe ogni bene confiscato e dovette fuggire dalla patria dopo la vittoria politica della fazione democratica. Si rifugiò, quindi, a Megara Iblea, colonia siciliana di Nisea, tornando poi nella terra natale ancora dilaniata dalle lotte interne. Presso gli antichi godé fama di essere il migliore tra i poeti elegiaci, a tal punto che ogni produzione gnomica e sentenziosa di tal genere, qualora fosse di autore incerto, veniva attribuita a Teognide).

 

Un fatto al giorno

26 settembre 1687: il Partenone di Atene viene parzialmente distrutto da un'esplosione causata dal bombardamento condotto dalle forze Veneziane guidate da Francesco Morosini, che stavano assediando i Turchi ottomani.

 

Una frase al giorno

“Non m'interessa parlare della notte che cambiò la vita, che ha reso il mio carattere per sempre sospettoso e diffidente. Avevo visto la durezza della guerra. Il giorno prima con i miei amici, partigiani, giocavamo a calcio, il giorno dopo erano nella chiesetta, cadaveri, sfigurati in viso dagli scarponi chiodati. Ho visto la fucilazione dei gerarchi fascisti, ero a Piazzale Loreto quando appesero Mussolini a testa in giù come un maiale, sapevo cos'era la cattiveria, ma ignoravo l'infamia. Ho aspettato due mesi che Compagnoni venisse a darmi una pacca sulla schiena, a dirmi che aveva fatto una fesseria, a chiedere scusa, perché può capitare di essere vigliacchi, ma deve anche capitare di ammetterlo. Invece niente, invece sono finito sul banco degli accusati, ero io la carogna, non loro che avevano mentito sull'uso delle bombole, delle maschere, sull'orario del balzo finale alla vetta”.

(Walter Bonatti, 1930-2011, alpinista, esploratore, giornalista e scrittore italiano)

Walter Bonatti e l'enigma del K2 (1954)

 

Un brano al giorno

Ernest Bloch, "Schelomo, Rhapsodie Hébraïque" (1916). Zara Nelsova, violoncello. London Philharmonic Orchestra. Ernest Bloch, direttore.

Ernest Bloch (Ginevra, 24 luglio 1880 - Portland, 15 luglio 1959) è stato un compositore e violinista svizzero naturalizzato statunitense, noto per aver ripreso molti temi caratteristici della musica ebraica.

 

Ugo Brusaporco
Ugo Brusaporco

Laureato all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea Dams. E’ stato aiuto regista per documentari storici e autore di alcuni video e film. E’ direttore artistico dello storico Cine Club Verona. Collabora con i quotidiani L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi, e lo svizzero La Regione Ticino. Scrive di cinema sul settimanale La Turia di Valencia (Spagna), e su Quaderni di Cinema Sud e Cinema Società. Responsabile e ideatore di alcuni Festival sul cinema. Nel 1991 fonda e dirige il Garda Film Festival, nel 1994 Le Arti al Cinema, nel 1995 il San Giò Video Festival. Ha tenuto lezioni sul cinema sperimentale alle Università di Verona e di Padova. È stato in Giuria al Festival di Locarno, in Svizzera, e di Lleida, in Spagna. Ha fondato un premio Internazionale, il Boccalino, al Festival di Locarno, uno, il Bisato d’Oro, alla Mostra di Venezia, e il prestigioso Giuseppe Becce Award al Festival di Berlino.

INFORMAZIONI

Ugo Brusaporco

e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
web www.brusaporco.org

 

 

 

 

 

UNA STORIA MODERNA - L'APE REGINA (Italia, 1963), regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura: Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, da un'idea di Goffredo Parise, atto unico La moglie a cavallo. Fotografia: Ennio Guarnieri. Montaggio: Lionello Massobrio. Musiche: Teo Usuelli. Con: Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Achille Majeroni, Vera Ragazzi, Pietro Trattanelli, Melissa Drake, Sandrino Pinelli, Mario Giussani, Polidor, Elvira Paoloni, Jacqueline Perrier, John Francis Lane, Nino Vingelli, Teo Usuelli, Jussipov Regazzi, Luigi Scavran, Ugo Rossi, Renato Montalbano.

È la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna.

Alfonso, agiato commerciante di automobili, arrivato scapolo ai quarant'anni decide di prender moglie e si consiglia con padre Mariano, un frate domenicano suo vecchio compagno di scuola e amico di famiglia. Il frate gli combina l'incontro con una ragazza, Regina. Bella, giovane, sana, di famiglia borghese e religiosa, illibata, è la moglie ideale. Alfonso non ci pensa due volte: e padre Mariano li sposa. Regina si dimostra subito una ottima padrona di casa, dolce e tenera con il marito; dal quale decide però di voler subito un figlio. Alfonso, premuroso, cerca di accontentarla, ma senza risultati. A poco a poco l'armonia tra i due coniugi si incrina: Regina gli rimprovera di non essere all'altezza della situazione, di venir meno a una sorta di legge biologica; Alfonso comincia a sentire il peso delle continue prestazioni sessuali che gli sono richieste e che a poco a poco logorano il suo equilibrio psicologico e fisico. Preoccupato, al limite della nevrosi, chiede consiglio a padre Mariano, che non si rende conto del suo problema e inorridisce quando l'amico accenna alla possibilità di ricorrere alla Sacra Rota: il desiderio di Regina di avere un figlio ha la benedizione della Chiesa, e più che legittimo, doveroso. Alfonso tenta di sostenersi fisicamente con farmaci, ma diventa sempre più debole. Arriva finalmente il giorno in cui Regina annuncia trionfante e felice di essere incinta: parenti e amici vengono in casa a festeggiare l'avvenimento. Alfonso, ormai ridotto a una larva d'uomo, viene trasferito dalla camera da letto a uno sgabuzzino, dove potrà finalmente restare a godersi in pace gli ultimi giorni di vita. Alfonso muore, mentre Regina, soddisfatta, prepara la culla per il nascituro.

“Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, il film venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l'aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario L'ape regina. Anche la colonna sonora non sfuggì all'attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma, era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione”

(Wikipedia)

“L’ape regina" segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l'inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall'attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l'altro, fa misteriosamente premettere al titolo "Una storia moderna: "). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all'attore il Nastro d'argento (assegnato dal Sindacato dei Giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo “L’ape regina", Tognazzi ne ha così commentato l'importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. [...] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli [...]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità [...] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita.”

(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)

“[...] Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi dà dentro, mostrandoci l'ape e il fuco appaiati in quell'ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. [...] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady.

(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)

     

“Ape regina, benissimo interpretato da Ugo Tognazzi (che ormai è il controcanto, in nome dell'Italia nordica, di ciò che è Sordi per quella meridionale), appare come un film con qualche difetto (cadute del ritmo narrativo, scene di scarsa efficacia e precisione), ma la sua singolarità infine si impone.”

(Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 25 aprile 1963)

“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. Marina Vlady è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un po’ grigia dell'uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante.”

(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)

“Gran parte dell'interesse del film deriva dal notevole, asciutto stile della comicità di Ugo Tognazzi e dall'asprezza di Marina Vlady. Tognazzi ha un'aria magnificamente remissiva e angustiata e un bellissimo senso del ritmo che introduce delle osservazioni ad ogni sua azione. Quando scherza con un prete, ad esempio, per rompere un uovo sodo, egli riesce ad essere semi-serio in modo brillante. E quando egli guarda semplicemente la moglie, lui tutto slavato e lei tutta risplendente, nei suoi occhi c'è tutto un mondo di umoristica commozione.”.

(Bosley Crowther, The New York Times, New York, 17 settembre 1963)

Scene Censurate del film su: http://cinecensura.com/sesso/una-storia-moderna-lape-regina/

Altre scene in: https://www.youtube.com/watch?v=Cd1OHF83Io0

https://www.youtube.com/watch?v=IalFqT-7gUs

https://www.youtube.com/watch?v=htJsc_qMkC4

https://www.youtube.com/watch?v=9Tgboxv-OYk

Una poesia al giorno

Noi saremo di Paul Verlaine, Nous serons - Noi saremo [La Bonne Chanson, 1870].

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi

che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto

che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero,

i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene

accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,

e inoltre ricoperti di una dura corazza,

sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino

per noi ha stabilito, cammineremo insieme

la mano nella mano, con l'anima infantile

di quelli che si amano in modo puro, vero?

Nous serons

N'est-ce pas? en dépit des sots et des méchants

Qui ne manqueront pas d'envier notre joie,

Nous serons fiers parfois et toujours indulgents

N'est-ce pas? Nous irons, gais et lents, dans la voie

Modeste que nous montre en souriant l'Espoir,

Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie.

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir,

Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible,

Seront deux rossignols qui chantent dans le soir.

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible

Ou doux, que nous feront ses gestes? Il peut bien,

S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible.

Unis par le plus fort et le plus cher lien,

Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine,

Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine

Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,

Et la main dans la main, avec l'âme enfantine

De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?

Un fatto al giorno

17 giugno 1885: La Statua della Libertà arriva a New York. Duecentoventicinque tonnellate di peso, 46 metri di altezza (piedistallo escluso) e 4 milioni di visite ogni anno. La Statua della Libertà, oggi simbolo di New York, ha una storia costruttiva avventurosa e originale, caratterizzata da trasporti eccezionali e un fundraising senza precedenti. Ripercorriamola insieme con queste foto storiche. Fu uno storico francese, Édouard de Laboulaye, a proporre, nel 1865, l'idea di erigere un monumento per celebrare l'amicizia tra Stati Uniti d'America e Francia, in occasione del primo centenario dell'indipendenza dei primi dal dominio inglese. I francesi avrebbero dovuto provvedere alla statua, gli americani al piedistallo. L'idea fu raccolta da un giovane scultore, Frédéric Auguste Bartholdi, che si ispirò all'immagine della Libertas, la dea romana della libertà, per la sagoma della statua, che avrebbe retto una torcia e una tabula ansata, a rappresentazione della legge. Per la struttura interna, Bartholdi reclutò il celebre ingegnere francese Gustave Eiffel (che tra il 1887 e il 1889 avrebbe presieduto anche alla costruzione dell'omonima Torre) il quale ideò uno scheletro flessibile in acciaio, per consentire alla statua di oscillare in presenza di vento, senza rompersi. A rivestimento della struttura, 300 fogli di rame sagomati e rivettati. Nel 1875 il cantiere fu annunciato al pubblico e presero il via le attività di fundraising. Prima ancora che il progetto venisse finalizzato, Bartholdi realizzò la testa e il braccio destro della statua e li portò in mostra all'Esposizione Centenaria di Philadelphia e all'Esposizione Universale di Parigi, per sponsorizzare la costruzione del monumento. La costruzione vera e propria prese il via a Parigi nel 1877.

(da Focus)

Una frase al giorno

“Marie non era forse né più bella né più appassionata di un'altra; temo di non amare in lei che una creazione del mio spirito e dell'amore che mi aveva fatto sognare.”

(Gustave Flaubert, 1821-1880, scrittore francese)

Un brano al giorno

Marianne Gubri, Arpa celtica, Il Viandante https://www.youtube.com/watch?v=_URmUFpa52k